
RIPETI SEMPRE GLI STESSI ERRORI? COME TRASFORMARLI IN SUCCESSO
Ciao e Benvenuto a Lavorare col Sorriso!
Ripeti sempre gli stessi errori nella gestione dei rapporti lavorativi e vorresti trasformarli in successo uscendo da schemi di comportamento ripetitivi, che vivi come poco utili e fastidiosi per te nella vita lavorativa, quasi fossi una creatura inerme intrappolata nella morsa di un serpente velenoso? Leggimi!
[Tweet “”Fare errori è naturale, andarsene senza averli compresi vanifica il senso di una vita” – cit. S.Tamaro “]In quali casi ripeti gli stessi errori?
Quando, a titolo di esempio (non esaustivo), in modo sistematico e automatico:
- attacchi un collega con collera di fronte ad una critica, salvo pentirti della tua istintività;
- subisci qualche angheria sempre con lo stesso senso di impotenza covando rabbia repressa per i successivi 6 mesi;
- non sei capace di affermare con assertività una tua convinzione;
- ti dai per vinto in partenza di fronte ad una situazione che vivi come troppo complessa da gestire malgrado una parte di te vorrebbe “buttarsi”;
- fatichi a far rispettare il tuo ruolo in azienda quando hai rapporti troppo amichevoli con alcuni colleghi;
- quando in una negoziazione o conflitto tendi al ritiro o a mediare eccessivamente e rinunci a difendere i tuoi interessi purchè tutte le facce dei colleghi siano sorridenti, tranne la tua.
Inutile dire che questi errori si riferiscono a situazioni che presuppongono uno scambio fra te e altre persone, e quindi il tema, oltre ad avere a che fare con la consapevolezza che hai di te stesso, si inquadra nell’ambito dei rapporti tra colleghi.
Ci tengo poi a fare una premessa: TU NON SEI I TUOI ERRORI!
Oppure fai parte di quelle persone che si identificano con i propri errori e li personalizzano al punto da avvertire un senso pervasivo di fallimento ogni volta che ne commettono uno?
Scrivo questo articolo perché di recente ho commesso un errore le cui conseguenze sulla mia pelle sono state paragonabili a un bagno ghiacciato nel Mar Glaciale Artico in pieno inverno (si, dai, esagero volutamente anche per farti sorridere un po’).
Il fatto “grave” è che ho commesso ancora una volta lo stesso errore in una determinata circostanza, simile a tutte quelle precedenti, in cui il risultato finale se non era stato il bagno ghiacciato nel Mar Glaciale Artico era pur sempre stato fastidioso come la sabbia negli occhi.
Accade di affezionarsi così tanto agli stessi errori che Dante, se fosse vivo, probabilmente indirebbe un concorso a premi per la diabolicità da coazione a ripetere.
Il fastidio che ho avvertito è stato talmente acuto però, che mi sono detta BASTA! E se BASTA l’ho detto io, lo può dire chiunque, a patto che lo voglia davvero!
Come ti ho spiegato nel mio articolo “Manager o Leader: quale tipo sei” ognuno di noi si manifesta con un carattere che talvolta ci porta ad attuare meccanismi inconsci che attivano il famoso pilota automatico o coazione a ripetere.
Si ripetono le circostanze esterne e si commettono gli stessi errori, si fanno le stesse cose, con annesso senso di frustrazione e di impotenza e talvolta con conseguenze progressivamente nefaste che vanno da piccole scottature, a urti, a ustioni di 3° grado.
Eppure ci sarebbe tanto una parte di noi che non vorrebbe fare così, ma lo fa comunque.
Come puoi uscire dai tuoi errori?
Parto dal presupposto che per te sia importante sradicare questa abitudine a commettere sempre gli stessi errori in una o più circostanze similari, e che quindi tu abbia voglia di apprendere un modo per cambiare strada.
Cosa fare in concreto con i tuoi errori:
intanto comincia con il pensare che cambiare è possibile. Hai imparato a guidare e fare tante altre cose nella vita. Puoi impararne altre. Certe abitudini così come le hai apprese, le puoi anche sostituire con altre più utili per te;
- ripensa a, e scrivi, tutte le situazioni in cui hai attivato il pilota automatico, quello che ti porta allo schianto o conseguenza indesiderata (perchè se ti porta positività e benessere non è il caso in esame);
- analizza cosa accomuna tutte queste situazioni per le circostanze esterne alla tua persona, ossia quale è “lo stimolo” esterno che ti fa “partire per la tangente”;
- analizza cosa accomuna tutte queste situazioni per gli aspetti interni alla tua persona, più in particolare quali sentimenti, emozioni, pensieri hanno causato l’inserimento del pilota automatico?
- ora che li hai messi a fuoco, quali benefici/vantaggi speravi di ottenere con il tuo comportamento? Quali bisogni cerchi di soddisfare con il tipo di comportamento che adotti in automatico?
- ricordi se in passato, anche da piccolo, usavi questo stesso schema o lo hai visto usare da qualcuno?
- quali reali benefici hai ottenuto rispetto alle circostanze esterne e rispetto a te stesso?
- quali benefici e quali obiettivi vorresti che agisse il te stesso futuro che vorresti libero da questo fastidioso pilota automatico?
- cosa devi/vuoi fare per ottenere questo nuovo obiettivo/comportamento? Immaginalo nei minimi particolari a livello emotivo (emozioni che vorresti provare, pensieri che vorresti avere), e ripercorrilo nella testa e con il corpo passo dopo passo…magari anche camminando nello spazio. Solitamente, se è vero che il tuo vecchio schema era disfunzionale, il nuovo che hai identificato molto probabilmente assomiglierà al suo esatto contrario;
- identifica la prima circostanza utile in cui potresti dare prova a te stesso di essere capace di disinserire il pilota automatico, magari anche fuori dal contesto lavorativo;
- agisci nel nuovo modo con tutto te stesso, corpo, mente ed emozioni appena ti trovi nella circostanza che ti attiva il comportamento disfunzionale.
Ora, non ti sto dicendo che sia una cosa immediata cessare di commettere gli stessi errori, ma sicuramente prima comincerai a fare esercizio, prima diventerai il nuovo te stesso che ti prefiggi di essere e prima otterrai quello che vuoi dalla circostanza che normalmente ti causa problemi.
All’inizio ci sarà una parte di te talmente simbiotica con il tuo vecchio errore, che farà di tutto per impedirti di uscire dalla tua zona di comfort.
Ci sguazzi tanto bene lì dentro che ormai ti sei scavato la Fossa delle Marianne ed uscirne fuori assomiglia ad una impresa estrema.
Ti faccio presente che è così per tutti, tutti viviamo questa difficoltà, ma con uno sforzo di volontà cosciente, puoi educare prograssivamente i tuoi pensieri, comportamenti, azioni, abitudini, verso una meta nuova, perché di fondo, la Fossa delle Marianne esiste solo nella tua mente, non nella realtà.
È un po’ come fare gli addominali per la prima volta.
All’inizio senti dolore e fatica e ti sembra uno sforzo immane, ma piano piano, un piccolo passo alla volta, la nuova modalità comportamentale ti entrerà nei muscoli fino a quando la avrai interiorizzata: è questione di esercizio e abitudine, e tutte le abitudini possono essere cambiare con un uno sforzo di volontà cosciente.
Ti renderai conto che se anche per un po’ di tempo continuerai a commettere lo stesso errore, il tuo tempo di “ripresa” si farà sempre più breve, riuscirai a sfumare gradatamente quel comportamento e sentirai sempre meno lo sforzo dettato dal voler cambiare abitudine.
Se sono qui a scrivertelo è perché l’ho fatto e ha funzionato. E ha funzionato solo nel momento in cui ho smesso di procrastinare il momento in cui farlo sul serio. E ha funzionato con un atto di volontà vero e proprio di forzatura alla mia parte più “distruttiva”.
Fatto sta che, a differenza delle volte precedenti in cui avevo commesso lo stesso errore, questa volta in un lasso di tempo molto più breve, ho voltato pagina, orientato mente e cuore in qualcosa di utile che ho scelto consapevolmente, mi sono trattenuta dal fare le stesse cose che avrei fatto in quelle circostanze e ho ritrovato l’amore per me stessa.
Perché preservarsi dal commettere sempre gli stessi errori è, di fatto, un atto di amore verso se stessi.
Commettere sempre gli stessi errori, piccoli o grandi che siano, con conseguenze che tu valuti più o meno “gravi”, col tempo, demolisce l’autostima, ti rende incapace ai tuoi stessi occhi e rischia di portarti ad identificarti con essi fino al punto di dirti “sono un disastro”. Non è così.
Tutti commettiamo errori: l’importante è farne qualcosa di buono e impararne una lezione per trasformarli in un successo. Se questo non avviene, se dopo l’ennesimo errore ci passiamo sopra senza rifletterci come ti ho indicato sopra, è matematico, lo commetteremo di nuovo.
Nel condividere questa mia “caduta” ti sto anche dando un esempio di come un evento spiacevole e negativo, possa essere trasformato in qualcosa di utile per te che stai leggendo, invece che crogiolarmi sul “ho sbagliato anche questa volta”.
Il tempo è prezioso, ed essere proattivi rispetto alle circostanze invece che reattivi come ti ho spiegato sia nel mio articolo “I conflitti: li risolvi o cerchi colpevoli?” , così come il focalizzarsi sulla propria centratura come ti ho spiegato sia nel mio articolo “Un giorno lo farò: il tempo ti è nemico – Parte II”, e’ SALVIFICO!
Sei pronto a gridare il tuo BASTA?
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UN GIORNO LO FARÒ: IL TEMPO TI È NEMICO ? Parte II
Ciao e Benvenuto a Lavorare col Sorriso!
Sei convinto che la gestione del tempo e dello stress abbiano nulla a che fare con la tua sicurezza interiore (o centratura)? Sbagli, e anche tanto! Scopri invece come la tua sicurezza interiore o centratura impatta significativamente sulla possibilità di ridurre lo stress investendo energie e tempo in attività e rapporti lavorativi in modo coerente con te stesso, i tuoi principi, valori e il tuo scopo nella vita.
[Tweet ““Ciò che abbiamo dietro e davanti a noi è irrilevante rispetto a ciò che abbiamo dentro” – cit. O.W. Holmes”]
Ti parlo della gestione del tempo e dello stress da questa particolare angolatura perché credo che possa essere un presupposto indispensabile per trattare poi questi argomenti con delle vere e proprie tecniche.
Di fatti questo articolo è la prosecuzione del precedente “Un giorno lo farò: il tempo ti è nemico? – Parte I” , che ti consiglio di leggere prima di questo se ancora non lo hai fatto, nel quale ti ho guidato in una riflessione potentissima sul tuo senso di scopo nella vita.
Di conseguenza adesso sai come vale la pena investire il tuo tempo, giornata lavorativa compresa, ed anche i rapporti lavorativi secondo un ordine di importanza, che immagino adesso sia diverso o più chiaro di prima.
Nel primo articolo ho infatti posto le basi per una gestione del tempo e dello stress davvero efficaci!
Proseguo con la metafora della macchina (che ho appreso da uno psicoterapeuta): se nel precedente articolo ti ho guidato a scoprire dove vuoi andare con la tua macchina (scopo, direzione, mission) in questo invece ti faccio riflettere sulle dotazioni necessarie e sufficienti che è bene abbia il motore della tua macchina per affrontare il viaggio verso la tua meta senza sottoporlo a continue sollecitazioni inutili, fonti di perdite di tempo e aumento dello stress.
Quando il tuo motore (cioè TU) va in sovraccarico?
Ad esempio ogni volta che hai la tendenza al controllo del mondo esterno ovvero quando prima di partire per il tuo viaggio pretendi di affittare tutte le betoniere e asfaltatrici presenti in commercio e andate a tappare tutte le buche delle strade dissestate fino al traguardo, a rifare i cordoli, la segnaletica, a riposizionare i semafori oppure quando guidi guardando solo fuori dal finestrino quasi a garantirti lo schianto.
Tradotto fuori di metafora?
Pensa a tutte le volte che le tue azioni sono eccessivamente condizionate dal temere cosa pensano il capo, il collega, il collaboratore, dal timore del rifiuto o di non piacere, dall’ansia di apparire perfetti, dalla paura di ammettere o commettere gli errori, dalla rabbia o vergogna per aver sbagliato, tristezza o paura se qualcuno non asseconda le tue aspettative.
Agire con questi condizionamenti pensi equivalga ad una buona gestione del tempo e dello stress?
In tutti questi casi involontariamente molto probabilmente manipoli il mondo esterno al fine di controllarlo: armato di asfaltatrice e cemento sei lì che tenti di rendere lisce lisce tutte le strade che ti trovi di fronte.
Come? Ad esempio tutte le volte che di fronte a parole/comportamenti che non gradisci di un collega ti esprimi con un “tu mi fai arrabbiare” invece che con un “io mi sento arrabbiato per come ti sei comportato”.
Ti sembra sottile la differenza fra il guardare a te stesso e il guardare fuori?
Peccato. Perché è abissale. Ogni volta che accusi un collega di essere la causa di un tuo stato d’animo non solo eviti di pensare alla responsabilità/capacità che hai di scegliere una risposta ad un comportamento esterno altrui, (magari anche l’ indifferenza), non solo gli stai dando un enorme potere su di te, ma, in fondo stai anche avanzando la pretesa che quel collega debba comportarsi diversamente, per evitare che sia la causa della tua rabbia.
Manipoli e pretendi di controllare il prossimo, spesso, per indurlo ad essere così come fa piacere a te senza crearti alcun disturbo.
Questa è una gestione del tempo e dello stress pessima!
C’è solo un piccolo problema. Che nessuno di noi può alcun tipo di controllo su alcuna cosa vivente al di fuori di se stesso.
E’ di una banalità sconcertante il concetto, ma, se è così, ti chiedo di essere onesto con te stesso e di riflettere su quanta parte del tuo tempo lo spendi a “ripensare” a fatti spiacevoli accaduti, o nel tentativo di controllare, manipolare, cambiare qualcosa che è esterno alla tua persona: quel collega che vorresti più affabile, simpatico, silenzioso, il capo più disponibile … etc.
Insomma in media quanto tempo spendi ad accettare cose e persone per come sono e regolarti di conseguenza e quanto invece ne spendi nella fissazione di voler piegare la realtà esterna al tuo volere o a rivivere nella tua testa episodi lavorativi spiacevoli?
Bene. A cosa ti serve disperdere il tempo in questo senso? La riposta è solo una. Niente.
La differenza fra un atteggiamento e l’altro, di cui ti ho parlato anche nell’articolo “Conflitti sul lavoro: li risolvi o cerchi colpevoli?’” è la stessa che c’è fra l’essere persone proattive o reattive:
- I PROATTIVI si concentrano sulla loro SFERA di INFLUENZA ossia su fattori che possono essere da loro trasformati;
- I REATTIVI si focalizzano sulla SFERA DEL COINVOLGIMENTO ossia su debolezze altrui, problemi ambientali e circostanze sulle quali non hanno il loro controllo.
Quand’è quindi che la gestione del tempo e dello stress avviene efficacemente?
Quando, ogni volta che sei in difficoltà in una situazione, se invece che volgere lo sguardo fuori, lo rivolgi al tuo interno, verso i tuoi principi guida, i valori che sono per te importanti e che ti aiutano a ridimensionare subito situazioni e problemi e a trovare la forza per affrontarli, abbattendo di conseguenza anche lo stress.
Fritz Perls nel suo libro “La terapia Gestaltica parola per parola” spiega bene nelle sue prime 80 pagine questo concetto dello sguardo rivolto al proprio interno e all’avere fiducia in se stessi, che in Bioenergetica è assimilabile ai concetti di centratura e “grounding”.
Tu dirai…beh ma come si fa ad avere così tanta fiducia in se stessi?
Occorre che tu abbia presenti i tuoi valori, le cose che ritieni importanti realizzare e il come vuoi realizzarle, avere ben presenti i tuoi criteri rispetto ai quali “misurarti”e identificare la tua centratura, il tuo nucleo immutabile, i fattori che sostengono la tua vita: ascoltati, accettati e poi seguiti!
Agendo in questo modo non avrai più la necessità di dover disperdere tempo ed energie per incasellare le situazioni e le persone in qualche categoria precostituita che ti dia un falso senso di sicurezza e protezione vivendo l’illusione della prevedibilità altrui, e non avrai più la necessità di stressarti in questa lotta ai mulini a vento, persa in partenza.
Adottare questo atteggiamento mentale non significa passare il resto della vita in uno stato ebetale di felicità perenne. Sarebbe ipocrita affermarlo.
Ma avendo una meta ben precisa in testa, ed una propria centratura il tempo così investito avrà più valore di un tempo investito cercando continue rassicurazioni, certezze, prevedibilità nel mondo esterno.
Ripensa al tempo che hai speso a torturarti per discussioni o situazioni spiacevoli, con colleghi, capi, amici.
Inquadrandolo adesso, riperderesti il solito tempo o lo useresti, insieme alle tue energie, per uscire da “situazioni di empasse” restando focalizzato sulle cose per te davvero importanti e sulle possibili soluzioni?
E ti dà una idea dell’ordine di priorità che vuoi che alcune situazioni/persone abbiano nella tua vita lavorativa o no?
Tu quanto ti valuti proattivo o reattivo rispetto alle situazioni che affronti? Ci sono circostanze in cui adotti approcci diversi? Se si, in quali circostanze, in che modo e per quali motivi sei reattivo o proattivo?
Hai messo a fuoco i tuoi principi, valori e fattori che pensi ti sostengano nella vita? Hai trovato la tua centratura? Cosa aspetti a farlo?
Pensi di voler trasferire un po’ della tua proattività dalle circostanze in cui la agisci più agevolmente alle circostanze in cui ti viene più difficile praticarla?
In metafora ti ho parlato di quale sia il nucleo che serve a far funzionare bene il tuo motore e ti ho spiegato la differenza che esiste fra le persone che, in viaggio verso una meta, perdono tempo ed energie ad asfaltare tutte le buche lungo il percorso, da quelle che invece li investono ad aggiustare l’assetto della propria macchina per affrontare qualsiasi viaggio.
Questo è il presupposto indispensabile da conoscere per una gestione del tempo e dello stress intelligente!
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CONFLITTI SUL POSTO DI LAVORO: LI RISOLVI O CERCHI COLPEVOLI?
Ciao e Benvenuto a Lavorare col Sorriso!
Che tu sia uomo o donna, sei solito risolvere i conflitti sul posto di lavoro efficacemente usando l’intelligenza emotiva per migliorare la tua leadership oppure vai accusando in cerca di colpevoli, o della ragione costi quel che costi? In questo articolo ti parlo di questi due diversi atteggiamenti nell’affrontare i conflitti sul posto di lavoro e ti parlo delle softskills utili anche per la vita, dato che i conflitti o le divergenze fra colleghi, uomini, donne e umani in generale sono assai frequenti.
[Tweet ““I più grandi conflitti non sono tra due persone ma tra una persona e se stessa.” – cit. T.G. Brooks”]
La gestione dei conflitti sul posto di lavoro, può avere una finalità utile o non utile.
La finalità utile della gestione dei conflitti sul lavoro è quella di capire, esprimersi, farsi rispettare, trovare punti di accordo.
La finalità non utile della gestione dei conflitti è quella di manipolare (spesso inconsapevolmente), cercare colpevoli, accusare, difendersi, avere ragione.
Per quali motivi discuti, di solito? E quanto sei consapevole di come il tuo modo di gestire i conflitti sul posto di lavoro impatta sulla buona riuscita dei rapporti tra colleghi?
Ipotizziamo che Alice e Marco, che rappresentano due unità aziendali differenti nell’ambito di un gruppo di lavoro composto da più impiegati, abbiano da consegnare un lavoro finito per una certa scadenza.
Ognuno di loro è portatore di interessi differenti e ovviamente, ha preferenze diverse sulle modalità con cui è possibile “risolvere” un dato “compito”o “task” per usare gli inglesismi che fanno molto moda.
Nel giorno della scadenza stabilita e per rispettare obiettivi sfidanti Alice, senza dire nulla a Marco che era impegnato in altre attività, presenta all’intero gruppo di lavoro il “task” finito e costruito, in parte, ma non del tutto, con il contributo anche di Marco, che viene a conoscenza della versione finale del lavoro a cose fatte.
Marco si sente salire un pò di rabbia, quando vede scritto su una mail quello che avrebbe dovuto essere frutto anche del suo lavoro: non solo vede i fatti compiuti, ma condivide solo in parte la soluzione proposta, e in ogni caso ci sono degli aspetti dati per decisi che lo mettono in difficoltà rispetto alla sua unità di business.
Marco è arrabbiato e dentro di lui si agitano questi pensieri: sono incavolato nero, non mi ha considerato, mi ha “scavalcato”, ha deciso una cosa che non condivido e in più l’ha fatto in mia assenza senza avvisarmi.
Non posso neanche arrabbiarmi apertamente, perché si sa che in azienda i conflitti sul posto di lavoro “aperti” sono malvisti e come uno manifesta un po’ di dissenso viene tacciato di essere un polemico rompiballe.
Come potrebbe comportarsi Marco?
Esempio di gestione del conflitto sul posto di lavoro con modalità comunicative finalizzate a manipolare, cercare colpevoli, accusare, difendere, avere ragione.
M – (con tono risentito e veemenza verbale, verso Alice) Ho visto la mail… bella sorpresa… siete proprio scorretti! Non solo avete deciso la versione finale senza di me, ma in più l’avete comunicata a tutto il gruppo e vi siete venduti una cosa che ora mi mette in difficoltà con altri miei colleghi!
Il tono “risentito” è umano, ci può anche stare…ma quello che segue si chiama accusa, prima ancora di capire se abbia affettivamente dei fondamenti o meno.
A – Marco, sei sempre assente, questa è la logica conseguenza del tuo modo di fare!
Alice si sente attaccata e di istinto, invece che smussare i toni, contro-accusa il collega.
M – Ma che assente e assente, non nasconderti dietro a delle scuse perchè hai torto e sei stata scorretta! Non è la prima volta che succede. Mancava poco alla versione finale. Hai il brutto vizio di non parlare!
A – Se non ti fai trovare!
M – Ma se ero in trasferta ieri!
A – …e comunque cosa vorresti insinuare con quel “non è la prima volta che succede?” vogliamo parlare di quando due mesi fa ti sei “venduto” la scadenza senza condividerla?
Ora….potete capire che gestire i conflitti sul posto di lavoro con questo rimbalzo di attacchi e accuse reciproche potrebbe durare più o meno all’infinito.
Per ironizzare, in tre nanosecondi ogni collega ha già piazzato nella sua mente come arma di difesa tutto il Consiglio Superiore della Magistratura, con tanto di primo, secondo e terzo grado di giudizio, Cassazione compresa!
Si chiama anche “escalation of commitment” per usare un gergo psicologicamente “tecnico”.
Risoluzione finale? Animo amaro da entrambe le parti, e soprattutto, nessuno dei due probabilmente otterrà nulla di quello che realmente avrebbe voluto.
Esempio di gestione del conflitto sul posto di lavoro con modalità comunicative finalizzate a capire, esprimersi, farsi capire, rispettare il prossimo e trovare punti di incontro.
M – (con tono un po’ risentito) Ciao Alice! Ho visto lo scambio di mail e che hai presentato la versione finale del lavoro a tutto il gruppo quando non c’ero. Mi sento parecchio infastidito! Mi puoi spiegare cosa è successo?
In questo modo Marco applica l’intelligenza emotiva in 3 modi:
1 – saluta come accade fra esseri umani,
2 –manifesta il suo stato d’animo irritato che fa sempre bene, visto che reprimere le emozioni, alla lunga, fa più danni dell’uragano katrina, e non lo dico io ma la scienza,
3 -senza tirare conclusioni si attiene ai fatti che ha visto e chiede spiegazioni, per capire, prima di scegliere se permettersi di essere alterato del tutto o meno e di biasimare la collega.
A – Ciao Marco. Mi spiace vederti arrabbiato. E’ successo che ieri il Direttore ci ha chiesto entro le 16 di presentargli il lavoro proprio mentre stavamo valutando di chiedere un posticipo della scadenza di altri 3 giorni. Sono mancati i tempi tecnici sia per avvisarti prima, visto che ci hanno detto che eri fuori, sia dopo, e nel dubbio piuttosto che lasciare la cosa incompleta abbiamo preso quella che ci sembrava la decisione migliore ricordandoci anche le tue indicazioni. I modi in effetti non sono stati dei migliori ma almeno nella scelta finale ti ritrovi oppure no?
M – Ah ecco… volevo ben sperare che ci fosse una ragione valida per quello che ho visto. Diversamente, e lo specifico nel caso accada di nuovo in futuro, vorrei condividere le scelte prima e sapere quando saranno ricondivise nel team. In questo caso in effetti la decisione che avete preso mi mette in difficoltà per diversi motivi che ora ti spiego (…) come possiamo venirne fuori? Mi aiutate?
A – Si si tranquillo, a parte che non è da me, in ogni caso certo che condividerò le scelte future prima di presentarle a tutti qualora non ci fossi. Tu però le prossime volte, se dovessi sapere che a ridosso di una scadenza ti mandano fuori per lavoro, ci avvisi prima?
M – Ok sarà fatto. Anche io preso dalla fretta proprio mi sono dimenticato.. scusami. Quindi come ne veniamo fuori? Io ho questo problema adesso (…)
A– Beh credo che ci siano tempi e margini per rivedere la cosa!
Alice utilizza l’intelligenza emotiva nella gestione del conflitto lavorativo in questi modi:
1 – saluta;
2 – esprime dispiacere per il collega che vede risentito, con empatia;
3 – chiede se la soluzione individuata è condivisibile;
4 – chiede al collega per il futuro, di avvisare qualora fosse assente, usando quindi la sua assertività.
Marco a sua volta: esprime chiaramente la sua difficoltà e la necessità di trovare una soluzione, si prende l’impegno di avvisare qualora debba assentarsi vicino ad una scadenza, ed esprime cosa vorrebbe per se in futuro.
Nella tua quotidianità quante volte la gestione dei conflitti sul posto di lavoro assomiglia al primo caso e quante volte al secondo?
Quante volte “prendi la tangente” di fronte ad una situazione mal digerita e quante volte invece ti prendi del tempo per capire, prima di scegliere la riposta più opportuna usando la tua assertività?
La possibilità di scegliere la risposta di fronte ad una situazione di conflitto, prende il nome di proattività, ed è un concetto introdotto da V. Frankl, che ha condotto molteplici studi sul senso di scopo delle persone.
Reagire significa non interporre alcuna consapevolezza fra uno stimolo esterno e il nostro comportamento, rispondere significa invece prendere consapevolezza di quello che accade al nostro interno ed indirizzarlo con assertività in modo utile rispetto all’obiettivo che ci poniamo.
Farlo significa rafforzare la propria leadership, ossia la consapevolezza e padronanza di sè stessi. Qualora l’obiettivo di una conversazione sia litigare con i colleghi in modo fine a se stesso allora la modalità n° 1 è quella giusta.
Qualora l’obiettivo invece sia trovare soluzioni condivise e ridefinire comportamenti accettabili per entrambe le parti in futuro, la modalità n° 2 è quella più adatta da seguire.
Qualora invece, dopo aver raccolto il punto di vista dell’altro ti trovi di fronte ad una vera e propria scorrettezza ingiustificabile ai tuoi occhi, considera che:
a – possono esserci colleghi che per differenti ragioni e motivi, vivono di bassezze. In questo caso intanto puoi avere una fortuna magari: non assomigliargli;
b – inoltre, quando hai a che fare con colleghi che deliberatamente fanno cose a danno altrui, o per metterti in cattiva luce, o per affermare se stessi, o per screditarti, tieni a mente che il problema è loro: quasi sempre soffrono di insicurezza cronica con un ego pari ad una mongolfiera, ed hanno bisogno di sminuire gli altri per emergere.
In questo senso, sempre a proposito di vivere per se stessi un tempo di qualità, prima di dare eccessiva importanza a questo tipo di colleghi e quello che fanno, ti ricordo che nell’articolo “Un giorno lo farò: il tempo ti è nemico? Parte I” ti ho parlato di investire il tempo in funzione del tuo scopo e dei tuoi principi.
Di conseguenza il tempo da dedicare a queste persone tossiche è bene che si riduca all’osso. Puoi sempre scegliere di averci a che fare per il tempo che è imposto dal contesto, ma nulla di più.
E poi lasciarti alle spalle la rabbia e il senso di sconfitta che a volte l’esito di questi conflitti sul posto di lavoro può generare.
Inoltre, se vivi in funzione dei tuoi principi guida, disponi di una bussola interna che ti conferisce sicurezza interiore e ti indirizza nelle scelte, ed è corretto che sia l’unico riferimento rispetto al quale misurarti, piuttosto che preoccuparti della figura da stupido che magari qualcuno ci tiene tanto a farti fare…la summa di questo pensiero è resa bene da questa celebre frase dei Beatles da tenere a mente di fronte a colleghi poco corretti:
[Tweet ““Live and let die”- cit. Beatles”]
In sintesi ti ho parlato di due modi di affrontare i conflitti sul posto di lavoro rispetto all’obiettivo di trovare punti di accordo: uno più utile ed uno non utile.
Ti ho quindi parlato della differenza fra la reattività e la capacità di risposta intesa come proattività: in questi casi le differenze fra uomini e donne non hanno alcuna relazione con la maggiore o minore padronanza di queste softskills!
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Federica Crudeli

UN GIORNO LO FARÒ: IL TEMPO TI È NEMICO ? Parte I
Ciao e Benvenuto a Lavorare col Sorriso!
Come sei messo con la gestione del tempo? Il tempo non ti basta mai? Scopri cosa è “il tempo dei tempi” se vuoi avere a disposizione più tempo, vuoi che il tuo tempo sia fatto di serenità, entusiasmo, passione, vuoi che sia speso a fare cose che ti piacciono con persone che apprezzi e vuoi imparare a gestire efficacemente il tuo tempo rendendolo un tempo di qualità e valore! Leggi questo articolo e scoprirai cosa è!
[Tweet ““Immaginati vecchio, in punto di morte, pieno di rimpianti e di rimorsi.” – cit. A. De Carlo”]
Questa citazione ha molto a che vedere con la gestione del tempo, è tratta da un libro che ho adorato leggere, “Due di due” di A. De Carlo, e ha sorvolato i miei pensieri per 15 anni, fino a quando non è atterrata nella mia mente e ci si è stabilita in modo stabile. Da quel momento sono cambiate tante cose. In meglio.
Cosa voglio dire? Nell’articolo “Come gestisci i tuoi 8 tempi negli 86.400 secondi di ogni giorno” ti ho parlato dell’importanza della gestione del tempo e dello stress.
Dopo aver sentito di recente l’affermazione “il tempo non basta mai”, abbastanza comune, ho deciso di scrivere questo articolo sulla gestione del tempo, partendo da un presupposto diverso.
E nel farlo ti racconto un mio segreto!
Potrei mettermi qui a scrivere tecniche che ho appreso e che uso per la gestione del tempo in modo efficace e che in effetti, se applicate, funzionano.
E ammetto anche che in passato, ho lasciato che trascorresse molto tempo, troppo tempo, fra la lettura di un concetto e la sua applicazione… perché applicarsi comporta fatica e senso di responsabilità, mentre lasciare che le cose vadano un po’ a caso è sempre un buon modo per alleggerirsi distribuendo colpe “a destra e a manca” o al famigerato “destino”.
Sono sempre stata una procrastinatrice incallita con un concetto della gestione del tempo, a volte, un po’ tanto diluito.
Il “poi lo farò” è stato per anni il mio amico immaginario a colazione, pranzo, cena, dopocena, in vacanza. Sapete perché? Perché io, e con me scommetto molti altri esseri umani, in realtà abbiamo una paura mostruosa di capire che certe cose funzionano davvero se applicate, perché significa fare i conti con il concetto “io posso”, e fare i conti con questo concetto significa che la responsabilità di fare cose nella vita è solo e soltanto nelle nostre mani, con i venti a favore o contro.
Abbiamo fatto delle conversazioni luuuuuunghe lunghe inimmaginabili io e il “poi lo farò”. Fino a quando un giorno, molto prepotentemente il “se non ora, quando?” ha soppiantato il “poi lo farò”.
Ci ha pensato la vita a operare questo processo di subentro con dei messaggi inequivocabili a chiare lettere e ha preso “il poi lo farò” per un braccio e lo ha messo all’angolo delle stanze della mia mente.
Devo ringraziare il “se non ora quando” se ho aperto questo blog. Non avrò una seconda vita per fare una delle cose che amo e per realizzare un sogno: ossia scrivere.
Adesso il “se non ora quando” e il “poi lo farò” convivono nella mia testa, fanno ancora a pugni ogni tanto, ma hanno capito che è utile per me che co-esistano. Il “poi lo farò” adesso prende il sopravvento per rimandare questioni poco importanti o quando rischio di tirare troppo la corda e vuole farmi riposare il corpo e la mente.
Quindi per oggi, azzardo e vado oltre al semplice parlarti delle tecniche per la gestione del tempo perché so che quanto leggerai ti porterà a rivedere il tuo concetto di tempo.
E solo dopo questo “reframing” avrà senso parlare di tecniche efficaci di gestione del tempo e dello stress.
Per usare una metafora: pensi abbia senso capire come si usa il cambio automatico della tua macchina, se ancora non hai capito bene quale direzione vuoi che segua la tua macchina e quindi nemmeno come distribuire il tempo che ti serve per arrivare alla meta?
Prendi del tempo per te. Non fare come me, che ne ho fatto passare molto fra la lettura di questo consiglio e il momento della messa in pratica (e mi “mangio i gomiti” ancora adesso per questa indolenza stupida).
Mettiti da solo in silenzio in una stanza e prendi questo esercizio molto sul serio. E’ potentissimo.
Immagina di essere ad un funerale: IL TUO! Sei … morto!
Immagina per filo e per segno chi ci sarà e cosa vorresti che dicessero di te, famigliari, amici, colleghi e le principali cerchie di cui fai parte.
Come vorresti essere ricordato? Scrivi a penna tutto quello che immagini e che vorresti che le persone presenti al tuo funerale dicessero di te: chi vorresti essere stato, cosa vorresti aver realizzato, per cosa vorresti essere ricordato? Osa per favore con l’immaginazione.
Ti stai domandando che senso ha farlo? Ha il senso che in media nella vita tutti noi calchiamo le scene del palcoscenico secondo un copione che a volte abbiamo scelto molto consapevolmente, a volte invece è un “introietto” delle aspettative di: famiglia, chiesa, scuola, società in generale.
Mi sembra inutile dirlo, ma lo dico comunque, che siamo nati nell’era dell’apparenza con tutto quello che ne consegue. Qui adesso ti stai ritagliando da solo l’opportunità e la libertà di immaginarti dentro la vita che TU hai voluto per te. Magari coincide del tutto o in parte con quella che stai vivendo, magari no.
Tutto quello che viviamo, lo costruiamo sempre due volte: la prima nella testa, la seconda nei i fatti.
Quello che vivi adesso infatti, anche se non lo sai, è frutto, a sua volta, di quello che ti sei costruito nella mente prima, solo che non sempre questa creazione mentale è avvenuta consapevolmente.
Adesso invece, questo esercizio ti mette in condizione, se prima non è stato così, di fare la tua costruzione mentale consapevole.
Ed ha molto a che fare con la stessa differenza che esiste fra la leadership e il management: nel primo caso si stabilisce una direzione, nel secondo si gestisce un percorso efficace verso una meta.
Bene. Fatto l’esercizio? Quello che hai scritto ha molto a che fare con la tua mission o scopo nella vita: chi vuoi essere là fuori, con che carattere vuoi manifestarti nel mondo, cosa vuoi realizzare, quali contributi vuoi lasciare.
Per perfezionare questo esercizio e dare valore al tuo passato, (soprattutto qualora il tuo senso di “scopo” evidenzi una distanza sostanziale fra quello che vivi e quello che vorresti vivere in questo momento presente e per il futuro), puoi fare anche un’altra cosa…
Ripensa al tuo passato ricercando tutti i momenti che ricordi come belli o felici. Segnali con calma e guardali: uniti a quello che hai scritto sul tuo funerale hanno qualcosa in comune?
Terminata questa riflessione è tempo di sintetizzarla in un dichiarazione di intenti con te stesso, inquadrandola nella prospettiva che ti restano 365 giorni prima di passare all’altra vita.
Essendo io una amante della corrente pittorica futurista l’ho ribattezzata “Manifesto Futurista” anziché Elogio Funebre come vorrebbe la fonte letteraria da cui è tratto l’esercizio (Le 7 regole del successo di S. Covey”).
Puoi declinarla poi rispetto ai vari ambiti della vita: chi vorresti essere, cosa vorresti realizzare, che contributi vorresti aver dato, cominciando dalla fine, e considerando che ti restano 365 giorni di vita, sul lavoro, in famiglia, con gli amici e così via?
La gestione del tempo come si inquadra in questo discorso? Beh credo che adesso che ti sei costruito una immagine della vita che vuoi per te per filo e per segno, che hai chiarito chi vorrai essere, cosa vorrai aver fatto, con la tua “mission” per realizzarla, hai da impiegare e gestire il tempo secondo il grado di importanza che ne consegue, e ti guiderò a metterlo a punto.
Questa riflessione non finisce qua, ma per il momento, visto che ho sperimentato la potenza di questo esercizio fatto da sola in un luogo e momento scelti per essere concentratissima con l’immaginazione, il corpo, le emozioni, i suoni, i colori, per fare questa visualizzazione, direi che preferisco fermarmi e lasciarti “a decantare” con quanto sarà emerso.
Se invece hai difficoltà a fare l’esercizio stai tranquillo. E’ possibile, soprattutto se non sei abituato, trovare difficili queste visualizzazioni guidate. O magari ti arrivano troppi stimoli tutti in una volta. Stai sereno. L’ordine fra tanto caos arriverà da solo. Basta darsi tempo.
Torniamo alla metafora della macchina, che ho preso in prestito da uno psicoterapeuta che conosco:
- oggi ci siamo occupati di identificare la direzione che vuole seguire la macchina, e ha senso occuparsi della gestione del tempo di viaggio una volta che la meta diventa se non chiarissima da subito, almeno delineata, visto che il concetto di tempo è si oggettivo nel suo scorrere, ma anche molto relativo nella soggettività del viverlo;
- nel prossimo articolo mi occuperò dell’assetto della macchina: capisci bene che una macchina “scarcassata e non manutenuta” farà fatica a percorrere qualsiasi strada e perderà un sacco di tempo;
- dopo ancora, una volta capito come sistemare l’assetto della macchina perché abbia quanto sufficiente e necessario per funzionare (a questo proposito sono comunque utili tutti gli articoli della categoria padronanza e gestione di sè), potremo interessarci delle tecniche vere e proprie di gestione del tempo, per migliorare le prestazioni del motore,
- e poi potremo persino interessarci delle condizioni meteo e stradali del mondo là fuori (e a questo proposito gli articoli della categoria Rapporti Lavorativi hanno a che fare con lo sviluppo di queste skills).
Ti ho parlato della gestione del tempo partendo da un presupposto insolito che però è “il tempo dei tempi”, cioè del senso che acquisisce il tempo in funzione di qualcosa di ben preciso come il tuo “senso di scopo” nella vita.
Adesso che hai realizzato quale scopo sostiene la tua vita, quanto tempo stimi di avere buttato via dietro a cose senza senso?
E quanto pensi da oggi in poi di investirlo in cose che hanno senso per te?
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Federica Crudeli
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CHE CAPACITÀ HO? CONOSCERLE TI AIUTA
Ciao e Benvenuto a Lavorare col Sorriso!
Oggi ti guido in una auto-riflessione pratica sulle principali capacità (o soft skills) cognitive, realizzative e relazionali, ossia inerenti la gestione dei rapporti lavorativi, che sono tipicamente oggetto di “valutazione” da parte dei capi e delle Risorse Umane in ambito aziendale. Capire quali capacità hai più sviluppate e quali meno, rispetto ai tuoi obiettivi di crescita professionale o carriera, può aiutarti a focalizzare efficacemente tempo ed energie mentali rispetto a quanto ti viene richiesto dal tipo di ruolo che ricopri e/o mansione che svolgi.
[Tweet ““Se facessimo tutto quello di cui siamo capaci sorprenderemmo davvero noi stessi” cit. T. Jefferson”]
Ti ho già introdotto ad una prima riflessione sul carattere nel mio articolo “Manager o Leader. Quale tipo sei?”e continuo questa volta focalizzandomi su un aspetto con cui il carattere si manifesta nel mondo: le capacità, appunto.
Prendi un foglio di carta, una penna e scrivi. Scrivere ha un enorme potere liberatorio a prescindere da cosa scrivi e aiuta ad imprimere bene nella testa i concetti.
A maggior ragione se lo fai con un obiettivo specifico: quello di mettere nero su bianco le capacità che usi in modo più naturale e quelle capacità che senti più distanti da te. Può essere di aiuto auto-valutarti con una scala di giudizio da 0 a 10. Inizia a stendere la lista ripensando a te stesso anche al di fuori dell’ambito lavorativo.
A titolo esemplificativo e non esaustivo ragiona su questi aspetti identificando i comportamenti che senti più vicini:
Capacità realizzative
Ti hanno affidato un progetto complesso:
[list-ul type=”arrow”][li-row]l’ idea di organizzare le attività, pianificarle, tempificarle, quanto ti manda in panico oppure quanto agevolmente riesci a chiarirti le idee su cosa fare, come e quando e stendi subito un programma di massima?;[/li-row][li-row]preferisci che sia qualcuno a identificare un tuo compito preciso per poterlo eseguire al meglio senza dover pensare a tutta la pianificazione e organizzazione delle attività;[/li-row][li-row]sei determinato a portarlo a termine costi quel che costi;[/li-row][li-row]in media, vedi il percorso già irto in partenza di difficoltà e ti abbatti subito;[/li-row][/list-ul][distance1]
Immagina di dover prendere una decisione che impatterà sull’organizzazione del lavoro nel tuo ufficio:
[list-ul type=”arrow”][li-row]decidi in poco tempo e in autonomia e con le informazioni di cui disponi;[/li-row][li-row]tendi ad accumulare più informazioni possibili per essere sicuro di avere valutato tutti i pro e contro, coinvolgi tutti i possibili interessati e fino a quando non lo hai fatto non sei sereno, non decidi.[/li-row][/list-ul][distance1]
Come te la cavi con gli imprevisti? Un telefonata mentre sei impegnato in quella attività importante, una riunione spostata all’ultimo minuto, un collega che ti si presenta alla scrivania e ti coinvolge a fare dell’altro:
[list-ul type=”arrow”][li-row]Ti irritano molto;[/li-row][li-row]le vivi come imprevisti fisiologici da gestire.[/li-row][/list-ul][distance1]
Vedi diverse cose nel tuo ufficio che funzionano meno bene di come potrebbero:
[list-ul type=”arrow”][li-row]ti fai promotore di un cambiamento verso il tuo capo;[/li-row][li-row]aspetti che qualcun altro sollevi il problema.[/li-row][/list-ul][distance1]
Capacità cognitive
Devi analizzare un documento molte tecnico, lungo, inerente una dinamica complessa per identificare la soluzione ad un problema:
[list-ul type=”arrow”][li-row]alla 3° riga della prima pagina hai già la testa che ti divaga alle spiagge del Brasile tanto hai già capito il contesto generale e le dinamiche principali dell’argomento, quindi il dettaglio ti annoia;[/li-row][li-row]ami perderti nei dettagli e anzi, sei tranquillo quando hai accumulato tutte le informazioni possibili che puoi acquisire;[/li-row][li-row]hai bisogno di vedere e capire tutte le interrelazioni all’interno di un problema.[/li-row][/list-ul][distance1]
Stai facendo una attività fino a quando qualcuno ti fa notare che esiste un modo migliore e più efficace per portarla a termine:
[list-ul type=”arrow”][li-row]sei disposto di buon grado a rivedere le tue idee e a confrontarti con chi può darti un punto di vista differente;[/li-row][li-row]tendi a perseverare sulla tua strada.[/li-row][/list-ul][distance1]
Se ti proponessero di fare cose poco attinenti o diverse da quelle di cui solitamente ti occupi:
[list-ul type=”arrow”][li-row]ti dimostri disponibile e collaborativo;[/li-row][li-row]ti infastidisce che qualcuno ti richieda cose diverse da quelle per cui sei pagato;[/li-row][li-row]identifichi in autonomia e frequentemente modi diversi di fare le stesse cose.[/li-row][/list-ul][distance1]
Capacità relazionali
Durante la giornata il capo ti fa notare una mancanza, o un collega ti critica per una cosa che hai detto/fatto, un altro collega ti coinvolge in una discussione accesa. Il tuo umore come cambia?
[list-ul type=”arrow”][li-row]resta pressoché stabilmente simile a quello che avevi prima della critica;[/li-row][li-row]risente pesantemente da questi “intoppi” al punto che perdi di lucidità e magari entri in un loop di autoaccuse e senso di insicurezza.[/li-row][/list-ul][distance1]
Quando hai delle attività da fare:
[list-ul type=”arrow”][li-row]ami farle da solo in pace;[/li-row][li-row]trovi più stimolante e divertente lavorare in gruppo.[/li-row][/list-ul][distance1]
Vedi diverse cose nel tuo ufficio che funzionano meno bene di come potrebbero:
[list-ul type=”arrow”][li-row]Se sei tu a farti promotore del cambiamento, insisti fino a quando non trovi il modo di far passare la tua idea;[/li-row][li-row]al primo no che ricevi “molli il colpo”;[/li-row][li-row]proponi la tua idea alla sperindio senza pensarci troppo;[/li-row][li-row]valuti come sia il caso di comunicarla in base all’interlocutore e all’obiettivo che ti prefiggi e ti accerti che quanto proponi sia stato compreso nei termini giusti;[/li-row][li-row]ti accade spesso di essere frainteso? Inascoltato? Fai fatica a comunicare le cose che pensi in modo chiaro e assertivo?[/li-row][/list-ul][distance1]
Quanta attenzione riservi all’identificazione dei modi più efficaci da usare verso i tuoi principali interlocutori per raggiungere i tuoi obiettivi?
Adesso che per ciascuno di questi punti ti sei auto-valutato nella scala da 0 a 10 noti per caso delle sorprese? In quali capacità ti senti più forte e in quali più debole?
Ti ho guidato in una riflessione relativa alle capacità cognitive (analisi, sintesi, flessibilità di pensiero) realizzative (responsabilità, programmazione e organizzazione, iniziativa, decisione, tensione all’obiettivo) relazionali (negoziazione, persuasività, comunicazione efficace, team working, stabilità emotiva).
Quali capacità pensi siano più importanti per fare carriera nel tuo lavoro fra quelle realizzative, cognitive, relazionali? E all’interno di ciascuna categoria, quali sono le più importanti da usare?
Se rispetto alla tua autovalutazione, identifichi delle capacità importanti per il tuo lavoro in cui ti senti debole, cosa puoi fare?
Identificare subito quelle più importanti ad esempio scegliendo una capacità in cui ti senti più fragile e che valuti importante per il tuo lavoro e decidere di volerla migliorare: poniamo la tua autovalutazione su una capacità sia 4 e che tu ritenga di volerla portare a 6 o 7 o 10 in un arco di tempo che tu stabilisci.
Quali azioni concrete puoi porre in essere per fare questo piccolo salto in avanti? Focalizzati per il tempo che hai deciso, ad agire un comportamento che ti porti a questo miglioramento, che sia misurabile e quantificabile, con dei piccoli step. Misurati nel tempo, prendendo nota dei progressi che fai.
Supponiamo invece che tu veda una enorme distanza fra le capacità che ti sono richieste dal tuo lavoro e quelle in cui ti senti forte, e per la maggior parte delle capacità valutate. Quanto valuti che valga la pena impegnarsi a migliorare per tutte o quanto piuttosto individuare un tipo di lavoro che sia più vicino alla maggioranza di capacità che agisci in modo più naturale?
Hai mai pensato di chiedere al tuo capo di sviluppare queste capacità con un percorso formativo?
Sia chiaro, non esistono capacità giuste o sbagliate in assoluto da usare. …tutto sta a capire in quale contesto, in che momento, con quale persona e a quale fine vale la pena mettere in gioco alcune capacità piuttosto che altre in funzione di un determinato obiettivo.
Un altro esercizio che puoi fare è, una volta stesa la tua lista, di chiedere a qualche persona di tua fiducia e che stimi (almeno 3), anche fuori dal lavoro, di darti la sua opinione. Se per più persone quello che ad esempio tu vivi come un tuo punto di forza/debolezza non ti è riconosciuto, forse hai qualche riflessione da fare. Quale convinzione ti spinge a valutare in modo così tanto differente dalla percezione degli altri, una specifica capacità?
E ancora, ipotizziamo che ti venga difficile programmare o organizzare le attività per la tua giornata o per un progetto mentre invece organizzare cene, eventi, viaggi ti venga estremamente facile. Ripercorri mentalmente tutto l’iter che segui nell’uno e nell’altro caso e identifica cosa c’è di differente che ti spinge ad agire dei comportamenti che invece sul lavoro trovi difficili da applicare. Lo sai che, una volta individuate, puoi applicare quelle stesse strategie che sono efficaci in altri contesti “replicandole” sul lavoro?
Per tornare all’affermazione iniziale: sei un po’ sorpreso delle capacità che hai?
Pensi che sia impossibile migliorarle? Cambiare completamente la propria natura si. Ma ricordati che qui stiamo parlando di capacità che possono esser sviluppate pur nel rispetto della propria natura.
Infatti se sei una di quelle persone che, a prescindere, si nasconde dietro al “sono fatto così” e lo usi come scusa per non fare mai la minima fatica di far “evolvere” alcune tue capacità per poter raggiungere la crescita professionale o carriera a cui ambisci, oppure se sei una di quelle persone che dice a se stessa “tanto io non ce la posso fare” allora ti faccio presente che hai delle convinzioni molto limitanti su te stesso, tema del quale tornerò a parlare nei prossimi articoli.
Il fatto di averle messe a fuoco e di aver capito che nessuna di queste capacità è giusta o sbagliata, ma solo più o meno efficace rispetto a qualcosa di specifico e relativo, ti aiuta a Lavorare col Sorriso o no?
Sono le stesse che avevi bene a mente anche prima di fare questa riflessione, o adesso noti cose di te che prima ignoravi? Che effetto ti fa? Come pensi di poterle usare in futuro?
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L’EMPATIA È UOMO O DONNA? SCOPRILO E USALA
Ciao e Benvenuto a Lavorare col Sorriso!
In questo articolo ti parlo di empatia, uno degli aspetti dell’intelligenza emotiva che ti aiuta nella crescita personale e professionale: cosa è, a cosa ti serve, come puoi imparare a svilupparla per gestire efficacemente i tuoi rapporti lavorativi e Lavorare col Sorriso!
Come ti ho già detto nel mio articolo introduttivo di Lavorare col Sorriso “Rapporti con i colleghi: 7 modi per farsi odiare” è affidata anche a te la buona riuscita o meno dei tuoi rapporti tra colleghi, e uno dei mezzi utilizzabili è appunto l’empatia.
[Tweet “”Solo perché emetti suoni nella mia direzione non significa che stai comunicando” cit. D. Gordon”]
Sviluppare una maggiore empatia è fondamentale, che tu sia un capo o un collaboratore di qualcuno, che tu sia uomo o donna.
L’empatia, in sintesi, è la capacità di guardare alle situazioni anche dal punto di vista dell’altro.
A dispetto delle gerarchie organizzative, infatti, i colleghi uomini/donne fanno cose per i loro motivi, non per i tuoi: comprendere quindi cosa può muovere un collega e/o collaboratore a fare o meno una determinata attività, mettendoti nei suoi “panni”con empatia, è l’atteggiamento più efficace da adottare.
Nel mio articolo dedicato alle differenze fra uomini e donne ti ho già parlato del fatto che gli uomini sono più orientati “al compito” e le donne “alla relazione”.
Quindi a proposito di empatia, continuo a parlare di queste differenze ispirandomi in parte e liberamente al testo di Jhon Gray “How to get what you want in the workplace” per precisare meglio quelle esistenti fra uomini e donne.
Mentre gli uomini generalmente comunicano all’unico scopo di risolvere un problema e/o portare a termine una attività, le donne comunicano anche per altri tre motivi: per dare e ricevere supporto emozionale, per alleviare tensioni e stress, per analizzare meglio un problema.
Capire questa differenza è un presupposto per disporre di una chiave di lettura del comportamento per migliorare l’empatia.
Vediamoli singolarmente.
Un’espressione quale “che giornata faticosa, non so se riesco a fare tutto quanto” per una donna è un modo di esprimere il suo stato emotivo e non ha alcuna finalità di biasimo (verso chi l’ha eventualmente “caricata di lavoro”) o di richiesta di aiuto (aspettativa che qualcuno la renda meno faticosa).
E’ solo un modo di alleviare la tensione e ricercare supporto condividendo uno stato emotivo negativo. Tipicamente, una collega donna fornirà il suo supporto con un “eh ti capisco, è una giornata lunga” , diversamente un uomo tenderà a minimizzare lo stress dicendo “ho visto di molto peggio”.
La differenza fra le due riposte è che la prima, per una donna significa implicitamente “vedo che esisti, ti capisco e rispetto il tuo stato d’animo”, diversamente nel secondo caso la riposta appare come un modo spicciativo per liquidare la questione e che tra l’ altro non produce, dal punto di vista della donna, alcuna visione positiva come invece sarebbe nell’intenzione dell’uomo.
Le donne attraverso l’espressione del loro vissuto alleviano la loro tensione, prima ingigantendo un problema, poi relativizzandolo attraverso il dialogo, per arrivare a rendersi conto, nel parlare, che la questione magari non era così importante come sembrava.
Un collega uomo legge questo “stra-parlare” come un tentativo di esonerarsi dal fare una cosa, un cercare scuse, un sottintendere “è troppo faticoso quindi non lo faccio”.
Anche un collega uomo può nutrire delle insicurezze rispetto al sapere fare o meno una cosa, o all’avere abbastanza tempo a disposizione, ma non lo manifesta.
Pensa internamente a sè quale soluzione può mettere in campo ed agisce. Questo processo solleva la tensione di un uomo rispetto ad un problema.
Lo stesso sollievo invece, una donna lo trova esprimendosi. Infatti, generalmente un uomo ha già chiaro quello che vuole dire prima di parlare, mentre una donna, generalmente inizia a parlare per poi scoprire gradualmente quanto vuole dire e per analizzare un problema.
Come possono quindi uomini e donne sul lavoro migliorare la loro empatia? Iniziando a comprendere i motivi che sottendono i reciproci comportamenti per inquadrarli nel giusto modo.
Quindi come prima cosa ti chiedo di ripensare al tuo vissuto lavorativo e di verificare se effettivamente ti ritrovi in questa descrizione e poi, da subito, di cominciare a porti rispetto all’altro sesso in modo differente, ora che conosci le motivazioni di fondo che giustificano queste differenze.
Ovvio che questi comportamenti valgono in media e generalmente: nulla esclude che ci siano donne con una forte componente di mascolinità che parlano solo per trattare uno specifico problema senza alcuna divagazione, e viceversa uomini con uno spiccato lato femminile che divagano rispetto alla trattazione di un tema condividendo un proprio sentire del momento.
Saper usare l’empatia significa tenere conto di queste differenze in modo da comunicare efficacemente.
Inoltre tutti i più recenti studi sulle neuroscienze e la scoperta dei neuroni specchio dimostrano che la “natura” o “diversità biologica” influenza solo in parte la nostra capacità di usare l’empatia, il cui sviluppo è comunque condizionato dall’educazione ricevuta e dall’ambiente esterno e sociale. (Qualora poi volessi approfondire la scoperta dei neuroni specchio ti consiglio il libro “So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio ” di Giacomo Rizzolati e Corrado Sinigaglia).
A questo proposito personalmente penso ad esempio, che la tendenza degli uomini a non manifestare le emozioni come fa una donna più naturalmente, sia legata alla cristallizzazione nel tempo del concetto dell’uomo Denim che non deve chiedere mai. Anche gli uomini vivono delle emozioni internamente, che per cultura e per la necessità di mantenere lo status di “forti” puntualmente nascondono o reprimono.
Poi, a prescindere dal tuo sesso, immaginati in una giornata particolarmente felice per qualche motivo: sei entusiasta, contento e magari muori anche dalla voglia di esternare quello che ti rende così contento, a qualcuno, o semplicemente, vorresti conservare questo tuo stato di grazia magari anche un po’ con la testa leggera leggera per aria. Ti si avvicina alla scrivania un capo/collega per parlarti di un compito congiunto che dovete portare a termine. La scena si svolge più o meno così:
“(senza saluti né nulla… ) avevamo da finire entro oggi quell’incarico. Vieni con me di là un attimo!”
Tu nel frattempo sei lì con la tua fibrillazione interiore di gioia e vorresti che qualcuno almeno ti dica almeno “wow che espressione soddisfatta che hai” .
Nulla di tutto questo. Il tuo collega ti ha rivolto un ciao a malapena e del tutto indifferente attaccata a parlarti di numeri, dati, cose da fare, Tizio che ha detto così poi fatto colà, l’altro che ha ritardato l’invio dei documenti che vi servono, e parla come un treno che va ai 400 km orari riempiendoti di sacchettini di parole senza sosta.
Eppure i treni ogni tanto la fanno una fermata, pensi dentro di te. Neanche i rapper professionisti parlano a quella velocità. Ma nulla. Tutto lo sproloquio, magari anche con un tono triste o monotono se non incazzoso finisce con un “ora fai questo!”.
Nel frattempo quasi divaghi con la testa ricavandoti un angolo di pace in mezzo a tutto quel parlare, sperando che termini il prima possibile.
Ecco, possiamo dire che questo è il contrario dell’empatia, ossia la capacità di entrare in sintonia con un’altra persona o di mettersi “nei suoi panni”. Io direi anche cecità emotiva, se possibile.
Le cose peggiorano notevolmente se, invece che trovarti in uno stato di grazia, fossi invece profondamente triste per qualche motivo, o preoccupato, e quindi, con poche energie e poca voglia di aprirti al mondo e interagire col prossimo.
In questo secondo caso magari ti aspetteresti, da un altro essere umano almeno un “tutto ok? Ti vedo strano/triste/silenzioso” o più genericamente una qualsiasi forma di genuina e umana attenzione per la tua persona tipo un semplice “ciao”…
Una parte di te magari pensa pure “sai a me quanto me ne frega dei tuoi dati e bla bla bla con questo pensiero martellante che ho nella testa che non mi da pace ben più importante di quanto mi stai dicendo”.
Ti è mai successo? Che sensazione hai provato?
Oppure sei tu uno di quelli che a prescindere da chi hai di fronte, fai sempre il rapper sul treno ai 400 km l’ora da tanto che sei fissato con i tuoi compiti/obiettivi/scadenze vedendo solo e soltanto te stesso e le tue incombenze?
Riconoscere gli stati d’animo altrui dagli indizi non verbali è sicuramente un punto di partenza per instaurare una comunicazione efficace usando l’empatia.
La postura, lo sguardo assente/presente, il tono di voce, l’espressione del viso, la respirazione bloccata come se uno stesse in apnea, o veloce come se avesse fatto un ironman al cardiopalma, il tipo di linguaggio usato, sono tutti elementi che entrano in gioco nella comunicazione sul lavoro e sono un termometro del tipo di scambio che è più o meno opportuno avviare, per un collega che, dotato di empatia, sappia appunto usare le circostanze a suo favore dopo averle osservate.
Quanto sei allenato a notarli? Tanto? Poco? Per nulla?
Quando li noti? Sempre, mai, occasionalmente?
Li noti poco sugli altri o anche su te stesso, cioè fai fatica a riconoscerti stati d’animo differenti di felicità, entusiasmo, gioia, rabbia, tristezza, paura, e annesse manifestazioni usuali nel mondo esterno, perché sul lavoro devi essere una macchina produttiva senza intoppi perciò tutto quanto entra nel campo della tua consapevolezza lo rifuggi per essere performante?
Quanto sei capace di esprimere i tuoi stati d’animo, senza soffocarli ma anche senza soffocare/travolgere un altro collega?
Un buon modo per migliorare l’empatia è, qualora anche tu abbia difficoltà con te stesso, iniziare a prestare attenzione al tuo linguaggio non verbale e alla tua vita emotiva. E’ un po’ difficile poterlo notare negli altri quando non siamo capaci ad osservarlo in noi stessi.
Come si fa? Osservati. Ascoltati. Senza giudizio rispetto ai tuoi vissuti emotivi e cognitivi. Spesso il censore interno che abbiamo, soprattutto se il nostro vissuto è negativo, tende a dirci “no, ma così non si fa, così non ci si fa vedere di fronte agli altri, così non sta bene” etc.. Il risultato finale? Si rischia di diventare delle foglie morte senza linfa. Ci si spegne.
Premesso questo, per “creare” rapporti lavorativi efficaci col prossimo usando l’empatia, è appunto importante considerare che questo prossimo esiste, è umano come te, ha gioie/difficoltà come te e magari ha bisogno di sentirsi “visto” prima di essere oggetto di “rapperaggio spinto”, romanticamente o aggressivamente connotato che sia.
L’uso dell’empatia consente di creare un clima di fiducia, apertura e reciproca comprensione ed è presupposto basilare per una comunicazione efficace.
Vuoi allenarti ad entrare in empatia con i colleghi? Allenati ad osservare gli altri in generale.
Tutti i momenti sono buoni: in attesa davanti alla fermata del treno, bus, metropolitana, in coda alle poste, al supermercato, invece che tenere la testa impiantata dentro al tuo smartphone, osserva gli altri e il loro modo di parlare, la postura fisica, lo sguardo, l’espressione, improvvisamente ti renderai conto di far parte di un mondo che non necessariamente è rinchiuso nei profili facebook o instagram delle persone. Dal vivo c’è il sonoro! E’ più interessante!
Per quanto mi riguarda, ad esempio, pur considerandomi una persona dotata di empatia, ho fatto comunque questo esercizio, soprattutto per impegnare i momenti di attesa che consideravo come “tempi morti” finchè un coach uomo (vedi vedi che anche gli uomini badano a queste cose) mi ha suggerito ironicamente come potevo sfruttarli, con la freddura “perché, per te esistono i tempi vivi e i tempi morti, oppure i tempi che consideri morti puoi farli vivere in qualche modo?”.
Ovvero potevo “ammazzare” quella che per me era la noia mortale delle attese, in momenti di “sperimentazione” , “osservazione” e “allenamento” all’empatia. Rafforzare la sensibilità ad osservare e riconoscere il linguaggio non verbale degli altri mi è servito molto. E nella vita in generale.
Una volta che hai acquisito una maggiore capacità tanto di leggere meglio te stesso quanto gli altri, cosa ci fai?
Usi questa tua capacità per costruire relazioni più efficaci, dosando l’espressione della tua emotività, delle parole che usi e il momento adatto per parlare considerando anche l’altra persona nella tua conversazione non come un soprammobile che è lì per rispondere a dei comandi, ma come un umano.
Anche semplicemente proporre una idea o iniziativa o affrontare una discussione quando l’altro non è presente a sufficienza se non addirittura indisponibile, è controproducente sia per te, che corri un elevato rischio di non ottenere il tuo obiettivo, che per l’altra persona che magari ti archivia nella RAM della sua memoria come persona sgradevole con cui avere a che fare e senza empatia. Poi non lamentarti se i colleghi ti scansano!
[Tweet ““Sono umano, e niente che sia umano mi è estraneo”. cit. Erich Fromm”]
Ricapitolando ti ho spiegato la differenza fra i motivi per i quali in genere uomini e donne comunicano sul lavoro, cosa è l’empatia in modo pratico, ti ho dato spunti di riflessone per imparare a guardare meglio a te stesso, ti ho detto che l’avere empatia non dipende dalla tua diversità biologica di uomo e donna, ma più da fattori culturali/educativi/ambientali e ti ho dato un primo esempio pratico per allenarti ad osservare gli altri per costruire una modalità comunicativa empatica efficace.
Tornerò ancora sul tema dell’empatia, del linguaggio non verbale e delle modalità con cui sviluppare o affinare le tue capacità di utilizzare l’empatia a tuo vantaggio.
Nel frattempo lasciami un commento e dimmi quali riflessioni hai fatto o quale argomento vorresti fosse trattato o approfondito.
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CARRIERA LAVORATIVA: IL POTERE È PIACERE? COME CAPIRLO
Ciao e Benvenuto a Lavorare col Sorriso!
Rincorrere il potere nella carriera lavorativa è davvero fonte di piacere? In questo articolo ti guido a valutare il potere in modo provocatorio: sul suo significato, sulle sue implicazioni, su come lo vivi, gestisci, ambisci o subisci, e sulla quantità di PIACERE che vuoi per la tua vita.
[Tweet “”Il potere logora chi non ce l’ha. ” cit. Giulio Andreotti”]Il concetto di potere nella carriera lavorativa è sempre andato di pari passo con il genere maschile, mentre negli ultimi 50 anni le rivendicazioni di parità delle donne hanno insinuato una grossa crepa nel potere concepito in modo patriarcale, in tutti i settori lavorativi.
Oggi la rincorsa al potere nella carriera lavorativa non è più una prerogativa solo degli uomini, ma anche delle donne, e questa modificazione culturale ha condotto, probabilmente, anche ad una modificazione del rapporto di potere fra i due generi, ad oggi, ancora non ben digerita e metabolizzata, a leggere quanto ci offrono le cronache.
Ma andiamo per gradi, in questo articolo voglio restare focalizzata sul rapporto che i lavoratori in genere, uomini e donne, hanno con il potere e sul rapportoi che esiste fra potere e piacere.
Immaginati vestito/a di tutto punto, al meglio della tua forma fisica, che contempli il tramonto che si dispiega di fronte a te dalla stanza del tuo ufficio personale situato all’ ultimo piano di un fantastico grattacielo mentre stai per prendere una qualche decisione che impatterà pesantemente sulle sorti della tua azienda.
Hai la fortuna di sentire i rumori di sottofondo come un vago ricordo, perché da lassù, puoi permetterti di guardare il mondo dall’alto perso nei suoni ovattati. Hai una limousine che ti aspetta in strada con tanto di autista, e uno stuolo di uomini/donne pronti a scattare ad ogni tua richiesta.
Sei instancabile, gestisci problemi e difficoltà di ogni genere senza battere ciglio, senza perderti mai d’animo, con una energia infinita, sempre pronto, brillante, con la battuta pronta.
Sei distaccato quanto serve a non farti sopraffare dai mille impegni e responsabilità che hai. Hai persino una scrivania Skin Touch – quelle che a seconda del tocco con cui ti appoggi si trasformano in esecutori seriali .
Normalmente di districhi fra eventi VIP e personaggi noti e famosi e la tua presenza di per se stessa in qualche luogo, genera l’evento dell’anno.
A colazione mangi fette di pane con spalmati sopra gli indici Standar & Poor o Moody’s.
Cosa dici, ironia a parte, pensi che possa essere una descrizione “calzante” di uomo/donna di potere nella carriera lavorativa?
Tornando da Hollywood alla realtà, in media, accanto alla parola potere spesso le cronache accostano immagini di faccendieri di vario ordine e grado che già ricchi o arricchitisi dopo, già seduti su alte cariche continuano ad avere una smania infinita di soldi, titoli e imprese da compiere, non sempre degne di ammirazione… E magari alle spalle di poveri disgraziati.
Così come, sempre le cronache, possono regalarci esempi di esercizio del potere degni di ammirazione.
Sei d’accordo con la celebre affermazione che il potere logora chi non ce l’ha?
Il concetto di potere nella carriera lavorativa solitamente ruota intorno ad altri due concetti: denaro e posizione sociale di “rango/establishment elevato”nonché autorità.
Allora sono andata a rispolverarmi la definizione della parola potere il cui significato è “capacità di influenzare”.
E sono stata quindi costretta a domandarmi: a me piace influenzare o no le persone e le circostanze?
La riposta è stata si. Quindi a me piace il potere.
Tutto sta a vedere che tipo di potere, da esercitare in quali contesti, e a quale fine.
Ed è una valutazione del tutto soggettiva.
Che ti piaccia o meno, tutti noi, nelle nostre relazioni di lavoro, amicali, affettive, in qualche modo esercitiamo un potere.
Di per se, il concetto di influenzare l’ambiente che ci circonda è un dato di fatto. Né positivo, né negativo. Condizioniamo, plasmiamo, influenziamo in qualsiasi interazione della nostra vita.
Ma la riflessione che ti invito a fare è: mettiamo che tu abbia il legittimo diritto di vedere e vivere il tuo lavoro come un mezzo per ottenere una carriera lavorativa di potere.
E il potere, come si sposa con il concetto di piacere che penso sia una condizione nella quale noi tutti ambiamo a vivere, uomini e donne, indistintamente? (se invece amiamo il dolore, abbiamo più che qualche riflessione da fare e anche molto seriamente…)
Alexander Lowen (prima avvocato, poi medico chirurgo specializzato in psicologia…giusto per dirti che di vite rampanti pur qualcosa ne conosceva), nel suo libro “Il piacere” sostiene che “il lavoro può essere piacere quando le richieste che implica impegnano in maniera equa e libera le energie di un individuo”.
Dice anche che “il piacere è la forza creativa della vita. E’ l’unica forza abbastanza possente da opporsi alla potenziale distruttività del potere”.
Questo concetto implica che il potere possa essere potenzialmente anche distruttivo e quindi, in ultima analisi, allontanare dal piacere.
Sei caduto dalla sedia? Aspetta, continua a leggermi.
Nell’ambiziosa corsa verso il potere normalmente strettamente connesso con l’ottenere ruoli prestigiosi (ottenendo spesso a cascata anche denaro e un visibile riconoscimento sociale), implica anche il saper convivere armoniosamente con la tensione legata ai carichi di stress e responsabilità da gestire, e le decisioni da prendere.
Decidere fra l’altro è una delle attività più stressanti per un umano (penso sia abbastanza nota la storia di Zuckerberg che ha un armadio con x maglie tutte uguali dello stesso colore per evitare di dover spendere tempo a scegliere quale indossare, preservando le sue energie mentali per decisioni più impegnative).
Spesso darsi da fare per rincorrere il potere è ppunto una corsa verso il futuro.
Quando avrò lo yacht di 16 metri, quando avrò i soldi per fare tutte le vacanza nei resort di lusso, quando potrò iscrivermi ai più esclusivi club di golf, lancio del nano, (come nel film “The wolf of Wall Street”) quando avrò ai miei piedi tutte le donne che vorranno salire sulla mia Ferrari, quando avrò i soldi per comprare le Manolo Blanich di ultima generazione senza fare troppe rinunce come faccio ora, quando …, quando …, quando…. Appunto. Quando?
Ti dico un’altra cosa … toccando ferro nel dirla …hai mai considerato l’idea che a quel famoso quando potresti anche non arrivarci mai?
E che l’unica cosa di cui puoi essere sicuro è che sei vivo QUI e ORA? Scommetto di no.
Scommetto che, schiacciato dalla routine quotidiana, ti ricordi di non essere eterno/a solo se e quando la vita ti dà degli scossoni talmente forti che non puoi non fermarti per un attimo a pensare.
Poi la vita ricomincia. E passi le tue giornate procrastinando magari all’infinito qualcos’altro a cui tieni oltre al lavoro, nella tua convinzione che un giorno potrai fare la tal cosa, dato che sei eterno un pò come gli Dei della Grecia Antica.
Beh Federica, allora mi stai dicendo che nessuno deve più ambire ad una carriera lavorativa di potere? No.
Ti sto solo invitando a fare una riflessione sul significato del successo per come è comunemente inteso, e le implicazioni che il successo può avere sulla tua vita e farti riflettere su quanta dose di potere e quanta di piacere vuoi che siano presenti nella tua vita OGGI che è l’unico dato certo di cui disponi (almeno se stai leggendo adesso questo articolo).
Che rapporto hai con il potere e che influenza ha su di te il potere esercitato dagli altri?
Sei una di quelle persone talmente affascinate dal potere che faresti qualunque cosa in cambio di una carriera lavorativa fatta di denaro e successo?
Sei una di quelle persone che vive di luce riflessa del potere di altri, ossia provi piacere nel potere annoverare la tal persona di successo fra le tue frequentazioni?
Oppure ti piace relazionarti in ambito lavorativo preferibilmente (o solo) con chi ha raggiunto alti gradi nella carriera lavorativa e ricopre posizioni “alte” nell’organizzazione, altrimenti ti senti sminuito ad interloquire con i comuni mortali?
Se si, i colleghi con cui ambisci a relazionarti sono anche persone di valore? Ossia si distinguono per qualità personali, valori, conoscenze e competenze, oltre al fatto di aver fatto una gran carriera lavorativa?
Sotto sotto consideri inferiori le altre persone che non possono fregiarsi di qualche titolo, a prescindere dal valore che hanno come esseri umani?
Oppure ti senti succube del potere nel senso più negativo: o perché talvolta ti trasformi in una brutta copia in miniatura del potente di turno, da emulare, per poterne poi prendere il posto o guadagnarsi la scalata ai piani superiori.
Oppure perché lo subisci del tutto mettendoti in una posizione di sudditanza psicologica al punto che a volte dubiti della tua dignità?
Oppure, ancora, il concetto di potere ti lascia indifferente?
A te quanto piace poter influire sul tuo contesto lavorativo e sulle persone? Con quale finalità? In che modo?
Spostando ora il focus sul concetto di piacere, cosa significa provare piacere per te?
Ho detto piacere, non felicità, non divertimento, non intrattenimento, che sono concetti affini ma non identici…(di cui avrò occasione di parlare in futuro).
Il piacere innanzi tutto è “uno stato percepibile a livello fisico, è un modo di essere, è un fluire libero, creativo di energia, uno stato di eccitazione, un sentirsi pienamente vivi”, come lo definisce Alexander Lowen nel suo omonimo libro (-link di affiliazione).
Per capirci meglio…pensa a quando sei impegnato a fare la tua attività preferita… che quasi quasi il tempo passa senza che tu te ne accorga mentre provi “piacere” intrinseco da quello che stai facendo, e non esistono interruzioni di sorta, pensieri disturbanti.
Sei completamente e piacevolmente assorto in uno stato di “tranche” e leggerezza di spirito che avverti anche nel corpo. Caschi il mondo tu sei preso nella tua passione preferita. Ecco, quello si chiama piacere.
Questo piacere lo provi anche nell’ambito della tua corsa verso le vette della carriera lavorativa? Se si, sei a cavallo. Ti aspetta una vita meravigliosa.
Ipotizziamo che tu desideri il potere e l’autorità che ne consegue.
Hai mai pensato a come la necessità di mantenere una “posizione autorevole” possa entrare in conflitto con i tuoi sentimenti ed emozioni?
Perchè saprai meglio di me che arrivare a ricoprire nella carriera lavorativa ruoli di potere necessita un impiego di diplomaticità, ed equilibrio, come minimo, che poco hanno a che vedere con la spontaneità. Implica anche prendere decisioni, magari scomode e convivere sereni con il fatto di avere magari deluso qualcuno.
Se si, quanto ti costa? Ti viene agevole o fai una fatica immane?
Insegui il successo per poterti distinguere dalla “folla”?
Se si, hai mai considerato che in questo caso avrai sempre bisogno proprio di questa folla da cui vuoi distinguerti per poter mantenere il consenso che ti conferisce il “successo” che hai ottenuto o vuoi ottenere?
Perchè ti è utile rifletterci?
Perchè guardarti dentro e capire cosa fa al caso tuo o meno, capire quanto piacere intrinseco sperimenti seguendo una strada piuttosto che un’altra, influisce sensibilmente sulla qualità della tua vita lavorativa e non solo.
E tu, che genere di potere insegui? In quale ambito della tua vita? Verso chi lo vuoi esercitare? Come lo vuoi esercitare? Quali rinunce sei disposto/a a fare? Quali benefici ti attendi?
Quanto piacere vivi nel tuo presente, o speri di vivere nel tuo futuro?
Quale “mix” di potere e piacere pensi sia più consona al tuo benessere?
Pensi che ambire a ruoli di potere nella carriera lavorativa sia una prerogativa per entrambi i generi oppure sotto sotto, se sei donna, pensi di non potercela fare mai? Oppure se sei uomo ritieni che le posizioni di potere non siano adatte alle donne?
Ti ho parlato di potere e piacere, di cosa siano e che conseguenze possono avere sulla tua vita; nei prossimi articoli ti darò strumenti utili a capire meglio quale percorso di crescita professionale faccia al caso tuo, e a capire meglio quale mix di potere/piacere sia consona al tuo benessere.
Ti anticipo che questa valutazione ha molto a che fare anche con il tempo , con la consapevolezza che hai di te stesso, e con i tuoi valori ed ha poco a che vedere con le distinzioni di sesso.
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Federica Crudeli

DIFFERENZE FRA UOMINI E DONNE. CAPIRLE TI AIUTA
Ciao e benvenuto a Lavorarecolsorriso!
Questo è il primo articolo introduttivo sul tema: uomini e donne sul lavoro e le differenze, ed è, in parte, liberamente ispirato dal testo “How to get what you want in the workplace” di Jhon Gray (link di affiliazione).
Immagino che tu, uomo o donna, abbia riconosciuto nella tua esperienza una significativa differenza nel modo di approcciare la vita in generale rispetto a persone dell’altro sesso… e qui le battute potrebbero sprecarsi come nel celebre film “La guerra dei Roses” … ma non è mia intenzione fomentare l’idea che questa diversità sia dannosa.
Conoscere queste differenze credo che contribuisca a Lavorare col Sorriso piuttosto che adombrarsi spendendo tempo prezioso dietro ad incomprensioni inutili o riponendo l’uno nell’altro aspettative che puntualmente potrebbero essere disattese.
Aspettative che peraltro, in genere, non sono limitate solo all’ambito lavorativo ma anche al di fuori. Quindi conoscerle ti sarà di aiuto anche al di fuori del contesto lavorativo.
Parto con una premessa doverosa: in teoria, sul posto di lavoro, si viene assunti per dare il meglio di se, perché si è valutati come candidati idonei a ricoprire certe mansioni, e non perché si è simpatici.
Quindi la prima domanda che ti faccio, che tu sia uomo o donna, è: quanto è importante per te risultare per forza simpatico a tutti sul posto di lavoro?
Vivi cercando di riscuotere sempre simpatia fra i colleghi? Quanto ti infastidisce sapere che con qualcuno, malgrado tanti sforzi e tentativi proprio non riesci a trovare la chiave per entrare in sintonia?
Se si, hai da domandarti come mai ti interessi tanto. E a questo proposito nella categoria di articoli dedicati alla consapevolezza e gestione di sè pubblicherò articoli che ti aiuteranno a fare i conti con questo e altri temi e a prendere le misure più opportune per te (nel frattempo puoi cominciare con il leggerti l’articolo “Benessere in ufficio: questo sconosciuto? 5 risposte” e l’articolo “Manager o Leader? Quale tipo sei?” )
Altra doverosa premessa è che sul posto di lavoro, le persone non hanno un interesse personale nei tuoi confronti.
Pensa a quando qualcuno all’ultimo minuto ha disertato ad una riunione così importante per un tuo progetto causandoti problemi, o a quando qualcuno non ti ha mandato dei documenti in tempo per rispettare una scadenza importante, o a quando qualcuno è insistente per ottenere da te una cosa che è molto in contrasto con qualcosa d’altro che sai benissimo di non poter fare.
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Uomini e donne, sul lavoro, fanno cose per i loro motivi.
E non necessariamente i loro “buoni motivi” possono coincidere con i tuoi.
Anzi, spesso può accadere che perseguire questi loro “buoni motivi” abbia una ricaduta negativa su di te e il tuo lavoro, ma solo come conseguenza del tutto incidentale, non come volontà premeditata di nuocerti.
…Semplicemente un collega ha pensato a se stesso, a quello che doveva fare e non ha pensato neanche per un secondo a come, quello che stava facendo, avrebbe potuto nuocerti in termini lavorativi.
Ci hai mai pensato? Oppure tendi a personalizzare tutti i comportamenti da parte degli altri come atti volutamente compiuti per nuocere a te o screditarti o farti fare brutta figura?
Intanto diciamo che se tu cominci a pensare appunto che uomini e donne, sul lavoro, fanne le cose in funzione di un loro interesse e con una intenzione positiva, a prescindere che ciò sia vero o meno, cominci a vedere e vivere diversamente molte cose. Comincia subito!
Lo so che stai pensando che esistono uomini e donne che invece fanno le cose proprio col proposito di nuocerti, ma ti invito a fare una riflessione.
Pensa a tutti i tuoi colleghi e a tutte le volte che hanno fatto qualcosa che ti ha generato “grane”. In quanti casi e quante di queste persone pensi che abbiano avuto un reale interesse “a farti del male, screditarti, metterti in cattiva luce”?
Riesci ad individuare, mettendoti dal loro punto di vista, dei motivi validi che potrebbero aver indotto un comportamento che, a cascata, si è ripercosso su di te in senso negativo?
Magari il non darti un documento nei tempi utili per te, dal punto di vista dell’altro, era legato alla volontà/dovere di condividerne il contenuto con il suo superiore che però, essendo fuori in trasferta o preso da altre urgenze, glielo ha consentito una settimana dopo.
Avere messo a fuoco questa cosa ti aiuta a Lavorarecolsorriso o no?
Qualora tu poi abbia a che fare con uomini e donne che invece, di proposito, adottano comportamenti poco corretti, ( e ci credo che ne esistano a bizzeffe…) nella categoria di articoli dedicata ai rapporti lavorativi con capi, colleghi, collaboratori approfondirò anche il tema della gestione dei rapporti con personalità particolarmente resistenti, partendo con la riflessione “Rapporti fra colleghi: 7 modi per farsi odiare. Quanto ci metti del tuo?” per introdurti al tema dell’intelligenza emotiva e di come il saperla utilizzare e sviluppare può semplificarti la vita e sia importante anche per le tue ambizioni di crescita professionale.
Veniamo al dunque, quale è una delle principali differenze fra uomini e donne sul lavoro?
Millenni di evoluzione non hanno cambiato una differenza fondamentale fra i due sessi che ancora oggi, seppure in modo molto diverso, persiste, e che continua puntualmente ad esse ignorata con tutte le conseguenze del caso. L’uomo era cacciatore, focalizzato sul procacciarsi il cibo per se e la famiglia, mentre la donna si occupava della crescita dei figli, di tutte le attività domestiche e molte altre attività.
Ancora oggi quindi, gli uomini sono più orientati al “compito” le donne, invece, alla “relazione”. Generalmente gli uomini sono più stabili emotivamente, usano meno parole, le donne invece sono più emotive, comprensive, empatiche e “chiacchierone”.
Gli uomini usano la comunicazione principalmente per risolvere problemi, svolgere una attività assegnata, ottenere informazioni finalizzate ad uno scopo. Fanno una cosa alla volta.
Mentre le donne ne fanno 10 contemporaneamente. Generalmente poi gli uomini si considerano tanto più competenti quanto meno parole riescono ad utilizzare per esprimere un determinato “punto”.
Può accadere che un uomo parli molto, ma solitamente, quando la fa, lo fa in modo che ogni parola spesa sia necessaria e focalizzata, essenziale, e in sequenza lineare per formulare una conclusione logica.
Le donne tendono a comunicare sia per risolvere i problemi, ma che per minimizzare lo stress, sentirsi meglio, alleviate da un peso, creando legami emozionali per rafforzare le relazioni così come stimolare la creatività.
Spesso il modo di comunicare di una donna può dare l’impressione ad un uomo che essa dubiti delle sue capacità nel dimostrarsi aperta anche ad altri punti di vista.
L’inclinazione della donna ad entrare in relazione empatica, spesso può essere letta da un uomo come una ricerca di approvazione, indicatore di insicurezza, mentre invece è legata alla volontà femminile di ricercare sostegno empatico, e consenso.
Difatti, quando una donna va direttamente a trattare “il cuore” di una questione generalmente è l’indicazione che non stima/rispetta abbastanza quell’uomo al punto da voler creare un rapporto “amichevole”, mentre al contrario, la tendenza naturale dell’uomo a focalizzarsi in modo coinciso e sbrigativo senza troppe parole su una questione, non necessariamente implica che non stimi o sia arrabbiato con una donna. Gli uomini tendono a minimizzare i problemi per alleviare lo stress, le donne invece tendono a “fomentarlo” per poi trovare sollievo nell’espressione dei loro sentimenti ed emozioni.
Cosa ne dici, questa prima differenza ti fornisce una chiave di lettura utile per tutte le volte che, in quanto donna, ti sei sentita “messa da parte” da un collega che è andato dritto al punto?
E tu, in quanto uomo, puoi iniziare a dubitare meno della sicurezza di una tua collega, ora che sai che gli orientamenti comportamentali naturali dell’uno e dell’altro sono così diversi?
Saperlo ti aiuta a pensare che puoi migliorare la qualità dei tuoi 8 tempi lavorativi e non?
Pensi che, date queste differenze, i ruoli di potere siano una prerogativa di uno dei due sessi in particolare?
Ti è stato utile questo articolo?
Tu quali differenze percepisci in modo più evidente nell’affrontare il lavoro, fra uomini e donne?
Mi piacerebbe conoscere la tua opinione al riguardo.. lasciami i tuoi commenti!
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Federica Crudeli

MANAGER O LEADER? QUALE TIPO SEI?
[distance1]Ciao e Benvenuto a Lavorare col Sorriso!
La consapevolezza di sè: manager, leader, perfezionista, diplomatico, creativo, altruista, pensatore, scettico, avventuriero, mediatore … che carattere hai? Quali schemi ripeti? Come ti vedono gli altri? Perchè è importante saperlo? Oggi ti parlo di 9 tratti caratteriali, frutto di una sapienza antica, con cui è possibile “andare nel mondo” che ti guideranno a riconoscerti!
Utilizzando provocatoriamente il concetto di un filosofo esistenzialista , che suona come un po’ ironico:
[Tweet “”Ognuno è condannato ad essere se stesso…” cit. J.P. Sartre”]
Quando è che essere se stessi diventa una condanna? Quando sia ha una scarsa consapevolezza di sè.
Schemi di comportamento ripetitivi e disfunzionali
Ripensa a tutte le volte che sul lavoro hai reagito come un mitra a qualche atteggiamento di altri senza darti il tempo di riflettere per poi pentirtene … la tua consapevolezza dove era?
Ripensa magari a quando hai mancato, per l’ennesima volta, di asserire quello che pensavi scegliendo in automatico di abdicare alle tua capacità relazionali e rimuginando su quel non detto per le successive tre ore o magari giorni…
Ripensa a tutte le volte che ti sei ritrovato solo con te stesso a dire che proprio non potevi fare a meno di comportarti in un certo modo, anche se avresti voluto fare diversamente, ma c’è sempre quel qualcosa più grande e forte di te che ti spinge in una direzione e non riesci a controllarti, un po’ come se avessi inserito un pilota automatico che ti guida in una direzione mentre tu resti a fare i conti con il tuo senso di impotenza di fronte a te stesso.
Ognuno di noi, nessuno escluso (se può consolarti) in alcune occasioni attiva questo pilota automatico anche quando la direzione è un burrone, ovvero può manifestare schemi comportamentali disfunzionali (e inconsci, noti anche con il termine “coazione a ripetere”) talmente radicati a causa di “introiezioni” pregresse che, sebbene in ultima analisi allontanino da un obiettivo, non c’è nulla da fare, ti portano dalla parte sbagliata.
Non averne la consapevolezza significa esserne schiavi.
Se ti stai domandando cosa significhi “introiezione”, ti dico che l’introiezione è un meccanismo di “assimilazione” di alcuni comportamenti che è avvenuto quando ancora non disponevi degli strumenti “adulti” per poter distinguere cosa fosse il caso di fare tuo da cosa non lo era. Più introietti hai, meno sei consapevole.
Continuo con il proposito di guidarti verso una maggiore consapevolezza di te stesso da un altro punto di vista: con l’articolo di oggi ti parlerò di Enneagramma, una chiave di lettura del carattere (ne seguiranno altri sul tema) che ti sarà utile:
[list-ul type=”arrow”][li-row]per aumentare la consapevolezza di te stesso, con conseguenti ripercussioni positive anche in termini di crescita professionale, ad esempio per disporre di qualche elemento in più per valutare la coerenza fra il tipo di lavoro che svolgi e i tuoi tratti caratteriali[/li-row][li-row]per divertirti a “riconoscere” il tuo carattere e quello delle persone che ti circondano e ad osservarne meglio i comportamenti in modo più distaccato e oggettivo al fine di entrarci in relazione se ti interessa o se le circostanze lavorative “ti obbligano” a farlo[/li-row][/list-ul][distance1]
Cos’è l’Enneagramma?
L’Enneagramma è una delle mappe esistenti per la comprensione della personalità umana ossia una chiave di lettura del comportamento umano la cui conoscenza aumenta la consapevolezza. Può essere utilizzato anche dalle risorse umane in ambito organizzativo nella valutazione dei candidati.
L’Enneagramma è stato introdotto in occidente all’inizio del ‘900 da Georges I. Gurdjieff, dopo averlo riscoperto in Asia centrale, in quanto frutto di una tradizione che si è tramandata per via orale partendo da una sapienza antichissima (ennea dal greco 9 e gramma segno).
E’ stato poi sistematizzato da Oscar Ichazo e da Claudio Naranjo in chiave psicologica in tempi recenti.
In sintesi, possiamo distinguere 3 famiglie caratteriali: gli istintivi (tipi 1-8-9), gli emotivi (tipi 2-3-4), i razionali (tipi 5-6-7), che tendono a mettere in campo nel vissuto della realtà rispettivamente: rabbia, tristezza e paura come principale sentimento di riposta al contesto ambientale, per un totale di 9 tratti caratteriali o “enneatipi”. Ogni singolo tratto è poi dominato da una “passione dominante”e da una “fissazione” specifica.
Specifico che parlo di tratti caratteriali proprio perché ogni essere umano è unico e non etichettabile e queste sono solo chiavi di lettura e comprensione che sono convinta tu ritroverai nel tuo quotidiano …
Ad esempio… fai mente locale alle persone che conosci. Ti è mai successo di notare che alcune persone sono accomunate/simili nella loro fisicità, nelle parole che usano, nel modo di affrontare la vita, nella carica vitale che hanno? Sono tutte diverse e uniche, ma accomunate da “tratti” distintivi.
Oppure di avere nella cerchia di amici e colleghi, persone che sono “etichettate” per una loro caratteristica particolarmente visibile e genericamente riconosciuta non solo da te ma anche dagli altri? Scommetto di si.
Come scommetto che anche tu puoi contare su una serie di nomignoli e soprannomi che nascono da una tua qualche predisposizione caratteriale.
Divertiti un po’ adesso. Guarda a te stesso e pensa ai tuoi colleghi e vedi se riesci a ricondurli a quello che leggerai sotto.
Intanto vediamo un assaggio…
Come si legge l’Enneagramma?
[list-ul type=”arrow”][li-row]Le ali –sono le porzioni di cerchio a destra e sinistra di ogni tipo e stanno ad indicare le sfumature caratteriali rilevabili in un individuo. Di norma un enneatipo assume anche i connotati caratteriali di uno e uno solo dei due enneatipi attigui.[/li-row][li-row]Le direzioni – sono le linee che partono da ogni “carattere base” puntando ad altri due ed indicano le modalità comportamentali caratteristiche di un altro enneatipo, che un “carattere base” può attivare in condizione di stress o in condizioni di serenità.[/li-row][/list-ul]
In alcuni tipi, inoltre, è possibile rintracciare in modo più significativo un bisogno nucleare dell’infanzia che è stato percepito come negato e di cui ho iniziato a parlarti nel mio articolo “Il corpo, non mente?Riflettici” : parlo dei tipi 1, 2,5,8 e 9.
[button url=”https://lavorarecolsorriso.it/wp-content/uploads/2016/04/leggi-lEnneagramma.pdf” target=”_blank” color=”jade” size=”medium” border=”true” icon=””]Leggi l’Enneagramma[/button]
Torno a dire … a cosa ti serve conoscere l’Enneagramma?
Beh… ogni persona filtra il suo sguardo sul mondo in modo completamente diverso. Se nella tua vita lavorativa hai provato spesso la sensazione di parlare e non essere capito, forse è perché ti manca la chiave di lettura giusta per entrare in relazione con una determinata persona (e magari anche per guardare a te stesso con un occhio diverso dal solito e più consapevole).
Parliamo tutti la stessa lingua eppure, spesso, non ci capiamo proprio, con annesso dispendio di tempo ed energie mentali per tentare di raggiungere obiettivi comunicativi puntualmente mancati.
Nei miei articoli ti condurrò alla scoperta di come sia possibile entrare in relazione, se le circostanze te lo richiedono, anche con i colleghi che vivi come molto distanti da te, così come ad aumentare la consapevolezza che hai di te stesso. E scoprirai come questo ti tornerà utile non solo sul lavoro, ma ovunque e con chiunque.
Quali conseguenze ha avere un certo carattere, ovvero essere un certo enneatipo?
A questo proposito ritorno alla frase iniziale “ognuno è condannato ad essere se stesso” e al concetto del pilota automatico. Ogni enneatipo ha una tipologia di pilota automatico differente ma normalmente attivato in certe circostanze.
Capire quali siano queste circostanze e cosa lo fa scattare, significa disporre di uno strumento in più per disinserire il proprio pilota automatico ed evitare il burrone, e neutralizzare gli effetti subiti dall’inserimento del pilota automatico “altrui”.
Ti sei riconosciuto in una di queste descrizioni sintetiche?
Si? continua a seguirmi nei miei articoli.. scoprirai cose ancora più interessanti su di te.. e come l’essere caratterizzati da alcuni tratti influenzi il tuo modo di manifestarti del mondo in termini di pensieri, emozioni, energia, gestione dei rapporti con gli altri …e come sia possibile disinserire il pilota automatico “smussando” alcuni tratti non funzionali alla tua crescita personale e professionale.
No. Fai fatica a riconoscerti? O ti sembra di riconoscere alcune tue caratteristiche in più enneatipi diversi? Nulla di strano, crescendo ognuno di noi puoi “mixare” i suoi tratti base con altri tratti.
In questo caso ti invito intanto a fare mente locale alla tua infanzia, dove le reazioni primarie nel mondo erano ancora incontaminate, istintive e poco filtrate da dettami educativi,scolastici e religiosi.
Ripercorri mentalmente i tuoi primi anni di vita. Quale sentimento pensi di aver sperimentato più spesso, in modo istintivo, o ti veniva più naturale “sentire” nei momenti che hai vissuto come brutti o di difficoltà? La paura, la rabbia, o la tristezza?
Ripensarci ti avvicina adesso un po’ di più all’identificazione con uno di questi tipi?
Seguimi nei miei articoli.. approfondirò anche il tema dei bisogni negati e di come fare a capire bene come si sono formati, se ce ne sono stati nel tuo caso e se il fatto che tu ancora oggi, inserisci il pilota automatico, abbia qualcosa a che fare con il tentativo perpetuo di soddisfare un bisogno che vivi come una mancanza senza accorgertene.
Riconosci immediatamente questi tratti caratteriali nel tuo capo o nei tuoi colleghi e collaboratori, o altre persone con cui hai normalmente a che fare?
Quali riflessioni ti suscita leggere queste cose?
Fammi sapere cosa ne pensi lasciandomi i tuoi commenti.
Continua a seguirmi, ho intenzione di entrare nel dettaglio dei singoli enneatipi nei futuri articoli, per mostrarti in che modo ognuno di essi può superare le “resistenze” tipiche del proprio carattere disinserendo il pilota automatico per instaurare relazioni lavorative più proficue ed imparare a Lavorare col Sorriso!
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Federica Crudeli
Qualora tu sia interessato ad approfondire da solo questo tema, ecco un riferimento (link di affiliazione).
A scanso di equivoci … è una lettura “impegnativa”…
L’enneagramma. La geometria dell’anima che vi rivela il vostro carattere
2 feb. 1996 di Helen Palmer e G. Fiorentini
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