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COSA FARE QUANDO IL CAPO TI CHIEDE SISTEMATICAMENTE DI FARE COSE PER IERI
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IL CORPO, MENTE? L’IMPORTANZA DI ASCOLTARE IL CORPO
Ciao e Bentornata/o a Lavorare col Sorriso!
Oggi ti parlo dell’importanza di imparare ad ascoltare il corpo per preservare il benessere, evitare di adeguarsi ad un livello di sopportazione dello stress troppo elevato per noi stessi ed evitare di considerare il corpo come una appendice scontata di noi stessi.
L’ansia di fare brutta figura, di commettere errori, di perdere il lavoro, di essere inadeguati o di incorrere nel giudizio negativo di altri sono alcuni degli esempi di pensieri che a tutti capita di fare.
L’eccesso di intellettualizzazione tipico del nostro mondo occidentale, ci porta spesso ad utilizzare questa qualità straordinaria, che è la capacità di pensare, in modo disfunzionale per il nostro benessere …quando in realtà, sarebbe bene poterla utilizzare a nostro vantaggio.
Perché usare spesso e solo la mente, senza mai ascoltare il corpo? Oppure rispettandolo poco?
Misuriamo il nostro dispendio energetico in termini di metabolismo e calorie accumulate e bruciate: siamo dunque produttori e consumatori di energia , anche se per questa attività per fortuna ancora non paghiamo tasse o “bollette”. Non diciamolo troppo forte, sia mai che qualcuno arrivi a tassare anche il metabolismo …
La vita mediamente sedentaria di un lavoratore in azienda, costretto spesso: a stare davanti al PC per buona parte della giornata, a mangiare spesso fuori per trasferte lavorative, a saltare pranzi o cene per rispettare scadenze, orari, riunioni incide sul nostro sistema energetico e sul metabolismo.
Non ultimo trascurare il corpo può anche avere riverberi sulla struttura muscolare che nel tempo a causa della sedentaretà prevalente perde di flessibilità, mobilità e resistenza originando magari cervicali, lombalgie croniche (solo per citarne alcune) che sono fastidi tipici di chi sta molto spesso seduto.
L’affollamento di attività da svolgere, accompagnato da eccessi di ansie ed insicurezze può rendere molto stanchi, spossati, come se ci avessero messo dentro ad una lavatrice, eppure, normalmente nè spostiamo carichi pesanti, nè facciamo lavori di fatica fisica così pesanti da giustificare questo senso di stanchezza.
Ma quante delle cose che ti sono richieste giornalmente le fai realmente utilizzando quella parte di pensiero utile e funzionale al da farsi, e quanto invece con una produzione eccessiva di pensieri collaterali a quello che realmente sarebbero richiesti dal “qui e ora” di quello che stai facendo?
E quanto tempo spendi invece ad ascoltare il corpo facendo un po’ di silenzio mentale?
Scommetto poco, a meno che qualche fastidio non ti costringa a farlo.
Noi SIAMO un corpo. Il corpo non è quella cosa che ci porta a spasso ma quello di cui siamo fatti. Sembra banale ma non lo è.
Quale affermazione ti viene spontanea se pensi al tuo corpo? Sono un corpo oppure ho un corpo?
Nella mia esperienza di counselor la maggior parte delle persone usa l’espressione HO UN CORPO. Penso che questo sia molto indicativo di quanto ci identifichiamo solo con la mente.
Comincia a farci caso ripensando magari ai disturbi fisici di salute che hai avuto nel tempo.
In alcuni casi li hai avuti in corrispondenza di periodi di stress, di nervoso sul lavoro, o magari dopo qualche litigata con capi/colleghi/famigliari etc?
Vista l’importanza che ha ascoltare il corpo, nei miei percorsi, quando la situazione lo richiede, utilizzo degli esercizi di bioenergetica per favorire l’eliminazione di rigidità fisiche.
Cos’è la Bioenergetica?
Vivere nel piacere e godersi la vita: questo quello che rappresenta per me la Bioenergetica che racchiude di fatti in sé le parole vita (bio) ed energia.
Oggi applicata nel trattamento dello stress e delle rigidità muscolari anche al di fuori dell’ambito strettamente psico-terapeutico, la Bioenergetica nasce come una psicoterapie corporea.
È stata messa a punto da Alexander Lowen, un avvocato e sportivo, con la passione per l’atletica leggera prima, divenuto poi anche psicoterapeuta e psichiatra statunitense, nato nel 1910 e deceduto nel 2008 a ben 98 anni.
L’età in cui ha lasciato questa terra credo sia una buona indicazione di come l’aver vissuto secondo l’approccio da lui stesso diffuso abbia funzionato in concreto.
La Bioenergetica parte dall’assunto che corpo e mente sono strettamente connessi, al punto che quanto accade nell’uno si riverbera sull’altro e viceversa. Un individuo sano è “fluido” nei suoi movimenti, nel senso che la sua energia fluisce in modo armonioso nel corpo senza “bloccarsi” in rigidità muscolari “cronicizzate”.
Specifici esercizi, praticabili anche da soli a casa, focalizzati sul respiro, sul “grounding” ossia la capacità di “essere radicati a terra” o assertivi, e su piccoli movimenti graduali e lenti, ti aiutano a migliorare la consapevolezza, padronanza ed espressività di te stesso, ad allentare tensioni muscolari e stress, riscoprendo delle spontanee e liberatorie “vibrazioni” nel corpo che sono indicatori di un corpo effettivamente “vivo”.
Non a caso, la morte viene normalmente indicata con il termine “rigor mortis” che sta a richiamare il concetto di “rigidità definitiva”.
Prendersi cura di se stessi significa evitare, da vivi, di restare intrappolati in eccessi di rigidità che impediscono ai normali processi energetici quali respiro e metabolismo, di fluire spontaneamente e liberamente.
Lo stress è la causa di uno di questi eccessi di rigidità.
Sottolineo che questa condizione di benessere vibrante (anche a livello muscolare), non coincide necessariamente con quella di uno sportivo. Alexander Lowen, che per primo ha gareggiato in competizioni di atletica leggera, ad un certo punto della sua vita, approfonditi gli studi sulle dinamiche caratteriali e somatiche, realizzò quanto poco conoscesse il suo corpo in termini di governo della propria capacità espressiva e conoscenza di sè aprendo di conseguenza anche una finestra sulle strette connessioni esistenti fra il corpo e i vissuti cognitivi ed emotivi.
Lo sport è un’ottimo modo per ricercare benessere e sfogare lo stress. Ma da questo ad imparare ad ascoltare il corpo e usarlo non per una competizione sportiva ma per prendere coscienza dei propri vissuti cognitivi – emotivi – e corporei nel QUI e ORA, volgendoli a nostro vantaggio ci passa una enorme differenza.
Oserei dire la stessa differenza che corre fra la cura di un sintomo e l’individuazione delle reali cause che determinano uno stato di mal-essere che tende a ripresentarsi se non anche a cronicizzarsi.
Comincia a dedicare un pò di tempo coltivando del sano ozio come suggerisco in questo articolo (link). Oziare è gratis!
Se invece senti di avere qualche disturbo cronicizzato o qualche sintomatologia ricorrente considera di fruire del mio percorso “Lavora col Sorriso”: possiamo esplorare il significato simbolico dei vissuti corporei e scoprire come uscire da situazioni di empasse.
Se ancora non lo hai fatto ti invito ad iscriverti alla Newsletter, oltre a ricevere una comoda notifica nella tua mail quando pubblicherò nuovi contenuti, riceverai un trattamento speciale per tutte le future iniziative che svilupperò e potrai scaricare la mia Guida Gratuita Fai il lavoro giusto per te che contiene agevolazioni sul valore dei miei percorsi .
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Grazie dell’attenzione
Federica Crudeli

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STRESS LAVORATIVO: COME PREVENIRLO
Ciao e Bentornato/a a Lavorare col Sorriso
Oggi ti parlo di stress lavorativo e di approccio alla vita lavorativa utile a prevenirlo ricordando che la valutazione dello stress lavoro correlato a carico dei datori di lavoro è stata introdotta con il D. 81/2008 noto anche come Testo Unico per la Sicurezza sul Lavoro.
Non ripeto quanto puoi leggere nell’articolo che condivido qui dell’Agenzia Europea per la sicurezza e la salute sul lavoro.
https://osha.europa.eu/it/themes/psychosocial-risks-and-stress
Vado un secondo oltre a quanto è riportato nella pagina linkata sopra e vado al di là della valutazione dello stress lavorativo a cui è tenuto il tuo datore di lavoro: mi interessa parlarti della dimensione soggettiva del tema, ossia di quello che ha a che fare con te, uomo, donna che tu sia.
Nella mia esperienza noi umani abbiano in media una insana tendenza a strafare senza mettere limiti e freni alle richieste che ci fa la vita.
Le donne poi, in questa corsa a volte al massacro, diciamocelo , sono le paladine.
Non lo dico per sminuire le donne (visto che anche io lo sono) ma perchè essendo dotate di un corredo biologico adatto a contenere una vita (a prescindere che poi diventiamo o meno madri) abbiamo una particolare vocazione al sacrificio, alla relazione, alla comprensione dell’altro e relativi bisogni, in quanto parte appunto del nostro corredo genetico.
Questo vale “in media” con tutti i distinguo e le eccezioni del caso. Esistono anche molti uomini con la stessa tendenza.
Ma perché noi umani tendiamo naturalmente e spesso a voler strafare andando incontro alla possibilità di sperimentare uno stress lavorativo che supera la nostra soglia di tolleranza?
Penso per una scarsa abitudine all’ascolto di noi stessi: mediamente rimuginiamo sulla lite col capo/collega/collaboratore del giorno prima, a quello che avremmo potuto dire o fare di meglio, all’errore fatto e così via, oppure, quando non siamo nel loop vizioso di ieri, siamo in affanno per quello che verrà/potrà venire domani.
In sostanza il tempo che spesso ci concediamo per pensare e vivere il momento è quasi nullo. E questo comporta che quello che oggi esiste veramente in noi, adesso, nel corpo, non lo ascoltiamo.
Spesso trattiamo il corpo come una nostra appendice che ci porta a spasso dimenticandoci che noi SIAMO un corpo.
Quindi quella bronchite la trascuriamo, quella strana allergia la lasciamo lì che va e viene, la dermatite pure, i dolori alla cervicale anche, la lombalgia con un po’ di crema e la palestra la sistemiamo.
Quei crampi di nervoso che ci vengono per colpa del capo/collega di turno li annaffiamo con qualche caffè di pausa o l’ aperitivo, o un pò di distrazione su facebook e instagram a curiosare nei profili o a leggere meme per distrarsi.
Quando vogliamo sfuggire alla morsa del passato o del futuro cerchiamo il divertimento, la leggerezza e la spensieratezza. Sacrosanto direi.
Insomma in media sfuggiamo a un tipo di fare per scegliere un altro fare.
Dai oggi, dai domani, tanti sintomi trascurati nell’oggi magari diventano un problema grosso grosso domani.
Già in un precedente articolo ho parlato del valore immenso invece di qualcosa che nell’era della tecnologia e iperconnessione è considerato una aberrazione: ossia l’ozio di cui ti parlo in questo articolo (link).
Fare niente è considerato un peccato mortale nel mondo di oggi, iperconnesso e caratterizzato da migliaia di stimoli di tutti i generi.
Insomma la nostra tendenza innata è a prenderci cura di un sintomo solo quando diventa un problema che non possiamo più evitare di guardare.
E magari nel frattempo ci consoliamo pensando al famoso mal comune mezzo gaudio: essere in tanti a condividere un certo modo di vivere ci fa sentire meno soli anche nelle difficoltà.
Tanto poi a tempo debito lo farò, me ne occuperò, ci penserò.
La differenza vera però fra le persone che subiscono la vita e quelle che la padroneggiano e sono capi di loro stessi invece, è proprio quella non di lasciarsi vivere, ma di ascoltarsi e regalarsi del tempo ORA.
Regalarsi il tempo di guardare a quel malessere, a quel sintomo ricorrente, a quel pensiero ossessivo, a quel dolore cronico, a quel fastidio che si ripresenta puntuale in certe circostanze per vedere di sradicarlo.
Farlo per tempo evita che una cosetta da poco diventi o un problema irrimediabile o a un problema a cui porre rimedio diventa oltre modo costoso, sia per il fisico, che per altre implicazioni di vita.
Gli esiti di una ricerca scientifica possono venirci in aiuto a comprendere i comportamenti che possono portare allo stress lavorativo.
Fra l’altro esiste una ricerca scientifica sul comportamento somministrata nel 1972 dallo psicologo Mischel.
L’esito delle ricerca prova che nella vita hanno avuto più soddisfazione, successo e gratificazione coloro che, potendo scegliere fra una gratificazione immediata piccola (per noi l’aperitivo ammazza pensieri di turno) e una grande poi, hanno scelto il secondo tipo di approccio.
L’esperimento è stato condotto su un campione di 600 bambini di quattro anni che sono stati sottoposti a test di verifica 14 anni dopo e 40 anni dopo .
Al contrario coloro che non riuscivano ad esercitare un controllo cognitivo sugli impulsi più immediati erano propensi a sviluppare problemi nel comportamento e scarsa socializzazione, bassa autostima e alto senso di frustrazione.
Ecco il link con l’esito dell’esperimento:
“Behavioral and neural correlates of delay gratification 40 years later”
Perché questo accade? Perché questi bambini prima e adulti dopo, sono stati capaci di farsi incantare meno dalle sirene lusinghiere del finto piacere immediato.
Hanno scelto invece di perseguire un senso di piacere più durevole, autentico ed appagante nel lungo periodo gestendo meglio loro stessi, evidentemente avendo più consapevolezza di cosa facesse al caso loro e cosa no.
Tu che approccio hai alla vita quindi?
Se vivi un momento di difficoltà o affaticamento evita di fare la fine della rana bollita o di finire ad alimentare la banca dati dei lavoratori stressati del tuo datore di lavoro.
Prenditi del tempo per ascoltare tutti i segnali che il corpo ti manda prevenendo lo stress lavorativo.
Cosa aspetti?
Se ti senti sotto pressione e vuoi un aiuto considera l’ipotesi di usufruire del mio percorso “Lavora col Sorriso”.
Come iscritto alla Newsletter puoi godere di una agevolazione.
Buona riflessione!
Federica
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