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NASH NEL 2002 DORMIVA SONNI TRANQUILLI SECONDO VOI?
Ciao e bentornato/a a Lavorare col Sorriso!
Oggi ti racconto una storia: cosa vuol dire lavorare win – win, il vero motivo per cui ho aperto questo blog e gli 8 princìpi che ispirano i miei articoli e che credo ti riguardino da vicino, se hai scelto di seguirmi.
Dopo aver partecipato al Marketers World 2018 di Dario Vignali, un evento dedicato ad imprenditori digitali o aspiranti tali, sui temi del web marketing e social media marketing, sono tornata a casa arricchita e decisa a mettere in atto i preziosi consigli che ho appreso in questi 2 giorni di corso e allegra baldoria con persone molto piacevoli che ho potuto conoscere .
Intanto ringrazio subito Dario Vignali (è stato leggendo le sue guide che ho decido di aprire il Blog), Luca Cresi, Luca Mastella, Emanuele Amodeo per la passione e competenza con cui sono riusciti ad attirare al Palazzo dei Congressi di Riccione 1.000 persone e a far crescere una community on line “I Marketers” e la Marketers Academy di circa 30.000 persone.
Gli argomenti affrontati al Marketers World 2018 mi hanno portato a riflettere più a fondo sul reale motivo che mi ha indotto ad aprire questo sito e di conseguenza a specificare meglio anche a voi quale è la vera missione che mi anima e di cui vorrei foste partecipi diffondendola e diventandone anche voi un esempio.
Vi racconto una esperienza per me grottesca per favi capire cosa ho in mente.
Anni fa, nel lontano 2002, quando ero ancora giovane 🙂 , partecipai ad un gioco di ruolo aziendale con altre 30 persone di diverse società e appartenenti ad aree funzionali diverse.
In questo gioco di ruolo, fummo divisi in 6 gruppi, a ciascun gruppo furono affidati dei materiali (legno, chiodi, colori, fogli, corde etc …) e in un tempo prestabilito ci diedero il compito di costruire uno strumento musicale che producesse dei suoni.
Appena ci consegnarono i materiali, risultò evidente a tutti che nessun gruppo disponeva di tutte le risorse necessarie per completare uno strumento musicale.
Le risorse erano “scarse”.
Nella mia testa, così come in quella degli altri componenti del mio team, (persone con cui avevo legato in quanto più sintoniche con me – nulla succede per caso) fu chiaro da subito che avremmo dovuto negoziare con gli altri gruppi i materiali per costruire questo strumento, attraverso reciproci scambi.
Finita la fase di progettazione di questo strumento, al “VIA” del docente si sarebbe aperta la fase realizzativa vera e propria.
Cosa accadde quindi al “VIA”?
Con mio enorme stupore, persone molto equilibrate e quiete, che nei 3 giorni di corso precedenti a malapena avevano parlato, iniziarono a saltare sui banchi degli altri gruppi, qualcuno con tanto di capriole !!! rubando letteralmente il materiale a man bassa.
Oppure alcuni avviarono trattative poco cooperative, e molto competitive e ricattatorie, pur di accaparrarsi il materiale necessario per la costruzione del loro oggetto.
Ci furono momenti di entropia che neanche nei film avevo mai visto: gente che urlava, correva, si dimenava come se stesse per arrivare la fine del mondo.
Il mio gruppo fu letteralmente “depredato” di materiali al punto che non potemmo costruire alcuno strumento musicale.
Lo spirito del gioco in realtà, anche secondo l’interpretazione di psicologi e sociologi che ai tempi stavano conducendo il corso, non era costruire un oggetto a tutti i costi, ma osservare le modalità comportamentali con cui le persone interagivano fra loro in un contesto di risorse scarse, sperabilmente 🙂 (come direbbe Cetto Laqualunque, il famoso personaggio interpretato da Antonio Albanese) adottando l’ approccio Win- Win che ci era stata spiegato nelle lezioni dei precedenti giorni.
L’approccio Win – Win, io vinco – tu vinci, teorizzato da J. Nash nella sua Teoria dei Giochi tanto cara agli economisti, in parole semplici, prevede che in un contesto appunto di risorse scarse sia possibile trovare un equilibrio che soddisfi tutti i partecipanti alla negoziazione.
L’approccio Win – Win è – in teoria – proprio delle persone evolute che comprendono il valore della cooperazione nelle negoziazioni.
Ossia come ci si attende che si comportino persone che vivono nel mondo di oggi e abbiano superato lo stadio evolutivo delle scimmie o dei primati e che quindi si affidano, nel fare scelte, tanto al cervello rettile (sede dell’istinto e proprio della fase primitiva dello sviluppo umano) quanto a quello limbico, quanto alla neo- corteccia cerebrale, che è lo stadio più recente di sviluppo del nostro cervello.
Se J. Nash quel giorno per caso fosse stato ad osservare lo show di rettilianità con cui molte persone animarono quel gioco di ruolo, probabilmente sarebbe a rivoltarsi nella tomba ancora adesso.
A conclusione del gioco ci furono: il mio gruppo che costruì niente e tutti gli altri gruppi che costruirono qualcosa, chi perfettamente, chi meno.
Ma la cosa che mi sorprese di più fu che di circa 30 persone, solo in 5 non ci sognammo neppure per 5 secondi di depredare gli altri di materiali pur di raggiungere un obiettivo.
Piuttosto nei primi minuti dal VIA iniziammo a discutere pacificamente fra noi di come potevamo approcciarci agli altri per trovare dei punti di incontro buoni per noi e per gli altri.
A tempo scaduto del gioco, agli occhi degli altri gruppi, noi eravamo stati degli sfigati perché non avevamo raggiunto alcun obiettivo.
Agli occhi invece degli psicologi fummo considerati “i più illuminati” in quanto ci rifiutammo di prendere parte ad un sabotaggio massivo pur di portare a casa l’obiettivo, in un contesto che non era di reale necessità di sopravvivenza.
Eravamo cioè stati gli unici che avevano applicato in concreto le lezioni apprese nei giorni prima sugli stadi di sviluppo del cervello umano e sui comportamenti costruttivi all’interno delle organizzazioni. in logica win – win.
5 su 30. E basta!
Tutti con alto tasso di scolarizzazione: Laurea, Master e insomma tutti quei titoloni che di norma sono associati a persone colte, aperte di mente e tante altre cose belle (sulla carta).
A fine gioco quindi, dietro indicazione dei docenti, fummo lasciati per ultimi a presentare l’esito del nostro lavoro.
In sostanza, non avendo costruito nulla, spiegammo a tutti cosa avevamo osservato di tutti gli altri, perchè non ci eravamo dimenati tanto in quella bolgia infernale, come avevamo ragionato, e quale fosse la nostra conclusione dell’accaduto: giorni di lezione sugli stadi di sviluppo del cervello e sulla logica win-win buttati al vento.
Seguì un silenzio tombale per almeno 1 minuto.
Buon segno: almeno una riflessione si era insediata nella testa di tutti.
A distanza di tanti anni (ormai ben 16) io però, malgrado il mondo reale probabilmente funzioni molto spesso così (ma non sempre per fortuna), continuo a pensarla come nel 2002.
È possibile convivere bene in un mondo di risorse scarse: basta far funzionare il cervello più dell’istinto di sopravvivenza, soprattutto se esercitato a sproposito.
Non erano abbastanza i materiali per garantire il massimo per tutti, ma erano abbastanza per garantire un equilibrio soddisfacente per tutti. Sarebbe bastato veramente poco!
Penso che una società che voglia fregiarsi del titolo di evoluta, debba essere composta da un numero sempre maggiore di persone disposte ad ascoltare, accogliere, negoziare soluzioni win- win e non win – lose (io vinco – tu perdi) soprattutto se questo è possibile realmente.
Si tratta quindi di aprire la mente, uscire dal proprio orticello, scandagliare le innumerevoli possibilità che l’istinto soffoca, e vincere un istinto primordiale oggi del tutto fuori luogo dato che non viviamo in Nigeria o in guerra (almeno non in Italia).
Quante persone “rettili” conoscete oggi nelle vostre aziende che agiscono così, che sembrano ripossedute? Che parlano male degli altri o per farsi più belli o perché sperano di attirare la simpatia di un potente di turno (e magari ci riescono anche)?
Quante persone esistono che pur di raggiungere un obiettivo fanno tabula rasa di tutto quello che trovano sulla loro strada, senza scrupoli, nascondono le informazioni di cui dispongono, navigando nel torbido, o le danno quando è troppo tardi per trovare un accordo soddisfacente?
Quanti capi esistono che godono nell’umiliare qualche “sottoposto” in modo fantozziano, o lo usano a mo’ di zerbino dando ordini su ordini sgarbatamente?
In quanti godono nell’esercitare a sproposito e da posizioni di potere una sudditanza psicologica nei confronti di persone più fragili?
Quante persone di fronte ai successi altrui sentono subito la necessità di sminuirli, criticarli, banalizzarne i risultati?
In un mondo che cambia così velocemente, con la tecnologia che fra qualche anno rimpiazzerà la maggior parte dei lavori impiegatizi oggi svolti da noi esseri umani, farsi la guerra del quartierino, è cosa assai sterile.
Esistono già oggi tecnologie molto avanzate di intelligenza artificiale a costi già relativamente bassi in grado di eseguire operazioni di routine oggi svolte da migliaia di impiegati.
Conviene farsi la guerra? Io dico di no. Dico che conviene aprire gli occhi e collaborare.
Le relazioni sono fondamentali per far vivere le organizzazioni. Anche perché se una organizzazione non sopravvive, ci ritroveremo tutti a spasso e senza alcun lavoro.
Anche io a volte cado nella trappola dell’uso del cervello rettile, ma lavoro da anni su me stessa per evitare che emozioni negative, paure, ansie, meccanismi di difesa impropri prendano il sopravvento sull’uso del semplice buon senso.
Non sempre è facile, anzi. Fare questo esercizio richiede una attenzione continua. Malgrado ciò, penso valga sempre la pena farlo. Per far progredire la razza umana.
Mi spiacerebbe un giorno essere ricordata come un primate rettile anziché come una persona che ha fatto e lasciato qualcosa di buono per gli altri.
A distruggere siamo bravissimi tutti, per costruire ci vogliono costanza e impegno.
Sono sempre stata idealista, ambiziosa, e pur lavorando come dipendente sento di aver sempre avuto una mentalità imprenditoriale.
Motivo per il quale ambisco a far diventare questo sito un posto in cui le persone che la vedono come me abbiano sempre più spazio nel mondo e non siano solo 5 su 30.
In Italia, secondo i dati ISTAT siamo 17 milioni di lavoratori dipendenti, che fra l’altro sostengono il sistema fiscale e contributivo in modo stabile. Di questi circa il 45% sono dipendenti (impiegati, manager, dirigenti).
Non so se vi rendete conto, ma siamo in tanti e abbiamo una bella fetta di responsabilità nel poter modificare il mondo in cui viviamo.
Penso che uniti in un credo comune sia possibile farsi portatori di esempi positivi e costruttivi nelle organizzazioni aziendali.
Alla luce di questo ricordo, ho rivisto la Home Page del sito citando quali sono i princìpi che mi propongo di diffondere anche grazie a tutti quelli che, vedendola come me, si impegnano ogni giorno non per essere perfetti, ma per essere esempi positivi da seguire, evitando il più possibile di trasformarsi a sproposito in primati rettili e sconfiggendo o imparando a difendersi da chi invece lo è e non ha nessuna intenzione nè di riflettere, nè di mettersi un minimo in discussione, nè di tendere a qualcosa di meglio per se e per il resto del mondo con cui convive.
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Federica Crudeli
LA VERA DISABILITÀ È FISICA O MENTALE? UNA LEZIONE DI VITA E 5 RISPOSTE – PARTE II
Ciao Bentornata/o a Lavorare col Sorriso!
Proseguo questa settimana l’articolo “La vera disabilità è fisica o mentale? Una lezione di vita e 2 riposte – Parte I” iniziato la scorsa settimana per indurre un riflessione sulla vita lavorativa e non, e su come valorizzare al meglio il nostro tempo.
Oggi ospito le successive 5 domande che ho posto a Nicola Codega, 46 anni, un mio ex compagno di università, ex atleta, che dal 1998 è paralizzato su una sedia a rotelle dopo un brutto incidente procuratogli da un guidatore distratto.
[Tweet ““ Se io posso volare con la mia sedia, voi potere volare con la mente”– cit. Nicola Codega “]La scorsa volta ci hai parlato di come affronti oggi le sue difficoltà e dell’importanza che ha avuto per te lo sport prima dell’incidente e che ha ancora adesso.
Mi colpisce molto il fatto che tu abbia provato più sport da poter praticare da seduto: sei andato per tentativi fino a trovare quello che, come dici tu, rispecchia meglio l’istintività del tuo carattere. Insomma, ti sei buttato e hai agito!
Una bella lezione rispetto alla colpevolizzazione che possiamo attuare verso noi stessi quando pensiamo di “arrivare troppo tardi” a capire delle cose di noi, dimenticandoci che la vita è un percorso che procede per tentativi ed errori attraverso lo sperimentare concreto delle esperienze.
Uno dei problemi che più frequentemente mi riportano i lettori è l’ansia: ossia la paura di non essere all’altezza di attività o incarichi, o la paura di sbagliare, o il timore del giudizio altrui. Insomma una “paralisi” mentale a fronte di una qualche necessità di “buttarsi”.
Paure che limitano, bloccano e inibiscono il fare concreto con una certa serenità.
Oltre ad aver sperimentato il teatro e nuove sfide sportive, hai tenuto molti discorsi in pubblico e quindi ti sei esposto anche alla paura di non dire le cose giuste, al timore di cosa avrebbero pensato gli altri di te …
F – Domanda 3
Che rapporto hai con la paura nel fare cose nuove e come ti rapporti al “giudizio altrui” oggi?
N – Risposta 3
L’ansia fa parte di me, fa parte di voi, fa parte di tutti.
Quelli che dicono che non ne soffrono magari ne soffrono più di noi ma non lo vogliono ammettere.
Quando viviamo l’ attesa di un appuntamento importante che sia di lavoro che sia sentimentale che sia di qualsivoglia natura è normalissimo che ci sia l’ansia perché se non ci fosse significherebbe che in realtà quello che aspettiamo non è per noi così rilevante.
L’ ansia, il timore di non farcela, l’ho provato tantissime volte: prima di una gara importante, di una partita, prima di salire sul palco per recitare e prima di parlare ad un evento.
Il l timore c’è sempre ma poi riesco a trasformare l’ emozione in adrenalina e in energia che esterno dando il meglio di me.
È questo che dovete fare: buttarvi, lanciarvi, come dicevo prima, altrimenti mai e poi mai saprete come sarebbe andata a finire.
Se ci provate potete anche sbagliare ma almeno l’avete fatto e vedrete che la prossima volta andrà sicuramente meglio, soprattutto per i nuovi incarichi.
Se rimanete al vostro posticino, la vostra sedia sarà sempre quella, i colleghi sempre quelli: la scrivania al solito posto, il cestino al solito posto, il pc nella stessa posizione.
L’incarico nuovo è tutto nuovo, ufficio nuovo, scrivania nuova: voi potreste essere migliori, potreste trovarvi meglio coi colleghi, soprattutto potreste trovare nuovi stimoli e mettervi in gioco perché la vita è fatta di sfide sia nel lavoro che nel privato e se non vi mettete in gioco non saprete mai in fondo chi siete voi, chi siete realmente e cosa volete e difficilmente riuscirete a dare tutto ciò che volete sia nel lavoro che a un vostro partner e non avrete successo nella vita … rimarrete a coltivare il vostro piccolo orticello senza aver scoperto in realtà quanto valete e quanto avete da dare come persona.
F – Domanda 4
Condivido questo punto di vista. Siamo abituati a pensare che l’ansia sia uno stato d’animo di cui liberarsi, senza renderci conto che intanto la proviamo in quanto vivi, e poi che anche quella può essere un motore positivo, una spinta e non qualcosa da debellare, se trasformata in adrenalina anzichè in terrore.
Ho una curiosità … a proposito di adrenalina. Quando devi fare una scelta, cosa ti guida?
N – Risposta 4
Quando devo fare una scelta cerco di essere il più possibile razionale, perché il mio carattere istintivo mi porterebbe a decidere in fretta: da ragazzo, essendo una persona impulsiva, ho preso molto fregature.
Poi, un po’ per l’incidente, un po’ per l’avanzare dell’età, sono diventato molto più riflessivo sia nella vita privata che al lavoro.
Quando mi trovo davanti ad un bivio, prima cerco di prendere più tempo possibile per rimandare la decisione e pensarci bene, nel frattempo pondero i pro e i contro di entrambe le strade che mi si prospettano davanti.
Alla fine cerco sempre di metterci un pochino di razionalità, ma non troppa, perché qualsiasi cosa tu faccia se non ci metti un minimo di passione è molto difficile che tu ottenga dei buoni risultati.
Paradossalmente la mia nuova condizione fisica mi ha aiutato ad usare più la testa soprattutto nel quotidiano, a esser più ordinato e attento: non muovendo più le gambe e non controllando più intestino e vescica prima di uscire di casa, prima di spostarmi dalla sedia al divano, al letto o alla macchina devo prestare molta attenzione perché le conseguenze possono significare interventi e mesi e mesi di ospedale.
La “sedia “ tanto mi ha tolto ma tanto mi ha dato: mi ha dato più maturità (sono sempre stato un eterno bambinone sia nei momenti di gioia che nei momenti difficili), mi ha fatto vincere molte paure, mi ha fatto vincere tante nuove sfide perché l’aver passato tanto tempo in camere di ospedale, in sale operatorie e in centri di riabilitazione, paradossalmente fortifica.
Ti senti grande perché ce l’hai fatta a inventarti una nuova vita, certamente diversa da quella di prima ma non per questo avara di soddisfazioni.
Quando riesci a ottenere qualcosa per il quale hai lottato tanto, da seduto c’è molta più gratifica che da normodotato: non scorderò mai le emozioni quando mi sono laureato, quando ho vinto le prime partite a tennis, i primi tornei, le prime volte che ho calcato il palco, che ho volato col mago e i tanti complimenti ricevuti dopo aver letto i miei libri o dopo avermi sentito parlare.
Ricordatevi sempre che le barriere più alte da superare, da scalvalcare, da abbattere non sono quelle che esistono, non sono quelle reali, ma sono quelle che la nostra mente crea.
F – Domanda 5
Insomma capisco che oggi di fronte ad una scelta usi un Mix fra cuore e ragione!
Ho letto i tuoi due libri: li ho trovati autentici, scritti col cuore, e che rispecchiano tutto il fermento mentale che ti caratterizza da sempre come persona, anche prima dell’incidente.
Nel tuo libro dici che la forza di andare avanti l’hai trovata in te stesso. Ci spieghi meglio cosa intendi dire?
N – Risposta 5
Se prima dell’ incidente mi aveste detto che sarei rimasto in carrozzina vi avrei riposto che non ce l’avrei fatta, invece mi è venuta fuori la forza, una forza che non immaginavo neanche di avere, ma l’ho trovata grazie ai miei genitori, grazie allo sport, grazie ai miei amici e grazie a me stesso …
Mi sono guardato dentro, ho scavato e ho trovato la forza per reagire e ora paradossalmente sono più forte di prima.
La forza mi è venuta anche guardando gli altri: vedevo che le altre persone reagivano, vedevo ragazzi più giovani di me , vedevo anziani che sorridevano anche se erano sulla sedia, pensavo a quelli che non ce l’avevano fatta mentre io ero ancora vivo e mi domandavo: “perché anch’io non ce la dovrei fare ?”
Lo stesso per le nuove “sfide” come tornare sugli sci o sott’acqua: all’inizio avevo paura, poi vedevo altri che ce la facevano così mi facevo forza, mi son buttato ed è stato più facile del previsto.
Come mi è capitato col libro: ho letto delle pubblicazioni di persone che hanno subito un trauma e mi son chiesto “Lo fanno loro perché non provarci anch’io?”.
Così è stato! Poi mi è andata bene e non ho scoperto solo le mie doti nascoste di scrittore, ma anche quelle di oratore.
Ho raccontato la mia storia ad eventi istituzionali, sportivi, negli ospedali e nelle scuole: notavo che la gente mi stava ad ascoltare interessata e coinvolta.
È bellissimo quando vengono da te e ti ringraziano perché dalla tue parole riescono a tirarsi su, a capire che quelli che loro chiamano problemi in realtà sono solo bazzecole in confronto ai miei.
Ti si riempie il cuore quando fai ritrovare il sorriso alle persone che soffrono per qualsiasi cosa. Il dolore è soggettivo: se subìto in prima persona è amplificato, io posso star male per un raffreddore, mentre un’altra persona non sta male neanche per una polmonite.
Io ho cambiato la mia vita dopo un trauma: mi sono reinventato trovando nuovi stimoli e nuove motivazioni ma altre persone con disabilità hanno cambiato il mondo.
Recentemente è venuto a mancare Stephen Hawking: cosmologo, matematico, astrofisico che con la teoria dei buchi neri ha rivoluzionato la fisica nonostante avesse la Sla.
Gli fu diagnostica a soli 13 anni , i medici gli diedero 2 anni di vita, ma visse fino a 76 anni e dall’età di 20 parlò tramite un pc installato sulla sua sedia a rotelle.
Nonostante tutto ciò dicevano che avesse lo stesso QI di Einstein e la sua immagine divenne un’icona: partecipò a film, documentari e pubblicità. Si sposò due volte ed ebbe 3 figli.
Altro genio fu Alan Turing: avete presente la mela della Apple?
Dicono che si siano ispirati a lui .
Fu colui che inventò il pc e fece vincere la seconda guerra mondiale all’inghilterra leggendo i messaggi criptati dei nazisti tramite “Enigma” ( macchina da lui inventata) .
Lui era omosessuale, condizione ritenuta al tempo illegale dagli inglesi, così, dopo aver finito la sua missione di spionaggio, fece outing e fu messo davanti a un bivio: o la galera o gli psicofarmaci.
Scelse la seconda opzione così andò fuori di testa e si suicidò mordendo una mela avvelenata (vedi film “ Imitation game” ).
Oppure pensate al premio Nobel Nash nel film “Beautiful Mind”: era schizofrenico, eppure ha inventato la Teoria dei Giochi che è rimasta nella storia.
Quindi, io mi son ripreso in mano la mia vita dopo un grave trauma, queste persone, nonostante una condizione svantaggiosa hanno rivoluzionato il mondo, e voi non riuscite a vincere le vostre paure?
Non vi dico di cambiare l’universo ma solo di migliorare la vostra vita!
F – Domanda 6
Bisognerebbe sempre tenere a mente tutti questi esempi! E proprio seguendo la grinta di questi esempi, ti domando quali progetti hai per il tuo futuro? Quali sfide ti sei posto?
N – Risposta 6
I miei progetti per il futuro sono di continuare a diffondere il mio “ Sempre in piedi “ a più persone possibili, come ho fatto fin ora (nelle scuole, negli ospedali, negli eventi sportivi e istituzionali ) continuare ad aiutare le persone che non ce la fanno o meglio che credono, che pensano di non farcela a raggiungere i loro obiettivi, i loro traguardi per migliorare la loro qualità di vita.
Vorrei trovare nuove sfide, perché se non mi pongo nuovi obiettivi mi sento piatto e mi annoio: quando ho finito di organizzare un evento non ho neanche il tempo di riposarmi perché penso subito al prossimo perché non mi piace fermarmi .
Vorrei conseguire risultati di prestigio nel tennis che ormai è il mio sport, il mio modo per sfogarmi, per sentirmi sempre vivo e in competizione.
Vorrei organizzare altri spettacoli col mio amico mago Erix Logan: lo scorso anno sono stato il primo uomo al mondo a “volare “ su una carrozzina.
Lo show si chiudeva col messaggio: “Se io posso “ volare “ con la sedia voi potete farlo con la testa”.
È stata una grandissima emozione sia per me, sia per le persone che hanno assistito agli eventi.
F – Domanda 7
Direi di si … direi che se tu hai potuto volare sulla tua carozzina, noi “normodotati” possiamo volare con la mente ovunque e andarci a prendere dalla vita quello che vogliamo senza scuse. Quale messaggio vorresti lasciare a chi sta leggendo, sulla vita in generale?
N – Risposta 7
Il messaggio che vorrei lanciare è tutto nel titolo dei miei libri “ Sempre in piedi”.
La vita è come un palcoscenico: voi, e solo voi, dovete decidere se essere attori protagonisti o semplici comparse, se indirizzare la vostra vita o se lasciarvi trasportare dagli eventi.
Dovete guardare voi stessi, solo voi, non rincorrete miti o presunti tali ….pensate che le persone famose siano tutte felici perché possono avere ciò che vogliono quando e come vogliono ?
Spesso sono le persone più tristi, basta vedere in quante si son tolte la vita, perché sono circondate da gente, gente e ancora gente, hanno 10.000.000 di followers sui social ma in realtà sono le più sole perché quelli che gli stanno intorno lo fanno solo per la loro notorietà e non per come sono dentro. Perché quando ottengono una cosa non sono soddisfatti ma ne vogliono subito un’altra.
Trovano un partner al minuto ma difficilmente troveranno quello per tutta la vita, quello/a che li ama per come sono.
Vorrebbero vedere il sorriso sincero e gli occhi lucidi della vostra lei /lui quando vi dicono ti amo.
Possono comprarsi ciò che vogliono ma che soddisfazione hanno ad avere tutto ciò che desiderano?
Volete paragonare tutto ciò alla gioia che provate voi a comprarvi la vostra macchina coi soldi che vi siete guadagnati col vostro lavoro o quando estinguerete il mutuo e finalmente la casa sarà vostra?
In queste persone ci potrebbe essere anche il vostro capo: cercato e ricercato in continuazione in azienda ma solo per il ruolo che occupa. Magari quando torna a casa la sera è sempre solo o ha pochi amici, mentre voi che vi contattano sempre e solo i soliti colleghi, fuori dal lavoro siete pieni di interessi e di amicizie.
Ènormale che ci sia dell’ invidia per il collega più bravo o per il capo per la posizione che occupa ma non deve essere un limite o un muro, dovete esser bravi voi a trasformare l’invidia in ammirazione e in stimolo per fare sempre meglio e diventare migliori di loro.
Anche perché in tutte le aziende se non si è in pace con se stessi non si può esserlo con gli altri, le altre persone percepiscono subito il vostro malessere e si finisce col rovinare l’atmosfera, l’aria si fa sempre più pesante e tutto l’ufficio ne risente.
Vi lascio con la mia frase: cercate di stare SEMPRE IN PIEDI non tanto con le gambe ma anche e soprattutto con la vostra testa perché solo così riuscirete ad avere una vita migliore.
Ringrazio Nicola per avermi dato la possibilità di lasciare nel mio sito la sua testimonianza su temi quali la gestione di rapporti difficili, lo sport, le scelte, le sfide future, le paure, la forza interiore. Sono onorata e commossa, anche se dalla tastiera non si può vedere.
Auguro a Nicola di continuare così, con questa forza che ai miei occhi appare sovraumana, con questa voglia di porsi sempre nuove sfide, con questo desiderio di tratte il meglio dalla situazione che vive, con questo suo essere di esempio per tutti.
E a te lettore, alle prese con le tue difficoltà, domando: quali scuse decidi di accantonare oggi, per brillare davvero quanto potresti?
Quando pensi di non farcela, o ti senti stanco, torna a rileggerti questo articolo e chiediti se la tua disabilità è reale, o solo frutto dei brutti pensieri che fai in merito alle esperienze che vivi.
Se vuoi acquistare i libri scritti da Nicola puoi contattarlo all’indirizzo mail:
nicola150672@gmail.com
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A presto e grazie!
Federica Crudeli
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LA VERA DISABILITÀ È FISICA O MENTALE? UNA LEZIONE DI VITA E 2 RISPOSTE – PARTE I
Ciao Bentornata/o a Lavorare col Sorriso!
Dopo la pausa estiva, ecco un articolo dal titolo volutamente provocatorio che cambierà in meglio la tua giornata e spero anche i giorni a venire soprattutto per contrastare stress nocivi.
Oggi ospito una intervista a Nicola Codega, 46 anni, un mio ex compagno di università ex atleta, che dal 1998 è paralizzato su una sedia a rotelle dopo un brutto incidente procuratogli da un guidatore distratto.
[Tweet ““ Se io posso volare con la mia sedia, voi potere volare con la mente”– cit. Nicola Codega “]Durante le ferie mi sono incontrata con Nicola per prendere un caffè, dopo anni che non lo vedevo di persona.
Da quella chiaccherata è nato il desiderio di parlare di lui e farlo parlare in questo blog.
Perché?
Perché in un’ora di conversazione con lui ho trovato più autenticità, vitalità, voglia di vivere, curiosità verso il mondo, coraggio ed energia mentale di quella che trovo mediamente nella stragrande maggioranza di persone “normodotate” di cui faccio parte ma profondamente limitate nel loro vivere quotidiano da ansie, paure e problemi che esistono spesso solo nelle nostre teste.
Sono tornata a casa e ho pensato che raccontare la sua storia e lasciarlo parlare possa essere un grande esempio per tutti per affrontare le sfide quotidiane.
Da qui il titolo del post: a volte, molti “normodotati” come me, si auto-creano gabbie mentali inutili mentre altre persone, che hanno limitazioni fisiche reali, affrontano sfide impensabili tutti i giorni col sorriso, e le superano. Quindi fra le due categorie, chi è veramente “disabile”?
Nicola è assimilabile a personaggi quali Bebe Vio o Alex Zanardi. Solo che Bebe Vio e Alex Zanardi non li conosco, anche se li seguo sui social, mentre Nicola lo conosco in carne ed ossa.
Questo articolo vuole essere un “pungolo”, al rientro dalle ferie, a fare buon uso delle nostre energie mentali e ad allenarsi a relativizzare i problemi.
Tante volte, nei momenti di difficoltà, il mio pensiero va alla mia migliore amica Francesca, morta nel 2009 a 27 anni stroncata da una terribile leucemia dopo 3 anni di “agonia”.
Quando mi sento “giù” rivedo lei che, già malata, con un enorme sorriso mi ripeteva “Fede, vai tranquilla, non c’è niente di cui preoccuparsi”.
Non sono mai riuscita a spiegarmi dove prendesse quella serenità in un momento così difficile.
La sua morte mi ha cambiato la vita. Il dolore della perdita non è mai scomparso: eravamo come sorelle; ho imparato a conviverci.
Ma paradossalmente quell’evento ha segnato un grosso “discrimine” nella decisione di voler capire a fondo cosa poteva dare veramente un senso alla mia vita e cosa no, cosa era per me veramente importante e cosa no.
Anche essere obbligata a stare ferma a letto per un mese per un mio problema fisico nel 2015 mi ha fatto riflettere tanto. “Bazzecole” confronto all’esperienza di Nicola.
Ricordo quanto sono stata felice il primo giorno che ho rimesso il naso fuori dalla porta di casa. Il cielo non lo avevo mai visto così bello, immenso e celeste. E avevo tante farfalle nello stomaco come se fossi innamorata – mi rivolgo soprattutto alle donne in mezzo a tempeste sentimentali convinte che solo l’amore possa regalare emozioni … non è vero 🙂 – dicevo, mi sentivo irrequieta e desiderosa di fare mille cose.
Mi impegno a tenere a mente quella sensazione ogni volta che rischio di cadere nelle mie trappole mentali.
Penso che una sensazione simile l’abbiate provata tutti voi nel corso della vita. Un evento che vi abbia improvvisamente fatto relativizzare problemi che sembravano insormontabili e scomparire ansie inutili.
Noi umani siamo strani: tante volte abbiamo bisogno di toccare con mano la “perdita” di qualcuno o qualcosa, per renderci conto delle fortune che abbiamo e che sappiamo apprezzare meno di quanto potremmo, e di quante cose potremmo fare, se sapessimo sfruttare al meglio le nostre potenzialità.
Poi però si rientra nella routine. Si dimentica. E le piccole “rotture quotidiane” tornano ad essere “giganti insuperabili”.
Ultimamente, mentre riflettevo su una scelta da fare, mi sono “imbattuta” in un post su Facebook di Nicola che parlava di una delle tante “sfide” sportive che ha affrontato.
Mi sono detta “se riesce lui a fare tutte queste cose, io non ho scuse”.
Da lì a pochi giorni abbiamo preso quel famoso caffè.
Nicola, dopo quell’incidente e 13 operazioni, ha reagito. Ha pubblicato 2 libri che ironicamente ha intitolato “Sempre in piedi” e “Sempre in piedi – diario di viaggio” ed è tornato ad essere un atleta facendo vela e tennis.
Si è “buttato” anche nell’improvvisazione teatrale.
Inoltre ha portato la sua esperienza di vita nelle scuole, nelle carceri, negli ospedali.
Nicola organizza un evento No –Profit a difesa dei diritti dei disabili che si chiama “carrozzABILE”. (www.carrozzabile.it)
Addirittura è stato il primo uomo al mondo a partecipare ad uno spettacolo del mago Erix Logan e a levitare in aria con la sua carrozzina.
Ho chiesto quindi a Nicola se aveva voglia di partecipare a questa intervista dato che ama scrivere, e lui generosamente mi ha detto “si”.
L’ho fatto per dare spazio a una straordinaria storia di umanità positiva in un mondo che ci tartassa in continuo di schifezze: omicidi, guerre, violenze, razzismo, odio diffuso e tante altre manifestazioni pessime e basse.
N.d.r – Tutti drammi diffusi ad arte: la gente così rincitrullisce, diventa passiva e convinta di vivere in un mondo terribile e minaccioso nel quale non vale la pena impegnarsi in nessuna causa, tanto fa tutto schifo.
In realtà non è così: esistono anche tanti esempi di vita positivi.
Ecco quindi le 6 domande che ho posto a Nicola e le sue risposte.
In questo articolo potrete leggere le prime 2 domande e nel prossimo le altre 4.
F – Domanda 1
Nicola, questo blog è rivolto a dipendenti di aziende piccole/medie/grandi italiane impiegati a qualsiasi livello organizzativo che quotidianamente dividono tempo e spazio con capi e colleghi.
Per me, come per tutti i lettori, la vita d’azienda a volte può essere molto stressante e snervante, oltrechè per le scadenze, soprattutto per la gestione dei rapporti umani.
C’è pieno di diversamente simpatici con cui lavorare, “sgomitatori sociali”, persone che più o meno consapevolmente e più o meno in buona fede, complicano la vita agli altri.
Cosa diresti alle persone che quotidianamente si stressano e avvelenano le giornate a causa di queste persone o di problemi simili?
Nel tuo libro ho letto che anche tu in modo diverso ti rapporti ogni giorno con molte manifestazioni di ignoranza umana, mancanza di rispetto, bassezze.
Con che spirito oggi affronti le tue difficoltà?
N – Risposta 1
Ciao a tutti e grazie a Fede per avermi ospitato.
Spero che la mia testimonianza possa farvi amare la vita almeno la metà di quanto la amo io.
Ora la risposta alla prima domanda:
Quando si è a contatto con persone antipatiche, inutili, arriviste o che ci stanno sull’anima il comportamento migliore ma anche il più difficile da mettere in atto è l’indifferenza.
Ricordatevi sempre che è la cosa che fa più male a qualsiasi persona: fate vedere (anche se non e’ così) che quel tizio/a che ci sia o non ci sia per voi è la stessa cosa, non dategli peso.
Non vale la pena rovinarsi l’umore per una persona che ci sta anche sull’anima.
Bisogna prendersela quando a farci un torto e’ un’amico/a al/alla quale teniamo in particolar modo, allora si che dobbiamo farci delle domande.
L’indifferenza è l’ atteggiamento migliore anche nei rapporti sentimentali: è la cosa che fa più male ed è la soluzione migliore per testare se e quanto una persona tiene ancora a voi .
Come affronto io le difficoltà?
Dopo 13 interventi, 2 anni di ospedale e 20 anni di sedia affronto la vita sempre col sorriso: i problemi che mi trovo ad affrontare ora in confronto a ciò che ho passato sono bazzecole.
Me la prendo al momento e poi mi passa … tanto è inutile incazzarsi per le cose da poco, stiamo male solo noi e le cose non cambiano.
Intendiamoci non sono un super uomo, non ho ancora il mantello e, come ha fatto Fede con la sua amica, non ho superato ma convivo col mio trauma perché un episodio tragico come può essere il mio, come può essere la mancanza di una persona cara o di un grande amore non si supera ma bisogna imparare a conviverci.
Qualcuno mi ha chiesto dove si trova la forza dopo tutto quello che ho passato.Un grave trauma o ti ammazza dentro o paradossalmente ti rende invulnerabile: io ho fatto e faccio cose “da seduto” che mai avrei pensato di fare ” in piedi” .
Secondo me ognuno di noi dentro se stesso ha la forza per reagire ad una tragedia.
La difficoltà sta nel riuscire a tirarla fuori: c’è chi ci riesce da solo, c’è chi ha bisogno di un’aiuto (e se è così non ha da vergognarsi a chiderlo), c’è chi ci mette dei mesi, chi degli anni e chi non ne viene fuori … noi e solo noi ci conosciamo davvero, sappiamo cosa vogliamo e di cosa abbiamo bisogno.
F – Domanda 2
So che lo sport, in quanto ex atleta, ti ha aiutato molto. Che ruolo pensi abbia lo sport per abbattere lo stress lavorativo, soprattutto per persone come me e tanti “dipendenti” che passano la maggior parte del loro tempo seduti? E cosa ti ha insegnato lo sport che metti in pratica ancora oggi?
N – Risposta 2
Secondo me lo sport ha un ruolo fondamentale non solo nel lavoro ma nella vita di tutti noi, perché ci fa bene sia fiscalmente che mentalmente, ci fa distrarre, ci fa divertire, ci fa sfogare ci insegna a non mollare mai, insomma ci insegna a vivere meglio.
Consiglio vivamente a tutte le persone di praticare attività fisica anche se non a livello agonistico, in pausa pranzo o a fine giornata.
Ci fa uscire dalla solita noiosa routine dell’ufficio, dalle solite facce, dai diversamente simpatici come li chiama Fede, dai soliti orari e dal solito stress.
Posso capire che sia difficile iniziare soprattutto per chi non è abituato a far movimento. Allora cercate un amico/a con cui andare così tra una chiacchiera e l’altra l’ora vi passerà e vi sarete fatti la vostra “sudata”.
Avrete rassodato o tonificato il vostro fisico e staccato la spina: sarete stanchi, rientrerete a casa, vi rilasserete e vedrete che vi libererete la testa e dormirete anche più facilmente.
Le prime volte vi sembrerà più faticoso ma pian piano, come tutti, prenderete i vostri ritmi: non scoraggiatevi mai perché anche i grandi campioni hanno iniziato da zero e come diceva Totò “nessuno nasce imparato”.
Di volta in volta aumenterete le serie in quantità , in peso o in minuti a seconda dello sport che praticate.
È proprio questo l’aspetto più importante, perché vi serve da stimolo aumentare e riuscire sempre a migliorarsi fino a raggiungere il vostro obiettivo settimanale mensile o annuale.
Non serve diventare campioni basta migliorarsi secondo le nostre possibilità e capacità e vedrete che sarete orgogliosi quando avrete raggiunto i vostri traguardi.
Questa mentalità da atleta in erba vi servirà da stimolo nella vita di tutti i giorni per affrontare i vostri problemi e soprattutto nel lavoro: quando vi daranno un obiettivo da raggiungere sarete già pronti mentalmente a conseguirlo o perlomeno a provarci perché nella vita bisogna sempre buttarsi altrimenti non saprete mai come andrà a finire.
Vi continuerete a chiedere come sarebbe andata se aveste detto quella cosa se aveste compiuto quell’azione o tenuto quel comportamento.
Se ci provate e conseguite il vostro obiettivo sarete orgogliosi di voi stessi , se non lo raggiungerete almeno ci avete provato e non rimarrete mai col dubbio. Il fatto di averci provato la prima volta vi porterà a buttarvi le volte successive: il ghiaccio l’avete rotto e andrete avanti più determinati e sicuri di voi stessi.
Cos’è per me lo sport ?
Lo sport per me è come una droga: vengo da una famiglia di sportivi , i miei genitori sono stati dei maratoneti.
Mi hanno avviato all’ atletica leggera fin da bambino: partito dalle gare lunghe di tanti km, per poi passare all’attività agonistica in pista a 15 anni e fino a 22. Facevo i 1500 mt, 800, 400 e la staffetta 4×400.
L’atletica è uno sport individuale che ti rafforza tanto il carattere: se vinci una gara l’hai vinta te e solo te , se la perdi la perdi te e nessun altro.
Lo sport mi ha insegnato a non mollare mai, a capire cosa vuol dire sudare, lottare e faticare per raggiungere un obiettivo che nel mio caso era un tempo minimo o un piazzamento a seconda della gara.
Questa filosofia l’ho riportata nella vita di tutti i giorni e mi fa convivere col mio trauma.
Mentalmente mi ha aiutato nel recupero: da un giorno all’altro le gambe, che fino a quel momento mi avevano regalato tante soddisfazioni, non si muovevano più e dal petto in giù ho perso la sensibilità e la motilità (ho una lesione alla quarta vertebra dorsale).
Il mondo sembra cascarti addosso, come se si spegnesse improvvisamente la luce.
Poi, grazie alla mentalità da sportivo ho iniziato non a pensare che era meglio se non mi fosse successo niente, ma a pensare che avrei potuto non essere qui ora a raccontare a voiquello che è successo.
Non a pensare a quello che non ho più ma a cercare di fare il meglio con quello che mi è rimasto, come dovete fare voi: cercate di apprezzare ciò che avete e fatene buon uso, non pensate a ciò che non potete avere.
Lo sport mi ha salvato la vita anche fisicamente: subito dopo il primo intervento, nel quale ho rischiato la vita, ho passato quasi 2 mesi con la febbre tra 39 e 42. I medici mi hanno detto che se non avessi avuto il fisico da atleta agonista non avrei mai sopportato fisicamente tutto quel tempo immobilizzato su un letto ad una temperatura così alta.
Anche nel dopo incidente non poteva mancare lo sport: ho provato con lo sci ma è troppo pericoloso, ho provato con la vela e con la scherma ma sono sport troppo mentali per un tipo istintivo come me.
Avevo bisogno di uno sport che rispecchiasse il mio carattere: ho trovato tutto ciò nel tennis.
Ormai da 5 anni praticato attività agonistica a livello nazionale e internazionale: ho raggiunto la quarta posizione nel ranking italiano e la 57 esima in quello mondiale.
L’avrete capito che la mia vita è fatta di sfide: questa è l’ultima in ordine cronologico.
Rispetto alla “ mia” atletica nella quale dovevo dare tutto in 1 o 2 minuti, nel tennis ho a disposizione molto più tempo da un minimo di un’ora ad un massimo di circa 3 ore per una partita.
Quindi ho più tempo per rimediare ad un errore a due anche a tre, ma non devo mai mollare perché la partita non è finita finché non stringi la mano all’avversario.
In atletica dovevo concentrarmi solo per uno o due minuti quindi era più facile tenere alta l’attenzione.
Il tennis mi ha ridato la fame di competizione e di sfida che mi mancava da troppo tempo: non avrei mai pensato di poter praticare sport agonistico da “seduto”.
Ti ringrazio Nicola per la spontaneità con cui hai risposto … e vorrei tenere a mente queste tue parole per vincere la pigrizia fisica che a volte prende il sopravvento!
Lo sport soprattutto per chi fa un lavoro sedentario come “noi dipendenti” è importantissimo e soprattutto come dici tu , è altrettanto importante imparare a traslare gli insegnamenti che ci derivano dallo sport anche nelle altre sfere della vita.
Dove per insegnamenti, personalmente, non mi riferisco a competizioni o desiderio smodato di vincere, ma la perseveranza negli allenamenti e nel volersi “migliorare”, così come la capacità di trovare lo sport o situazione di vita/lavorativa che meglio si adatta alle nostre peculiarità valorizzandole.
Interromperei qui questa intervista che proseguirà con altre 4 domande e risposte da parte di Nicola nel prossimo articolo relative: a come affronta oggi le paure, come si muove per fare delle scelte, come trova la forza per affrontare le difficoltà che vive e ad un messaggio sulla vita in generale.
Intanto grazie a Nicola per essersi prestato a questa intervista!
Mi auguro che per te lettore, questa intervista possa essere un pungolo a fare qualche riflessione.
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Federica Crudeli
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INSICUREZZA: FACCIAMO CHIAREZZA!
Ciao e Bentornata/o a Lavorare col Sorriso!
Cosa è l’insicurezza? Facciamo chiarezza! Oggi ti parlo di cosa è, degli effetti collaterali che ha, quando nasce, di come riconoscerla, di come gestirla e di come esserti amico!
[Tweet ““ Mi chiedi qual è stato il mio più grande progresso? Ho cominciato a essere amico di me stesso”– cit. Seneca “]Lo spunto per il post nasce da una recente conversazione sul tema.
Penso abbia più senso parlare degli effetti dell’insicurezza, dato che definirla secondo una sintesi dei manuali di psicologia equivale a:
“avere poca fiducia in sè stessi, dubitare delle proprie capacità di riuscita in uno o tutti gli ambiti della vita e dubitare molto frequentemente del proprio valore o sentirsi frequentamente minati/intaccati/rifiutati nel nostro valore a seguito di inneschi esterni” .
E definita così potrebbe continuare ad essere un concetto poco chiaro.
Ci sono moltissime persone che si muovono nel mondo in modo deciso, estroverso, sicuro, ma sono, in ultima analisi, insicure.
L’insicurezza difatti è un atteggiamento che poco ha a che fare con come ci muoviamo nel mondo esterno ma molto ha a che fare con come noi ci rapportiamo a noi stessi.
L’insicurezza non ha nulla a che vedere con l’avere dei legittimi dubbi di fronte ad una scelta o al mettersi in discussione di tanto in tanto, o al chiedere consigli/pareri/opinioni.
Parlare in termini di effetti dell’insicurezza forse semplifica le cose.
Quindi che effetti ha l’insicurezza interiore?
Alcuni esempi sono:
- la paura di essere inadeguati alle circostanze o il temere di non essere all’altezza delle situazioni;
- lo scambiare una divergenza di opinione su un tema come un attacco a tutta la propria persona;
- sentirsi giudicati sul proprio operato o molto suscettibili frequentemente: basta una mezza parola su un compito svolto poco gradita, che la persona si sente denigrata/umiliata/derisa/presa in giro/cretina/stupida;
- l’attaccare per difendersi anche quando non è appropriato alle circostanze;
- il dubitare frequentemente se una nostra opinione ha diritto di esistere;
- il cercare fuori nel mondo dei metri di giudizio sulla base dei quali valutare le nostre esperienze o il nostro valore;
- l’essere molto inclini alla permalosità: una critica o rimostranza diventano spesso insopportabili;
- il reprimere o negare del tutto le emozioni oppure il manifestarle in eccesso senza freni;
- sentire la necessità di sminuire i complimenti ricevuti;
- voler imporre una propria idea sugli altri come l’unica verità accettabile.
Da cosa è originata l’insicurezza?
Normalmente dai modelli educativi appresi a scuola o in famiglia: quando un umano è sottoposto continuamente allo stress di dover dimostrare di essere bravo per guadagnarsi l’amore (che invece dovrebbe essere incondizionato), può tendere a diventare insicuro, come se stesse continuamente affrontando una prova d’esame.
Nell’educazione famigliare, in teoria, dovrebbe esistere un equilibrio fra la gratificazione dei bisogni di un bambino e la frustrazione degli stessi.
Se la bilancia propende nella maggior parte dei casi per la frustrazione dei bisogni di un bambino, soprattutto entro i primi 6 anni di vita, il bambino da adulto con molta probabilità può diventare un insicuro cronico.
Avete presente quei “non fare questo, non fare quello, no attento lì che ti bagni, no attento che lì ti fai male, no attento che mi dai fastidio, no attento perché non voglio, no attento perché, perché, perché…”
Somministrazioni indebite di paure e ansie a go go!!!
Non ho detto che un bambino debba sempre e comunque essere assecondato: ribadisco quindi che deve esistere un equilibrio fra le volte in cui i suoi bisogni vengono assecondati e le volte in cui vengono frustrati.
Ovvio che se un bambino vuole buttarsi da un balcone (dato che non conosce il pericolo) è sano e normale che un genitore lo fermi.
Se però ad esempio un bambino viene “fermato” in tutte le sue esplorazioni innocenti e curiose in assenza di pericolo, il messaggio che riceve è che qualsiasi suo sano tentativo di emanciparsi, sentirsi sempre più autonomo e in grado di valutare da solo progressivamente i pericoli, è qualcosa di sbagliato.
Incomincia a pensare che “da solo” non è in grado e se non è in grado è un incapace, e se è un incapace, non vale nulla, non merita nulla.
Tutto ciò un bambino non lo assimila cognitivamente, ma a livello di sensazioni corporee, che è anche peggio, perché tutto quanto resta “scolpito” nei nostri sensi e muscoli è poi molto difficile da “estirpare” a livello solo cognitivo e razionale nella vita adulta.
Sente che nulla di quello che è ha valore, o sente che ha valore solo nei limiti in cui accontenta un adulto, o comunque di dover sempre “tendere” a un qualche modello di perfezione estraneo a sè.
I bambini vogliono solo sentirsi “visti e importanti” per il genitore, per le maestre etc.. e ognuno tenta di soddisfare questo bisogno nei modi più disparati.
Quando la soddisfazione di questo bisogno è per la maggior parte del tempo negato/rifiutato, ripeto, sono state poste le basi dell’insicurezza.
Oppure pensiamo all’educazione scolastica: i bambini vengono messi in competizione da subito con i voti.
Chi prende un voto alto di solito entra nelle grazie della maestra. Chi non lo prende è un lavativo.
In realtà la storia è piena di geni che a scuola non studiavano o andavano male …………
Per non parlare di una rigida educazione religiosa di qualsiasi tipo: pane e sensi di colpa.
Come si riconosce e alimenta l’insicurezza?
Con il dialogo interiore negativo, il rimuginio continuo e la messa al vaglio di cose dette e fatte etichettate come “inadeguate”.
In altre parole, in base a cosa noi diciamo a noi stessi chiusi fra le mura di casa, rischiamo di alimentare di continuo la spirale dell’insicurezza:
chissà se ho fatto bene, chissà se ho fatto male, chissà se potevo dire/fare meglio, chissà, chissà, chissà.
Sono un’incapace! Che cretino/a! Perché non ci ho pensato prima!
Ecco ho sbagliato di nuovo!
Ma perché non ne azzecco una? Uffa allo specchio non mi posso guardare. Sono grasso/magro/troppo vecchio/sembro un bambino.
Alimentiamo la nostra insicurezza ogni volta che usiamo parole negative verso noi stessi: magari facciamo bene 100 cose in una giornata ma ci ricordiamo solo quell’unica venuta male e ce la ripetiamo nella testa 400 volte, quasi come se, ripetendola, si potesse cambiare il passato.
Come se ne esce dall’insicurezza?
Aumentando la propria consapevolezza di sé.
Ascoltandosi.
Iniziando a portare l’attenzione sulle parole che usiamo per definirci, descriverci, descrivere noi al mondo e il mondo a noi stessi e sostituirle con parole clementi.
Che poi, è facile magari osservare come “l’insicurezza” diventi virulenta con particolari inneschi esterni.
Ci sono persone ad esempio molto sicure di se nel lavoro, ma per nulla nella gestione degli affetti. O viceversa.
Osservati, individua quanto frequentamente, in che circostanze, con quali persone, perché e come scattano meccanismi di “insicurezza”.
Immaginati di parlare ad un caro amico: lo riempiresti di insulti oppure cercheresti di averne comprensione quando si comporta poco bene e anche se a volte ti fa arrabbiare da matti?
Sono sicura che magari ti arrabbi sul momento, poi capisci e perdoni.
Fai la stessa cosa con te stesso.
Che non significa allora diventare dei palloni gonfiati, ma semplicemente parlarsi in modo più compassionevole e dolce.
Anche a me capita di arrabbiarmi con gli amici. Poi però, se lascio sedare la collera istantanea, dopo, cerco di capire, e alla fine, quasi sempre, malgrado l’irritazione, perdono.
Ho imparato a farlo solo molto più tardi con me stessa.
Anzi, a dire il vero, ora sono molto più tollerante con me stessa e molto meno con gli altri .. sarà perché ho dato troppa comprensione fuori per troppo tempo che avrei invece dovuto rivolgere a me!!!
E poi, ancora, come si gestisce l’insicurezza?
Accettandosi!
Che pare facile da dire, difficilissimo da fare per esperienza tanto mia quanto delle persone che ho incontrato nei percorsi di coaching e counseling che faccio.
Accettarsi è la parte più difficile. Riconoscere di avere dei difetti, delle debolezze e farsele amiche. Riderci su. Sdrammatizzare. Perdonarsi. Stare più leggeri.
La tendenza naturale che abbiamo è quella di difenderci dai nostri difetti e non voler ammettere i nostri errori/debolezze.
Quante volte nella vita vi succede di dire ad altri “si, lo ammetto, ho sbagliato” serenamente?
Più spesso accade invece di non voler fare i conti con le nostre fragilità e di volerci “difendere” a tutti costi.
La classica espressione quando ci si sente minati/feriti/intaccati nel nostro valore è “tu non mi capisci, tu non mi hai capito/ tu non devi pensare/dire così/ non è vero quello che dici”.
Questo significa in automatico non essere disponibili ad accettare verità di altri e neanche legittimare gli altri a manifestare bisogni/dubbi/sentimenti etc perchè questo ci fa sentire “minati” nel nostro sentirci adeguati e ci mette di fronte alla possibilità che, magari in buona fede, possiamo aver ferito qualcuno.
Ecco, la sicurezza è anche questo: accettare che si può sbagliare, poterselo dire, poterlo dire agli altri e vivere comunque sereni.
Occorre andare nel mondo consapevoli che la perfezione è un’ideale stupido, così come è stupido rincorrere l’idea di noi stessi che vogliamo dare nel mondo e che ci siamo costruiti nella testa pur essendo troppo distante dalla nostra vera essenza.
Vale la pena smettere di compiere tanti sforzi per correggersi.
Nessuno è perfetto, siamo tutti umani!
L’insicurezza è dubitare del proprio valore o sentirlo fortemente minato per cose di piccolo conto: una critica, una rimostranza di un’altra persona.
L’insicurezza è il non concedersi o permettersi di mostrare le proprie emozioni per paura di esserne giudicati oppure il mostrarle salvo poi sentirsi inadeguati.
E’ sano che una persona ambisca a migliorarsi: ma una cosa è rinnegare parti si sé e volersi migliorare, molto meglio è accettare tutte le nostre parti e volersi migliorare.
Nel primo caso, più tentiamo di rinnegare qualcosa di noi che non ci piace, più reputiamo sbagliate parti di noi, più questo qualcosa diventa prepotente e ingestibile.
C’è una frase del film “Come un gatto in tangenziale” che secondo me rende bene il concetto, recitata in romano dal personaggio di Paola Cortellesi ed è “l’importante è che me’ so’ capita io”.
Vi confesso che ultimamente me la ripeto molto spesso.
A dire… ma chi se ne importa di passare la vita a discutere, a voler convincere gli altri di qualcosa, a voler dimostrare ragioni e torti, a volersi difendere da minacce esistenti solo nella nostra testa, a voler ergere la nostra verità come la migliore su quella degli altri?
L’importante è che ogni persona abbia una dose di pace interiore tale per cui, ad un certo punto, quello che succede fuori, succede fuori. E resta fuori. E non intacca più di tanto il senso del nostro valore o di adeguatezza che ci portiamo dentro.
Il tema meriterebbe molte altre parole, ma al momento mi fermo qui.
In conclusione, che fare con questa insicurezza? Ascoltarla, riconoscerla, capirne gli inneschi esterni, accettarla, prenderla per mano e mandare anche un po’ “a spigolare” tutto il resto!
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DONNE, UOMINI E LINGUAGGIO NON VERBALE. UNA RIFLESSIONE.
Ciao Bentornata/o a Lavorare col Sorriso!
Oggi parlo di linguaggio non verbale e rispondo alla domanda che ho ricevuto da un lettore del blog, Nicola, che dopo aver letto il mio articolo “Uomini e donne sul lavoro. Capire le differenze ti aiuta” mi chiede quanto segue: “vorrei conoscere qualcosa di più sui comportamenti non verbali in ambito lavorativo, in merito a quanto detto. Per esempio: come si comporta un maschio, a livello non verbale, rispetto sia alle colleghe femmine, sia ai superiori?”.
Intanto, da cosa è costituito il linguaggio non verbale?
Da espressioni facciali, sguardo, tono, ritmo, frequenza nell’uso della voce, le pause o silenzi, dall’uso dello spazio o prossemica e dalla postura fisica.
Non esistono modi di usare le varie componenti del linguaggio non verbale che abbiano un significato unico per uomini e donne e in tutte le circostanze.
Affermarlo sarebbe una semplificazione della realtà atta a dare un “contentino superficiale” per non deludere il lettore che ha posto la domanda.
Questo è il motivo per il quale sul lavoro e nella vita in generale, vale la pena coltivare l’empatia: ossia la capacità di osservare e decodificare cosa significano non per me, in base ai miei filtri cognitivi, ma per l’altra persona, tutte le componenti del suo linguaggio non verbale.
Insomma sviluppare l’empatia significa allenarsi a mettersi “nei panni dell’altro”.
Questo si che consente di disporre di una chiave di lettura davvero utile ad entrare in relazione con gli altri in modo proficuo.
Come si fa a fare questo?
Osservando.
Scegliti un uomo e una donna sul lavoro e osserva o fai “mente locale” alle varie componenti non verbali utilizzate per rapportarsi agli altri colleghi di pari livello e poi con i capi: noterai qualcosa che resta pressoché immutato e qualcosa che invece cambia in base alla situazione. Quello che cambia indica qualcosa di utile per te.
Supponiamo ad esempio che io stia osservando un mio collega uomo seduto di fronte a me: parla sempre con un tono di voce basso, pacato, un ritmo molto lento, guardandomi negli occhi, tenendo le braccia lungo il corpo o appoggiate alla scrivania ma aperte, senza cioè porle davanti al petto.
Nel dialogo non cerca mai contatto fisico, ma tende a stare sempre “sulle sue”. Questo lo osservo 9 volte su 10 e non riesco a notare significative differenze ad esempio nel suo tono di voce, nè nel caso in cui sia triste o arrabbiato, né nel caso in cui sia particolarmente allegro.
Poiché io ad esempio quando sono triste tendo a parlare piano nel tono e nel ritmo, mentre quando sono allegra alzo sia tono che ritmo, sarei portata quindi a pensare che questo uomo che ho di fronte non si arrabbia mai o non si rallegra mai, dato che il suo tono e ritmo sono sempre monotonamente identici.
Invece, se lo osservo ad esempio in un conflitto con un’altra persona noto che, anche se il tono resta pacato, basso e monotono, comincia a mordersi ogni 3 per 2 il labbro, si mangia le unghie, abbassa lo sguardo e chiude le braccia e batte di continuo il piede in terra.
Viceversa, se lo osservo mentre sta scherzando con un’altra persona, a parità sempre di tono e ritmo, noto che fa un cenno di sorriso (seppure minimo) con le labbra, gli occhi cambiano espressione, articola il suo discorso muovendo le mani e magari dà pure un “cenno” di complicità con le mani al collega toccandolo sulle spalle.
Sono differenze piccole ma che noto ricorrentemente. Osservarlo mi ha consentito quindi di capire quando si innervosisce o quando è allegro, sebbene abbia un modo di fare notevolmente diverso dal mio, dato che queste “modifiche” al suo linguaggio non verbale le ho osservate ricorrentemente con altre persone.
Questo a cosa mi serve?
Se ad esempio ci sto parlando e noto che comincia a mangiarsi le unghie, tamburellare i piedi in terra come l’ho visto fare durante un “conflitto“ con altre persone, posso pensare che quello che gli sto dicendo, produce in lui un qualche effetto “negativo”.
Allora posso domandare “noto che agiti le gambe, c’è qualcosa di quello che ti sto dicendo che ti innervosisce? Se si, fammi capire come posso esserti di aiuto o alleviare il tuo nervoso o le tue preoccupazioni”.
Se hai osservato una persona per un po’ e con cura, difficilmente sbaglierai nel cogliere ed interpretare questi segnali, ma questa volta non secondo il tuo parametro di comportamento in quella stessa situazione, ma secondo il suo.
Nel dubbio però, eviterei di direi “ti vedo nervoso” quanto piuttosto userei l’espressione “mi sembri nervoso. Mi sbaglio?”
Altra cosa: penso che la cosa interessante non sia tanto quella di distinguere il linguaggio non verbale di un uomo rispetto a quello di una donna, ma l’eventuale incongruenza fra il linguaggio verbale e il linguaggio non verbale di uno stesso soggetto.
L’incoerenza fra i due tipi di linguaggi è, credo, più utile rispetto a considerarne solo uno in particolare, perché è da questa incoerenza che possiamo ottenere osservando, e non giudicando, informazioni utili sul lavoro.
Nel caso di cui sopra, se ho osservato ripetutamente che l’uomo in questione quando è allegro tiene le braccia aperte, cambia espressione negli occhi e mostra un sorrisetto contenuto, e alla domanda “come è andato il colloquio con il tuo capo” mi risponde “bene dai” con gli occhi bassi, mordendosi le labbra, e tamburellando con i piedi il pavimento, l’incoerenza del suo “bene dai” proferito a parole mi balza all’occhio molto evidente perché è accompagnato da un linguaggio non verbale che quella stessa persona utilizza tipicamente in situazioni “negative”.
Inoltre il nostro cervello rettile, ossia quello più legato agli istinti primari, è in grado di percepire da subito queste incoerenze.
Ti è mai successo di ascoltare una persona e provare un senso di diffidenza, fastidio ” a pelle”?
Immagino di si. Questo accade perchè appunto il nostro cervello rettile, ancora prima di fare una osservazione razionale degli input che riceve, ha già percepito queste incogruenze.
Quindi, fidati di te stesso quando “senti” che qualcosa non ti convince!
Più in generale, nella mia esperienza posso dire che mentre è possibile per le donne osservare maggiormente l’emotività in situazioni di stress, gli uomini tendono invece a rimanere più “freddi” e controllati.
Questo non credo che sia legato al fatto che gli uomini non provino alcuna emozione, quanto al fatto che per retaggio culturale, gli uomini tendono a reprimerle o magari a trasformarle in sarcasmo e battute, in quanto la manifestazione di emotività in un uomo è considerata “cosa da mammole” dalla notte dei tempi.
A noi donne invece è concesso il nostro “isterismo” in quanto altrettanto radicato nella notte dei tempi essere considerate “emotive”.
Se ci pensate, le donne sono “programmate” per contenere un’altra vita in grembo, a prescindere dal fatto che diventino madri o meno, gli uomini no.
E’ forse anche per questo che gli uomini, come ho già scritto, sono orientati “al compito” e le donne “alla relazione”.
La donna biologicamente ha “iscritto” nel suo codice biologico “la cura” per un altro essere umano, e come tale, è molto più orientata al supporto e al sostegno emotivo, di quanto lo sia un uomo, sebbene poi esistano tutte le eccezioni del caso.
Detto questo, in realtà io mi auguro che tanto un passo in avanti possa essere fatto dalle donne nel ragionare meno emotivamente, altrettanto possa essere fatto un passo in avanti dagli uomini concedendosi il lusso, ogni tanto, di mostrare la loro emotività senza per questo temere di essere considerati deboli, oppure smettendo di “bollare” come “isteriche” le donne quando manifestano ciò che è proprio della loro natura.
Se ognuno di noi facesse un passo verso la comprensione dell’altro, ne avremmo tutti da guadagnare in vicinanza.
Se poi ti incuriosisce un particolare aspetto del linguaggio non verbale, lo psicologo Paul Ekman ha condotto studi nei quali ha dimostrato che le espressioni facciali e le emozioni primarie (rabbia, disgusto, gioia,tristezza, sorpresa) non sono determinate dalla cultura di un posto o dalle tradizioni, ma sono universali ed uguali per tutto il mondo (quindi per uomini e per donne), indicando il fatto che sono di origine biologica e non “ambientale”.
Quindi che cosa ha senso osservare se le espressioni facciali delle emozioni primarie sono uguali in tutto il mondo?
I fattori che le scatenano, che possono essere differenti da individuo a individuo!
Da ultimo, in generale, le persone (uomini e donne) che si muovono nel mondo “a testa alta”, con la postura eretta, con le spalle ben aperte e un sorriso genuino e non forzato o di circostanza, sono quelle che tendenzialmente sono anche più sicure di loro stesse.
Pensaci. Che cosa ti trasmette una persona che cammina incurvata su se stessa, con le spalle strette, le braccia sempre conserte, lo sguardo basso, un tono di voce monotono e sommesso, quasi come se volesse essere meno visibile possibile o come se quasi si vergognasse di portare il suo ingombro nel mondo?
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