
FUFFA MANAGER: 10 ERRORI CHE NESSUNO OSA DIRE
Ciao e Bentornato a Lavorare col Sorriso!
Manager o “Fuffa” manager? Oggi ridiamo!Ecco 10 errori che è bene evitare di fare e che farebbero di te un “Fuffa manager” anche se nessuno avrebbe mai il coraggio di dirtelo in faccia.
Si fa presto a diventare manager: è un titolo talmente ambito, soprattutto se unito a qualche inglesismo che va tanto di moda, che oggi il mondo è popolato di manager pronto uso.
Anche nell’immagine come vedi ho messo una foto che richiama l’idea del prestigiatore: chi è quindi il Fuffa manager? Il Fuffa manager è l’essenza del nulla, della fuffa, dell’inconsistenza, dei giochi di prestigio, in giacca cravatta o tailleur, anche firmati magari, ma sempre nulla resta.
Il trionfo della forma sulla sostanza.
Ho visto bigliettini da visita in giro pieni di titoli altisonanti accompagnati dalla parola Manager: poi chiedi in concreto “ma quindi cosa fai tu?” e scopri che praticamente stai parlando con un Fotocopying Manager, Shifters Chairs Manager, Troubles Makers Manager, Air Conditioning Manager, Coffè Machine Manager (ironizzo ovviamente)
Insomma … molti forse farebbero di tutto pur di potersi accostare a questo titolo. Che è appunto, un titolo. E il titolo di per se, non è garanzia di un buon contenuto.
Fare carriera è normalmente considerato simbolo di successo (per te? per la società? per chi?), ed in parte, probabilmente, è anche così. Il raggiungimento di un traguardo di carriera, tuttavia, oltre ai soldi, ai benefit, alle soddisfazioni, comporta soprattutto prendersi delle responsabilità con i relativi risvolti.
Non è raro che la nomina a manager di (x) possa tuttavia instillare nel designato, una gamma di atteggiamenti variabili fra i deliri di onnipotenza e gli eccessi di ansia (a questo proposito puoi leggere l’articolo “L’ansia da prestazione lavorativa ti divora? Divorala tu in 5 mosse”) che possono privarti del sorriso.
Può accadere che tu ti senta arrivato e che tutto adesso ti sia dovuto, il classico atteggiamento da strafottente, o che ti senta costantemente sotto la pressione di dover dimostrare che tu quel posto te lo sei meritato. In ogni caso, soprattutto se la nomina è fresca, devi tenere a mente che sei appena partito.
Non considerare o considerare male alcune dirette conseguenze dell’aver assunto determinate responsabilità, significa fare il Fuffa manager: cioè essere un manager nel titolo senza esserlo nei fatti.
E può anche significare che, sottovalutando alcuni aspetti connaturati con l’ assumere questo ruolo, si viva molto peggio di come si potrebbe, con un carico di ansie esagerate, o senso di fastidio per cose da poco, raccogliendo antipatia a mazzi e con scarsi risultati, malgrado l’impegno profuso, e per di più, in malo modo.
Ecco 10 errori che fanno di un manager, un Fuffa manager.
1 – La Fuffa è tutta mia, e ne parlo solo io!
Uno dei rischi a cui frequentemente si può essere esposti è quello di fare i tuttologi o tentare di mascherare la propria ignoranza su alcuni argomenti, soprattutto nelle riunioni. La nomina a manager di (X) può instillare la falsa convinzione che improvvisamente si è tenuti a fare miracoli di sapienza con le parole come se si fossero ingoiate in un botto tutte le Treccani in circolazione.
Non so se mi spiego … l’atteggiamento per cui si dice giusto per dire, per mostrarsi “fighi”, per fare sfoggio di sè con una certa saccenza.
Nessuno di noi può sapere tutto, e usare parole fuffose, altisonanti, generiche per dare l’impressione “di saperne” funziona, si, funziona, ma con persone poco avvedute o facilmente abbindnalibili dalla forma (che in effetti forse proprio poche non sono) o con chi non è nella posizione di poter valutare il grado di fuffa che si sta cercando di vendere.
Alla lunga, detto in soldoni, se di alcune cose non ne capisci o ne capisci poco, non sto dicendo di andare a sbandierarlo ai 4 venti, ma neanche di fare la parte di quello che con 4 parole vuole incantare i serpenti.
Ti renderesti solo ridicolo. Diciamo che questo modo di fare in effetti paga e premia nel breve termine. Nel lungo termine, la sostanza irrimediabilmente si svela.
2 – Perché, dovevo pensarci io????
Fare il manager vuol dire programmare, organizzare, gestire e controllare persone e attività.
Sperare che tutto si faccia da solo perché le esigenze sono state espresse chiaramente una volta, senza monitorare, chiedere, verificare, senza ripetere più e più volte, è irreale.
Sperare che tutti abbiano capito alla prima, che tutti si sappiano gestire perfettamente in sintonia con la propria idea, che tutti abbiano compreso le priorità, non è realistico.
Non perché i collaboratori siano stupidi. Ma perché essendo umani, ognuno di noi ha la sua percezione delle cose.
E non necessariamente questa percezione si sposa con le priorità che ha in testa un manager, neanche nel caso in cui sia stato bravissimo ad esprimerle.
3- Scaricare barili di colpe a destra e a manca
Ti sembrerà assurdo (sono ironica) ma l’essere manager significa che qualsiasi prodotto del lavoro esca dalla tua unità organizzativa, nel bene e nel male, è responsabilità tua.
La furbissima idea del prendersi i meriti se le cose funzionano, e scaricare barili di letame sui collaboratori se invece le cose vanno male, di fronte ai propri superiori , è da “Fuffa manager”.
Si può fare, per carità, per tentare di fare sempre bella figura. Ma è un modo miope di gestire le cose. Poi se alla lunga ti ritrovi sommerso di macumbe e iniziano a pioverti rane in casa non hai da stupirti .
Senza contare che il superiore gerarchico, a meno che non sia uno squilibrato mentale, col tempo, noterà questo atteggiamento e questo non deporrà a tuo favore.
4 – Atteggiarsi come le star capricciose e isteriche di Hollywood a cui tutto è consentito e dovuto
Il fatto di diventare capo/manager non significa poter decidere sempre e liberamente di tutto su tutto in qualunque momento.
Banale e scontato, ma nella realtà accade. Ci sarà sempre da fare i conti con le limitazioni imposte dal contesto (di soldi e altre “risorse, di attività etc.), senza che questo diventi motivo di isterismo diffuso da riversare sui malcapitati di turno a casaccio, a causa della frustrazione generata dalla falsa convinzione “ora conto qualcosa, finalmente faccio come mi pare”.
In questo rientra anche l’idea malsana che “siccome io sono manager di (…)” posso permettermi di trattate le persone a pedate in faccia. E’ normale e umano arrabbiarsi, alzare la voce, discutere fra colleghi.
Ma la convinzione che assunto un certo ruolo ci si possa permettere di soverchiare il prossimo o di sentirsi superiori, è da malati di mente.
5 – Lei non sa chi sono io …
Ci sono persone che nell’ ambito di “normali” diverbi di opinione, ma anche per molto meno, usano dire “Lei non sa chi sono io” oppure “ma come ti permetti di dire a me …” oppure “il mio tempo vale più del suo”.
L’uso di queste frasi è sintomatico di qualcosa di “strano”. Quando le sento dire, dentro di me si scatena un carnevale di risate. E’ bello lasciare che alcune persone si cullino nel loro brodo primordiale di presunta superiorità.
Preghiamo tutti per loro.
Comunque dicevo … un collaboratore/collega sbaglia? Espone una idea opposta o diversa sul modo/opportunità di fare delle cose?
Va quantomeno ascoltato, prima di decretare che ha detto/fatto una cazzata. Ci vuole pazienza.
E scrive una che in effetti a volte, ne ha poca. Ma fa parte del gioco. Illudersi che sia diverso e che tutte le questioni/errori/problemi possano essere liquidati in 2 nanosecondi non è prerogativa di questo ruolo.
E’ compito di un manager spiegare ad un collaboratore dove ha sbagliato, come poter evitare gli stessi errori in futuro e imporsi con assertività per ottenere qualcosa di migliore e diverso le prossime volte.
Poi ci sono per carità anche i casi recidivi, che ripeti, spieghi, ripeti e spieghi e nulla si muove. Ma a quel punto non è più un problema tuo.
6 – Tergiversare come se non ci fosse un domani
Prendere decisioni, anche antipatiche e spinose, anche in breve tempo, anche addossandosi dei rischi, anche accettando di rendersi antipatici ed impopolari, anche senza disporre di tutti gli elementi del caso (compatibili con il proprio ruolo ovviamente) fa parte del gioco: anche questa cosa così banale, invece potrebbe passare in sordina e generare infinite ansie.
Non si è pagati per essere sempre e comunque simpatici e benvoluti. Occorre saper fare i conti con l’idea che certe scelte andranno non solo prese, ma, immancabilmente, anche incontro allo sfavore di qualcuno. Chi pensa di poter fare il capo senza doversi mai scontrare con queste dinamiche, sbaglia.
E i capi/manager che non prendono mai decisioni quando il contesto lo richiede, sono visti come il fumo negli occhi. Non c’è da stupirsi se poi ci si ritrova senza seguito e/o stima fra i collaboratori.
7 – Insabbiare i propri errori
Fare il manager non significa accedere d’improvviso a qualche straordinario potere ultra terreno che rende immuni dal commettere errori.
Sbagliare è umano. E sulle lunghe distanze, ottiene molta più fiducia e stima chi ha la capacità di ammettere gli errori, che chi tenta in tutti i modi di occultare i fatti.
Che vantaggio dà fare la figura di quello che a tutti i costi vuole nascondere il suo torto marcio? Si, forse si salva la faccia con qualcuno, ma solo nel breve periodo.
8 – Trattare i collaboratori come dei Mocio Vileda per il pavimento: ossia fargli fare sempre e solo il lavoro “sporco”
E’ compito di un manager capire come motivare i collaboratori al lavoro valorizzandone le qualità e indicando loro dove e come possono superare delle loro difficoltà.
Quindi mettere i collaboratori a fare sempre cose poco gratificanti o che gli fanno schifo, facendo orecchie da mercante, non è saggio. Aspettarsi in più che questo atteggiamento non produca scontento e lamentele, è da illusi sognatori.
9 – Usare l’udito selettivo
Voler ascoltare sempre e solo le cose buone, comode, positive, spegnendo il sonoro in caso di problemi, lamentele, rivendicazioni di promozioni, premi dei collaboratori, è controproducente.
Non sto dicendo che la normalità debba essere un centro di mutuo soccorso e nemmeno che tu possa/debba farti carico di qualsiasi problema ti sia manifestato, e che magari esula in parte dal tuo potere effettivo, ma nemmeno ignorare completamente le argomentazioni che sono degne di essere ascoltate.
Ci vuole un po’ di empatia. (Puoi leggere a questo proposito l’articolo “L’empatia è uomo o donna?” e “Conflitti sul posto di lavoro. li risolvi o cerchi colpevoli’?”)
E ascoltare costa poco. Costa poco ascoltare come il poter dire onestamente “capisco, ma quanto mi chiedi esula dalle mie possibilità” (se è vero, perchè altrimenti è un problema che devi risolvere).
Anche questo modo di fare è abbastanza diffuso fra i manager: quello di pensare che, una volta diventati capi, si è instaurato il regno della beatitudine e qualsiasi rimostranza viene vissuta come un attacco personale invece che vederla come un sacro santo diritto di ogni essere umano a dire ciò che pensa o a fare rimostranze, o a rivendicare altre cose (sempre che ciò avvenga nel rispetto altrui).
10 – Risolvere i problemi
Che si tratti di problemi pertinenti il lavoro, o problemi pertinenti le dinamiche fra colleghi, quando le cose prendono una “brutta piega” non si può chiamarsene fuori. Rientra nelle aspettative del ruolo dare riposta a queste situazioni.
Avrai il compito di gestire le lamentele dei collaboratori: entro certi limiti (quindi a patto di non diventare la versione umana del muro del pianto) fa parte del ruolo gestire anche i momenti di scontentezza dei collaboratori.
Avrai il compito di scegliere chi premiare e chi no. E decidere. E motivare la decisione.
Avrai il compito di risolvere problemi di lavoro e di gestire problemi fra collaboratori che inquinano l’ambiente anche per altre persone, quando ciò avviene in una misura non più tollerabile al punto da compromette i risultati per tutti.
Avrai il compito di continuare a fare le fotocopie, se serve, senza che questo ti susciti sdegno o ti faccia sentire “declassato”.
Ora che ti ho detto ciò, come ti vedi nel tuo ruolo?
E se ambisci a fare il buon manager, pensi di aver voglia di imbarcarti per questa avventura, pro e contro del caso inclusi?
In sintesi, essere percepiti come un buon manager richiede di disporre di enormi dosi di pazienza ed energia: io personalmente con l’energia me la cavo, con la pazienza, in alcune specifiche circostanze, meno, nel senso che se la vendessero in fiale forse sbancherei le farmacie.
Essere un “fuffa manager” prevede l’uso di atteggiamenti che in sostanza sono l’esatto contrario del prendersi le responsabilità connaturate al ruolo. E a mio modesto avviso, uno che agisce così sul lavoro, forse, ha qualche domanda da farsi non solo come professionista, ma anche come essere umano.
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Grazie
Federica Crudeli

CARRIERA: TI SENTI UN BASTARDO SENZA GLORIA?
Ciao e Bentornato a Lavorare col Sorriso!
Oggi parliamo di carriera: ti senti poco valorizzato, ad un punto morto, di stallo, della tua carriera? Ecco 6 domande a cui è bene tu dia una riposta se vuoi lavorare col sorriso. Seguimi!
Mi rendo conto che il titolo è un po’ fortino… mi sono ispirata al mio regista preferito … Quentin Tarantino 🙂
Ti avviso: non ci andrò molto per il sottile. Se ti senti fragile smettila di leggere.
Sei nella seguente situazione:
Hai dato, dato, dato … il tuo tempo, le tue energie, raggiunto obiettivi sfidanti, regalato il tuo equilibrio emotivo impeccabile, pulito pure i gabinetti, aggiustato i condizionatori d’aria, fatto il facchino, annaffiato le piante dell’ufficio, pulito le scrivanie e anche qualcosa in più, eppure non ti vedi riconosciuto alcuno scatto di carriera (di ruolo e/o economico).
Sei fermo sempre al solito punto. E “covi” un misto di rabbia, nervoso, frustrazione.
Ricevi solo pacche sulle spalle e apprezzamenti per il lavoro svolto dal parte del tuo capo.
Diciamo che hai continue attestazioni di stima. Nulla di più. Sappiamo bene però che con la stima non ci compri la casa e neppure la Ferrari. Ti senti un bastardo senza gloria: né infamie, poche lodi, e magari vedi il tuo vicino di scrivania lanciato per le dune siderali della carriera.
Magari ti confronti e ti rendi anche conto che tu non hai poi così tante meno capacità di altri, eppure, sei lì, immobile come una statua di sale nel Mar Morto.
Ti senti avvilito, frustrato, e pieno di sacchettini di veleno magari, che non disdegni di somministrare a chi ti capita a tiro.
Che fare per tornare a sorridere? Intanto farti almeno 3 domande, che possono apparire banali, ma per esperienza, non lo sono affatto.
Quando le cose nella vita non si mettono come vogliamo tutti tendiamo a sprofondare nel nostro orticello di negatività perdendo di vista il contesto più generale, che può allargare gli orizzonti e aiutare a vivere meglio.
Tendiamo insomma a focalizzarci sul negativo, restringendo la visuale dai potenziali 360° a 35°, ad esempio.
1 – le tue aspettative di carriera, sono ragionevoli in termini di tempo, per il contesto aziendale di cui fai parte?
Voglio dire: sei talmente focalizzato sul volere quel ruolo, da perdere di vista che quel ruolo, in media, è accessibile in media dopo x anni? Se ti aspetti una promozione dopo 3 anni, supponiamo, mentre la media con cui ciò avviene è di 5, forse ti stai avvelenando per nulla. Il fatto che tu sia “super” potrebbe non sposarsi bene con il resto del contesto.
2 – esistono nel tuo contesto reali spazi di crescita orizzontale o verticale? Se la riposta è no, anche qui ti stai avvelenando inutilmente. Ci sono cose che non dipendono da te, e fino a quando le circostanze non si faranno più favorevoli, o tu non ti adopererai per crearle, è inutile che ti danni l’anima.
3 – se ambisci ad aumenti di stipendio o premi, quello che vorresti, è negato a te, o magari è in realtà negato a tutti coloro che sono in una situazione simile alla tua? Come funzionano le politiche retributive? Che periodicità anno? A chi sono rivolte?
Sto dando anche per scontato che tu sappia che esisterà sempre un fisiologico gap fra quello che pensi di meritarti e quello che ti viene riconosciuto. Questo caso non lo considero neppure.
Voglio dire … prima di “avvilirti” inutilmente, e sentirti una pecora nera, uno sfigato a cui va tutto storto, accertati di guardare alla situazione in modo più ampio. Magari ti accorgi che il mondo non è in combutta contro di te e che non c’è una cospirazione cosmica a tuo danno.
Ciò non toglie che la tua frustrazione resti, ma quantomeno potrebbe assumere dei connotati diversi, e magari al momento giusto, con le circostanze “buone”, quanto ti aspetti potrebbe esserti riconosciuto (sempre che tu lo abbia espresso a chi di dovere).
Se invece hai verificato che per tempi, spazi e politiche retributive quanto ti aspetti è più che ragionevole, allora la cosa si mette diversamente.
Ipotizziamo quindi che esistano le condizioni di contesto “giuste” e che tu abbia espresso le tue esigenze a chi di dovere e nulla si sia mosso.
Hai ricevuto come risposta, magari più e più volte, quelle promesse di carriera vaghe stile nebbia in Val Padana: lei è una persona seria, affidabile, puntiamo su di lei, la stimiamo, crediamo nelle sue potenzialità, continui così che arriverà il suo momento, il suo impegno sarà premiato. O qualcosa di simile.
Poniamo anche il caso che tu sia una persona abbastanza intelligente da sapere che una promessa vaga di carriera, senza una scadenza e senza una minima indicazione di contenuto plausibile, è una presa in giro.
E ipotizziamo pure che tu per mantenere certi equilibri, per educazione etc. abbia finto di credere a queste promesse, certo però del fatto che se anche sono vaghe, però in te ci credono sul serio e ti daranno davvero quello che vuoi appena possibile.
Sorge un problema: che questo “appena possibile” potrebbe anche non arrivare mai per “n” motivi. O magari la congiuntura aziendale potrebbe restarti avversa per un periodo non definibile. Questa parte da bastardo senza gloria ti piace tanto?
Invertiamo i “panni”: cosa faresti se fossi tu l’ imprenditore con risorse limitate e problemi di budget da gestire, a godere di lavoratori indefessi, meritevoli, preparati, competenti che risolvono problemi, sgobbano a man bassa senza fiatare, che magari fanno straordinari senza neppure farseli pagare, al costo lavoro fermo da anni?
Intuisci vero cosa intendo dire ? 🙂
Quindi … quali altre domande puoi farti, a parte “ingrugnirti” passivamente, per ritrovare il sorriso?
4 – Voglio continuare così?
Per quanto? A cosa sto rinunciando oggi? Penso ne valga la pena? E’ comunque un piacere oppure sono solo soffocato dal senso del dovere? Quanto è importante per me la carriera?
Se adesso ti senti un bastardo senza gloria, secondo te andando avanti nel tempo il tuo livello di frustrazione potrà diminuire o pensi di saperlo accettare serenamente?
A parte chiamarmi per tagliare il nastro di inaugurazione quando ti dedicheranno la statua in onore al/la più grande martire del lavoro, l’importante è che tu sappia bene a cosa vai incontro e che tu lo scelga consapevolmente.
Fare una scelta consapevole e ponderata in questo senso, proprio perchè è una scelta, in teoria dovrebbe regalarti un sorriso di serenità. Non ha senso vivere male se sei tu a sceglierlo!
A questo proposito ti invito a testare il tuo livello di motivazione leggendo l’articolo “Motivazione sotto ai piedi appena sveglio? Riportala su!”
2 – voglio richiedere espressamente al mio capo o chi di competenza uno scatto di carriera/promozione/stipendio , stavolta strappando una indicazione di data certa, e percorso di crescita descritta non dico nei minimi dettagli, ma almeno che abbia un fondamento di realtà? (se ti promettono di farti responsabile all’ufficio marchi e brevetti industriali in una banca… ecco…serve che vado oltre? …).
Se vuoi muoverti in questo senso, per “rivendicare” quanto desideri è opportuno che ti prepari il tavolo delle trattative.
Anche questo può sembrare banale ma non lo è affatto! Se non hai una idea chiara, precisa, specifica, di cosa vorresti e quando lo vorresti e di tutti i fatti che supportano e sostanziano la validità della tua richiesta, sei fuori strada!
Preparati quindi un elenco di fatti, obiettivi raggiunti, attività che pensi di aver fatto oltre alla tua stretta competenza con buoni risultati, problemi che hai risolto efficacemente non solo a tuo parere ma anche di altri.
Fai mente locale a tutte le cose positive che hai fatto e che possono giustificare la tua richiesta. Non lasciare nulla al caso!
Preparati anche a gestire eventuali obiezioni, prevedendo in anticipo possibili risposte sensate alle possibili contro argomentazioni che pensi di poter ricevere.
2 – ho voglia di mandare il mio CV ad altre aziende?
Si è vero che c’è la crisi. Ma non escluderei altre strade a priori. Valutare quanto è apprezzata la tua professionalità sul mercato del lavoro pensi che sia inutile, anche per la tua autostima? Anche solo per misurarti in altro contesto?
Cosa ti trattiene dal farlo?
3 – se tentando le strade 1 e 2 nulla si muove… posso/voglio considerare l’ipotesi di “rallentare” il ritmo?
Smetterla di dare oltre misura energie e tempo che ti rendono frustrato, ti fa così paura? Ti fa sentire in colpa?
Lo sai che il senso di colpa ha ragione di esistere solo se una persona non può dire a se stessa di aver dato il massimo per le circostanze (e abbiamo visto non essere il tuo caso) e che in caso contrario è solo un fardello inutile?
Cosa ti impedisce di rallentare, se è questo che intendi fare? Sei spaventato dalle conseguenze?
Lo hai già iniziato a fare? Cosa è successo? Che effetti si producono? cataclismi? Crolli di palazzi? Utili ribassati in 3 giorni di milioni di dollari per colpa tua?
In quale altro modo potresti investire tempo ed energie per ritrovare il sorriso e anche la carica per lavorare a cuore più leggero, prendendoti una pausa dall’avvelenamento quotidiano?
Ce le hai delle passioni? No??? Cercatele! E’ grave! La vita è una sola. Passarla lamentandoti senza cambiare una virgola, ti sembra costruttivo per te stesso? Pensi che possa magicamente renderti felice?
Se però hai dato talmente tanto te stesso sul lavoro negli ultimi tempi o anni al punto che non riesci ad uscire da questo loop, ma non perché non vorresti, ma perché non hai idea di cosa altro fare fuori dall’ufficio, tu hai un problema serio del quale è bene che ti occupi quanto prima.
Lo stress esagerato protratto nel tempo libera quantità di cortisolo nel sangue che fanno solo male. Senza contare quanto la negatività sparsa sia contagiosa e deleteria per te e tutti coloro che ti sono affianco, sul lavoro e fuori.
Hai valutato sino ad oggi quanto il tuo avvelenamento si ripercuota su altri settori della vita? Sei irritabile anche con i tuoi affetti? Con gli amici? Ti stai isolando? Cosa rischi di perdere su altri fronti?
Esistono gli amici, lo sport, gli hobby, i teatri, i cinema, le partite, i concerti, gli affetti, o più in generale quella cosa che si chiama vita. Ti fa così tanto schifo?
Ti identifichi al punto con il tuo lavoro che non riesci a connotarti se non come “futuro manager di x“?
Se così è, hai valutato che il lavoro è uno dei mezzi di realizzazione per sperimentare gli stati d’animo che più frequentemente desideriamo?
E gli stati d’animo che più frequentemente desideriamo vivere, non sono perseguibili solo tramite il lavoro?
Certo, per ognuno di noi il lavoro è una parte molto importante della vita. Nessuno intende negarlo. Ma proprio per questo, a maggior ragione, ha senso continuare a “dare” in un lavoro che ti spreme come un limone e ti fa sperimentare quantità di frustrazione su scala industriale crescenti?
Abbiamo visto assieme 6 domande a cui puoi dare riposta: hai intenzione di fare nulla e continuare così?
Bene! Allora smettila di lamentarti e sentirti frustrato.
Sei tu che lo scegli! Appendi gli abiti del bastardo senza gloria e sgobba in silenzio senza inquinare l’acustica di tutti con le tue lagne rabbiose.
Se non vuoi lavorare col sorriso tu, lascia almeno che gli altri vivano sereni senza doversi sopportare le tue frustrazioni!
Sono stata un po’ indigesta oggi? Mi spiace! 🙂
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Federica Crudeli
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