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INSICUREZZA: FACCIAMO CHIAREZZA!
Ciao e Bentornata/o a Lavorare col Sorriso!
Cosa è l’insicurezza? Facciamo chiarezza! Oggi ti parlo di cosa è, degli effetti collaterali che ha, quando nasce, di come riconoscerla, di come gestirla e di come esserti amico!
[Tweet ““ Mi chiedi qual è stato il mio più grande progresso? Ho cominciato a essere amico di me stesso”– cit. Seneca “]Lo spunto per il post nasce da una recente conversazione sul tema.
Penso abbia più senso parlare degli effetti dell’insicurezza, dato che definirla secondo una sintesi dei manuali di psicologia equivale a:
“avere poca fiducia in se stessi, dubitare delle proprie capacità di riuscita in uno o tutti gli ambiti della vita e dubitare molto frequentemente del proprio valore o sentirsi frequentamente minati/intaccati/rifiutati nel nostro valore a seguito di inneschi esterni” .
E definita così potrebbe continuare ad essere un concetto poco chiaro.
Ci sono moltissime persone che si muovono nel mondo in modo deciso, estroverso, sicuro, ma sono, in ultima analisi, insicure.
L’insicurezza difatti è un atteggiamento che poco ha a che fare con come ci muoviamo nel mondo esterno ma molto ha a che fare con come noi ci rapportiamo a noi stessi.
L’insicurezza non ha nulla a che vedere con l’avere dei legittimi dubbi di fronte ad una scelta o al mettersi in discussione di tanto in tanto, o al chiedere consigli/pareri/opinioni.
Parlare in termini di effetti dell’insicurezza forse semplifica le cose.
Quindi che effetti ha l’insicurezza interiore?
Alcuni esempi sono:
la paura di essere inadeguati alle circostanze o il temere di non essere all’altezza delle situazioni;
lo scambiare una divergenza di opinione su un tema come un attacco a tutta la propria persona;
sentirsi giudicati sul proprio operato o molto suscettibili frequentemente: basta una mezza parola su un compito svolto poco gradita che la persona si sente denigrata/umiliata/derisa/presa in giro/cretina/stupida;
l’attaccare per difendersi anche quando non è appropriato alle circostanze;
il dubitare frequentemente se una nostra opinione ha diritto di esistere;
il cercare fuori nel mondo dei metri di giudizio sulla base dei quali valutare le nostre esperienze o il nostro valore;
l’essere molto inclini alla permalosità: una critica o rimostranza diventano spesso insopportabili;
il reprimere o negare del tutto le emozioni oppure il manifestarle in eccesso senza freni;
sentire la necessità di sminuire i complimenti ricevuti;
voler imporre una propria idea sugli altri come l’unica verità accettabile.
Da cosa è originata l’insicurezza?
Normalmente dai modelli educativi appresi a scuola o in famiglia: quando un umano è sottoposto continuamente allo stress di dover dimostrare di essere bravo per guadagnarsi l’amore (che invece dovrebbe essere incondizionato), può tendere a diventare insicuro, come se stesse continuamente affrontando una prova d’esame.
Nell’educazione famigliare, in teoria, dovrebbe esistere un equilibrio fra la gratificazione dei bisogni di un bambino e la frustrazione degli stessi.
Se la bilancia propende nella maggior parte dei casi per la frustrazione dei bisogni di un bambino, soprattutto entro i primi 6 anni di vita, il bambino da adulto con molta probabilità può diventare un insicuro cronico.
Avete presente quei “non fare questo, non fare quello, no attento lì che ti bagni, no attento che lì ti fai male, no attento che mi dai fastidio, no attento perché non voglio, no attento perché, perché, perché…”
Somministrazioni indebite di paure e ansie a go go!!!
Non ho detto che un bambino debba sempre e comunque essere assecondato: ribadisco quindi che deve esistere un equilibrio fra le volte in cui i suoi bisogni vengono assecondati e le volte in cui vengono frustrati.
Ovvio che se un bambino vuole buttarsi da un balcone (dato che non conosce il pericolo) è sano e normale che un genitore lo fermi.
Se però ad esempio un bambino viene “fermato” in tutte le sue esplorazioni innocenti e curiose in assenza di pericolo, il messaggio che riceve è che qualsiasi suo sano tentativo di emanciparsi, sentirsi sempre più autonomo e in grado di valutare da solo progressivamente i pericoli, è qualcosa di sbagliato.
Incomincia a pensare che “da solo” non è in grado e se non è in grado è un incapace, e se è un incapace, non vale nulla, non merita nulla.
Tutto ciò un bambino non lo assimila cognitivamente, ma a livello di sensazioni corporee, che è anche peggio, perché tutto quanto resta “scolpito” nei nostri sensi e muscoli è poi molto difficile da “estirpare” a livello solo cognitivo e razionale nella vita adulta.
Sente che nulla di quello che è ha valore, o sente che ha valore solo nei limiti in cui accontenta un adulto, o comunque di dover sempre “tendere” a un qualche modello di perfezione estraneo a sè.
I bambini vogliono solo sentirsi “visti e importanti” per il genitore, per le maestre etc.. e ognuno tenta di soddisfare questo bisogno nei modi più disparati.
Quando la soddisfazione di questo bisogno è per la maggior parte del tempo negato/rifiutato, ripeto, sono state poste le basi dell’insicurezza.
Oppure pensiamo all’educazione scolastica: i bambini vengono messi in competizione da subito con i voti.
Chi prende un voto alto di solito entra nelle grazie della maestra. Chi non lo prende è un lavativo.
In realtà la storia è piena di geni che a scuola non studiavano o andavano male…………
Per non parlare di una rigida educazione religiosa di qualsiasi tipo: pane e sensi di colpa.
Come si riconosce e alimenta l’insicurezza?
Con il dialogo interiore negativo, il rimuginio continuo e la messa al vaglio di cose dette e fatte etichettate come “inadeguate”.
In altre parole, in base a cosa noi diciamo a noi stessi chiusi fra le mura di casa, rischiamo di alimentare di continuo la spirale dell’insicurezza:
chissà se ho fatto bene, chissà se ho fatto male, chissà se potevo dire/fare meglio, chissà, chissà, chissà.
Sono un’incapace! Che cretino/a! Perché non ci ho pensato prima!
Ecco ho sbagliato di nuovo!
Ma perché non ne azzecco una? Uffa allo specchio non mi posso guardare. Sono grasso/magro/troppo vecchio/sembro un bambino.
Alimentiamo la nostra insicurezza ogni volta che usiamo parole negative verso noi stessi: magari facciamo bene 100 cose in una giornata ma ci ricordiamo solo quell’unica venuta male e ce la ripetiamo nella testa 400 volte, quasi come se, ripetendola, si potesse cambiare il passato.
Come se ne esce dall’insicurezza?
Aumentando la propria consapevolezza di sé.
Ascoltandosi.
Iniziando a portare l’attenzione sulle parole che usiamo per definirci, descriverci, descrivere noi al mondo e il mondo a noi stessi e sostituirle con parole clementi.
Che poi, è facile magari osservare come “l’insicurezza” diventi virulenta con particolari inneschi esterni.
Ci sono persone ad esempio molto sicure di se nel lavoro, ma per nulla nella gestione degli affetti. O viceversa.
Osservati, individua quanto frequentamente, in che circostanze, con quali persone, perché e come scattano meccanismi di “insicurezza”.
Immaginati di parlare ad un caro amico: lo riempiresti di insulti oppure cercheresti di averne comprensione quando si comporta poco bene e anche se a volte ti fa arrabbiare da matti?
Sono sicura che magari ti arrabbi sul momento, poi capisci e perdoni.
Fai la stessa cosa con te stesso.
Che non significa allora diventare dei palloni gonfiati, ma semplicemente parlarsi in modo più compassionevole e dolce.
Anche a me capita di arrabbiarmi con gli amici. Poi però, se lascio sedare la collera istantanea, dopo, cerco di capire, e alla fine, quasi sempre, malgrado l’irritazione, perdono.
Ho imparato a farlo solo molto più tardi con me stessa.
Anzi, a dire il vero, ora sono molto più tollerante con me stessa e molto meno con gli altri .. sarà perché ho dato troppa comprensione fuori per troppo tempo che avrei invece dovuto rivolgere a me!!!
E poi, ancora, come si gestisce l’insicurezza?
Accettandosi!
Che pare facile da dire, difficilissimo da fare per esperienza tanto mia quanto delle persone che ho incontrato nei percorsi di coaching e counseling che faccio.
Accettarsi è la parte più difficile. Riconoscere di avere dei difetti, delle debolezze e farsele amiche. Riderci su. Sdrammatizzare. Perdonarsi. Stare più leggeri.
La tendenza naturale che abbiamo è quella di difenderci dai nostri difetti e non voler ammettere i nostri errori/debolezze.
Quante volte nella vita vi succede di dire ad altri “si, lo ammetto, ho sbagliato” serenamente?
Più spesso accade invece di non voler fare i conti con le nostre fragilità e di volerci “difendere” a tutti costi.
La classica espressione quando ci si sente minati/feriti/intaccati nel nostro valore è “tu non mi capisci, tu non mi hai capito/ tu non devi pensare/dire così/ non è vero quello che dici”.
Questo significa in automatico non essere disponibili ad accettare verità di altri e neanche legittimare gli altri a manifestare bisogni/dubbi/sentimenti etc perchè questo ci fa sentire “minati” nel nostro sentirci adeguati e ci mette di fronte alla possibilità che, magari in buona fede, possiamo aver ferito qualcuno.
Ecco, la sicurezza è anche questo: accettare che si può sbagliare, poterselo dire, poterlo dire agli altri e vivere comunque sereni.
Occorre andare nel mondo consapevoli che la perfezione è un’ideale stupido, così come è stupido rincorrere l’idea di noi stessi che vogliamo dare nel mondo e che ci siamo costruiti nella testa pur essendo troppo distante dalla nostra vera essenza.
Vale la pena smettere di compiere tanti sforzi per correggersi.
Nessuno è perfetto, siamo tutti umani!
L’insicurezza è dubitare del proprio valore o sentirlo fortemente minato per cose di piccolo conto: una critica, una rimostranza di un’altra persona.
L’insicurezza è il non concedersi o permettersi di mostrare le proprie emozioni per paura di esserne giudicati oppure il mostrarle salvo poi sentirsi inadeguati.
E’ sano che una persona ambisca a migliorarsi: ma una cosa è rinnegare parti si sé e volersi migliorare, molto meglio è accettare tutte le nostre parti e volersi migliorare.
Nel primo caso, più tentiamo di rinnegare qualcosa di noi che non ci piace, più reputiamo sbagliate parti di noi, più questo qualcosa diventa prepotente e ingestibile.
C’è una frase del film “Come un gatto in tangenziale” che secondo me rende bene il concetto, recitata in romano dal personaggio di Paola Cortellesi ed è “l’importante è che me’ so’ capita io”.
Vi confesso che ultimamente me la ripeto molto spesso.
A dire… ma chi se ne importa di passare la vita a discutere, a voler convincere gli altri di qualcosa, a voler dimostrare ragioni e torti, a volersi difendere da minacce esistenti solo nella nostra testa, a voler ergere la nostra verità come la migliore su quella degli altri?
L’importante è che ogni persona abbia una dose di pace interiore tale per cui, ad un certo punto, quello che succede fuori, succede fuori. E resta fuori. E non intacca più di tanto il senso del nostro valore o di adeguatezza che ci portiamo dentro.
Il tema meriterebbe molte altre parole, ma al momento mi fermo qui.
In conclusione, che fare con questa insicurezza? Ascoltarla, riconoscerla, capirne gli inneschi esterni, accettarla, prenderla per mano e mandare anche un po’ “a spigolare” tutto il resto!
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Federica Crudeli
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SE NEGOZIARE DIVENTA LITIGARE: 7 DOMANDE PER RIFLETTERE!
Ciao Bentornata/o a Lavorare col Sorriso!
[Tweet ““ Meglio essere felici, o avere ragione?””]Negoziare: oggi ti pongo 7 domande per aiutarti a capire come sia possibile per te negoziare senza arrivare a litigare, facendo tesoro di quanto emerso nel laboratorio di coaching e counseling che ho condotto lo scorso 5 maggio e per il quale ringrazio i presenti per i numerosi spunti di riflessione forniti.
Ci sono persone che di fronte a punti di vista fortemente opposti o contrastanti su un argomento/ modi diversi di fare delle cose/di raggiungere degli obiettivi, o evitano del tutto di “discutere” adattandosi alla posizione altrui, oppure arrivano allo “scontro di fuoco” aggredendo verbalmente il collega/capo.
Evitare o aggredire però, hanno poco a che vedere con il negoziare, ossia avere la capacità persuasiva di trovare un punto di incontro (meglio se win – win) fra visioni a volte anche molto contrapposte fra colleghi.
La finalità delle 7 domande che seguono è ampliare la tua consapevolezza su comportamenti e pensieri messi in atto in tali situazioni e magari trovare nuove strade da percorrere per il futuro, più produttive per l’esito della negoziazione e del tuo umore, che non siano i due estremi dell’abbandonare la negoziazione oppure dell’aggredire il collega di turno.
Domanda 1 – Questo stesso atteggiamento di evitare le discussioni o di aggredire, lo replichi anche nella vita privata?
Se si, con tutti, solo con qualcuno e in quali circostanze?
Se invece non è così, e nella vita privata ti senti in grado di negoziare una posizione senza cadere nell’aggressività verbale o nell’evitare del tutto una discussione, cosa c’è di diverso nelle situazioni comparate che ti rende maggiormente padrone delle tue reazioni?
Potrebbe essere interessante per te osservare le differenze di atteggiamento. Quale è l’elemento differenziante che ti induce in un caso ad evitare le negoziazioni e nell’altro a sostenerle in modo pacifico?
Domanda 2 – Quando qualcuno espone una posizione nettamente contrastante con la tua per traguardare un obiettivo, che cosa ti fa “scattare i nervi” di preciso, al punto da sentirti una fiamma umana che si scatena nell’ aggressività verbale o che, per non manifestarla, cede il passo del tutto abbandonando di fatto la negoziazione?
Cosa delle soluzione/idee proposte dall’altro in una negoziazione ti fanno innervosire così tanto?
E’ qualcosa che è contrario a certe tue convinzioni o valori? Oppure è contraria a quello che tu ritieni il modo più giusto di fare le cose?
Domanda 3 – Cosa ti dici in testa quando senti prendere delle posizioni nettamente in contrasto con le tue? Che pensieri fai sull’altra persona? Che pensieri fai su di te?
Domanda 4 – Quali pensieri su di te e sull’altra persona potresti sostituire a quelli che fai di solito, e che potrebbero essere più costruttivi per poter dialogare serenamente e negoziare in modo produttivo?
Domanda 5 – Mettiti nei panni altrui. Hai presente che a parità di obiettivi da raggiungere, è normale che altri abbiano modi di vedere diversi dai tuoi, dato che sono altre persone, con storia, pensieri, convinzioni vissuti diversi dai tuoi?
Come ti sentiresti tu, se per il solo fatto di esprimere una opinione fossi aggredito verbalmente da un collega senza neanche argomentare il motivo per il quale la vede in modo così diverso da te.
Oppure come ti sentiresti se il collega fosse totalmente accondiscendente ma con evidente “riprovazione” malcelata?
Domanda 6 – Cosa ottieni, sulle lunghe distanze, se ogni volta che ti trovi in un conflitto nel negoziare, eviti di affrontarlo, oppure se diventi troppo aggressivo verbalmente?
Domanda 7 – Rischi di “sbranare” davvero l’altro, oppure più semplicemente, come molte persone, ti auto-giudichi come “inadatto” solo perchè a volte ti infervori/appassioni nei limiti del normale nel sostenere una opinione, su una questione che ti sta tanto a cuore?
Sei umano, avere a cuore un punto di vista e difenderlo animosamente in una negoziazione, tutto sommato, non è un comportamento così orribile! (Se resta nei limiti dell’educazione e rispetto altrui).
A questo proposito, la lettura del libro di Dale Carnagie “Come trattare gli altri e farseli amici”, mi ha dato spunti interessanti.
Anche io tendo, quando sono molto convinta di una argomentazione, a volerla difendere a tutti i costi magari anche animatamente.
E mi dà abbastanza fastidio l’eccesso di buonismo che considero ipocrita, secondo il quale dovremmo andare d’accordo con tutti e farci piacere tutti abbracciando l’umanità intera, restando perennemente composti come robot.
Concetto che mi ha sempre tenuto alla larga dal comprare il libro in questione, che solo dal titolo mi sembrava potesse richiamare concetti simili al fingere con gli altri per ottenerne un tornaconto.
Poi mi sono messa in discussione, ho voluto comunque comprarlo e leggerlo e in effetti, ho trovato spunti interessanti.
Ha senso considerare che forse, pretendere che un’altra persona abbia il nostro stesso punto di vista, è fallimentare.
L’altra persona magari ha convinzioni diverse dalle nostre ed ha diritto di averle senza per questo sentirsi giudicato; e se ha convinzioni diverse dalle nostre che sostengono il suo punto di vista, non saremo noi a fargliele cambiare, tanto meno aggredendolo verbalmente.
Di solito, di fronte a posizioni contrapposte, la nostra tendenza più naturale potrebbe essere quella di voler convincere l’altro di quanto sia pessima la sua, perdendo di vista che la cosa più produttiva da fare sarebbe, al contrario, argomentare la nostra al punto di farla diventare appetibile per l’altra persona.
Fallo la prossima volta che ti trovi in una situazione simile! Vedrai il cambiamento! Sia per te stesso, che per l’esito della negoziazione.
Sul tema della gestione dei conflitti, ti rimando comunque anche a leggere il mio precedente articolo: Conflitti sul posto di lavoro: li risolvi o cerchi colpevoli?
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Federica
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BUONE VACANZE … RITORNO A SETTEMBRE!
Ciao e Benvenuto a Lavorare col Sorriso!
Se sei iscritto al sito avrai notato che da fine maggio non scrivo più articoli.
Motivi personali e professionali hanno limitato ultimamamente la mia possibilità di farlo, ma, allo stesso tempo, mi hanno consentito di sviluppare tante nuove idee da mettere a frutto anche a tuo vantaggio in futuro, e alla luce di nuove esperienze fatte!
Ci tengo quindi a continuare a coltivare questo mio “giardino” di riflessioni per aiutare altre persone a vivere un tempo lavorativo che sia di maggiore qualità, e auguro a te lettore di passare un tempo, di vacanza o no che sia, fatto di sorrisi, voglia di entusiasmarti per persone/situazioni nuove e voglia di giocare con la vita e le infinite sorprese che riserva!
Tornerò a scrivere da metà settembre … per cui .. questo è solo un arrivederci!
A presto!
Federica
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PENSIERI NEGATIVI SUL LAVORO: LIBERATI DAL LORO VELENO – Parte III
Ciao Bentornato a Lavorare col Sorriso!
Oggi continuo a parlarti di come liberarti da altri 3 tipi di pensieri negativi velenosi, dopo averne trattati altri 6 nei miei 2 articoli precedenti articolI: la tendenza a drammatizzare le situazioni, a prevedere solo disastri, a personalizzare qualsiasi fatto (Pensieri negativi sul lavoro: liberati dal loro veleno– parte I) e la tendenza a confondere le emozioni con la ragione, a generalizzare gli eventi negativi, e la “tolleranza zero” (Pensieri negativi sul lavoro: liberati dal loro veleno– parte II).
Se non lo hai ancora letto, cosa sono i pensieri negativi velenosi? Sono quei pensieri che nascono automaticamente al di fuori del tuo controllo, a fonte di stimoli esterni, generano sentimenti ed emozioni negative, e sono del tutto inutili e disfunzionali rispetto all’obiettivo che ti prefiggi.
Come la “gramigna”, pianta normalmente associata ad un effetto invadente e fastidioso, questi pensieri occupano la tua mente sottraendoti una enorme quantità di energie psichiche, senza che tu riesca ad opporti, proprio come un veleno paralizzante.
Vediamo quali altri tipi di gramigne esistono e come potertene liberare.
7 – La gramigna della paranoia
Accade a tutti noi di “proiettare” sugli altri quelle che sono le nostre paure e i nostri più grandi timori, attribuendo a colleghi e capi pensieri negativi rispetto a quello che diciamo e/o facciamo.
Ci sentiamo arrabbiati o offesi? Tendiamo a vedere questo tipo di comportamento negli altri verso di noi.
Abbiamo il terrore di essere stati sgarbati? O poco accurati? Ecco subito a immaginare che il capo e collega, nel dirci una cosa stiano pensando “ma quanto è sgarbato/ ma che lavoro fatto male”.
Quante volte ti accade di immaginarti brutte opinioni, pensieri che gli altri possono fare verso di te? Sei così convinto di poter leggere la mente altrui? E se la leggi, quando lo fai, leggi sempre pensieri negativi nei tuoi confronti?
Oppure ogni tanto leggi anche cose buone per te?
A cosa ti serve pensare che altri pensino male di te a tutti i costi?
8 –La gramigna etichettatrice
Viviamo in un modo intriso di giudizio: qualsiasi cosa accada, tendiamo a volerla etichettare come buona/cattiva, bella/brutta, bianca/nera, perdendo di vista “i fatti”.
Il giudizio, o pre-giudizio che abbiamo soprattutto rispetto alle persone, quando si parla di lavoro, può condurre molto spesso a “deformare” i fatti in base ai preconcetti che abbiamo e a influenzare il modo con cui si ascoltano gli altri.
Quanto spesso invece ti limiti ad osservare quello che accade, senza necessariamente attribuirgli una qualche connotazione per forza totalmente o positiva o negativa? Quante volte qualifichi con aggettivi fatti, parole, persone invece che limitarti a descriverli?
9 –La gramigna della ricerca di conferma
Normalmente tendiamo tutti quanti a cercare fatti che confermino le nostre convinzioni. Questo modo di fare esclude a priori dal campo dell’esperienza tutta una serie di altri fatti, invece, che se osservati meglio smentirebbero le nostre convinzioni.
Sei convinto che il tuo collega sia scorretto? Ecco che, alla prima cosa che fa, vai a cercare le prove della sua scorrettezza. Ma magari osservando il fatto in sè, scevro dal giudizio, ti accorgi che quello stesso fatto potrebbe non essere carico dell’accezione negativa che tu gli associ.
Su cosa normalmente poni l’attenzione? E nel farlo, cosa stai evitando di prendere in considerazione? Per quale motivo lo fai? E in che modo il motivo per cui lo fai, condiziona quello che vedi?
Questi 9 atteggiamenti nell’uso del pensiero, (uniti quindi ai 6 degli articoli precedenti) diffusi fra noi esseri umani, in taluni casi, soprattutto se adottati molto frequentemente, proprio perché sono tutti pensieri negativi, non fanno altro che innescare meccanismi di difesa spesso del tutto inutili, e che contribuiscono ad aumentare il livello di stress, con ripercussioni anche sul corpo, che secerne sostanze chimiche nocive, indebolendo l’organismo.
Per rompere questi schemi di pensiero disfunzionali hai da: identificare le situazioni in cui “reagisci” così somministrandoti negatività, riflettere sul perché e quando lo fai, capire come lo fai, fermarti a ragionare ogni volta che ti trovi in queste circostanze ampliando il tuo punto di vista con le domande che ti ho suggerito sopra e ripetere ripetere ripetere fino ad educarti in modo differente e più salutare per te stesso.
Piano piano rimpiazzerai i pensieri negativi automatici e “reattivi” , con la capacità di essere “proattivo” cioè di scegliere una risposta più funzionale agli stimoli esterni, senza cadere nella negatività e nel pessimismo cosmico.
Costa impegno farlo? Si. Hai da scegliere fra un meccanismo appreso e gratuito che ti innesca stress e negatività senza fatica alcuna, ad uno più impegnativo che però è fonte di benessere, che una volta conquistato, resterà con te.
Leggere nella “testa altrui” solo cose negative, etichettare qualsiasi cosa, o cercare conferme dei nostri pensieri, drammatizzare le situazioni, prevedere solo disastri, personalizzare qualsiasi fatto, confondere i fatti con le emozioni, generalizzare gli eventi spiacevoli, e considerare insopportabili le situazioni sono tutti filtri cognitivi che quando applicati automaticamente e diffusamente, limitano l’accesso alle tue risorse personali, limitando anche il tipo di “risposte” che sarai in grado di utilizzare a tuo vantaggio nei differenti contesti, magari allontanandoti dall’obiettivo che ti eri prefissato.
Al prossimo articolo fra 2 settimane!
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