
LA VERA DISABILITÀ È FISICA O MENTALE? UNA LEZIONE DI VITA E 2 RISPOSTE – PARTE I
Ciao Bentornata/o a Lavorare col Sorriso!
Dopo la pausa estiva, ecco un articolo dal titolo volutamente provocatorio che cambierà in meglio la tua giornata e spero anche i giorni a venire soprattutto per contrastare stress nocivi.
Oggi ospito una intervista a Nicola Codega, 46 anni, un mio ex compagno di università ex atleta, che dal 1998 è paralizzato su una sedia a rotelle dopo un brutto incidente procuratogli da un guidatore distratto.
[Tweet ““ Se io posso volare con la mia sedia, voi potere volare con la mente”– cit. Nicola Codega “]Durante le ferie mi sono incontrata con Nicola per prendere un caffè, dopo anni che non lo vedevo di persona.
Da quella chiaccherata è nato il desiderio di parlare di lui e farlo parlare in questo blog.
Perché?
Perché in un’ora di conversazione con lui ho trovato più autenticità, vitalità, voglia di vivere, curiosità verso il mondo, coraggio ed energia mentale di quella che trovo mediamente nella stragrande maggioranza di persone “normodotate” di cui faccio parte ma profondamente limitate nel loro vivere quotidiano da ansie, paure e problemi che esistono spesso solo nelle nostre teste.
Sono tornata a casa e ho pensato che raccontare la sua storia e lasciarlo parlare possa essere un grande esempio per tutti per affrontare le sfide quotidiane.
Da qui il titolo del post: a volte, molti “normodotati” come me, si auto-creano gabbie mentali inutili mentre altre persone, che hanno limitazioni fisiche reali, affrontano sfide impensabili tutti i giorni col sorriso, e le superano. Quindi fra le due categorie, chi è veramente “disabile”?
Nicola è assimilabile a personaggi quali Bebe Vio o Alex Zanardi. Solo che Bebe Vio e Alex Zanardi non li conosco, anche se li seguo sui social, mentre Nicola lo conosco in carne ed ossa.
Questo articolo vuole essere un “pungolo”, al rientro dalle ferie, a fare buon uso delle nostre energie mentali e ad allenarsi a relativizzare i problemi.
Tante volte, nei momenti di difficoltà, il mio pensiero va alla mia migliore amica Francesca, morta nel 2009 a 27 anni stroncata da una terribile leucemia dopo 3 anni di “agonia”.
Quando mi sento “giù” rivedo lei che, già malata, con un enorme sorriso mi ripeteva “Fede, vai tranquilla, non c’è niente di cui preoccuparsi”.
Non sono mai riuscita a spiegarmi dove prendesse quella serenità in un momento così difficile.
La sua morte mi ha cambiato la vita. Il dolore della perdita non è mai scomparso: eravamo come sorelle; ho imparato a conviverci.
Ma paradossalmente quell’evento ha segnato un grosso “discrimine” nella decisione di voler capire a fondo cosa poteva dare veramente un senso alla mia vita e cosa no, cosa era per me veramente importante e cosa no.
Anche essere obbligata a stare ferma a letto per un mese per un mio problema fisico nel 2015 mi ha fatto riflettere tanto. “Bazzecole” confronto all’esperienza di Nicola.
Ricordo quanto sono stata felice il primo giorno che ho rimesso il naso fuori dalla porta di casa. Il cielo non lo avevo mai visto così bello, immenso e celeste. E avevo tante farfalle nello stomaco come se fossi innamorata – mi rivolgo soprattutto alle donne in mezzo a tempeste sentimentali convinte che solo l’amore possa regalare emozioni … non è vero 🙂 – dicevo, mi sentivo irrequieta e desiderosa di fare mille cose.
Mi impegno a tenere a mente quella sensazione ogni volta che rischio di cadere nelle mie trappole mentali.
Penso che una sensazione simile l’abbiate provata tutti voi nel corso della vita. Un evento che vi abbia improvvisamente fatto relativizzare problemi che sembravano insormontabili e scomparire ansie inutili.
Noi umani siamo strani: tante volte abbiamo bisogno di toccare con mano la “perdita” di qualcuno o qualcosa, per renderci conto delle fortune che abbiamo e che sappiamo apprezzare meno di quanto potremmo, e di quante cose potremmo fare, se sapessimo sfruttare al meglio le nostre potenzialità.
Poi però si rientra nella routine. Si dimentica. E le piccole “rotture quotidiane” tornano ad essere “giganti insuperabili”.
Ultimamente, mentre riflettevo su una scelta da fare, mi sono “imbattuta” in un post su Facebook di Nicola che parlava di una delle tante “sfide” sportive che ha affrontato.
Mi sono detta “se riesce lui a fare tutte queste cose, io non ho scuse”.
Da lì a pochi giorni abbiamo preso quel famoso caffè.
Nicola, dopo quell’incidente e 13 operazioni, ha reagito. Ha pubblicato 2 libri che ironicamente ha intitolato “Sempre in piedi” e “Sempre in piedi – diario di viaggio” ed è tornato ad essere un atleta facendo vela e tennis.
Si è “buttato” anche nell’improvvisazione teatrale.
Inoltre ha portato la sua esperienza di vita nelle scuole, nelle carceri, negli ospedali.
Nicola organizza un evento No –Profit a difesa dei diritti dei disabili che si chiama “carrozzABILE”. (www.carrozzabile.it)
Addirittura è stato il primo uomo al mondo a partecipare ad uno spettacolo del mago Erix Logan e a levitare in aria con la sua carrozzina.
Ho chiesto quindi a Nicola se aveva voglia di partecipare a questa intervista dato che ama scrivere, e lui generosamente mi ha detto “si”.
L’ho fatto per dare spazio a una straordinaria storia di umanità positiva in un mondo che ci tartassa in continuo di schifezze: omicidi, guerre, violenze, razzismo, odio diffuso e tante altre manifestazioni pessime e basse.
N.d.r – Tutti drammi diffusi ad arte: la gente così rincitrullisce, diventa passiva e convinta di vivere in un mondo terribile e minaccioso nel quale non vale la pena impegnarsi in nessuna causa, tanto fa tutto schifo.
In realtà non è così: esistono anche tanti esempi di vita positivi.
Ecco quindi le 6 domande che ho posto a Nicola e le sue risposte.
In questo articolo potrete leggere le prime 2 domande e nel prossimo le altre 4.
F – Domanda 1
Nicola, questo blog è rivolto a dipendenti di aziende piccole/medie/grandi italiane impiegati a qualsiasi livello organizzativo che quotidianamente dividono tempo e spazio con capi e colleghi.
Per me, come per tutti i lettori, la vita d’azienda a volte può essere molto stressante e snervante, oltrechè per le scadenze, soprattutto per la gestione dei rapporti umani.
C’è pieno di diversamente simpatici con cui lavorare, “sgomitatori sociali”, persone che più o meno consapevolmente e più o meno in buona fede, complicano la vita agli altri.
Cosa diresti alle persone che quotidianamente si stressano e avvelenano le giornate a causa di queste persone o di problemi simili?
Nel tuo libro ho letto che anche tu in modo diverso ti rapporti ogni giorno con molte manifestazioni di ignoranza umana, mancanza di rispetto, bassezze.
Con che spirito oggi affronti le tue difficoltà?
N – Risposta 1
Ciao a tutti e grazie a Fede per avermi ospitato.
Spero che la mia testimonianza possa farvi amare la vita almeno la metà di quanto la amo io.
Ora la risposta alla prima domanda:
Quando si è a contatto con persone antipatiche, inutili, arriviste o che ci stanno sull’anima il comportamento migliore ma anche il più difficile da mettere in atto è l’indifferenza.
Ricordatevi sempre che è la cosa che fa più male a qualsiasi persona: fate vedere (anche se non e’ così) che quel tizio/a che ci sia o non ci sia per voi è la stessa cosa, non dategli peso.
Non vale la pena rovinarsi l’umore per una persona che ci sta anche sull’anima.
Bisogna prendersela quando a farci un torto e’ un’amico/a al/alla quale teniamo in particolar modo, allora si che dobbiamo farci delle domande.
L’indifferenza è l’ atteggiamento migliore anche nei rapporti sentimentali: è la cosa che fa più male ed è la soluzione migliore per testare se e quanto una persona tiene ancora a voi .
Come affronto io le difficoltà?
Dopo 13 interventi, 2 anni di ospedale e 20 anni di sedia affronto la vita sempre col sorriso: i problemi che mi trovo ad affrontare ora in confronto a ciò che ho passato sono bazzecole.
Me la prendo al momento e poi mi passa … tanto è inutile incazzarsi per le cose da poco, stiamo male solo noi e le cose non cambiano.
Intendiamoci non sono un super uomo, non ho ancora il mantello e, come ha fatto Fede con la sua amica, non ho superato ma convivo col mio trauma perché un episodio tragico come può essere il mio, come può essere la mancanza di una persona cara o di un grande amore non si supera ma bisogna imparare a conviverci.
Qualcuno mi ha chiesto dove si trova la forza dopo tutto quello che ho passato.Un grave trauma o ti ammazza dentro o paradossalmente ti rende invulnerabile: io ho fatto e faccio cose “da seduto” che mai avrei pensato di fare ” in piedi” .
Secondo me ognuno di noi dentro se stesso ha la forza per reagire ad una tragedia.
La difficoltà sta nel riuscire a tirarla fuori: c’è chi ci riesce da solo, c’è chi ha bisogno di un’aiuto (e se è così non ha da vergognarsi a chiderlo), c’è chi ci mette dei mesi, chi degli anni e chi non ne viene fuori … noi e solo noi ci conosciamo davvero, sappiamo cosa vogliamo e di cosa abbiamo bisogno.
F – Domanda 2
So che lo sport, in quanto ex atleta, ti ha aiutato molto. Che ruolo pensi abbia lo sport per abbattere lo stress lavorativo, soprattutto per persone come me e tanti “dipendenti” che passano la maggior parte del loro tempo seduti? E cosa ti ha insegnato lo sport che metti in pratica ancora oggi?
N – Risposta 2
Secondo me lo sport ha un ruolo fondamentale non solo nel lavoro ma nella vita di tutti noi, perché ci fa bene sia fiscalmente che mentalmente, ci fa distrarre, ci fa divertire, ci fa sfogare ci insegna a non mollare mai, insomma ci insegna a vivere meglio.
Consiglio vivamente a tutte le persone di praticare attività fisica anche se non a livello agonistico, in pausa pranzo o a fine giornata.
Ci fa uscire dalla solita noiosa routine dell’ufficio, dalle solite facce, dai diversamente simpatici come li chiama Fede, dai soliti orari e dal solito stress.
Posso capire che sia difficile iniziare soprattutto per chi non è abituato a far movimento. Allora cercate un amico/a con cui andare così tra una chiacchiera e l’altra l’ora vi passerà e vi sarete fatti la vostra “sudata”.
Avrete rassodato o tonificato il vostro fisico e staccato la spina: sarete stanchi, rientrerete a casa, vi rilasserete e vedrete che vi libererete la testa e dormirete anche più facilmente.
Le prime volte vi sembrerà più faticoso ma pian piano, come tutti, prenderete i vostri ritmi: non scoraggiatevi mai perché anche i grandi campioni hanno iniziato da zero e come diceva Totò “nessuno nasce imparato”.
Di volta in volta aumenterete le serie in quantità , in peso o in minuti a seconda dello sport che praticate.
È proprio questo l’aspetto più importante, perché vi serve da stimolo aumentare e riuscire sempre a migliorarsi fino a raggiungere il vostro obiettivo settimanale mensile o annuale.
Non serve diventare campioni basta migliorarsi secondo le nostre possibilità e capacità e vedrete che sarete orgogliosi quando avrete raggiunto i vostri traguardi.
Questa mentalità da atleta in erba vi servirà da stimolo nella vita di tutti i giorni per affrontare i vostri problemi e soprattutto nel lavoro: quando vi daranno un obiettivo da raggiungere sarete già pronti mentalmente a conseguirlo o perlomeno a provarci perché nella vita bisogna sempre buttarsi altrimenti non saprete mai come andrà a finire.
Vi continuerete a chiedere come sarebbe andata se aveste detto quella cosa se aveste compiuto quell’azione o tenuto quel comportamento.
Se ci provate e conseguite il vostro obiettivo sarete orgogliosi di voi stessi , se non lo raggiungerete almeno ci avete provato e non rimarrete mai col dubbio. Il fatto di averci provato la prima volta vi porterà a buttarvi le volte successive: il ghiaccio l’avete rotto e andrete avanti più determinati e sicuri di voi stessi.
Cos’è per me lo sport ?
Lo sport per me è come una droga: vengo da una famiglia di sportivi , i miei genitori sono stati dei maratoneti.
Mi hanno avviato all’ atletica leggera fin da bambino: partito dalle gare lunghe di tanti km, per poi passare all’attività agonistica in pista a 15 anni e fino a 22. Facevo i 1500 mt, 800, 400 e la staffetta 4×400.
L’atletica è uno sport individuale che ti rafforza tanto il carattere: se vinci una gara l’hai vinta te e solo te , se la perdi la perdi te e nessun altro.
Lo sport mi ha insegnato a non mollare mai, a capire cosa vuol dire sudare, lottare e faticare per raggiungere un obiettivo che nel mio caso era un tempo minimo o un piazzamento a seconda della gara.
Questa filosofia l’ho riportata nella vita di tutti i giorni e mi fa convivere col mio trauma.
Mentalmente mi ha aiutato nel recupero: da un giorno all’altro le gambe, che fino a quel momento mi avevano regalato tante soddisfazioni, non si muovevano più e dal petto in giù ho perso la sensibilità e la motilità (ho una lesione alla quarta vertebra dorsale).
Il mondo sembra cascarti addosso, come se si spegnesse improvvisamente la luce.
Poi, grazie alla mentalità da sportivo ho iniziato non a pensare che era meglio se non mi fosse successo niente, ma a pensare che avrei potuto non essere qui ora a raccontare a voiquello che è successo.
Non a pensare a quello che non ho più ma a cercare di fare il meglio con quello che mi è rimasto, come dovete fare voi: cercate di apprezzare ciò che avete e fatene buon uso, non pensate a ciò che non potete avere.
Lo sport mi ha salvato la vita anche fisicamente: subito dopo il primo intervento, nel quale ho rischiato la vita, ho passato quasi 2 mesi con la febbre tra 39 e 42. I medici mi hanno detto che se non avessi avuto il fisico da atleta agonista non avrei mai sopportato fisicamente tutto quel tempo immobilizzato su un letto ad una temperatura così alta.
Anche nel dopo incidente non poteva mancare lo sport: ho provato con lo sci ma è troppo pericoloso, ho provato con la vela e con la scherma ma sono sport troppo mentali per un tipo istintivo come me.
Avevo bisogno di uno sport che rispecchiasse il mio carattere: ho trovato tutto ciò nel tennis.
Ormai da 5 anni praticato attività agonistica a livello nazionale e internazionale: ho raggiunto la quarta posizione nel ranking italiano e la 57 esima in quello mondiale.
L’avrete capito che la mia vita è fatta di sfide: questa è l’ultima in ordine cronologico.
Rispetto alla “ mia” atletica nella quale dovevo dare tutto in 1 o 2 minuti, nel tennis ho a disposizione molto più tempo da un minimo di un’ora ad un massimo di circa 3 ore per una partita.
Quindi ho più tempo per rimediare ad un errore a due anche a tre, ma non devo mai mollare perché la partita non è finita finché non stringi la mano all’avversario.
In atletica dovevo concentrarmi solo per uno o due minuti quindi era più facile tenere alta l’attenzione.
Il tennis mi ha ridato la fame di competizione e di sfida che mi mancava da troppo tempo: non avrei mai pensato di poter praticare sport agonistico da “seduto”.
Ti ringrazio Nicola per la spontaneità con cui hai risposto … e vorrei tenere a mente queste tue parole per vincere la pigrizia fisica che a volte prende il sopravvento!
Lo sport soprattutto per chi fa un lavoro sedentario come “noi dipendenti” è importantissimo e soprattutto come dici tu , è altrettanto importante imparare a traslare gli insegnamenti che ci derivano dallo sport anche nelle altre sfere della vita.
Dove per insegnamenti, personalmente, non mi riferisco a competizioni o desiderio smodato di vincere, ma la perseveranza negli allenamenti e nel volersi “migliorare”, così come la capacità di trovare lo sport o situazione di vita/lavorativa che meglio si adatta alle nostre peculiarità valorizzandole.
Interromperei qui questa intervista che proseguirà con altre 4 domande e risposte da parte di Nicola nel prossimo articolo relative: a come affronta oggi le paure, come si muove per fare delle scelte, come trova la forza per affrontare le difficoltà che vive e ad un messaggio sulla vita in generale.
Intanto grazie a Nicola per essersi prestato a questa intervista!
Mi auguro che per te lettore, questa intervista possa essere un pungolo a fare qualche riflessione.
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Grazie
Federica Crudeli
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INSICUREZZA: FACCIAMO CHIAREZZA!
Ciao e Bentornata/o a Lavorare col Sorriso!
Cosa è l’insicurezza? Facciamo chiarezza! Oggi ti parlo di cosa è, degli effetti collaterali che ha, quando nasce, di come riconoscerla, di come gestirla e di come esserti amico!
[Tweet ““ Mi chiedi qual è stato il mio più grande progresso? Ho cominciato a essere amico di me stesso”– cit. Seneca “]Lo spunto per il post nasce da una recente conversazione sul tema.
Penso abbia più senso parlare degli effetti dell’insicurezza, dato che definirla secondo una sintesi dei manuali di psicologia equivale a:
“avere poca fiducia in se stessi, dubitare delle proprie capacità di riuscita in uno o tutti gli ambiti della vita e dubitare molto frequentemente del proprio valore o sentirsi frequentamente minati/intaccati/rifiutati nel nostro valore a seguito di inneschi esterni” .
E definita così potrebbe continuare ad essere un concetto poco chiaro.
Ci sono moltissime persone che si muovono nel mondo in modo deciso, estroverso, sicuro, ma sono, in ultima analisi, insicure.
L’insicurezza difatti è un atteggiamento che poco ha a che fare con come ci muoviamo nel mondo esterno ma molto ha a che fare con come noi ci rapportiamo a noi stessi.
L’insicurezza non ha nulla a che vedere con l’avere dei legittimi dubbi di fronte ad una scelta o al mettersi in discussione di tanto in tanto, o al chiedere consigli/pareri/opinioni.
Parlare in termini di effetti dell’insicurezza forse semplifica le cose.
Quindi che effetti ha l’insicurezza interiore?
Alcuni esempi sono:
la paura di essere inadeguati alle circostanze o il temere di non essere all’altezza delle situazioni;
lo scambiare una divergenza di opinione su un tema come un attacco a tutta la propria persona;
sentirsi giudicati sul proprio operato o molto suscettibili frequentemente: basta una mezza parola su un compito svolto poco gradita che la persona si sente denigrata/umiliata/derisa/presa in giro/cretina/stupida;
l’attaccare per difendersi anche quando non è appropriato alle circostanze;
il dubitare frequentemente se una nostra opinione ha diritto di esistere;
il cercare fuori nel mondo dei metri di giudizio sulla base dei quali valutare le nostre esperienze o il nostro valore;
l’essere molto inclini alla permalosità: una critica o rimostranza diventano spesso insopportabili;
il reprimere o negare del tutto le emozioni oppure il manifestarle in eccesso senza freni;
sentire la necessità di sminuire i complimenti ricevuti;
voler imporre una propria idea sugli altri come l’unica verità accettabile.
Da cosa è originata l’insicurezza?
Normalmente dai modelli educativi appresi a scuola o in famiglia: quando un umano è sottoposto continuamente allo stress di dover dimostrare di essere bravo per guadagnarsi l’amore (che invece dovrebbe essere incondizionato), può tendere a diventare insicuro, come se stesse continuamente affrontando una prova d’esame.
Nell’educazione famigliare, in teoria, dovrebbe esistere un equilibrio fra la gratificazione dei bisogni di un bambino e la frustrazione degli stessi.
Se la bilancia propende nella maggior parte dei casi per la frustrazione dei bisogni di un bambino, soprattutto entro i primi 6 anni di vita, il bambino da adulto con molta probabilità può diventare un insicuro cronico.
Avete presente quei “non fare questo, non fare quello, no attento lì che ti bagni, no attento che lì ti fai male, no attento che mi dai fastidio, no attento perché non voglio, no attento perché, perché, perché…”
Somministrazioni indebite di paure e ansie a go go!!!
Non ho detto che un bambino debba sempre e comunque essere assecondato: ribadisco quindi che deve esistere un equilibrio fra le volte in cui i suoi bisogni vengono assecondati e le volte in cui vengono frustrati.
Ovvio che se un bambino vuole buttarsi da un balcone (dato che non conosce il pericolo) è sano e normale che un genitore lo fermi.
Se però ad esempio un bambino viene “fermato” in tutte le sue esplorazioni innocenti e curiose in assenza di pericolo, il messaggio che riceve è che qualsiasi suo sano tentativo di emanciparsi, sentirsi sempre più autonomo e in grado di valutare da solo progressivamente i pericoli, è qualcosa di sbagliato.
Incomincia a pensare che “da solo” non è in grado e se non è in grado è un incapace, e se è un incapace, non vale nulla, non merita nulla.
Tutto ciò un bambino non lo assimila cognitivamente, ma a livello di sensazioni corporee, che è anche peggio, perché tutto quanto resta “scolpito” nei nostri sensi e muscoli è poi molto difficile da “estirpare” a livello solo cognitivo e razionale nella vita adulta.
Sente che nulla di quello che è ha valore, o sente che ha valore solo nei limiti in cui accontenta un adulto, o comunque di dover sempre “tendere” a un qualche modello di perfezione estraneo a sè.
I bambini vogliono solo sentirsi “visti e importanti” per il genitore, per le maestre etc.. e ognuno tenta di soddisfare questo bisogno nei modi più disparati.
Quando la soddisfazione di questo bisogno è per la maggior parte del tempo negato/rifiutato, ripeto, sono state poste le basi dell’insicurezza.
Oppure pensiamo all’educazione scolastica: i bambini vengono messi in competizione da subito con i voti.
Chi prende un voto alto di solito entra nelle grazie della maestra. Chi non lo prende è un lavativo.
In realtà la storia è piena di geni che a scuola non studiavano o andavano male…………
Per non parlare di una rigida educazione religiosa di qualsiasi tipo: pane e sensi di colpa.
Come si riconosce e alimenta l’insicurezza?
Con il dialogo interiore negativo, il rimuginio continuo e la messa al vaglio di cose dette e fatte etichettate come “inadeguate”.
In altre parole, in base a cosa noi diciamo a noi stessi chiusi fra le mura di casa, rischiamo di alimentare di continuo la spirale dell’insicurezza:
chissà se ho fatto bene, chissà se ho fatto male, chissà se potevo dire/fare meglio, chissà, chissà, chissà.
Sono un’incapace! Che cretino/a! Perché non ci ho pensato prima!
Ecco ho sbagliato di nuovo!
Ma perché non ne azzecco una? Uffa allo specchio non mi posso guardare. Sono grasso/magro/troppo vecchio/sembro un bambino.
Alimentiamo la nostra insicurezza ogni volta che usiamo parole negative verso noi stessi: magari facciamo bene 100 cose in una giornata ma ci ricordiamo solo quell’unica venuta male e ce la ripetiamo nella testa 400 volte, quasi come se, ripetendola, si potesse cambiare il passato.
Come se ne esce dall’insicurezza?
Aumentando la propria consapevolezza di sé.
Ascoltandosi.
Iniziando a portare l’attenzione sulle parole che usiamo per definirci, descriverci, descrivere noi al mondo e il mondo a noi stessi e sostituirle con parole clementi.
Che poi, è facile magari osservare come “l’insicurezza” diventi virulenta con particolari inneschi esterni.
Ci sono persone ad esempio molto sicure di se nel lavoro, ma per nulla nella gestione degli affetti. O viceversa.
Osservati, individua quanto frequentamente, in che circostanze, con quali persone, perché e come scattano meccanismi di “insicurezza”.
Immaginati di parlare ad un caro amico: lo riempiresti di insulti oppure cercheresti di averne comprensione quando si comporta poco bene e anche se a volte ti fa arrabbiare da matti?
Sono sicura che magari ti arrabbi sul momento, poi capisci e perdoni.
Fai la stessa cosa con te stesso.
Che non significa allora diventare dei palloni gonfiati, ma semplicemente parlarsi in modo più compassionevole e dolce.
Anche a me capita di arrabbiarmi con gli amici. Poi però, se lascio sedare la collera istantanea, dopo, cerco di capire, e alla fine, quasi sempre, malgrado l’irritazione, perdono.
Ho imparato a farlo solo molto più tardi con me stessa.
Anzi, a dire il vero, ora sono molto più tollerante con me stessa e molto meno con gli altri .. sarà perché ho dato troppa comprensione fuori per troppo tempo che avrei invece dovuto rivolgere a me!!!
E poi, ancora, come si gestisce l’insicurezza?
Accettandosi!
Che pare facile da dire, difficilissimo da fare per esperienza tanto mia quanto delle persone che ho incontrato nei percorsi di coaching e counseling che faccio.
Accettarsi è la parte più difficile. Riconoscere di avere dei difetti, delle debolezze e farsele amiche. Riderci su. Sdrammatizzare. Perdonarsi. Stare più leggeri.
La tendenza naturale che abbiamo è quella di difenderci dai nostri difetti e non voler ammettere i nostri errori/debolezze.
Quante volte nella vita vi succede di dire ad altri “si, lo ammetto, ho sbagliato” serenamente?
Più spesso accade invece di non voler fare i conti con le nostre fragilità e di volerci “difendere” a tutti costi.
La classica espressione quando ci si sente minati/feriti/intaccati nel nostro valore è “tu non mi capisci, tu non mi hai capito/ tu non devi pensare/dire così/ non è vero quello che dici”.
Questo significa in automatico non essere disponibili ad accettare verità di altri e neanche legittimare gli altri a manifestare bisogni/dubbi/sentimenti etc perchè questo ci fa sentire “minati” nel nostro sentirci adeguati e ci mette di fronte alla possibilità che, magari in buona fede, possiamo aver ferito qualcuno.
Ecco, la sicurezza è anche questo: accettare che si può sbagliare, poterselo dire, poterlo dire agli altri e vivere comunque sereni.
Occorre andare nel mondo consapevoli che la perfezione è un’ideale stupido, così come è stupido rincorrere l’idea di noi stessi che vogliamo dare nel mondo e che ci siamo costruiti nella testa pur essendo troppo distante dalla nostra vera essenza.
Vale la pena smettere di compiere tanti sforzi per correggersi.
Nessuno è perfetto, siamo tutti umani!
L’insicurezza è dubitare del proprio valore o sentirlo fortemente minato per cose di piccolo conto: una critica, una rimostranza di un’altra persona.
L’insicurezza è il non concedersi o permettersi di mostrare le proprie emozioni per paura di esserne giudicati oppure il mostrarle salvo poi sentirsi inadeguati.
E’ sano che una persona ambisca a migliorarsi: ma una cosa è rinnegare parti si sé e volersi migliorare, molto meglio è accettare tutte le nostre parti e volersi migliorare.
Nel primo caso, più tentiamo di rinnegare qualcosa di noi che non ci piace, più reputiamo sbagliate parti di noi, più questo qualcosa diventa prepotente e ingestibile.
C’è una frase del film “Come un gatto in tangenziale” che secondo me rende bene il concetto, recitata in romano dal personaggio di Paola Cortellesi ed è “l’importante è che me’ so’ capita io”.
Vi confesso che ultimamente me la ripeto molto spesso.
A dire… ma chi se ne importa di passare la vita a discutere, a voler convincere gli altri di qualcosa, a voler dimostrare ragioni e torti, a volersi difendere da minacce esistenti solo nella nostra testa, a voler ergere la nostra verità come la migliore su quella degli altri?
L’importante è che ogni persona abbia una dose di pace interiore tale per cui, ad un certo punto, quello che succede fuori, succede fuori. E resta fuori. E non intacca più di tanto il senso del nostro valore o di adeguatezza che ci portiamo dentro.
Il tema meriterebbe molte altre parole, ma al momento mi fermo qui.
In conclusione, che fare con questa insicurezza? Ascoltarla, riconoscerla, capirne gli inneschi esterni, accettarla, prenderla per mano e mandare anche un po’ “a spigolare” tutto il resto!
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