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LA GUERRA DEI POVERI: UNA RIFLESSIONE!
Ciao Bentornato a Lavorare col Sorriso!
La guerra dei poveri: oggi faccio una riflessione provocatoria per sorridere con te di tutti i prevaricatori sociali sul posto di lavoro (e anche fuori) a patto che tu sia disposto un attimo ad aprire la tua mente senza stare attaccato alle singole parole ma cercando di cogliere il senso di quanto sto per dire …
[Tweet ““ Se puoi ridere di una cosa puoi anche cambiarla”– cit. R. Bandler”]Oggi sento la necessità di manifestare la vena ironico-sarcastica che mi contraddistingue, anche se non ho una ragione precisa, quanto piuttosto l’esigenza di esprimere le mie opinioni, sia per dare uno scossone a tutti coloro che “subiscono” psicologicamente gli abusi/soprusi di potere da parte di qualche “peones” che si sente illuminato solo perché ricopre una qualche carica sul lavoro o in qualunque altro contesto, e magari ne soffrono pure piuttosto che riderci sopra. Anche fragorosamente direi…
Il mondo è pieno di prevaricatori sociali, di persone che sgomitano per arrivare primi, per farsi belli, per questioni di prestigio, per denaro, per una posizione.
Per me lo “sgomitare”, in questa accezione, fa parte della così detta “guerra dei poveri”. E vorrei invitare tutti i lettori a riflettere in questo senso.
Dal momento in cui ognuno di noi si muove in un certo ambiente lavorativo, va da se che normalmente sarà inserito in un contesto più ampio, fatto di molte persone, che a diverso titolo sono coinvolte in teoria, a giocare su uno stesso campo la stessa partita, e in teoria, per un obiettivo comune.
Poi dalla teoria si passa alla realtà: gli obiettivi comuni diventano obiettivi di singoli che vogliono “prevaricare” il prossimo pur di ottenere o soldi, o cariche, o visibilità, o riconoscimenti in generale. Per farne cosa, poi di preciso? Eccetto gonfiare il proprio ego?
Il fatto è che se questa corsa verso una presunta porta avversaria fa una strage di morti e feriti, a pochi importa. L’importante è arrivare.
Spesso si perde però di vista che nel tentativo di arrivare primi, in realtà si sta solo sprecando una quantità immane di energia, impiegabile più nobilmente per altri fini, a danno di altre persone, che guarda caso, sono altrettanto umani.
Tradotto in “economichese”, questa è la logica del WIN – LOSE, ben distante dal ben più costruttivo cercare soluzioni WIN – WIN teorizzato dal Premio Nobel Nash.
Le persone che in azienda si muovono nella logica WIN – LOSE per me assomigliano più ai primati che altro. Cioè sono la manifestazione più bassa e becera dell’umanità.
Venderebbero pure la madre, la sorella, il fratello, la moglie, il marito, la dignità e così via pur di ARRIVARE.
Ecco. Intanto, arrivare si ma dove? (zan zan?)Perché, dopo essere arrivati la loro vita quale sensibile miglioramento potrà avere, a parte, forse (e non è detto) quello economico?
E a che prezzo si è disposti ad arrivare? Quello di guadagnarsi la disistima di chiunque?
E’ mai possibile che in un’era così presumibilmente avanzata, il mondo sia pervaso da persone che non riescono a guardare oltre il loro orticello e non riescono ad inquadrare la loro situazione in una cornice più ampia e di lungo periodo?
Si, è possibile.
E’ possibile che in questo mondo così civilizzato esistano così tante persone che sono disposte a seminare zizzanie, a prostituirsi mentalmente pur di stare sempre sulla breccia, a cambiare opinione in funzione della sola e pura convenienza personale?
E’ possibile che preferiscano omettere, celare, insabbiare, nascondere, deviare, pur di mantenere un vantaggio sul capo di gioco?
Si.
Ecco, io credo che questo modo piccolo e ristretto di pensare sia la causa della stragrande maggioranza dei problemi in cui versa l’intero paese. Anzi, esagero, l’intero mondo.
In metafora, mi sembra la traslazione in chiave moderna di quello che avrebbero potuto vivere due schiavi impiegati sui campi di cotone che legati mani e piedi su un barcone da trasporto, si mettono a litigare e si scannano per chi fa per primo la spia di quello che ha preso 40 grammi di pane in più perché stava morendo di fame.
Sempre schiavo resti, sempre sulla barca in alto mare sei, sempre a servizio di un padrone rimani, anche se prendi il comando della barca e anche se ti guadagni qualche simpatia facendo la spia…
A buon intenditor poche parole! 🙂
E adesso non vengano fuori le associazioni a difesa di non so cosa perché ho usato una metafora per traslare nel tempo un concetto … chi ha elasticità mentale la usi… per favore… chi non la ha smetta pure di leggere!!!
Cosa si può fare di costruttivo? Di sicuro non si possono eliminare le persone così, in fin dei conti ognuno è libero di scegliere quale parte vuole fare nel mondo.
Quanto meno si può cercare di non farne parte, o di prendere le distanze da taluni modi di fare. E poi riderci sopra.
Si può osservare questo buffo dimenarsi con una discreta dose di distacco, e vedere come nel Circo Barnum dell’umanità, forse, se non esistessero queste persone, esisterebbero meno caricature di cui ridere.
Certo, se ce ne fossero meno in giro di queste caricature, stare più larghi schifo non farebbe, ma tant’è …
Prendo in prestito una frase di Pasolini che ho trovato girando su internet e che in realtà è quella che mi ha ispirato questo post, invitandovi a sorridere!
“Penso che sia necessario educare le nuove generazioni al valore della sconfitta. Alla sua gestione. All’umanità che ne scaturisce. A costruire una identità capace di avvertire una comunanza di destino, dove si può fallire, ricominciare senza che il valore e la dignità ne siano intaccati. A non diventare uno sgomitatore sociale, a non passare sul corpo degli altri per arrivare primo. In questo mondo di vincitori volgari e disonesti, di prevaricatori falsi e opportunisti, della gente che conta, che occupa il potere, che scippa il presente, figuriamoci il futuro, a tutti i nevrotici del successo, dell’apparire, del diventare. A questa antropologia del vincente preferisco di gran lunga chi perde. E’ un esercizio che mi riesce bene. E mi riconcilia con il mio sacro poco”.
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Federica Crudeli

FARE CARRIERA = VALERE? LIBERA NOS A MALOS!
Ciao Bentornato a Lavorare col Sorriso!
Oggi ti parlo di fare carriera e di una prigione mentale comunemente diffusa, e fonte di grandi mal di pancia, per chi lavora in una azienda: quella di sentirsi nullità/falliti qualora le aspettative di diventare manager/capo/quadro/dirigente fossero disattese. Voglio liberarti da questo male con una riflessione coraggiosa. Seguimi!
Questo articolo nasce dall’ osservazione di molte persone che vivono male e con grande senso di sconfitta il fatto di non aver fatto carriera o averla fatta parzialmente rispetto ad obiettivi più ambiziosi.
Attenzione: ho usato volutamente la parola FARE carriera, ossia il manager/capo/quadro/dirigente ma non sono sicura che sia scontato coglierne la sottile differenza.
Tu sei. Punto. Poi il tuo essere si manifesta nel mondo attraverso tanti ruoli: impiegato (a qualsiasi livello), madre/padre, moglie/marito, partner, sorella/fratello, amico/amica e così via.
Ha mai pensato alla questione in questi termini? Se no, è bene che cominci a farlo.
La convinzione diffusa che fare carriera in automatico significhi godere di un riconoscimento di valore che è appannaggio esclusivo di chi ha conseguito un qualche titolo durante la sua vita lavorativa e di sentirsi in automatico persona “da poco” in caso contrario è una grande stupidata.
L’equazione presente nella mente di molte persone è appunto fare carriera = valere/avere la certificazione “sono in gamba”. Le implicazioni negative di questa convinzione spesso sono di non poco conto.
Intanto allora ti lancio subito una provocazione: se la tua mente è abituata a pensare così, il tuo istinto e il tuo cuore, cosa ti dicono?
Quale sarebbe un modello di uomo/donna in carriera ideale?
Sposo il punti di vista di Marco Montemagno : un “vero leader” è una persona animata da passione per il suo lavoro, consistenza (ossia persona che produce risultati fattivi e concreti persistenti), che è capace di emozionare e coinvolgere le persone in un “noi”, che è imperfetto come tutti gli umani e non ha bisogno di nasconderlo.
Chi può fare carriera in azienda?
Potenzialmente chiunque.
In concreto una cerchia ristretta di persone.
Per quali motivi alcune persone fanno carriera ed altre no?
I motivi possono essere molteplici. Alcuni possono essere:
a) una persona ha costruito nel tempo i presupposti per fare carriera producendo risultati consistenti e durevoli. A questo proposito ti rimando al mio articolo sulle differenze fra un buon manager e un fuffa manager.
b) una persona ha venduto la sua dignità (tipicamente facendo lo zerbino, il lacchè, lo spione nel riguardo dei potenti di turno, o prostituendosi mentalmente e/o fisicamente) per un lungo periodo ottenendo in cambio la sua promozione, che poco potrebbe avere a che vedere con le sue qualità, capacità e doti manageriali.
c) una persona si è trovata al posto giusto, nel momento giusto, con il capo giusto rispetto alle dinamiche aziendali, ossia ha avuto le circostanze ambientali “a favore”.
Aver avuto le circostanze a favore non necessariamente è sinonimo che quella persona avesse, come sopra, capacità e qualità manageriali. Potrebbe essere si come no.
Cosa voglio dire?
Voglio dire che fare carriera non necessariamente è sintomatico di una persona “che vale”. Potrebbero esistere molti manager che semplicemente, hanno fatto ricorso ad altri mezzi per fare carriera.
Mentre essere persone di valore è sicuramente un plus, un “vantaggio competitivo” per fare carriera, non vale il viceversa.
Fare il manager non è condizione sufficiente per potere asserire con certezza che una persona, automaticamente, possa anche considerarsi di valore, con buone qualità e capacità professionali ed umane che ad altri non sono accessibili o riconosciute.
Ora, se sei una di quelle persone che “vive male” il suo “non avere fatto carriera” o che vive male le carriere altrui, ti invito a domandarti: a che prezzo queste persone hanno fatto carriera? Se sei disposto a pagarlo anche tu, fallo. Altrimenti, perché ti incazzi?
Oppure sei sicuro che gli altri ottengano risultati sempre senza faticare, senza metterci del loro?
Se invece hai esempi positivi di carriera, perché quello che pensi di meritare non lo vai a cercare altrove, se nel tuo contesto attuale non ti viene riconosciuto? Non dirmi “ehhh ma c’è la crisi”.
Fai prima ad ammettere che non hai voglia di alzare il sedere e metterti in discussione. Chi cerca, prima o poi, trova. Te ne parlo anche nel mio articolo Bastardi senza gloria.
Diversamente, perché pensi a te stesso/a in modo così impietoso come se tutto il tuo valore umano possa essere riducibile ad un titolo?
Il lavoro è un mezzo. Per vivere, per realizzarsi.
Ma se tu ti identifichi tutto intero con il tuo lavoro, le possibili o concrete mancate soddisfazioni lavorative andranno ad intaccare tutta la tua identità di persona.
Dimenticandoti che tu hai molti altri mezzi, ed eventualmente anche posti, per viverti come una persona di valore, ed usare le tue risorse e qualità.
Molto spesso noi umani tendiamo a darci un valore in funzione di qualcosa di “esterno” alla nostra persona che ci restituisca una immagine socialmente accettata e riconosciuta come di successo.
Molto spesso rischiamo di pensare che ammirazione, stima, amore da parte di famigliari e amici sia strettamente connessa e ottenibile solo a condizione di “essere qualcuno”.
Non sto tentando di promuovere una società cosparsa di Grandi Lebowsky (personaggio peraltro che mi suscita una enorme simpatia), ma neanche di persone ossessionate dalla carriera al punto da vivere troppo male il mancato raggiungimento di un certo traguardo di carriera sperimentando frustrazione e auto-denigrazione oltre il dovuto.
Questa prigione mentale causa: disagi emotivi, nevrosi, disturbi psicosomatici, squilibri in altri settori della vita, senso perenne di inadeguatezza.
In preda a queste forma malsane di competizione/invidia è possibile assistere nelle aziende alle più alte manifestazioni di bruttura umana e, talvolta, anche di fantozziana maniera.
Puoi leggerti a questo proposito anche il mio articolo “Potere è piacere?”
Quindi, tornando a noi, se fai parte di queste persone ti invito a domandarti: ma questa carriera quanto è importante per te? Cosa significa carriera per te?
Ed è importante per te, o per le persone che ti circondano? Stai cercando da una vita di soddisfare aspettative tue o di altri?
Fare carriera che vantaggi insostituibili ti porterà? Potresti ottenerli in altro modo?
E il fatto che questa carriera non sia come tu la vuoi, che conseguenze ha su di te? Che pensieri fai verso te stesso?
Perché fai dipendere interamente il tuo valore dalla carriera?
Perché tu pensi di poter esser “qualcuno” solo in funzione di una qualifica che qualcuno può scegliere come no (e per mille motivi indipendenti da te) di non riconoscerti?
Tutte le persone in carriera che conosci sono esempi di doti morali, qualità manageriali, capacità del tutto esclusive e non replicabili?
E se ti paragoni ad altri, a che scopo lo fai? In che modo un risultato eventualmente ottenuto da un’altra persona, può condizionare la stima che hai di te stesso?
E soprattutto, quando ti paragoni ai successi di altri, lo fai considerando questi altri nella loro interezza, o solo relativamente ad alcuni aspetti?
Sei incline a paragonare sempre i lati negativi della tua persona o situazione lavorativa con quelli positivi degli altri?
Non pensi che sia un modo parziale di guardare le cose? Perché allora non paragonarti agli altri comparando sia i lati positivi che quelli negativi di te e della tua situazione lavorativa, rispetto a quelli positivi e negativi degli altri?
Spero che questa riflessione ti sia servita a fare un po’ di chiarezza dentro te stesso e magari a liberarti di qualche fardello mentale inutile.
Qualora poi tu voglia esercitarti a guardare in modo diverso altre tipologie di pensiero che avvelenano la mente ti consiglio di leggere i miei articoli Pensieri negativi sul lavoro: liberati dal loro veleno Parte I – Parte II e Parte III.
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Federica Crudeli
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FUFFA MANAGER: 10 ERRORI CHE NESSUNO OSA DIRE
Ciao e Bentornato a Lavorare col Sorriso!
Manager o “Fuffa” manager? Oggi ridiamo!Ecco 10 errori che è bene evitare di fare e che farebbero di te un “Fuffa manager” anche se nessuno avrebbe mai il coraggio di dirtelo in faccia.
Si fa presto a diventare manager: è un titolo talmente ambito, soprattutto se unito a qualche inglesismo che va tanto di moda, che oggi il mondo è popolato di manager pronto uso.
Anche nell’immagine come vedi ho messo una foto che richiama l’idea del prestigiatore: chi è quindi il Fuffa manager? Il Fuffa manager è l’essenza del nulla, della fuffa, dell’inconsistenza, dei giochi di prestigio, in giacca cravatta o tailleur, anche firmati magari, ma sempre nulla resta. Il trionfo della forma sulla sostanza.
Ho visto bigliettini da visita in giro pieni di titoli altisonanti accompagnati dalla parola Manager: poi chiedi in concreto “ma quindi cosa fai tu?” e scopri che praticamente stai parlando con un Fotocopying Manager, Shifters Chairs Manager, Troubles Makers Manager, Air Conditioning Manager, Coffè Machine Manager.
Insomma … molti forse farebbero di tutto pur di potersi accostare a questo titolo. Che è appunto, un titolo. E il titolo di per se, non è garanzia di un buon contenuto.
Fare carriera è normalmente considerato simbolo di successo (per te? per la società? per chi?), ed in parte, probabilmente, è anche così. Il raggiungimento di un traguardo di carriera, tuttavia, oltre ai soldi, ai benefit, alle soddisfazioni, comporta soprattutto prendersi delle responsabilità con i relativi risvolti.
Non è raro che la nomina a manager di (x) possa tuttavia instillare nel designato, una gamma di atteggiamenti variabili fra i deliri di onnipotenza e gli eccessi di ansia (a questo proposito puoi leggere l’articolo “L’ansia da prestazione lavorativa ti divora? Divorala tu in 5 mosse”) che possono privarti del sorriso.
Può accadere che tu ti senta arrivato e che tutto adesso ti sia dovuto, il classico atteggiamento da strafottente, o che ti senta costantemente sotto la pressione di dover dimostrare che tu quel posto te lo sei meritato. In ogni caso, soprattutto se la nomina è fresca, devi tenere a mente che sei appena partito.
Non considerare o considerare male alcune dirette conseguenze dell’aver assunto determinate responsabilità, significa fare il Fuffa manager: cioè essere un manager nel titolo senza esserlo nei fatti.
E può anche significare che, sottovalutando alcuni aspetti connaturati con l’ assumere questo ruolo, si viva molto peggio di come si potrebbe, con un carico di ansie esagerate, o senso di fastidio per cose da poco, raccogliendo antipatia a mazzi e con scarsi risultati, malgrado l’impegno profuso, e per di più, in malo modo.
Ecco 10 errori che fanno di un manager, un Fuffa manager.
1 – La Fuffa è tutta mia, e ne parlo solo io!
Uno dei rischi a cui frequentemente si può essere esposti è quello di fare i tuttologi o tentare di mascherare la propria ignoranza su alcuni argomenti, soprattutto nelle riunioni. La nomina a manager di (X) può instillare la falsa convinzione che improvvisamente si è tenuti a fare miracoli di sapienza con le parole come se si fossero ingoiate in un botto tutte le Treccani in circolazione.
Non so se mi spiego … l’atteggiamento per cui si dice giusto per dire, per mostrarsi “fighi”, per fare sfoggio di sè con una certa saccenza.
Nessuno di noi può sapere tutto, e usare parole fuffose, altisonanti, generiche per dare l’impressione “di saperne” funziona, si, funziona, ma con gli stupidi o con chi non è nella posizione di poter valutare il grado di fuffa che si sta cercando di vendere.
Alla lunga, detto in soldoni, se di alcune cose non ne capisci o ne capisci poco, non sto dicendo di andare a sbandierarlo ai 4 venti, ma neanche di fare la parte di quello che con 4 parole fuffose vuole incantare i serpenti.
Ti renderesti solo ridicolo. Diciamo che questo modo di fare in effetti paga e premia nel breve termine. Nel lungo termine, la sostanza irrimediabilmente si svela.
2 – Perché, dovevo pensarci io????
Fare il manager vuol dire programmare, organizzare, gestire e controllare persone e attività.
Sperare che tutto si faccia da solo perché le esigenze sono state espresse chiaramente una volta, senza monitorare, chiedere, verificare, senza ripetere più e più volte, è irreale.
Sperare che tutti abbiano capito alla prima, che tutti si sappiano gestire perfettamente in sintonia con la propria idea, che tutti abbiano compreso le priorità, non è realistico.
Non perché i collaboratori siano stupidi. Ma perché essendo umani, ognuno di noi ha la sua percezione delle cose.
E non necessariamente questa percezione si sposa con le priorità che ha in testa un manager, neanche nel caso in cui sia stato bravissimo ad esprimerle.
3- Scaricare barili di colpe a destra e a manca
Ti sembrerà assurdo (sono ironica) ma l’essere manager significa che qualsiasi prodotto del lavoro esca dalla tua unità organizzativa, nel bene e nel male, è responsabilità tua.
La furbissima idea del prendersi i meriti se le cose funzionano, e scaricare barili di letame sui collaboratori se invece le cose vanno male, di fronte ai propri superiori , è da “Fuffa manager”.
Si può fare, per carità, per tentare di fare sempre bella figura. Ma è un modo miope di gestire le cose. Poi se alla lunga ti ritrovi sommerso di macumbe e iniziano a pioverti rane in casa non hai da stupirti .
Senza contare che il superiore gerarchico, a meno che non sia uno squilibrato mentale, col tempo, noterà questo atteggiamento e questo non deporrà a tuo favore.
4 – Atteggiarsi come le star capricciose e isteriche di Hollywood a cui tutto è consentito e dovuto
Il fatto di diventare capo/manager non significa poter decidere sempre e liberamente di tutto su tutto in qualunque momento.
Banale e scontato, ma nella realtà accade. Ci sarà sempre da fare i conti con le limitazioni imposte dal contesto (di soldi e altre “risorse, di attività etc.), senza che questo diventi motivo di isterismo diffuso da riversare sui malcapitati di turno a casaccio, a causa della frustrazione generata dalla falsa convinzione “ora conto qualcosa, finalmente faccio come mi pare”.
In questo rientra anche l’idea malsana che “siccome io sono manager di (…)” posso permettermi di trattate le persone a pedate in faccia. E’ normale e umano arrabbiarsi, alzare la voce, discutere fra colleghi.
Ma la convinzione che assunto un certo ruolo ci si possa permettere di soverchiare il prossimo o di sentirsi superiori, è da malati di mente.
5 – Lei non sa chi sono io …
Ci sono persone che nell’ ambito di “normali” diverbi di opinione, ma anche per molto meno, usano dire “Lei non sa chi sono io” oppure “ma come ti permetti di dire a me …” oppure “il mio tempo vale più del suo”.
L’uso di queste frasi è sintomatico di qualcosa di “strano”. Quando le sento dire, dentro di me si scatena un carnevale di risate. E’ bello lasciare che alcune persone si cullino nel loro brodo primordiale di presunta superiorità.
Preghiamo tutti per loro.
Comunque dicevo … un collaboratore/collega sbaglia? Espone una idea opposta o diversa sul modo/opportunità di fare delle cose?
Va quantomeno ascoltato, prima di decretare che ha detto/fatto una cazzata. Ci vuole pazienza.
E scrive una che in effetti a volte, ne ha poca. Ma fa parte del gioco. Illudersi che sia diverso e che tutte le questioni/errori/problemi possano essere liquidati in 2 nanosecondi non è prerogativa di questo ruolo.
E’ compito di un manager spiegare ad un collaboratore dove ha sbagliato, come poter evitare gli stessi errori in futuro e imporsi con assertività per ottenere qualcosa di migliore e diverso le prossime volte.
Poi ci sono per carità anche i casi recidivi, che ripeti, spieghi, ripeti e spieghi e nulla si muove. Ma a quel punto non è più un problema tuo.
6 – Tergiversare come se non ci fosse un domani
Prendere decisioni, anche antipatiche e spinose, anche in breve tempo, anche addossandosi dei rischi, anche accettando di rendersi antipatici ed impopolari, anche senza disporre di tutti gli elementi del caso (compatibili con il proprio ruolo ovviamente) fa parte del gioco: anche questa cosa così banale, invece potrebbe passare in sordina e generare infinite ansie.
Non si è pagati per essere sempre e comunque simpatici e benvoluti. Occorre saper fare i conti con l’idea che certe scelte andranno non solo prese, ma, immancabilmente, anche incontro allo sfavore di qualcuno. Chi pensa di poter fare il capo senza doversi mai scontrare con queste dinamiche, sbaglia.
E i capi/manager che non prendono mai decisioni quando il contesto lo richiede, sono visti come il fumo negli occhi. Non c’è da stupirsi se poi ci si ritrova senza seguito e/o stima fra i collaboratori.
7 – Insabbiare i propri errori
Fare il manager non significa accedere d’improvviso a qualche straordinario potere ultra terreno che rende immuni dal commettere errori.
Sbagliare è umano. E sulle lunghe distanze, ottiene molta più fiducia e stima chi ha la capacità di ammettere gli errori, che chi tenta in tutti i modi di occultare i fatti.
Che vantaggio dà fare la figura di quello che a tutti i costi vuole nascondere il suo torto marcio? Si, forse si salva la faccia con qualcuno, ma solo nel breve periodo.
8 – Trattare i collaboratori come dei Mocio Vileda per il pavimento: ossia fargli fare sempre e solo il lavoro “sporco”
E’ compito di un manager capire come motivare i collaboratori al lavoro valorizzandone le qualità e indicando loro dove e come possono superare delle loro difficoltà.
Quindi mettere i collaboratori a fare sempre cose poco gratificanti o che gli fanno schifo, facendo orecchie da mercante, non è saggio. Aspettarsi in più che questo atteggiamento non produca scontento e lamentele, è da illusi sognatori.
9 – Usare l’udito selettivo
Voler ascoltare sempre e solo le cose buone, comode, positive, spegnendo il sonoro in caso di problemi, lamentele, rivendicazioni di promozioni, premi dei collaboratori, è controproducente.
Non sto dicendo che la normalità debba essere un centro di mutuo soccorso e nemmeno che tu possa/debba farti carico di qualsiasi problema ti sia manifestato, e che magari esula in parte dal tuo potere effettivo, ma nemmeno ignorare completamente le argomentazioni che sono degne di essere ascoltate.
Ci vuole un po’ di empatia. (Puoi leggere a questo proposito l’articolo “L’empatia è uomo o donna?” e “Conflitti sul posto di lavoro. li risolvi o cerchi colpevoli’?”)
E ascoltare costa poco. Costa poco ascoltare come il poter dire onestamente “capisco, ma quanto mi chiedi esula dalle mie possibilità” (se è vero, perchè altrimenti è un problema che devi risolvere).
Anche questo modo di fare è abbastanza diffuso fra i manager: quello di pensare che, una volta diventati capi, si è instaurato il regno della beatitudine e qualsiasi rimostranza viene vissuta come un attacco personale invece che vederla come un sacro santo diritto di ogni essere umano a dire ciò che pensa o a fare rimostranze, o a rivendicare altre cose (sempre che ciò avvenga nel rispetto altrui).
10 – Risolvere i problemi
Che si tratti di problemi pertinenti il lavoro, o problemi pertinenti le dinamiche fra colleghi, quando le cose prendono una “brutta piega” non si può chiamarsene fuori. Rientra nelle aspettative del ruolo dare riposta a queste situazioni.
Avrai il compito di gestire le lamentele dei collaboratori: entro certi limiti (quindi a patto di non diventare la versione umana del muro del pianto) fa parte del ruolo gestire anche i momenti di scontentezza dei collaboratori.
Avrai il compito di scegliere chi premiare e chi no. E decidere. E motivare la decisione.
Avrai il compito di risolvere problemi di lavoro e di gestire problemi fra collaboratori che inquinano l’ambiente anche per altre persone, quando ciò avviene in una misura non più tollerabile al punto da compromette i risultati per tutti.
Avrai il compito di continuare a fare le fotocopie, se serve, senza che questo ti susciti sdegno o ti faccia sentire “declassato”.
Ora che ti ho detto ciò, come ti vedi nel tuo ruolo?
E se ambisci a fare il buon manager, pensi di aver voglia di imbarcarti per questa avventura, pro e contro del caso inclusi?
In sintesi, essere percepiti come un buon manager richiede di disporre di enormi dosi di pazienza ed energia: io personalmente con l’energia me la cavo, con la pazienza, in alcune specifiche circostanze, meno, nel senso che se la vendessero in fiale forse sbancherei le farmacie.
Essere un “fuffa manager” prevede l’uso di atteggiamenti che in sostanza sono l’esatto contrario del prendersi le responsabilità connaturate al ruolo. E a mio modesto avviso, uno che agisce così sul lavoro, forse, ha qualche domanda da farsi non solo come professionista, ma anche come essere umano.
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Federica Crudeli
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CARRIERA: TI SENTI UN BASTARDO SENZA GLORIA?
Ciao e Bentornato a Lavorare col Sorriso!
Oggi parliamo di carriera: ti senti poco valorizzato, ad un punto morto, di stallo, della tua carriera? Ecco 6 domande a cui è bene tu dia una riposta se vuoi lavorare col sorriso. Seguimi!
Mi rendo conto che il titolo è un po’ fortino… mi sono ispirata al mio regista preferito … Quentin Tarantino 🙂
Ti avviso: non ci andrò molto per il sottile. Se ti senti fragile smettila di leggere.
Sei nella seguente situazione:
Hai dato, dato, dato … il tuo tempo, le tue energie, raggiunto obiettivi sfidanti, regalato il tuo equilibrio emotivo impeccabile, pulito pure i gabinetti, aggiustato i condizionatori d’aria, fatto il facchino, annaffiato le piante dell’ufficio, pulito le scrivanie e anche qualcosa in più, eppure non ti vedi riconosciuto alcuno scatto di carriera (di ruolo e/o economico).
Sei fermo sempre al solito punto. E “covi” un misto di rabbia, nervoso, frustrazione.
Ricevi solo pacche sulle spalle e apprezzamenti per il lavoro svolto dal parte del tuo capo.
Diciamo che hai continue attestazioni di stima. Nulla di più. Sappiamo bene però che con la stima non ci compri la casa e neppure la Ferrari. Ti senti un bastardo senza gloria: né infamie, poche lodi, e magari vedi il tuo vicino di scrivania lanciato per le dune siderali della carriera.
Magari ti confronti e ti rendi anche conto che tu non hai poi così tante meno capacità di altri, eppure, sei lì, immobile come una statua di sale nel Mar Morto.
Ti senti avvilito, frustrato, e pieno di sacchettini di veleno magari, che non disdegni di somministrare a chi ti capita a tiro.
Che fare per tornare a sorridere? Intanto farti almeno 3 domande, che possono apparire banali, ma per esperienza, non lo sono affatto.
Quando le cose nella vita non si mettono come vogliamo tutti tendiamo a sprofondare nel nostro orticello di negatività perdendo di vista il contesto più generale, che può allargare gli orizzonti e aiutare a vivere meglio.
Tendiamo insomma a focalizzarci sul negativo, restringendo la visuale dai potenziali 360° a 35°, ad esempio.
1 – le tue aspettative di carriera, sono ragionevoli in termini di tempo, per il contesto aziendale di cui fai parte?
Voglio dire: sei talmente focalizzato sul volere quel ruolo, da perdere di vista che quel ruolo, in media, è accessibile in media dopo x anni? Se ti aspetti una promozione dopo 3 anni, supponiamo, mentre la media con cui ciò avviene è di 5, forse ti stai avvelenando per nulla. Il fatto che tu sia “super” potrebbe non sposarsi bene con il resto del contesto.
2 – esistono nel tuo contesto reali spazi di crescita orizzontale o verticale? Se la riposta è no, anche qui ti stai avvelenando inutilmente. Ci sono cose che non dipendono da te, e fino a quando le circostanze non si faranno più favorevoli, o tu non ti adopererai per crearle, è inutile che ti danni l’anima.
3 – se ambisci ad aumenti di stipendio o premi, quello che vorresti, è negato a te, o magari è in realtà negato a tutti coloro che sono in una situazione simile alla tua? Come funzionano le politiche retributive? Che periodicità anno? A chi sono rivolte?
Sto dando anche per scontato che tu sappia che esisterà sempre un fisiologico gap fra quello che pensi di meritarti e quello che ti viene riconosciuto. Questo caso non lo considero neppure.
Voglio dire … prima di “avvilirti” inutilmente, e sentirti una pecora nera, uno sfigato a cui va tutto storto, accertati di guardare alla situazione in modo più ampio. Magari ti accorgi che il mondo non è in combutta contro di te e che non c’è una cospirazione cosmica a tuo danno.
Ciò non toglie che la tua frustrazione resti, ma quantomeno potrebbe assumere dei connotati diversi, e magari al momento giusto, con le circostanze “buone”, quanto ti aspetti potrebbe esserti riconosciuto (sempre che tu lo abbia espresso a chi di dovere).
Se invece hai verificato che per tempi, spazi e politiche retributive quanto ti aspetti è più che ragionevole, allora la cosa si mette diversamente.
Ipotizziamo quindi che esistano le condizioni di contesto “giuste” e che tu abbia espresso le tue esigenze a chi di dovere e nulla si sia mosso.
Hai ricevuto come risposta, magari più e più volte, quelle promesse di carriera vaghe stile nebbia in Val Padana: lei è una persona seria, affidabile, puntiamo su di lei, la stimiamo, crediamo nelle sue potenzialità, continui così che arriverà il suo momento, il suo impegno sarà premiato. O qualcosa di simile.
Poniamo anche il caso che tu sia una persona abbastanza intelligente da sapere che una promessa vaga di carriera, senza una scadenza e senza una minima indicazione di contenuto plausibile, è una presa in giro.
E ipotizziamo pure che tu per mantenere certi equilibri, per educazione etc. abbia finto di credere a queste promesse, certo però del fatto che se anche sono vaghe, però in te ci credono sul serio e ti daranno davvero quello che vuoi appena possibile.
Sorge un problema: che questo “appena possibile” potrebbe anche non arrivare mai per “n” motivi. O magari la congiuntura aziendale potrebbe restarti avversa per un periodo non definibile. Questa parte da bastardo senza gloria ti piace tanto?
Invertiamo i “panni”: cosa faresti se fossi tu l’ imprenditore con risorse limitate e problemi di budget da gestire, a godere di lavoratori indefessi, meritevoli, preparati, competenti che risolvono problemi, sgobbano a man bassa senza fiatare, che magari fanno straordinari senza neppure farseli pagare, al costo lavoro fermo da anni?
Intuisci vero cosa intendo dire ? 🙂
Quindi … quali altre domande puoi farti, a parte “ingrugnirti” passivamente, per ritrovare il sorriso?
4 – Voglio continuare così?
Per quanto? A cosa sto rinunciando oggi? Penso ne valga la pena? E’ comunque un piacere oppure sono solo soffocato dal senso del dovere? Quanto è importante per me la carriera?
Se adesso ti senti un bastardo senza gloria, secondo te andando avanti nel tempo il tuo livello di frustrazione potrà diminuire o pensi di saperlo accettare serenamente?
A parte chiamarmi per tagliare il nastro di inaugurazione quando ti dedicheranno la statua in onore al/la più grande martire del lavoro, l’importante è che tu sappia bene a cosa vai incontro e che tu lo scelga consapevolmente.
Fare una scelta consapevole e ponderata in questo senso, proprio perchè è una scelta, in teoria dovrebbe regalarti un sorriso di serenità. Non ha senso vivere male se sei tu a sceglierlo!
A questo proposito ti invito a testare il tuo livello di motivazione leggendo l’articolo “Motivazione sotto ai piedi appena sveglio? Riportala su!”
2 – voglio richiedere espressamente al mio capo o chi di competenza uno scatto di carriera/promozione/stipendio , stavolta strappando una indicazione di data certa, e percorso di crescita descritta non dico nei minimi dettagli, ma almeno che abbia un fondamento di realtà? (se ti promettono di farti responsabile all’ufficio marchi e brevetti industriali in una banca… ecco…serve che vado oltre? …).
Se vuoi muoverti in questo senso, per “rivendicare” quanto desideri è opportuno che ti prepari il tavolo delle trattative.
Anche questo può sembrare banale ma non lo è affatto! Se non hai una idea chiara, precisa, specifica, di cosa vorresti e quando lo vorresti e di tutti i fatti che supportano e sostanziano la validità della tua richiesta, sei fuori strada!
Preparati quindi un elenco di fatti, obiettivi raggiunti, attività che pensi di aver fatto oltre alla tua stretta competenza con buoni risultati, problemi che hai risolto efficacemente non solo a tuo parere ma anche di altri.
Fai mente locale a tutte le cose positive che hai fatto e che possono giustificare la tua richiesta. Non lasciare nulla al caso!
Preparati anche a gestire eventuali obiezioni, prevedendo in anticipo possibili risposte sensate alle possibili contro argomentazioni che pensi di poter ricevere.
2 – ho voglia di mandare il mio CV ad altre aziende?
Si è vero che c’è la crisi. Ma non escluderei altre strade a priori. Valutare quanto è apprezzata la tua professionalità sul mercato del lavoro pensi che sia inutile, anche per la tua autostima? Anche solo per misurarti in altro contesto?
Cosa ti trattiene dal farlo?
3 – se tentando le strade 1 e 2 nulla si muove… posso/voglio considerare l’ipotesi di “rallentare” il ritmo?
Smetterla di dare oltre misura energie e tempo che ti rendono frustrato, ti fa così paura? Ti fa sentire in colpa?
Lo sai che il senso di colpa ha ragione di esistere solo se una persona non può dire a se stessa di aver dato il massimo per le circostanze (e abbiamo visto non essere il tuo caso) e che in caso contrario è solo un fardello inutile?
Cosa ti impedisce di rallentare, se è questo che intendi fare? Sei spaventato dalle conseguenze?
Lo hai già iniziato a fare? Cosa è successo? Che effetti si producono? cataclismi? Crolli di palazzi? Utili ribassati in 3 giorni di milioni di dollari per colpa tua?
In quale altro modo potresti investire tempo ed energie per ritrovare il sorriso e anche la carica per lavorare a cuore più leggero, prendendoti una pausa dall’avvelenamento quotidiano?
Ce le hai delle passioni? No??? Cercatele! E’ grave! La vita è una sola. Passarla lamentandoti senza cambiare una virgola, ti sembra costruttivo per te stesso? Pensi che possa magicamente renderti felice?
Se però hai dato talmente tanto te stesso sul lavoro negli ultimi tempi o anni al punto che non riesci ad uscire da questo loop, ma non perché non vorresti, ma perché non hai idea di cosa altro fare fuori dall’ufficio, tu hai un problema serio del quale è bene che ti occupi quanto prima.
Lo stress esagerato protratto nel tempo libera quantità di cortisolo nel sangue che fanno solo male. Senza contare quanto la negatività sparsa sia contagiosa e deleteria per te e tutti coloro che ti sono affianco, sul lavoro e fuori.
Hai valutato sino ad oggi quanto il tuo avvelenamento si ripercuota su altri settori della vita? Sei irritabile anche con i tuoi affetti? Con gli amici? Ti stai isolando? Cosa rischi di perdere su altri fronti?
Esistono gli amici, lo sport, gli hobby, i teatri, i cinema, le partite, i concerti, gli affetti, o più in generale quella cosa che si chiama vita. Ti fa così tanto schifo?
Ti identifichi al punto con il tuo lavoro che non riesci a connotarti se non come “futuro manager di x“?
Se così è, hai valutato che il lavoro è uno dei mezzi di realizzazione per sperimentare gli stati d’animo che più frequentemente desideriamo?
E gli stati d’animo che più frequentemente desideriamo vivere, non sono perseguibili solo tramite il lavoro?
Certo, per ognuno di noi il lavoro è una parte molto importante della vita. Nessuno intende negarlo. Ma proprio per questo, a maggior ragione, ha senso continuare a “dare” in un lavoro che ti spreme come un limone e ti fa sperimentare quantità di frustrazione su scala industriale crescenti?
Abbiamo visto assieme 6 domande a cui puoi dare riposta: hai intenzione di fare nulla e continuare così?
Bene! Allora smettila di lamentarti e sentirti frustrato.
Sei tu che lo scegli! Appendi gli abiti del bastardo senza gloria e sgobba in silenzio senza inquinare l’acustica di tutti con le tue lagne rabbiose.
Se non vuoi lavorare col sorriso tu, lascia almeno che gli altri vivano sereni senza doversi sopportare le tue frustrazioni!
Sono stata un po’ indigesta oggi? Mi spiace! 🙂
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Federica Crudeli
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DIVENTARE CAPO: 7 PASSI PER NON REMARE LA BARCA DA SOLO/A!
Ciao e Bentornato a Lavorare col Sorriso!
Diventare capo di fresca nomina: ecco 7 passi per assicurarti che tutti i membri dell’equipaggio che guiderai remeranno con te! Ti spiego come essere un buon manager, e guadagnarti la fiducia del tuo management di riferimento e dei collaboratori, gestendo efficacemente (ossia risparmiando tempo e stress) il cambiamento nell’ assumere un ruolo di maggiore responsabilità, magari anche in un nuovo tipo di lavoro e/o unità di business, e/o azienda, per farti apprezzare e stimare senza cadere nell’ ansia divorante da prestazione lavorativa, di cui ti ho già parlato nel mio precedente articolo!
[Tweet ““ Prima capisci, poi agisci” – cit. mia”]
Diventare capo, diciamolo, mette sempre un misto di euforia per il traguardo raggiunto e le nuove sfide in vista, e anche un po’ di ansia per la paura di non essere all’ altezza delle aspettative, o per come ti vedranno i capi, colleghi e collaboratori.
Il primo errore da evitare è quello di voler strafare da subito. I processi di cambiamento, come ti ho spiegato anche nel mio articolo “Cambiamenti lavorativi: battere l’effetto Trump in 2 mosse” spaventano, non tanto per il cambiamento in se stesso, quanto per gli effetti che produce.
Il cambiamento necessita di tempo per essere metabolizzato: da te che ti appresti ad indossare un nuovo vestito, e da chi avrà a che fare con te, che come ogni essere umano potrebbe rivestire speranze in un cambiamento in positivo, o essere diffidente nei tuoi confronti.
Per lavorare bene cosa devi avere a cuore? La fiducia del tuo nuovo capo (se ancora non la hai) e dei tuoi collaboratori. O remerai la barca da solo.
Va da se che il diventare capo a seguito di un promozione all’interno della stessa unità di business in cui sei già collocato e in cui conosci i colleghi, il contesto e il tuo superiore quello che segue sarà notevolmente semplificato, sebbene ti consiglio di leggerlo ugualmente, dal momento che il cambio di ruolo comporta sempre una ridefinizione di precedenti equilibri.
Diventare capo – Passo n° 1 – informati!
Per diventare capo e muoverti al meglio nella nuova realtà, è bene che tu raccolga più informazioni possibile sull’ambiente lavorativo in cui stai per calarti.
Ormai le aziende hanno tutte o quasi un sito internet dal quale è possibile evincere tantissime informazioni di contesto: mercato di riferimento, attività di business, clienti e fornitori, livello di organizzazione e strutturazione dell’azienda, dati economico – finanziari.
In particolare cerca nelle fonti esterne e pubbliche tutto quello che ha a che fare e caratterizza il tuo nuovo ruolo e ne costituisce una variabile chiave che ti troverai a gestire.
Diventare capo significa gestire problemi e trovare soluzioni. Prima capisci quali sono i tipici problemi caratteristici del tuo ruolo, prima diventi efficace nel padroneggiare le responsabilità che ti competono.
Diventare capo in un’area commerciale capisci bene che ha implicazioni diverse dal diventare capo in area amministrazione finanzia e controllo, dal diventarlo nell’area logistica e approvvigionamenti etc.
I principali temi e problemi da affrontare differiscono da area ad area e presuppongono delle caratteristiche tipiche di quel determinato ruolo: preparati!
Ipotizziamo adesso sia nella tua nuova realtà con il tuo nuovo ruolo: cosa fare?
Diventare capo – Passo n° 2 – Capisci il tuo capo: ti serve una bussola!
Diventare capo significa avere delle responsabilità su determinate attività.
Di norma avrai a tua volta un capo a cui riferire che ti aiuterà (si spera) ad inserirti nel nuovo contesto.
Le sue aspettative su di te è giusto che siano la tua bussola: tu renderai di conto a lui, quindi è bene che ti occupi immediatamente di capire quali risultati vuole assicurati, nel modo più specifico possibile.
La prima domanda a cui devi dare riposta è: cosa si attende da te? Se tu sei subentrato a qualcun altro, si aspetta cose diverse? Quali?
Quali miglioramenti si attende, per cosa, in che tempi?
Quali sono le cose per lui più importanti/prioritarie che ti chiede siano assicurate?
Se invece assumi un ruolo in una nuova attività precedentemente non formalizzata come unità di business, comunque, quali aspettative ha? Quali sfide ti aspettano? Quali sono le più importanti e le più urgenti per le quali è richiesto il tuo contributo?
Diventare capo – Passo n° 3 – Capisci il tuo ruolo efficacemente
Attraverso colloqui con il tuo capo/supervisore, letture di mansionari, procedure, o altri strumenti organizzativi che in base al contesto possono essere più o meno formalizzati, il puzzle che devi arrivare a comporre risponde alle seguenti domande:
Cosa devo fare? Preoccupati di censire tutte le macro-attività che competono alla tua responsabilità.
Con che frequenza? Ogni attività avrà una sua programmazione. Distinguere da subito le attività routinarie (che sono quindi da eseguire con cadenza giornaliera, mensile, trimestrale, semestrale e così via ) da progetti speciali o attività ad hoc (che di norma hanno una data di inizio e fine prevista) ti consente di disporre da subito di criteri per organizzarle al meglio partendo dalla prima che necessita di essere portata a termine dopo il tuo arrivo.
Con quale obiettivo? Ogni attività si prefigge di raggiungere un determinato obiettivo. Chiedi da subito quale sia.
Come si fanno le attività? Altra cosa che hai da capire subito sono i riferimenti procedurali esistenti per lo svolgimento delle attività. Se non ne esistono attraverso i colloqui con i collaboratori fatti descrivere come vengono usualmente svolte le attività che ti sono state assegnate.
Chi sono i miei fornitori interni? Mappa subito chi sono gli interlocutori principali che forniscono gli input ad ognuna delle tue attività.
Chi sono i miei clienti interni? Mappa subito chi sono gli interlocutori principali che beneficeranno degli output delle tue attività.
Se lo valuti opportuno, in un secondo momento, puoi pianificare incontri con i clienti/fornitori interni per ascoltare anche il loro punto di vista allo scopo di identificare punti di miglioramento.
Esistono criteri strutturati di misurazione delle performance per ogni attività?
Se si, è bene che tu sappia da subito quali siano.
Diventare capo – Passo n° 4 – Parla con i collaboratori!
Dato che hai dei collaboratori, e che sei nuovo nella veste di capo, è bene che ti prenda il tempo di parlare singolarmente con ognuno di loro.
Si lo so cosa stai pensando, è impegnativo. Ti espone. Ma se sei sicuro di te stesso, dove è il problema? Ti spaventa eventualmente sentire “qualche lamento?”
L’obiettivo di questi colloqui è: conoscerli come esseri umani, capire le loro aspettative e il loro grado di motivazione, cosa li gratifica e cosa no, stato delle politiche retributive a loro attribuite, storia lavorativa pregressa, compreso il rapporto con il precedente capo.
Queste informazioni saranno utili a comprendere le loro leve motivazionali e a valorizzarli al meglio nella gestione delle tue attività. Sarà produttivo ed efficace per te, saranno contenti loro.
Questo atteggiamento è di per sé motivante per i tuoi futuri collaboratori: significa che gli dai attenzione e che sei disposto ad ascoltarli (sempre che poi tu dia seguito a quanto hai raccolto).
Interessati di capire cosa facevano fino a prima del tuo arrivo: ti servirà per acquisire informazioni e poter valutare una eventuale re-distribuzione delle attività e dei carichi di lavoro, anche in funzione delle loro risorse e del loro potenziale, ed a capire il loro punto di vista su cosa funziona bene e cosa meno.
Interessati di capire il loro punto di vista sullo stato dei rapporti con i vostri clienti e fornitori interni, cosa funziona bene e cosa no nella gestione di questi rapporti.
Diventare capo – Passo n° 5 – comprendi bene la cultura aziendale
Questo passo, acquisisce maggiore importanza se “vieni da fuori”, e in ogni caso, anche qualora la tua nomina a capo sia avvenuta all’interno dell’azienda in cui già lavori, il cambio di ruolo presuppone comunque una redistribuzione di vecchi equilibri.
Qui si tratta di investire del tempo per capire come muoverti all’interno delle regole non scritte della tua azienda ma che sono determinanti per la tua buona riuscita come capo.
Quindi cerca di capire (e puoi farlo prevalentemente osservando le dinamiche relazionali e chiedendo con discrezione) come è opportuno muoverti nella gestione dei rapporti con i colleghi. In parte lo avrai già capito raccogliendo le informazioni dei punti precedenti, ma, qualora il puzzle non ti sia ancora chiaro è bene che ti adoperi per completarlo.
In sostanza devi darti una riposta a questa domanda: cosa è opportuno che io faccia e cosa no, in funzione dei miei obiettivi, per non urtare troppo la suscettibilità di chi mi circonda?
Questo non perché necessariamente nulla debba essere cambiato, ma semplicemente perché, se hai dei cambiamenti da attuare, è bene che siano nei limiti del possibile, graduali, in modo da essere digeriti da chi ha da farci i conti.
Ti ricordo che il tuo obiettivo guida è guadagnarti la fiducia di chi ha il potere di incidere sulla buona riuscita del tuo incarico: guidare una barca con n persone sopra che non remano o che remano contro capisci bene che è uno sforzo immane e poco intelligente.
Se cominci facendoti tabula rasa intorno, va da se che ti stai scavando la fossa con le tue mani.
Magari resterei capo di nomina, ma non nei fatti, perché tutti ti remeranno contro.
Diventare capo – Passo n° 6 – Tira le somme e osserva!
Dopo aver compiuto i 5 precedenti passi (non necessariamente in ordine sequenziale) hai: acquisito informazioni su cosa si aspetta il tuo capo da te, quali attività devi gestire, con che obiettivi, con che frequenza, con quali risorse.
Hai compreso aspettative, motivazione, risorse e potenziale dei tuoi collaboratori.
Hai mappato i tuoi interlocutori interni, e le principali criticità nella gestione delle relative attività e rapporti.
Adesso prenditi un po’ di tempo per valutare tutti questi elementi nell’insieme e farti una idea circa l’opportunità che le cose possano o meno proseguire in armonia con la gestione precedente.
Inizia a pensare quali attività possono essere fatte meglio, quali possono essere eliminate, quali possono essere fatte in modo più efficace e chi può farle: andava bene la precedente distribuzione delle attività fra collaboratori oppure è pensabile una re-distribuzione che valorizzi meglio le loro risorse e vada incontro maggiormente alle loro aspettative in modo da motivarli?
Diventare capo – Passo n° 7 – Agisci
Con il quadro della situazione sotto mano, e passato un minimo di tempo ad osservare come funzionano le cose, puoi stendere un piano di azione funzionale all’assolvimento delle tue responsabilità e al contempo, a soddisfare le aspettative del tuo management di riferimento.
Individua le attività che a tuo parere necessitano di essere ripensate.
E’ bene che tu inizi da quelle più importanti: quali sono? Quel 20% di attività che assicurano l’80% dei risultati , usando il criterio di Pareto.
Come individui quelle più importanti? In termini di conseguenze/effetti che avrebbero sull’obiettivo finale se tu non le affrontassi per prime.
Come metti in pratica le tue valutazioni sulle cose da cambiare? Coinvolgendo nei cambiamenti più impattanti i collaboratori e tutti coloro che ne sono impattati. Condividi con loro le tue proposte, ascolta i loro parari, sii disponibile a rivedere le tue posizioni con apertura mentale.
Ci vuole tempo per muoversi in questo modo? Si.
Ma se pensi di risparmiare tempo agendo cambiamenti con totale noncuranza di chi ne farà le spese, o in teoria di chi dovrebbe assicurarti la sua collaborazione, quello che spenderai in futuro e a lungo per rimediare a questo errore ti costerà molto stress, energie buttate e malumore diffuso.
In sintesi, se stai per diventare capo, acquisire informazioni sul contesto in cui andrai ad operare, capire la cultura aziendale, capire le aspettative di capi e collaboratori, clienti e fornitori interni ti consente di agire e gestire le tue responsabilità guadagnandoti la fiducia di tutti coloro che dovranno remare la barca con te!
Non lasciare a terra nessuno prima di partire!
Pronto a salpare adesso?
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Federica Crudeli
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CAMBIAMENTI LAVORATIVI: BATTERE L’EFFETTO TRUMP IN 2 MOSSE!
Ciao e Benvenuto a Lavorare col Sorriso!
Cosa è l’effetto Trump in tema di cambiamenti lavorativi? Negli ultimi giorni, a seguito dell’elezione del nuovo Presidente USA credo che tutti abbiamo assistito ad una specie di isteria emotiva collettiva ovunque, specialmente sui social network. Si sono scatenati commenti di ogni sorta e una specie di panico diffuso sui timori di quello che succederà da adesso in poi. Un pò lo stesso panico diffuso visto in occasione della Brexit …sembrava dovesse crollare il mondo, a partire dalle borse! Il cambiamento in ambito lavorativo ha su di te gli stessi effetti? Entri nel panico da effetto TRUMP? L’onda d’urto emotiva è tale da offuscarti la ragione, e buttarti in uno stato di ansia da quello che succederà? Oppure ti entusiasma?
Ecco, tanto per cominciare ad inquadrare come gestisci/affronti gli effetti dei cambiamenti, e quanto l’emotività a volte possa schiacciare la razionalità o oggettività dei fatti … a proposito di Brexit … quali e quanti fatti, ad oggi, supportano i nefasti effetti che avrebbe dovuto avere quella scelta?
Come puoi affrontare il cambiamento lavorativo mantenendo il tuo benessere, evitando di cadere intrappolato in stati d’animo di apprensione/panico/paura o emotività invadente al punto da limitare la tua capacità di gestire e affrontare al meglio il contesto? In due modi:
1 – mantenendo il focus sulla tua “direzione”
2 – imparando innanzi tutto a capire come sei solito reagire ai cambiamenti!
Come? Seguimi!
[Tweet “Quella che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo chiama farfalla.” – cit. Lao Tzu “]
1 – Mantieni il focus sulla tua direzione
Sebbene gli avvenimenti esterni alla tua persona, quali l’elezione del Presidente USA o altri avvenimenti importanti, possano avere una enorme risonanza, e un contagio emotivo forte fra persone e colleghi, (lo stesso che si ha normalmente nelle aziende quando subentra un nuovo Amministratore Delegato o Direttore o Top Manager), di fatto, continua a contare solo una cosa per te: la tua meta/direzione, i tuoi obiettivi di lungo termine.
Il fatto che cambino cose “là fuori” implica che tu abbia magari da prendere scelte, provvedimenti, decidere se “subire” una situazione che ha impatti, se li ha, su di te poco gradevoli (reagire), oppure “rispondere”, ossia definire un piano di azione e agire un comportamento che ti avvicini a quello che desideri.
Per identificare quale sia la direzione, il tuo senso di scopo, l’elemento irremovibile che ti sostiene anche se tutto quello che ti sta attorno cambia, mettendoti quindi in condizione di affrontare qualsiasi stato d’animo, ti rimando a leggere il mio articolo “Un giorno lo farò: il tempo ti è nemico?” – Parte I e II.
2 – Osserva come sei solito reagire/rispondere ai cambiamenti
Ferma restando l’importanza del punto 1) poichè nell’arco della vita lavorativa ti troverai ad affrontare molti cambiamenti, alcuni che ti riguarderanno in prima persona, alcuni che riguarderanno quello che si muove attorno a te, è importante non solo avere presente la tua meta/direzione, ma anche come sei solito comportarti.
Tu potresti trovarti nella condizione di dovere/volere cambiare mansione, attività, funzione aziendale (cambiamento orizzontale) oppure ruolo diventando ad esempio capo (cambiamento verticale).
Allo stesso tempo magari a parità come no di ruolo, mansione, funzione, potresti vedere cambiamenti nelle persone con cui sei solito rapportarti a seguito di cambiamenti organizzativi che ti impattano indirettamente.
Tu cambi tutti i giorni. Ci hai mai pensato? E tutto quello che hai intorno muta di continuo.
Probabilmente se ti facessi le analisi del sangue, la conta dei globuli bianchi e rossi oggi sarebbe diversa da quella di ieri e di domani.
Se è vero che tu sei un corpo, non sei mai uguale a te stesso. Cambi di continuo.
Eppure… eppure quando hai da affrontare una situazione ex novo, dimmi se non è vero, ti parte il loop del “e ora, cosa succederà?” con tutta una serie di pre-occupazioni a cascata sul cambiamento in atto.
Certo, non tutti i cambiamenti destano enormi preoccupazioni. Ma a volte si. Soprattutto se si tratta di cambiamenti che tu consideri importanti. In qualche modo, un certo equilibrio fino a quel momento mantenuto “intatto” si “rompe” per fare spazio a qualcosa di nuovo ed incerto.
Tu come ti rapporti normalmente con il cambiamento? Come lo affronti?
Come lo hai affrontato fino ad oggi?
Ti spaventa? Passi ore a rimuginare e a valutare tutte le possibili conseguenze del caso? A immaginarti tutte le catastrofi che potrebbero succederti, a cosa potrebbe andare storto?
Oppure hai fiducia che tutto andrà per il meglio e ci pensi, si, ma non più di tanto? Anzi, non ci pensi affatto?
Da molti studi che sono stati condotti nelle organizzazioni, di fondo, si registra, in media, una resistenza al cambiamento. Questa resistenza è ricondotta, sostanzialmente, non tanto al cambiamento in se, quanto alle conseguenze del cambiamento. In effetti, anche io personalmente ho fatto i conti con questa dinamica.
Uso una metafora che mi piace molto: supponiamo tu debba cambiare gli abiti che indossi, ipotizziamo il tuo completo o taielleur da ufficio, per vestirti per andare in palestra, o al cinema con gli amici, o ad una partita.
Come fai?
Ti spogli, ti togli degli abiti e te ne metti degli altri. Semplice.
Il cambiamento, di qualsiasi genere, presuppone lo spogliarsi di qualcosa, per indossare qualcosa d’altro.
Annota le risposte a queste domande:
Quanto è facile/difficile per te spogliarti delle tue abitudini, modi di fare, rapporti consolidati, per fare spazio a qualcosa di nuovo, e diverso?
Dove incontri più resistenza, nello spogliarti o nel rivestirti con abiti diversi?
Quanto tempo ci metti a lasciar andare “il vecchio” e quanto ne metti di norma ad adattarti a nuovi contesti?
A chi rivolgi la tua attenzione: a quello che ti aspetta di diverso in un contesto nuovo, o alle energie che tu dovrai mettere in campo per affrontarlo?
In qualche modo il cambiamento ha comunque a che fare anche con la consapevolezza sè.
La consapevolezza di sè, mettitelo in testa, è il punto di partenza da cui nascono tutte le dinamiche lavorative, personali, di vita in generale.
Perché quando qualcosa cambia, tu cambi, con tutto te stesso e tutto il tuo corredo di entusiasmo, paure, gioie, rabbie, frustrazioni, tristezze, allegria, entusiasmo e di tutto un po’.
Questa prima riflessione ti suggerisce qualcosa?
Quanti cambiamenti lavorativi o di vita hai affrontato fino ad oggi nella tua vita?
Quali sono state le principali difficoltà che hai incontrato?
Che pensieri avevi? Quali emozioni hai provato?
In quale punto del processo? Prima, durante, o dopo?
Fai mente locale al tuo modo usuale di affrontare i cambiamenti.
Rileggi quanto hai scritto.
In questo modo potrai identificare paradossalmente le abitudini con cui affronti un cambiamento che scopri essere ripetitive ma deleterie per te e sostituirle con atteggiamenti più utili.
A questo proposito, per identificare e modificare comportamenti che valuti poco efficaci nella gestione del cambiamento, può tornarti utile il mio articolo “Ripeti sempre gli stessi errori? Come trasformarli in successo!”
Insomma, questo effetto TRUMP applicato ai cambiamenti lavorativi, adesso pensi di poterlo gestire meglio?
Hai voglia di farmi sapere qualcosa in proposito commentando nel box a fondo pagina?
Cosa vorresti che fosse trattato nei miei articoli sul tema del cambiamento lavorativo, rispetto alle dinamiche di cui ti ho parlato sopra?
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A presto e grazie!
Federica Crudeli
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VUOI DIVENTARE CAPO? 6 SEGRETI PER RIUSCIRCI
Ciao e Bentornato a Lavorare col Sorriso!
Ecco 6 segreti da applicare se ambisci a diventare capo, ossia assumere un ruolo di maggiore responsabilità e quindi (di solito) anche più remunerato, nell’ambito dell’attività lavorativa che svolgi.
[Tweet ” Chi pensa di guidare gli altri e non ha nessuno che lo segue sta solo facendo una passeggiata.” – cit. John Maxwell “]
Ipotizziamo tu sia entrato in azienda da poco oppure che tu abbia maturato già dell’esperienza e che tu voglia diventare capo.
Cosa vuol dire diventare capo di solito? Assumere un ruolo di responsabilità nella organizzazione, gestione e controllo di una attività, collaboratori compresi, normalmente rendendo di conto ad un altro capo.
Normalmente il diventare capo è in realtà il riconoscimento formale ed economico di un processo che, nei fatti, è avvenuto prima: ossia tu ti sei già messo nelle condizioni di essere un capo di fatto, perché ti sei costruito una credibilità, una tua autonomia e buone relazioni con capo e colleghi, e quindi l’azienda è “costretta” a riconoscerti quello che ti spetta.
Prima di parlare dei 6 segreti affinchè ciò avvenga, due doverose premesse: una di tempo, l’altra di “spazio”.
La prime domande a cui devi dare riposta sono: nella mia realtà aziendale, dopo quanto tempo una persona assume in media un ruolo di responsabilità e può quindi aspirare a diventare capo? Dal punto di vista organizzativo, c’è già o è possibile creare lo spazio per un ruolo di capo?
In questo modo hai già una indicazione di come i tempi interni di crescita e la visione di lungo termine del tuo capo sulla possibile evoluzione organizzativa della tua attività, si sposino o meno con le tue aspettative.
Se vuoi diventare capo dopo 3 anni di esperienza e in media questo avviene nella tua azienda dopo almeno 5 anni, puoi applicare i seguenti 5 segreti come ti dico di seguito, con la consapevolezza che i tempi potrebbero comunque non essere maturi per il contesto generale in cui sei attualmente collocato.
Va da se che se sei a conoscenza di un contesto esterno che ti “premia” nei tempi che tu ti sei prefissato, puoi proporti altrove e cambiare lavoro.
I 6 segreti esposti di seguito restano comunque validi ovunque tu aspiri a diventare capo.
Segreto n° 1 – Umiltà
Sei collocato in un contesto di business e organizzativo fatto di colleghi, ossia persone, di varia estrazione ed esperienza.
Il fatto che tu abbia una serie infinita di titoli di studio o master, ed esperienza, non significa in automatico porsi con saccenza ed arroganza verso i colleghi.
Mostrati disponibile ad imparare, ascoltare e capire chi ha più esperienza lavorativa di te: può essere una miniera preziosa di informazioni e conoscenze che ti torneranno utili.
Poniti con umiltà anche verso altri colleghi esterni alla tua unità di business. Sii collaborativo.
Segreto n° 2 – Rispetta i confini
Impara a capire più velocemente possibile quali sono i limiti di autonomia che hai per muoverti all’interno della tua organizzazione, senza “pestare” i piedi o “tentare di scavalcare” i colleghi e i capi.
Anche qualora tu fossi più veloce, efficace, efficiente di altri nello svolgere le attività, lascia che siano i fatti a parlare per te e non cadere nella tentazione di “sopraffare” i colleghi facendo la corsa a mostrarti come il meglio a loro discapito, usando mezzucci “infimi” per farti notare.
Ad esempio screditando il lavoro altrui, accaparrandoti i meriti quando fai le cose fatte bene (magari con il supporto altrui) e scaricando le colpe sugli altri accampando giustificazioni quando fai qualcosa di sbagliato.
Oppure estromettendo il tuo capo, o altri colleghi, dalle comunicazioni e/o scambi lavorativi con altri uffici per farti bello.
Questi atteggiamenti, solitamente, non sono premiati. Anzi, depongono notevolmente a tuo sfavore.
Se osservi, capisci e rispetti i confini formali ed informali che esistono nella gestione dei rapporti fra colleghi e con il tuo capo, la tua velocità, efficacia ed efficienza saranno riconosciute in automatico e verrà spontaneo affidarti incarichi via via più complessi che coinvolgono via via più interlocutori aziendali diversi.
Segreto n° 3 – Capisci le capacità chiave da sviluppare nella tua attività!
Ogni tipo di lavoro presuppone un uso più o meno marcato di alcune capacità fra quelle realizzative, cognitive e relazionali.
Se vuoi diventare capo devi fare in modo che quelle necessarie alla tipologia di lavoro che fai siano progressivamente sviluppate e/o rinforzate.
Come? Identificando quelle che senti come più deboli e rafforzandole con comportamenti fattivi, o valorizzando al massimo quelle necessarie che già possiedi e in cui ti senti forte.
Ad esempio se ambisci a diventare capo nel settore ricerca e sviluppo di una farmaceutica, le capacità relazionali avranno meno importanza per la crescita professionale di quanta ne abbiano per chi ambisce a diventare un “commerciale puro”, per intenderci.
Per riflettere sulle tue capacità cognitive, realizzative e relazionali ti rimando al mio articolo: Che capacità ho? Conoscerle ti aiuta!
Segreto n° 4 – Comprendi le aspettative del tuo capo!
Tu lavori per una azienda e poi per un capo che ne rappresenta le “volontà” in uno specifico ambito.
Sembra banale ma nella mia esperienza non lo è: può capitare che alcune attività che ti siano affidate siano per te di poco valore.
Sta di fatto che se ti sono richieste, servono a qualcuno: se non ne comprendi i motivi (anche se di norma qualcuno dovrebbe spiegarteli) chiedili con garbo, non essere passivo! Capire il contesto generale in cui si innestano le attività e che finalità hanno, aiuta a sviluppare il pensiero sistemico, una capacità indispensabile per assumere ruoli di responsabilità crescente e diventare un capo.
Il tuo attuale capo o supervisore diretto si aspetta da te delle cose: chiedigli direttamente cosa, precisamente, oppure osserva i risultati che lui apprezza particolarmente conseguiti da altri.
Impara o chiedi cosa vuole che sia fatto, in che tempi, con che priorità e come vuole che gli siano presentati i risultati che si aspetta da te.
Se non ti è possibile chiedere sempre, assicurati di comprendere bene l’obiettivo che ti viene di volta in volta affidato, e la sua priorità rispetto ad altre attività più o meno urgenti.
Fare un lavoro fatto benissimo, ma consegnato tardi, magari a discapito di attività più urgenti, non è saggio.
Quando il tuo capo ti fa notare un errore, invece che mugugnare alle spalle o maledirlo, vedi di capire cosa puoi fare meglio la prossima volta. Sii costruttivo.
Non affezionarti troppo al tuo lavoro al punto di volerlo difendere oltremodo se il tuo capo o un supervisore lo contestano o ti chiedono di cambiare qualcosa che hai già fatto: piuttosto cerca di capirne i motivi.
Rispondere subito “NO” a una richiesta che ti appare poco sensata è controproducente: da un lato perché potrebbero mancarti informazioni di contesto che la renderebbero sensata, dall’altro perché capita anche ai capi di sbagliare o valutare male alcuni compiti, priorità, implicazioni.
Se tu ti dimostri aperto ad ascoltare e capire, e hai già intuito che quanto ti chiede rischia di non avere concretamente senso, fai domande specifiche per condurlo a capire che quanto vuole da te contrasta/non è coerente con altre attività, o che allontana invece di avvicinare al risultato che lui si prefigge di ottenere con il tuo aiuto.
In questo modo vedrà da un lato un atteggiamento di apertura, dall’altro la capacità di condurlo a valutare che la strada proposta non è quella più efficace o efficiente, e per questo ti ringrazierà.
Segreto n° 5 – Trova soluzioni a problemi che ancora non esistono
Se speri di diventare capo facendo sempre e solo alla perfezione il compitino che ti viene affidato, magari esigendo che ti sia spiegato anche il modo per farlo, non arriverai da nessuna parte.
Nell’ambito di una delega ben esercitata, tu riceverai attività da fare, lasciando a te la scelta del modo: non chiedere di essere seguito minuziosamente in ogni micro – step da fare.
Buttati, prenditi l’iniziativa, organizzati e pianifica le cose da fare, trova tu il modo per portare dei risultati, purchè siano quelli attesi nella finalità e nei tempi richiesti.
Se nel fare una attività noti qualcosa che non funziona, o che potrebbe essere fatto meglio, in minor tempo, e in modo più efficiente, prendi l’iniziativa e proponi una soluzione condividendola prima con i tuoi colleghi o chi sarebbe impattato dalla tua proposta. Opera un “fine tuning” raccogliendo anche idee e osservazioni altrui. Se la tua idea riscuote il consenso di chi ne è impattato, la strada con il tuo capo sarà spianata.
Inoltre considera che il capo solitamente apprezza chi si fa portatore di innovazioni. Poi per “n” motivi può decidere di non dare seguito alle tue proposte, ma tu proponiti con decisione! Sempre nel rispetto e con il consenso di chi è impattato dalla tua proposta di modifica “operativa”.
Ancora meglio se riesci a guardare oltre all’orizzonte di un singolo compito o di attività consolidate e ripetitive che possono essere fatte meglio, identificando in anticipo qualcosa che ritieni possa diventare un problema per il tuo ufficio se non gestito per tempo!
Il fatto di risparmiare problemi futuri è una dei modi più efficaci per farsi apprezzare e crescere professionalmente.
Quindi prendi l’iniziativa con una buona dosa di fiducia nelle tue capacità!
Segreto n° 6 – Ascolto, trasparenza, empatia e simpatia
Forse nelle aziende c’è una diffusa convinzione che possa diventare capo solo chi è serio e non ride mai: sicuramente è bene osservare il contesto prima di compiere “imprudenze”, ma in media regalare un sorriso, una battuta amichevole, scherzare, rende il clima più leggero, incrementa il senso di reciproca fiducia e genera consenso.
Ti augureresti mai un capo che è sempre triste, nervoso, irascibile, critico con tutti e verso tutto? Sii come il capo che vorresti avere!
Non fomentare discussioni inutili!
Se hai qualche problema relazionale con qualche tuo collega difficile o antipatico, vedi di risolvertelo da solo.
Sul lavoro è fisiologico non andare d’amore e d’accordo con tutti o non essere simpatici a tutti. Fintanto che questo non intacca i tuoi risultati, resta un problema di carattere relazionale “gestibile” con il buon senso.
Il tuo capo non è lì a fare da genitore – arbitro: cerca un confronto, trova un modo di andare d’accordo o risolvere un problema con i colleghi autonomamente.
I capi normalmente sanno bene quali sono i collaboratori difficili. E apprezzano chi riesce a rapportarsi in modo maturo senza sollevare inutili sommosse o fare le guerre ai mulini a vento per cambiare ciò che non è cambiabile: il carattere altrui.
Si tratta di trovare un giusto equilibrio di convivenza senza farne un caso di stato.
Se dopo numerosi tentativi falliti proprio non ottieni risultati, o malgrado tentativi di pacifica convivenza vedi boicottati i tuoi risultati, e compromessa la buona riuscita delle tue attività, allora valuta di ricorrere al tuo capo che è l’unico che può effettivamente dirimere “la controversia” come ultima istanza.
Ricorda però che essere aperto di vedute nell’atteggiamento, empatico, sorridente, costruttivo (e non quindi un lamentoso che borbotta come una pentola di fagioli piuttosto che proporre rimedi alle cose che non vanno) fa si che tu in automatico possa diventare il punto di riferimento spontaneo per molti colleghi e per molte attività.
Se noti qualcosa che funziona male, proponi una soluzione piuttosto che lamentarti di continuo!
Poniti in modo trasparente nei rapporti con i colleghi.
In conclusione
Ti ho parlato di 6 segreti, che poi sono atteggiamenti/comportamenti che se attuati preparano il terreno, creando quel seguito spontaneo che ti è necessario per un salto di responsabilità.
Certo, forse penserai, guardandoti attorno, che non tutti coloro che conosci e che sono responsabili di qualche attività, abbiano mai attuato questi comportamenti.
Qui però stiamo parlando di buone regole per diventare un capo che sia un buon esempio e non di come, eccezionalmente e chissà per quali altri motivi, alcune persone possono diventare capo malgrado difettino di umiltà, capacità realizzative, relazionali, empatia, trasparenza e capacità di ascolto.
Quindi, sei pronto a diventare capo?
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Federica Crudeli
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MOTIVAZIONE SOTTO AI PIEDI APPENA SVEGLIO? RIPORTALA SU!
Ciao e Benvenuto a Lavorare col Sorriso!
Oggi ti parlo di due tipi di motivazione al lavoro: intrinseca ed estrinseca. Cosa sono, da chi e da cosa dipendono? Ti aiuterò a capire in quali circostanze la motivazione al lavoro può essere aumentata e in che modo, in quali circostanze è possibile recuperarla se l’hai persa, e cosa fare di conseguenza. Attenzione perché è un articolo per stomaci forti e parecchio diretto.
[Tweet ““Fai della tua passione il tuo lavoro, e non lavorerai nemmeno un giorno della tua vita”– cit. Web”]
Se ti senti avere poca motivazione al lavoro potresti essere in una di queste situazioni: [list-ul type=”arrow”][li-row]non hai ricevuto l’aumento di stipendio che desideravi/aspettavi;[/li-row][li-row]non hai ricevuto la promozione al ruolo di responsabilità a cui ambivi;[/li-row][li-row] non hai ricevuto alcun riconoscimento/apprezzamento dal tuo capo per un lavoro che ritieni di avere svolto bene, con dose di frustrazione rincarata dall’ aver assistito alla promozione di qualcuno che a detta tua (e non solo) non lo meritava; [/li-row][li-row] ti senti poco considerato o mortificato dal tuo capo; [/li-row][li-row] ti vedi impiegato a fare una attività energivora che trovi poco stimolante nemmeno lavorassi in miniera, con poche ricompense e soddisfazioni. [/li-row][/list-ul][distance1] In linea generale, ti senti demotivato e l’idea di andare in ufficio la mattina ti genera quasi quasi anche un po’ di nausea a forma di “ma chi me lo fa fare?”
Come dice la parola stessa, motiv-azione è quel qualcosa che spinge una persona verso una certa meta, ossia l’insieme di fattori, i motivi, che inducono le persone a fare determinate cose.
Il problema, o la fortuna, (dipende dai punti di vista) è che esistono due tipi di motivazione al lavoro: quella intrinseca e quella estrinseca.
La motivazione al lavoro intrinseca, tradotta in parole coincise, equivale al buyer che stipula contratti di appalto per la gioia di farlo, al commerciale che vende prodotti e servizi e gioisce nel farlo, al legale che nell’occuparsi di pratiche e assistenza al business gode nel farlo, all’amministrativo che prova gioia sublime nell’emettere fatture e fare bilanci, al giornalista che scrive per il piacere di scrivere, al fiscalista che gode nello studiare i nuovi tributi per capire come gestire l’azienda, all’analista finanziario che studia i mercati per il piacere di conoscere l’andamento dei mercati, all’informatico che sviluppa software per il piacere di sviluppare nuovi codici sorgenti, e così a seguire …
La motivazione al lavoro intrinseca si basa sul piacere e la si sperimenta quando in generale ci si impegna in un’attività che è gratificante di per se stessa, e si sente una spinta naturale a voler soddisfare il bisogno di sentirsi sempre più competenti nel farla.
Fare quella determinata attività, indipendentemente dalle circostanze esterne, è fonte di piacere, che ci siano un collega, capo, amico, o chicchessia a gratificarti o montagne di soldi a ricoprirti.
A questo punto pongo la prima domanda: l’attività che svolgi tutti i giorni in azienda, è fonte per te di motivazione al lavoro fatta di piacere intrinseco?
Per aiutarti nella riposta, è qualcosa che adori al punto che lo faresti anche gratuitamente?
Se la riposta è SI fai parte di quelle persone che fondamentalmente ha fatto di una passione il suo lavoro e molto probabilmente, indipendentemente dalle circostanze a contorno, avrai sempre una spinta interiore ad andare avanti con la giusta tensione per raggiungere i tuoi obiettivi monetari e di carriera.
Semplicemente, se pensi di non essere valorizzato abbastanza nella tua azienda in termini monetari o di riconoscimento professionale, con una giusta dose di pazienza e fiducia in te stesso, ti metterai a cercare sul mercato del lavoro la situazione che desideri e che sicuramente otterrai. E’ solo questione di tempo. E tornerai ad alzarti la mattina con lo spirito giusto e la giusta dose di motivazione al lavoro.
Qualora invece la riposta fosse NO penso tu abbia da riflettere su quanta coerenza esiste fra il fare un lavoro che non ti regala piacere intrinseco, e l’arrabbiarti nel contempo, per scatti di remunerazione e di carriera mancati.
Gli scatti di remunerazione e carriera normalmente premiano (o dovrebbero premiare) chi si impegna sul lavoro, produce risultati con entusiasmo, ed ha capacità e competenze distintive che gli consentono di ricoprire ruoli manageriali o comunque professionali in generale crescenti.
Gli scatti di remunerazione e carriera invece difficilmente possono rappresentare una equa ricompensa per una persona che non essendo appassionata del suo lavoro, cerca in essi una qualche forma di compensazione, soddisfazione, senso di pienezza.
Soldi e ruolo, assieme alle gratificazioni, lodi, buone valutazioni delle performance, costituiscono la cosiddetta motivazione al lavoro estrinseca, ossia quella che si ha quando l’impegno in una attività avviene per scopi che sono esterni all’attività stessa.
Con questo non sto dicendo che se fai un lavoro che non ti appassiona e con poca motivazione, non hai diritto a ricompense monetarie o di ruolo, se pensi di meritarle e ti impegni comunque a fondo.
Ti sto dicendo che se anche le avessi, e ti ricoprissero d’oro, complimenti, gratificazioni, scatti di carriera fino al gradone più alto della piramide del potere, di fondo, contribuirebbero solo in modo superficiale, temporaneo, ed effimero alla motivazione al lavoro che ti farà alzare la mattina contento di farlo.
Cosa fare in questo secondo caso? Nei miei articoli: “Potere è Piacere? Come capirlo” e “Un giorno lo farò: il tempo ti è nemico?” – Parte I e Parte II ti guido a riflettere da un lato sul mix di potere e piacere che contribuiscono a costruire un senso di benessere duraturo per la tua vita, dall’altro a scoprire quali possono essere i principi guida, valori e priorità che sarebbe bene orientassero il tuo impiego del tempo.
Ti stai rendendo conto che fai un lavoro che ti piace poco? Cosa puoi fare?
Cercarne uno che rispecchi al meglio le tue inclinazioni naturali, qualità e risorse di cui disponi, che fluiscono in te e da te in modo spontaneo. In questo modo non lavorerai più nemmeno un giorno della tua vita, perché tutto quanto si inquadrerà in una prospettiva molto diversa.
Non puoi farne a meno al momento, o magari fino alla pensione, di fare quel lavoro che ti piace poco perché hai bisogno dei soldi per vivere?
Quantomeno sii onesto con te stesso: vale la pena rincorrere soldi e carriera a tutti i costi, o spendere energie in confronti estenuanti e frustranti con gli avanzamenti di carriera altrui, o piuttosto pensare di ricavare più tempo per fare quelle cose che ti regalano piacere e gioia, lasciando perdere il livore per le vite lavorative altrui?
Tornerai a svegliarti con un piede diverso ogni giorno. In fin dei conti, il vecchio detto si lavora per vivere e non si vive per lavorare, ha un suo perché.
Pensi che ti stia dicendo delle stupidate?
Ho notato che molte persone poste di fronte alla domanda: “cosa ti dà veramente piacere fare nella vita” o non sa rispondere, o esita parecchio prima di farlo, oppure sciorina il set stereotipato standard di quello che è normale aspettarsi da chi ha fatto un certo percorso di vita, studi e lavoro (tipicamente la palestra, il calcio, le uscite).
Da qui a capire cosa ti regala veramente piacere ci passa un grande differenza.
Fai fatica a capire cosa ti dà piacere nella vita?
Ripensa a tutte le circostanze da quando sei nato ad oggi , in cui “ti sei perso” nel fare qualcosa. Noterai che la ricerca di queste esperienze metterà in evidenza delle caratteristiche comuni: un determinato contesto ambientale, azioni che stavi compiendo, stato emotivo e pensieri di un certo tipo.
E sarebbe bene che quel qualcosa che ha accomunato tutti i momenti di autentico benessere personale, sia il più possibile ripetibile e presente nella tua vita. Non siamo nati per soffrire!
Fai mente locale ai manager della tua azienda. Quanti di loro, dotati di stipendi cospicui e posizioni manageriali di tutto rispetto guadagnati uno scatto di carriera dopo l’altro trasmettono autentica (e dico autentica, non finta) passione, gioia, entusiasmo, e sono a loro volta ottimi trascinatori e motivatori ed esempi di benessere da seguire?
Quanti di loro ti fanno pensare: ma che bell’esempio da seguire, che bel clima che crea il mio capo!
Quanti di loro hanno una fisicità sana, invidiabile, che trasmette forza, vigore, energia, sguardo vivido? Quanti hanno una vitalità contagiosa?
Quanti invece nel progredire della loro carriera li percepisci come progressivamente intristiti, e con una fisicità che trasmette tutto tranne che un senso di sano benessere?
O quanti di loro hanno un carattere affabile come se fossero stati punti dalla nascita da una tarantola velenosa? Per quale motivo una persona realmente appagata, serena e contenta dei suoi successi, dovrebbe vivere in un costante stato di competizione, o disseminando un’aria pesante, di tensione se non di terrore psicologico, nella quale stare non è affatto piacevole per alcun collega?
Forse che la differenza fra le due tipologie di persone, possa risiedere, oltrechè in connotati caratteriali talvolta “nevrotici”(e questi meritano una trattazione a parte che non mancherò di fare), anche, (e non solo) nel fatto che alcuni manager hanno fatto di un passione un lavoro, mentre altri no?
Può essere che altri abbiano magari inseguito “di default”, affetti da sindrome sociale di omologazione, quella rincorsa ai soldi, potere e carriera, che nell’immaginario comune li avrebbe resi felici?
Per poi trovarsi, una volta raggiunta una meta, con un senso di piacere e appagamento duraturi come il battito d’ali di una farfalla?
Quanti di questi, a quel punto, piuttosto che ripensare alla loro vita o priorità, magari hanno trovato naturale perseverare la rincorsa al successo, per come è comunemente inteso, attribuendo la mancanza di autentico benessere e appagamento, al fatto che il traguardo raggiunto non fosse ancora abbastanza… e quindi giù con la testa diretti verso il successivo da raggiungere, in una corsa senza fine, che magari difficilmente realizzerà quella tanto attesa felicità esplosiva?
Tu sei ancora in tempo per fermarti e capirlo, se stai leggendo questo articolo.
Vuoi svegliarti motivato al lavoro la mattina?
Pensa al lavoro che fai, pensa a quanto è fatto di motivazione intrinseca e di motivazione estrinseca e regolati di conseguenza tenendo a mente quanto ho scritto negli articoli “Un giorno lo farò: Il tempo ti è nemico? Parte I e Parte II, magari smettendo di pretendere da te stesso una cosa e il suo esatto contrario, senza rendertene conto.
Saperti regolare, secondo un ordine di priorità delle cose per te importanti, aumenterà sicuramente anche la tua produttività in ufficio e renderà il tuo tempo così impiegato un tempo di qualità!
Prenditi la responsabilità e il coraggio di scegliere per quale motivo, la mattina, vorresti sentirti contento di affrontare la giornata! E identifica il mix giusto per il tuo benessere di lavoro, potere e piacere!
Se pensi che la risposta a questa domanda stia al di fuori della tua persona, o solo nelle circostanze esterne che scegli di vivere (o subire), sei destinato a svegliarti “con l’umore storto” per il resto dei tuoi giorni, anche se ricoperto d’oro e con 10.000 titoli e medaglie al valore!
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