
COSA FARE QUANDO IL CAPO TI CHIEDE COSE CHE VALUTI SENZA SENSO
“Cosa fare quando il Il capo ti chiede di fare una cosa che per te non ha senso e che sai per certo che darà un esito negativo”.
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NASH NEL 2002 DORMIVA SONNI TRANQUILLI SECONDO VOI?
Ciao e bentornato/a a Lavorare col Sorriso!
Oggi ti racconto una storia: cosa vuol dire lavorare win – win, il vero motivo per cui ho aperto questo blog e gli 8 princìpi che ispirano i miei articoli e che credo ti riguardino da vicino, se hai scelto di seguirmi.
Dopo aver partecipato al Marketers World 2018 di Dario Vignali, un evento dedicato ad imprenditori digitali o aspiranti tali, sui temi del web marketing e social media marketing, sono tornata a casa arricchita e decisa a mettere in atto i preziosi consigli che ho appreso in questi 2 giorni di corso e allegra baldoria con persone molto piacevoli che ho potuto conoscere .
Intanto ringrazio subito Dario Vignali (è stato leggendo le sue guide che ho decido di aprire il Blog), Luca Cresi, Luca Mastella, Emanuele Amodeo per la passione e competenza con cui sono riusciti ad attirare al Palazzo dei Congressi di Riccione 1.000 persone e a far crescere una community on line “I Marketers” e la Marketers Academy di circa 30.000 persone.
Gli argomenti affrontati al Marketers World 2018 mi hanno portato a riflettere più a fondo sul reale motivo che mi ha indotto ad aprire questo sito e di conseguenza a specificare meglio anche a voi quale è la vera missione che mi anima e di cui vorrei foste partecipi diffondendola e diventandone anche voi un esempio.
Vi racconto una esperienza per me grottesca per favi capire cosa ho in mente.
Anni fa, nel lontano 2002, quando ero ancora giovane 🙂 , partecipai ad un gioco di ruolo aziendale con altre 30 persone di diverse società e appartenenti ad aree funzionali diverse.
In questo gioco di ruolo, fummo divisi in 6 gruppi, a ciascun gruppo furono affidati dei materiali (legno, chiodi, colori, fogli, corde etc …) e in un tempo prestabilito ci diedero il compito di costruire uno strumento musicale che producesse dei suoni.
Appena ci consegnarono i materiali, risultò evidente a tutti che nessun gruppo disponeva di tutte le risorse necessarie per completare uno strumento musicale.
Le risorse erano “scarse”.
Nella mia testa, così come in quella degli altri componenti del mio team, (persone con cui avevo legato in quanto più sintoniche con me – nulla succede per caso) fu chiaro da subito che avremmo dovuto negoziare con gli altri gruppi i materiali per costruire questo strumento, attraverso reciproci scambi.
Finita la fase di progettazione di questo strumento, al “VIA” del docente si sarebbe aperta la fase realizzativa vera e propria.
Cosa accadde quindi al “VIA”?
Con mio enorme stupore, persone molto equilibrate e quiete, che nei 3 giorni di corso precedenti a malapena avevano parlato, iniziarono a saltare sui banchi degli altri gruppi, qualcuno con tanto di capriole !!! rubando letteralmente il materiale a man bassa.
Oppure alcuni avviarono trattative poco cooperative, e molto competitive e ricattatorie, pur di accaparrarsi il materiale necessario per la costruzione del loro oggetto.
Ci furono momenti di entropia che neanche nei film avevo mai visto: gente che urlava, correva, si dimenava come se stesse per arrivare la fine del mondo.
Il mio gruppo fu letteralmente “depredato” di materiali al punto che non potemmo costruire alcuno strumento musicale.
Lo spirito del gioco in realtà, anche secondo l’interpretazione di psicologi e sociologi che ai tempi stavano conducendo il corso, non era costruire un oggetto a tutti i costi, ma osservare le modalità comportamentali con cui le persone interagivano fra loro in un contesto di risorse scarse, sperabilmente 🙂 (come direbbe Cetto Laqualunque, il famoso personaggio interpretato da Antonio Albanese) adottando l’ approccio Win- Win che ci era stata spiegato nelle lezioni dei precedenti giorni.
L’approccio Win – Win, io vinco – tu vinci, teorizzato da J. Nash nella sua Teoria dei Giochi tanto cara agli economisti, in parole semplici, prevede che in un contesto appunto di risorse scarse sia possibile trovare un equilibrio che soddisfi tutti i partecipanti alla negoziazione.
L’approccio Win – Win è – in teoria – proprio delle persone evolute che comprendono il valore della cooperazione nelle negoziazioni.
Ossia come ci si attende che si comportino persone che vivono nel mondo di oggi e abbiano superato lo stadio evolutivo delle scimmie o dei primati e che quindi si affidano, nel fare scelte, tanto al cervello rettile (sede dell’istinto e proprio della fase primitiva dello sviluppo umano) quanto a quello limbico, quanto alla neo- corteccia cerebrale, che è lo stadio più recente di sviluppo del nostro cervello.
Se J. Nash quel giorno per caso fosse stato ad osservare lo show di rettilianità con cui molte persone animarono quel gioco di ruolo, probabilmente sarebbe a rivoltarsi nella tomba ancora adesso.
A conclusione del gioco ci furono: il mio gruppo che costruì niente e tutti gli altri gruppi che costruirono qualcosa, chi perfettamente, chi meno.
Ma la cosa che mi sorprese di più fu che di circa 30 persone, solo in 5 non ci sognammo neppure per 5 secondi di depredare gli altri di materiali pur di raggiungere un obiettivo.
Piuttosto nei primi minuti dal VIA iniziammo a discutere pacificamente fra noi di come potevamo approcciarci agli altri per trovare dei punti di incontro buoni per noi e per gli altri.
A tempo scaduto del gioco, agli occhi degli altri gruppi, noi eravamo stati degli sfigati perché non avevamo raggiunto alcun obiettivo.
Agli occhi invece degli psicologi fummo considerati “i più illuminati” in quanto ci rifiutammo di prendere parte ad un sabotaggio massivo pur di portare a casa l’obiettivo, in un contesto che non era di reale necessità di sopravvivenza.
Eravamo cioè stati gli unici che avevano applicato in concreto le lezioni apprese nei giorni prima sugli stadi di sviluppo del cervello umano e sui comportamenti costruttivi all’interno delle organizzazioni. in logica win – win.
5 su 30. E basta!
Tutti con alto tasso di scolarizzazione: Laurea, Master e insomma tutti quei titoloni che di norma sono associati a persone colte, aperte di mente e tante altre cose belle (sulla carta).
A fine gioco quindi, dietro indicazione dei docenti, fummo lasciati per ultimi a presentare l’esito del nostro lavoro.
In sostanza, non avendo costruito nulla, spiegammo a tutti cosa avevamo osservato di tutti gli altri, perchè non ci eravamo dimenati tanto in quella bolgia infernale, come avevamo ragionato, e quale fosse la nostra conclusione dell’accaduto: giorni di lezione sugli stadi di sviluppo del cervello e sulla logica win-win buttati al vento.
Seguì un silenzio tombale per almeno 1 minuto.
Buon segno: almeno una riflessione si era insediata nella testa di tutti.
A distanza di tanti anni (ormai ben 16) io però, malgrado il mondo reale probabilmente funzioni molto spesso così (ma non sempre per fortuna), continuo a pensarla come nel 2002.
È possibile convivere bene in un mondo di risorse scarse: basta far funzionare il cervello più dell’istinto di sopravvivenza, soprattutto se esercitato a sproposito.
Non erano abbastanza i materiali per garantire il massimo per tutti, ma erano abbastanza per garantire un equilibrio soddisfacente per tutti. Sarebbe bastato veramente poco!
Penso che una società che voglia fregiarsi del titolo di evoluta, debba essere composta da un numero sempre maggiore di persone disposte ad ascoltare, accogliere, negoziare soluzioni win- win e non win – lose (io vinco – tu perdi) soprattutto se questo è possibile realmente.
Si tratta quindi di aprire la mente, uscire dal proprio orticello, scandagliare le innumerevoli possibilità che l’istinto soffoca, e vincere un istinto primordiale oggi del tutto fuori luogo dato che non viviamo in Nigeria o in guerra (almeno non in Italia).
Quante persone “rettili” conoscete oggi nelle vostre aziende che agiscono così, che sembrano ripossedute? Che parlano male degli altri o per farsi più belli o perché sperano di attirare la simpatia di un potente di turno (e magari ci riescono anche)?
Quante persone esistono che pur di raggiungere un obiettivo fanno tabula rasa di tutto quello che trovano sulla loro strada, senza scrupoli, nascondono le informazioni di cui dispongono, navigando nel torbido, o le danno quando è troppo tardi per trovare un accordo soddisfacente?
Quanti capi esistono che godono nell’umiliare qualche “sottoposto” in modo fantozziano, o lo usano a mo’ di zerbino dando ordini su ordini sgarbatamente?
In quanti godono nell’esercitare a sproposito e da posizioni di potere una sudditanza psicologica nei confronti di persone più fragili?
Quante persone di fronte ai successi altrui sentono subito la necessità di sminuirli, criticarli, banalizzarne i risultati?
In un mondo che cambia così velocemente, con la tecnologia che fra qualche anno rimpiazzerà la maggior parte dei lavori impiegatizi oggi svolti da noi esseri umani, farsi la guerra del quartierino, è cosa assai sterile.
Esistono già oggi tecnologie molto avanzate di intelligenza artificiale a costi già relativamente bassi in grado di eseguire operazioni di routine oggi svolte da migliaia di impiegati.
Conviene farsi la guerra? Io dico di no. Dico che conviene aprire gli occhi e collaborare.
Le relazioni sono fondamentali per far vivere le organizzazioni. Anche perché se una organizzazione non sopravvive, ci ritroveremo tutti a spasso e senza alcun lavoro.
Anche io a volte cado nella trappola dell’uso del cervello rettile, ma lavoro da anni su me stessa per evitare che emozioni negative, paure, ansie, meccanismi di difesa impropri prendano il sopravvento sull’uso del semplice buon senso.
Non sempre è facile, anzi. Fare questo esercizio richiede una attenzione continua. Malgrado ciò, penso valga sempre la pena farlo. Per far progredire la razza umana.
Mi spiacerebbe un giorno essere ricordata come un primate rettile anziché come una persona che ha fatto e lasciato qualcosa di buono per gli altri.
A distruggere siamo bravissimi tutti, per costruire ci vogliono costanza e impegno.
Sono sempre stata idealista, ambiziosa, e pur lavorando come dipendente sento di aver sempre avuto una mentalità imprenditoriale.
Motivo per il quale ambisco a far diventare questo sito un posto in cui le persone che la vedono come me abbiano sempre più spazio nel mondo e non siano solo 5 su 30.
In Italia, secondo i dati ISTAT siamo 17 milioni di lavoratori dipendenti, che fra l’altro sostengono il sistema fiscale e contributivo in modo stabile. Di questi circa il 45% sono dipendenti (impiegati, manager, dirigenti).
Non so se vi rendete conto, ma siamo in tanti e abbiamo una bella fetta di responsabilità nel poter modificare il mondo in cui viviamo.
Penso che uniti in un credo comune sia possibile farsi portatori di esempi positivi e costruttivi nelle organizzazioni aziendali.
Alla luce di questo ricordo, ho rivisto la Home Page del sito citando quali sono i princìpi che mi propongo di diffondere anche grazie a tutti quelli che, vedendola come me, si impegnano ogni giorno non per essere perfetti, ma per essere esempi positivi da seguire, evitando il più possibile di trasformarsi a sproposito in primati rettili e sconfiggendo o imparando a difendersi da chi invece lo è e non ha nessuna intenzione nè di riflettere, nè di mettersi un minimo in discussione, nè di tendere a qualcosa di meglio per se e per il resto del mondo con cui convive.
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Per me sono preziosi per migliorare quello che ti offro!
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Grazie
Federica Crudeli

YES MAN, YES WE CAN!
Ciao Bentornato a Lavorare col Sorriso!
Dicesi YES MAN persona dotata di spina dorsale elastica come il cordone per fare il Bungee Jumping, significativamente propensa a dire si a qualsivoglia proposta, soprattutto se proveniente da persona di rango gerarchico superiore in azienda, e propensa a prendere posizioni e/o decisioni tanto quanto Oblomov (notoriamente pigro) è incline ad alzarsi dal letto o divano.
Lo Yes Man sotto il tappeto non ci mette solo i batuffoli di polvere, ma facciamo pure anche tutti i granelli di sabbia del Sahara.
Lo Yes Man di fronte a conflitti manifesti per un oggetto del contendere spinoso e delicato, si defila trasparente come il plexigas e lascia decantare per anni i problemi come si fa con il vino: prima o poi qualcuno lo berrà, oppure evaporerà per auto-dissolvenza oppure resterà semplicemente a prendere aria.
Perché gli YES MAN sono tanto amati? E spesso fanno “carriera”? (Dimenticavo… vale anche per le YES WOMAN che dir si voglia, per par condicio … prima che si scateni una guerra sulla parità di genere che va tanto di moda … mi scuso per la divagazione…)
Dicevo …
I mondi aziendali tracimano di YES MAN, YES WE CAN. Perché?
Forse perchè per tanti YES MAN nel mondo ci sono altrettante persone il cui EGO bulimico ha bisogno di essere rimpinguato frequentemente attraverso continue conferme e rassicurazioni.
Esistono coloro che amano essere adulati come fossero divinità greche, talvolta però senza assomigliare neanche da lontano ai bronzi di Riace (ma magari più ai Bonzi del ROACE), e amano le genuflessioni mentali di chiunque.
Le persone che sanno attribuirsi un valore indipendentemente dal “successo esterno” che riscuotono, o dalle continue conferme che hanno bisogno di ricevere, probabilmente sono una minoranza.
Sentirsi dire sempre si è la riprova sociale che si ha ragione, che si sta facendo bene, e se si sta facendo bene significa che il posto/ruolo ricoperto, lo è a ragion veduta e meritato.
Poi forse è una questione di potere: avanzare richieste e sentirsi dire si, significa ottenere una riprova della propria capacità di influenzare il prossimo. Lusingante.
La domanda che pongo è: che valore ha un SI detto da una persona che lo direbbe a chiunque e che lo direbbe in qualunque circostanza?
E quanto l’ambizioso Deo (o Dea) greco avido di YES si ferma a riflettere sul valore di quel SI?
Le aziende, come le persone, per crescere realmente hanno bisogno di sfidarsi, di misurarsi con punti di vista diversi e la capacità di sviluppare e mantenere un pensiero critico.
La tendenza diffusa di volersi circondare di YES MAN invece è deleteria e sintomo di miopia manageriale: modi di pensare stereotipati non possono che contribuire ad affossare la creatività o lo sviluppo di nuove idee e, in ultima analisi sul lungo periodo, anche la sopravvivenza di una impresa.
E in questo mondo, in cui il cambiamento avviene alla velocità della luce, restare avvinghiati come mitili ignoti sugli scogli ai soliti modi di fare e pensare, rischia di minare la possibilità di gestire i cambiamenti per tempo.
Attenzione, con questo non penso neanche che sia sensato lasciare troppo spazio ai martelli pneumatici che hanno la residenza nella valle del lamento per definizione: quelli che al contrario, hanno sempre qualcosa da criticare compreso ad esempio che il 5° scalino della terza rampa delle scale di emergenza ha una fossa che rischia di mettere a serio repentaglio la loro vita …
Dipende dalle situazioni e, in funzione di quelle, hanno senso alcuni comportamenti e non altri.
Non sto dicendo che se mi chiedono di fare 20 fotocopie, siccome non svolgo un lavoro di segreteria, allora aizzo la ribellione dei fogli A4 contro gli A3 che si sentono trascurati, o che se mi viene richiesto di passare know how ad una persona nuova pretendo l’autorizzazione formale in carta bollata papale dal più titolato di turno per non sentirmi declassato, o se si rompe la macchinetta del caffè avvio una rivoluzione sindacale adunando tutti i chicchi di caffè partendo dal Brasile (perché esistono anche queste persone in realtà…)
E non sto neanche dicendo che tutti tutti i problemi debbano necessariamente esser canalizzati verso i capi di turno senza neanche fare il tentativo di risolverli, come ad esempio:
– lamentarsi che il collega di scrivania si taglia le unghie mentre lavora facendole schizzare in aria come proiettili
– o arriva la mattina alle 7 che sembra l’abbiano fritto nella pastella e questa cosa ti fa molto trattoria Rosetta,
– oppure del collega che pur sedendo a 4 scrivanie dalla tua, invece che parlarti ti scrive 100 mail al giorno neanche lavorasse per la CIA al punto che il tuo pc ormai in preda alla nausea le auto-cestina.
Queste sono situazioni spiacevoli risolvibili con un para-proiettili, un profumo, le parole (forse).
Sto dicendo invece che persone che, nell’ambito delle loro responsabilità, adempiono ai loro “doveri” prevalentemente dicendo SI a chiunque e qualunque situazione da affrontare, forse è il caso di smettere di considerarli come esempi positivi da seguire e aiutarli ad indirizzarci tutti quanti verso un modo di fare diverso.
E qui mi rivolgo in particolare a tutti coloro che danno spazio a queste persone perchè hanno un bisogno maniacale di sperimentare la gratificazione immediata che consegue al sentirsi dire SI.
Quali sono i motivi che inducono gli YES MAN a dire sempre SI?
-A volte semplicemente la “furbizia”, hanno capito che con qualcuno paga e lo fanno;
– altre volte sono persone che sopperiscono alla mancanza di coraggio nell’esprimere posizioni decise sostituendolo con la gentilezza profusa a volontà (che diventa stucchevole quanto un barattolo intero di miele mangiato in 4 minuti) e una specie di finta cura/interesse nei riguardi dell’altrui umanità che ha il solo fine di rendersi “amabili” in questo modo, peccando in tutto il resto;
– altre volte sono persone che hanno un bisogno talmente alto di accettazione e una fobia per i conflitti che proprio non gli riesce di dire NO a nessuno.
Ma quale “danno” possono fare questo tipo di persone, oltre che non contribuire fattivamente con un pensiero “critico” alle dinamiche aziendali? Rischiano di fomentare conflitti, demotivazione, inefficienze.
Un po’ come se tu dessi la disponibilità al tuo collega A per fare la tal cosa, e nello stesso tempo, ricevessi la richiesta di B per fare l’esatto contrario e dicessi si anche a lui.
Quantomeno A e B resterebbero spiazzati, magari discuterebbero pure, solo per la tua incapacità di scontentare l’uno o l’altro.
Se poi lo YES MAN è pure un capo a cui sono affidate le persone, immagina sulle lunghe distanze quanta stima potrà mai riscuotere uno che nella sua posizione non prende mai una decisione per non scontentare nessuno, finendo in conclusione per scontentare tutti.
Gli YES MAN sono pericolosi, sono quelle stesse persone che in preda alla mancanza di spirito critico o all’incapacità di metterlo in pratica, contribuiscono al dilagare della logica del quieto vivere e del pensare, si, ma solo come dicono gli altri che contano…
Chiudo immaginandomi un dialogo semi-serio fra uno YES MAN e poniamo un capo A che abbia voglia di divertirsi un po’ con questa dinamica …
YM – Ciao, ho letto l’articolo sugli YES MAN .. tu l’hai letto? Che te ne sembra?
A – Beh … mi sembra un pò esagerato quello che dice la tizia lì … Io tutti questi Yes Man in giro non li vedo.
YM – Eh si, anche per me … forse un po’ troppo estremizzato, vero?
A – Si, anche se tutto sommato mi sta simpatica.
YM _ Si, si quello si, sicuramente simpatica.
A – Penso dica anche cose vere in realtà eh …
YM – Si, si certamente, quello si, sono cose condivisibili …
A – Oddio, leggere questa cosa appena sveglio mi ha anche un po’ divertito.
YM – Un po’ anche me sai?
A – Eh si dai, usa delle metafore che sono buffe. Che poi, esagerato dai, direi che ha detto le cose come accadono spesso, no? Siamo circondati da Yes Man
YM – Si, si in effetti pensandoci bene, siamo invasi.
A – penso che andrò a bermi un caffè al curry. Buono sai? Vieni che te lo offro!
YM – Si si, ma davvero? Non sapevo che esistesse … mi fido, ma si può bere davvero?
A – Yes Man, Yes we can!
🙂 🙂 🙂
Fine di questa tragicomica storia.
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Grazie
Federica

GESTIRE COLLEGHI DIFFICILI: L’INFERNO SONO GLI ALTRI?
Ciao Bentornato a Lavorare col Sorriso!
Oggi ti parlo di come gestire colleghi difficili con una riflessione guidata attraverso 8 domande.
[Tweet ““ L’inferno sono gli altri”– cit. J.P. Sartre”]Intanto, come possiamo qualificare i colleghi difficili?
I colleghi difficili sono quelli con i quali fai fatica a collaborare per traguardare un obiettivo – in teoria – comune: in generale sono coloro con cui lavorare in modo fluido e scorrevole è un’utopia.
Sembrano nati apposta per complicare le cose inutilmente, sono poco trasparenti, sono bravissimi a girare frittate al punto che potrebbero aprire un ristorante, cambiano le carte in tavola senza grossi problemi, ritorcono i fatti sempre a loro favore e tengono tanti altri ameni comportamenti.
Sono quelli che ti tolgono la pazienza, e che ti fanno urlare con te stesso dal nervoso!
Ossia lavorarci per traguardare un obiettivo comune ti costa la stessa fatica che faresti se pretendessi di scalare il Monte Bianco a mani e piedi nudi senza protezioni (esagero un po’ volutamente).
E’ piacevole avere a che fare con queste persone? No.
Mi rifaccio al commento di una lettrice che riferita al mio precedente articolo “Colleghi difficili: i melliflui” ha scritto: “in definitiva, come si può fare a gestire i colleghi difficili?”.
Allora colgo questo suggerimento e mi spiego meglio, consapevole che mentre lo scrivo in realtà faccio un esercizio mentale che servirà anche a me stessa, dato che non sono immune dall’avere a che fare con persone simili.
L’obiettivo di questo articolo non è spiegare come riuscire a cambiare un collega difficile, quello è impossibile e credo di averlo ribadito più volte, quanto piuttosto spiegare come potersi “immunizzare” dall’effetto negativo che hanno su di noi.
L’obiettivo è individuare dei modi per Lavorare col Sorriso, ossia lavorare senza buttare nel water energie psichiche, emotive (e anche fisiche) inutilmente facendo guerre sterili e che non portano da nessuna parte se non a danneggiare te stesso.
Domanda n° 1 – il collega in questione è difficile solo con te o con chiunque?
Già rispondere a questa domanda può alleviare la quantità di energie emotive che un collega difficile può “risucchiarti” o meno: mettere a fuoco se è solo un problema tuo o di molti altri rapportarsi con lui efficacemente, penso potrebbe “sollevarti” da un eventuale senso di inadeguatezza.
Se osservi il comportamento della persona in più occasioni e con più persone, avrai modo di dare una risposta a questa domanda.
Dove voglio arrivare? Se il collega difficile in questione è difficile solo con te, inizia a mettere in conto che forse non hai ancora esplorato modi differenti per rapportatici in modo efficace.
E quindi, è più semplice di come sembra: identifica quello che altri fanno per gestire il collega difficile, e ottenere da lui quello che vogliono e usa lo stesso modo.
Studialo, osservalo, chiedi opinioni ad altre persone per capire cosa funziona meglio con questa persona.
Domanda n° 2 – se è un collega difficile con tutti, allora, cosa fai?
Intanto, nel caso tu sia una di quelle persone per cui è molto importante andare d’accordo con tutti, comincia a mettere in conto che in questo specifico caso, probabilmente, a inseguire questa meta rischi di avvelenarti e basta.
Non sta scritto da nessuna parte che io, te, o chiunque altro dobbiamo per forza piacere a qualcuno o che qualcuno debba piacerci per forza, e che dobbiamo essere tutti amici o amichevoli.
Abbandona l’idea di volerci andare d’accordo per forza e comincia a pensare che siete colleghi e che i rapporti possono restare civili e nei limiti del rispetto ma nulla di più.
E poi, fai mente locale allo stato emotivo che ti pervade quando hai a che fare con questa persona: perdi la pazienza? Ti angoscia? Ti irrita il sistema nervoso? Ti fa salire la collera? Ti rende triste? Ti mette ansia o paura?
Che effetto ti fa di solito? Che pensieri ti si agitano in testa quando hai a che fare con questa persona?
Domanda n° 3 – per quale motivo lavorativo hai bisogno di questa persona?
Identifica bene le ragioni lavorative per le quali hai bisogno del collega difficile e circoscrivi i rapporti il più possibile a queste circostanze.
Magari potresti addirittura identificare, dopo una attenta analisi, che lo stesso bisogno lavorativo potresti serenamente soddisfarlo con l’aiuto di altri colleghi meno difficili.
Domanda n° 4 – capisci le sue leve motivazionali?
Voglio dire, osservalo. Per quanto possa esser un collega difficile, se ti prendi un po’ di tempo e scrivi su carta e penna come si muove solitamente, identificherai dei “pattern” ossia dei modelli ricorsivi di comportamento (verso di te così come di altre persone) che lo muovono a fare/non fare delle cose.
Domanda n° 5 – come puoi usare a tuo vantaggio queste modalità comportamentali?
Qualsiasi comportamento che avrai identificato, molto probabilmente avrà degli svantaggi per te, ma anche dei vantaggi.
Cioè, quale è il lato positivo di cui potresti beneficiare dal comportamento “negativo” del collega difficile?
So che potrebbe sembrare strano, ma qui si tratta di diventare un po’ una specie di “giratore di frittate”: anche quando ti sembra di rilevare solo elementi negativi dall’interazione con questa persona, se ti prendi il tempo di pensare e scrivere (e sottolineo scrivere) un elenco di tutti i comportamenti che non sopporti, intanto emotivamente ti scarichi, poi ne prendi anche un maggior distacco, e poi visti tutti nell’insieme ti suggeriranno degli aspetti che fino ad oggi non avevi considerato.
Domanda n° 6 – come ti prepari?
Adesso che hai davanti un elenco di comportamenti osservati disdicevoli ai tuoi occhi, che gli hai abbinato lo svantaggio che portano a te, e il lato positivo che ne può derivare, puoi anche scegliere da quali di tutti questi comportamenti vuoi “proteggerti” in particolare.
E sarai anche in grado di sapere ogni volta che avrai a che fare con questa persona, che cosa ti potrai aspettare. Questa aiuta ad abbassare la tua tensione interiore.
Fidati, la storia si ripete. Tutti siamo più prevedibili di quanto crediamo, agli occhi di un osservatore attento.
Adesso che hai il quadro completo davanti, e che hai messo a fuoco quello che mediamente puoi aspettarti da questa persona, potresti anche sentirti sollevato e magari intravedere anche cosa lo “muove” nel bene e nel male a fare o meno cose che ti interessano.
Fai pace con l’idea che ti ritroverai spesso di fronte a un set pre-definito di “carognate”, cambieranno le circostanze, cambieranno i momenti, ma in media, adesso, sai cosa aspettarti e anche pensare prima a come “parare i colpi” oppure volgere a tuo favore le circostanze avverse, oppure ignorare del tutto le cose che farà, senza farti scalfire più di tanto.
Domanda n° 7 – ridefinisci il tuo obiettivo lavorativo ed emotivo verso il collega difficile.
Posto che hai fatto quanto ti ho detto sopra, adesso, alla luce di quello che vedi, che obiettivo cognitivo, emotivo e lavorativo ti dai verso questa persona?
Come vorresti essere ogni volta che avrai a che fare con lui/lei?
Sereno, distaccato, freddo, ironico, indifferente?
Cosa vuoi che ti scivoli di dosso?
E di che risorse disponi (pazienza, diplomazia, ironia, allegria, entusiasmo) per ottenere questo risultato?
Quanta importanza vuoi che abbia in futuro? Tanta o poca?
Domanda n° 7 – respiri?
Avere a che fare con colleghi difficili, può essere sfibrante.
Magari la tentazione di mandarlo a fare un giro del mondo con uno schiaffo sono alte, ma per pacifica convivenza è bene che non si arrivi a questi punti.
Quindi, quando ti ci rapporti, respira profondamente. Respirare profondamente con il diaframma calma la mente e l’emotività.
Domanda n° 8 – cosa dice di te questo rapporto lavorativo?
Un modo per far fruttare questa situazione a tuo vantaggio è anche riflettere su quello che “ti smuove dentro” gestire il collega difficile.
Al di là del fatto che la situazione è quella che è, e che il collega difficile resta tale, e che valgono le riflessioni già fatte sopra, usa questa occasione per scendere più a fondo nella tua irritazione: potresti renderti conto che la tua insofferenza cela anche un conflitto irrisolto con te stesso e che tale conflitto “amplifica” ancora di più l’insofferenza che comunque normalmente avresti a gestire rapporti con il collega difficile in questione, per un qualche problema che hai perso di vista.
Vista in questo modo, potresti quindi anche mettere in luce una qualche fonte di insoddisfazione che magari involontariamente nascondi a te stesso, ma che si esaspera ogni volta che vieni a contatto con questo collega.
Se così è, adesso hai una occasione per guardare a questo tuo vissuto in modo più ampio e più costruttivo per rimettere a fuoco alcuni aspetti della tua vita lavorativa “celati” sotto questa irritabilità/insofferenza indotta dal collega difficile.
Considerazione finale: perché i colleghi difficili sono difficili?
In teoria nelle organizzazioni, sarebbe bene perseguire obiettivi win – win, ossia soluzioni che siano di vantaggio per te e per la persona con cui ti rapporti.
Questo presuppone apertura mentale, capacità di mettersi in discussione e di capire empaticamente il prossimo ed andare incontro anche ai punti di vista degli altri, senza che farlo sia vissuto come una minaccia.
Dico in teoria perché nella realtà – povero Nash – spesso alcune persone hanno il cervello che è rimasto sviluppato allo stadio rettile, cioè malgrado l’umanità si sia evoluta e il cervello sia arrivato a sviluppare la neo-corteccia, continuano a perseguire solo il loro interesse, spesso volontariamente o inconsapevolmente, a scapito altrui, o senza prendersi “la briga” di mettersi minimamente in discussione.
In altre parole, se magari stai dubitando di te stesso e ci resti male a cercare collaborazione senza trovarla, ti ricordo che il problema è loro, non tuo.
Voglio dire, prima di dare a te stesso/a dell’incapace o di arrivare a dubitare delle tua capacità e qualità (perché questo rischio esiste a forza di rapportarsi con persone simili), metti dei confini “mentali” che ti preservino dal cadere in questa tentazione.
E per evitare che al mondo proliferino persone così, è bene evitare di cadere al loro stesso livello.
Il mio invito è quindi di innalzarti al di sopra delle bassezze altrui e fare buon uso della tua intelligenza.
E ogni qualvolta cadrai nella tentazione di avvelenarti la giornata, perché magari sarai stato oggetto di qualche tiro mancino, pensa che tu hai una grande fortuna: sei diverso, e non hai bisogno di “mezzucci ” (che siano voluti o agiti inconsciamente) per guadagnarti stima, collaborazione, fiducia di altre persone e raggiungere i tuoi obiettivi.
Menti piccole, azioni piccole, menti grandi, azioni grandi!
E’ evidente che se una persona adotta comportamenti poco collaborativi con chiunque, ha dei limiti. Magari legati a motivazioni ragionevoli, magari no, sta di fatto che li ha.
Non farli diventare tuoi, puoi scegliere di fare la differenza in positivo!
L’inferno sono gli altri, per parafrasare J.P. Sartre, non vuole significare che la causa del nostro inferno sono gli altri davvero, ma che è il nostro modo di vivere gli altri che diventa un inferno, se permettiamo a persone “negative” di assumere troppo potere sulle nostre vite.
Non è facile neanche per me vederla così e agire di conseguenza, ma ognuno può scegliere che parte vuole avere nel mondo: abbassarsi, o elevarsi al di sopra delle fragilità (o meschinità) altrui.
Continuo a sognare un mondo fatto di persone che scelgano la seconda strada!
Qualora invessi ti riconoscessi come collega difficile, le parle sopra forse ti avranno aiutato a capire quanto il tuo modo di fare possa essere irritante. Considerare l’ipotesi di modificarsi un po’? Cosa ne pensi?
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Federica Crudeli

COLLEGHI DIFFICILI E SOPRUSI IN UFFICIO: LI GESTISCI O LI SUBISCI?
Ciao e Bentornato a Lavorare col Sorriso!
Oggi ti parlo di colleghi difficili che compiono angherie e prepotenze in ufficio e ti guido in una riflessione per capire come “salvarsi” dai loro soprusi.
Prendo spunto da un commento che ho ricevuto da una lettrice (che ringrazio) per affrontare il tema delle relazioni spinose con colleghi difficili a vantaggio di tutti coloro che in questo momento hanno un sentire simile a quello della persona che gentilmente sta dando a me e tutti coloro che leggono, l’opportunità di guardare alle cose in modo diverso.
La lettrice scrive “vorrei lasciare il lavoro perché la moglie del mio titolare , mi rovina l’ esistenza, ho il terrore di questa persona , sono disperata perché mi sento una fallita e sottomessa da una persona che non ha neanche 1 centesimo delle mie competenze ….usa toni altezzosi e minacciosi e io me la faccio sotto”.
E’ bene fare una riflessione, indipendentemente dalla posizione in azienda dei colleghi difficili uomo/donna che agiscono un comportamento simile ed indipendentemente da chi sia il soggetto uomo/donna che “subisce”.
La farò in un modo singolare, ossia analizzando le parole usate da questa persona, partendo con una considerazione che è: le parole sono solo la punta di un iceberg di ciò che noi viviamo più nel profondo.
Le parole che usiamo per comunicare in superficie dicono molto di noi, e di come viviamo le situazioni, e di quanto a volte ognuno di noi scelga di essere vittima di qualcuno, senza nemmeno accorgersene.
Tu dirai: e chi è che sceglie di essere vittima? Deve essere un matto! Ebbene si, in realtà in certe situazioni siamo noi a scegliere di essere vittima, del tutto in buona fede.
Seguimi e capirai di cosa parlo.
“La persona X mi rovina l’esistenza”: cominciamo con il riesumare il concetto di responsabilità di cui ti ho parlato molte volte, ossia l’abilità di risposta ai contesti che è in nostro potere agire.
Qualsiasi cosa facciamo, la scegliamo, compreso quella di farci rovinare l’esistenza.
Non sto dicendo che la persona X sia “santa”, sto dicendo che il potere di decidere quanta importanza è giusto attribuire ad una persona str***a è nostro.
Solo noi possiamo decidere se una persona è importante al punto di meritare i nostri struggimenti, i nostri pensieri, le nostre energie mentali che poco potranno a cambiare il/la st***o/a di turno.
Non sto dicendo che sia facile farsi scivolare da dosso le nefandezze degli altri. Sto però dicendo che fino a quando noi non riconosciamo il pezzo di responsabilità che abbiamo nel contribuire a rinforzare queste dinamiche malsane, mai ne usciremo fuori.
Ci sono persone che si nutrono (e qui potremo fare un trattato di psichiatria :)) degli abusi mentali sugli altri. Ci godono.
E guarda caso queste persone hanno presa proprio su una particolare categoria di persone: quelle che si fanno “braccare” in questa dinamiche e restano remissivi subendo in silenzio.
Se il/la st***o/a di turno capisse di non avere alcun potere, smetterebbe molto probabilmente di fare quello che fa, rivolgendosi a qualcun altro.
“Ho il terrore di questa persona”: la parola “terrore” è carica di emotività, ed evoca a me, e credo anche a chi sta leggendo, qualcosa di cupo e terribile.
Vivere nel terrore come se fossimo in guerra e dovessimo morire da un momento all’altro o come se fossimo di fronte alle minacce di un animale feroce o di una persona armata che ci vuole uccidere, significa creare una condizione di stress per il corpo, che a cascata per difesa produce sostanze chimiche, fra cui la noradrenalina, che “inquinano” tutti nostri tessuti.
Il nostro corpo di fatti è concepito per attivare dei meccanismi di difesa utili in caso di pericolo reale, ma sono gli stessi che si attivano anche nei casi in cui il pericolo sia solo una nostra percezione mentale, a causa di “stressor” di minore entità.
In questo caso “lo stressor” sarebbere il comportamento vessatorio del collega difficile in questione.
Il problema è che se noi non ci abituiamo a distinguere e gestire le fonti di stress in base al livello di entità, ci intossichiamo di continuo l’organismo.
Ecco perché lo stress ha effetti cosi devastanti su di noi. Perché lo attiviamo a sproposito!
La domanda da porti in questo caso è: possibile che un collega difficile abbia non solo il potere di rovinarmi l’esistenza ma di farmi vivere uno stato di terrore del tutto avulso dalla realtà?
Cioè, in che modo offese/minacce/soprusi verbali generano in te stati emotivi così sproporzionati da attivarti meccanismi chimico/fisici adatti a contesti di reale pericolo di sopravvivenza?
Quali pensieri scatenano queste emozioni? Rischi davvero la vita? Se si, mi auguro tu faccia una denuncia.
Se no, perché non imparare a sentire, accettare e gestire questa carica di emotività in modo meno dannoso per te stesso? Come? Pensando, ogni volta che ti sale il terrore, che in realtà non c’è nessuno di fronte a te che tenti di ucciderti realmente.
“Sono disperata perché mi sento una fallita”: essere disperati significa non avere più speranze.
In che cosa? Sul lavoro? In tutti gli aspetti della vita? Tutti tutti?
Cioè il fatto che un solo aspetto della vita sia negativo genera una disperazione nera che contagia tutta la vita? Al punto di sentirsi falliti?
Che relazione esiste fra un collega difficile e il nostro considerarci dei falliti?
Non potrebbe essere che noi siamo solo persone, con pregi e difetti sicuramente, che hanno poco a che fare con il/la str***a di turno?
Il fallimento non esiste. E’ solo nella nostra testa. Esistono gli sbagli. Esistono gli errori. Normalmente compiuti in una specifica circostanza e in un dato momento.
In che modo errori e sbagli, del tutto umani, possono diventare la causa di un intero fallimento? Ha senso?
E la parola “sottomessa”? Dove la mettiamo?
Cioè il collega difficile ci sottomette nel senso che ci sale fisicamente sulla testa o che ci costringe ad inginocchiarci? Oppure è un senso di sottomissione che esiste solo nella nostra testa perché noi, fra tanti modi di sentire, scegliamo di sentirci sottomessi?
Ad esempio, scegliere di essere incazzati neri di fronte ai soprusi altrui non sarebbe un modo di sentire più costruttivo e atto a definire dei confini che non vogliamo siano sorpassati da nessuno?
La domanda in questi casi è: la collera, quel sano “sbottare” di rabbia fulminea ed istantanea che serve a difendere se stessi, i propri confini e la propria dignità, perché non scatta? Dove è stata sepolta? Per quale motivo?
Per la vergogna? Perché qualcuno ci ha insegnato che arrabbiarsi non è socialmente accettato?
Faccio presente che in alcuni casi, la rabbia è l’unico modo per affermare i proprio diritti. E che l’aggressività, tanto demonizzata nella nostra civiltà e soprattutto negli uffici, deriva dal latino “ad – gredire = andare verso” ed è una componente del tutto sana nella vita di chiunque se espressa nei contesti giusti, come in questo caso.
Quello che mi colpisce delle parole di questa persona è la percezione di un senso di inferiorità che inconsciamente autorizza l’altro soggetto ad approfittarsene.
Che ci piaccia o meno, ognuno di noi è trattato così come sceglie di farsi trattare.
Lo so che qualcuno dei lettori stenta a crederci, ma è così.
Qualcuno ti denigra/offende/schernisce/ violenta psicologicamente?
Ecco se fino a oggi non lo hai fatto, prova a rispondere, e non con la sottomissione, con assertività.
Non serve necessariamente urlare, o venire alle mani. Basta anche usare un tono di voce fermo, uno sguardo fermo, e delle parole ben precise che possano significare qualcosa di simile a “non permetterti mai più di trattarmi così, e la prossima volta che hai qualcosa da dirmi gradirei tu usassi modi più rispettosi ed educati”.
Se hai delle resistenze o paure a comportarti così, è bene che tu investa de tempo a capire il perché.
Perché ti viene più facile subire che rispondere con assertività?
Dove e quando hai imparato a fare così? Cosa ti spinge a farlo ancora? Cosa accadrebbe se tu smettessi?
Il senso di sottomissione lo senti solo in uno specifico rapporto o come un atteggiamento che in generale ti appartiene nella vita con chiunque?
E se esistono rapporti in cui invece reagisci in modo sano e tale da difendere i tuoi confini e la tua dignità, cosa c’è di diverso nelle due situazioni? Cosa puoi “portare” da una situazione all’altra per ridefinire un nuovo equilibrio nel rapporto malsano?
Per esperienza personale, posso dire che anche a me è accaduto di avere a che fare con persone simili e che se quelle persone vengono messe al loro posto, normalmente, vanno a cercare altre vittime.
Cosa aspetti quindi a tirare fuori le unghie e pretendere rispetto per la tua dignità di persona?
Riassumendo, la realtà sottostante alle parole iniziali è più probabilmente la seguente: “vorrei lasciare il lavoro perché mi lascio rovinare la vita dalla la moglie del mio titolare , scelgo di provare terrore verso questa persona, scelgo di essere disperata perché scelgo di sentirmi una fallita e sottomessa nei riguardi di una persona che non ha neanche 1 centesimo delle mie competenze ….usa toni altezzosi e minacciosi e io me la faccio sotto”.
Mi auguro che la riflessione sulle singole parole che ho fatto e su quanto tali parole celano, possa essere un pungolo per trasformare questa frase in qualcosa di simile a quanto segue:
“ho deciso di smette di dare tanta importanza alla moglie del mio titolare , perché il mio essere, il mio valore, la mia competenza valgono a prescindere dai soprusi che questa donna tenta di attuare nei miei riguardi. Io non ho alcuna paura di questa donna perché è umana come me, con pregi e difetti come me, e non ho alcun motivo di temerla al punto di lasciare che le mie giornate siano inquinate da lei. Imparo ad affermare i miei diritti e la mia dignità, e la prossima volta che userà toni altezzosi e minacciosi le farò capire con un bel discorso che né lei, né nessun altro, possono permettersi di trattarmi come uno zerbino.”
Se non credi che un bel vaff*****o espresso con toni fermi ed educati possano sortire l’effetto di allontanare questo soggetto negativo, prima di tirare i remi in barca, fallo! Poi mi saprai ridire l’effetto ottenuto.
Ho motivi e precedenti sufficienti per dire che funziona.
Non sto dicendo che i colleghi difficili cambiano. Ma se cambi tu il tuo modo di rapportarti a loro, intanto il loro effetto su di te diminuirà moltissimo, in secondo luogo è altamente probabile che costoro rivolgano le loro intenzioni negative altrove.
Se poi tutti quanti prendessimo il coraggio di imporci con una sana aggressività verso questi soggetti, il mondo ne sarebbe meno pieno, perché non avrebbero più appigli a cui aggrapparsi.
Inoltre è utile osservare in questi casi se il collega difficile usa gli stessi modi solo con noi o con tutti. Perché se con altri non lo fa, è interessante osservare ed imparare da altre dinamiche relazionali.
Da ultimo, i sentimenti riportati di terrore, disperazione, fallimento, sottomissione, sono indicativi di una persona che ritorce contro se stessa, auto-demolendosi senza accorgersene, tutta l’aggressività che non riesce a manifestare fuori in modo sano. Come se fosse colpevole di qualcosa.
Una persona non è tanto tenuta a portarci rispetto perché siamo bravi e competenti, quanto perchè siamo esseri umani con pieno diritto di esistere a prescindere da cosa sappiamo fare e a prescindere dal fatto che qualcuno là fuori ce lo riconosca o meno, padri, madri e partner compresi.
Ti ho già parlato in un mio precedente articolo di un’ altra particolare categoria di colleghi difficili: i melliflui o voltafaccia e ti rimando a leggere questo articoli qualora tu abbia a che fare anche con questa tipologia di persone cliccando a questo link : melliflui Parte I .
Un sentito abbraccio di incoraggiamento a chi prende il coraggio in mano e sceglie di liberarsi una volta per tutte da queste dinamiche malsane!
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Federica Crudeli

VAMPIRI EMOTIVI IN UFFICIO: RICONOSCERLI E DIFENDERSI!
Ciao e Bentornato a Lavorare col Sorriso!
Oggi ti parlo di come riconoscere e difenderti senza sensi di colpa da una categoria di colleghi pericolosi per la tua salute mentale: i vampiri emotivi!
[Tweet ““Chi è causa del suo mal, pianga se stesso”– cit. popolare“].
Che caratteristiche hanno i vampiri emotivi?
Possono manifestarsi in molti modi diversi, secondo differenti stili caratteriali, ma li accomuna il fatto che dopo esserti rapportato con loro e relativo set di lamenti, ti senti “sfatto” e privato delle tue energie, pieno di negatività, mentre loro fanno nulla per modificare la situazione di cui si lamentano, e sono normalmente vestiti da vittime predestinate di qualche accanimento che la vita ha avuto verso di loro.
Il meccanismo diabolico che attivano i colleghi vampiri emotivi è il seguente:
- il vampiro emotivo, che normalmente è l’artefice primo (o in derivata seconda per l’incapacità di reagire ad eventi negativi della vita) di tutte le sue sfighe, si lamenta di continuo in modo ossessivo e ripetitivo per qualsivoglia motivo lavorativo e non;
- “finge” (spesso inconsciamente) di volere aiuto da parte tua, sfogandosi, chiedendoti pareri e consigli e tu in buona fede gli fornisci aiuto/supporto/ascolto;
- lui frustra o demolisce in modo implacabile qualsiasi tuo tentativo di aiuto/supporto o di ampliargli il suo punto di vista, vanificandolo o facendo comunque di testa sua e instillandoti pure il senso di colpa in modo sottile e velato per una tua presunta incapacità di essergli di aiuto;
- Unitamente a ciò ti lusinga, a momenti, facendoti credere che lui a te ci tiene e si interessa della tua vita. In realtà lo fa solo in vista di un tornaconto prelibato: risucchiarti l’anima.
Spesso (non sempre) sono persone molto cognitive e intelligenti, e usano la dialettica per “intortarti” in modo manipolatorio.
Le riposte tipiche da parte di chi è affetto da vampirismo ai tuoi consigli/aiuti/punti di vista sono ad esempio:
“ eh no, ma nel mio caso è diverso, tu non mi capisci …”
“no tu la fai facile, quello che vale per te non può valere per tutti …”
“io non ce la farò mai …”
“il mondo è pieno di gente insensibile ed egoista, nessuno mi capisce”
“va beh, ho capito, per me non puoi fare nulla, lasciamo perdere …”
Vorrai mica togliergli il primato di vittima mondiale del lamento parassita? Almeno quello in cui è campione, lasciaglielo fare indisturbato!!!
Spesso sono persone che appaiono e si “vendono” come vittime, senza rendersi conto che la causa principale delle situazioni di cui si lamentano solo loro stesse, e che a loro volta diventano carnefici dei malcapitati di turno che in buona fede pensano anche di poterli aiutare.
Per capirci, un vampiro emotivo è uno che se hai avuto un lutto in famiglia, non perderà l’occasione di stare zitto lamentandosi di quanto sia difficile la sua vita per i 40 minuti di macchina che fa ogni mattina.
Per lui i suoi 40 minuti di macchina sono enormemente più importanti del tuo lutto.
Per lui tu hai tutte le fortune del mondo, tutte le capacità del mondo, tutto ti piove in testa “a gratis”.
Per lui invece no, lui che ha contro tutto l’Olimpo e gli Dei di qualsiasi religione inventata… si “ritrova” inspiegabilmente deluso da capi, colleghi, amici, dal lavoro in generale, dai parenti lontani e stretti, insomma è l’incompreso per antonomasia.
Nel mio precedente articolo ti ho parlato dei pensieri negativi, di quanto siano veleni e di come, in alcuni casi, siano sintomo di un disagio ben più profondo di un semplice momento di difficoltà o di un atteggiamento mentale negativo ma modificabile: il vampiro emotivo è immutabile. E’ attaccato alla sua negatività come una cozza sempiterna su uno scoglio.
Come riconoscere facilmente un collega vampiro emotivo prima che ti succhi tutte le energie che hai in circolazione?
Ascolta le parole che usa per lamentarsi e osserva nel tempo di cosa si lamenta: ogni pretesto è buono per lamentarsi di qualunque cosa o di qualunque aspetto di una singola cosa? Si lamenta del tempo (se è bello perché fa troppo caldo, se è brutto perché è brutto), dei colleghi che sono tutti antipatici e ce l’hanno con lui/lei, degli amici che sono deludenti, dell’unghia del mignolo scheggiata e altre amenità di ogni genere …
Tende a vedere sempre e solo il lato negativo di tutto ciò che lo circonda?
Demolisce qualsiasi punto di vista diverso che gli offri, nel tentativo altruista di ampliare la sua visione “ristretta” delle cose e fargli apprezzare gli aspetti positivi di cui potrebbe godere in una data situazione?
Argomenta con pretesti o scuse i motivi per i quali tutto quanto gli dici è inutile, per restare di fatto fermo nel suo status quo e giustificare il suo “immobilismo”?
Quando parla di se si auto-demolisce come calimero, cercando di suscitare compassione? (” ma io non sarò mai come te … , ma io non sono capace … , ma io non riesco/posso … etc etc etc?)
Cosa fa il vampiro a fronte delle cose di cui si lamenta e che è in suo potere cambiare? Se sono cose da lui gestibili, si adopera per cambiarle o lascia tutto andare alla deriva?
Chi sono i suoi amici? Ne ha? Da quanto tempo? Se li conosci cosa dicono di lui?
Che percezione ne hanno i colleghi che lo conoscono da più tempo?
Che rapporti ha con i famigliari?
Noti che si è fatto “terra bruciata” attorno?
Chi sono le vittime preferite dei vampiri emotivi?
Normalmente i vampiri emotivi si “attaccano” alla categoria di persone che più facilmente prestano il fianco a questi soggetti: chi è empatico,sensibile, altruista e volenteroso di supportare il prossimo (sanamente equilibrato) in difficoltà.
Dove sta la fregatura per te?
La fregatura sta nel fatto che queste persone non possono essere aiutate proprio da nessuno (eccetto che da uno psicoterapeuta di solito), perché loro per prime nè riconoscono di essere le artifici del lago di miseria in cui vivono, nè hanno alcuna intenzione di cambiare.
Aspettano solo, in modo molto infantile, che qualcuno si faccia interamente carico a livello affettivo/energetico/cognitivo/pratico della loro situazione, in un rapporto egoisticamente totalizzante, senza fare alcuno sforzo e ricorrendo al ricatto emotivo.
Ti fanno girare a vuoto come un criceto su una ruota. Tu spendi energie, parole, affetto, tempo. Loro restano immobili in attesa di non si sa quale miracolo.
I motivi alla base di comportamenti simili possono essere numerosi, sono spesso radicati nell’infanzia, e hanno la loro ragione di esistere.
Qui non entriamo nel merito delle possibili cause di un comportamento simile, quanto nella possibilità di riconoscere prima possibile queste persone e stabilire dei confini non superabili, o averci a che fare il minimo indispensabile, onde evitare che un rapporto di “vicinanza forzata” si trasformi in una specie di incubo a cielo aperto.
Perché è indispensabile evitare i vampiri emotivi in ufficio (e anche fuori)?
Perché ci passi molte ore e le tue energie mentali è giusto siano rivolte a spendere parole o fare cose “produttive” per te stesso e la tua organizzazione, non per tentare di “salvare” l’insalvabile.
Qualunque cosa dirai o farai, apparentemente sortirà un qualche effetto positivo, spesso del tutto effimero e temporaneo: il vampiro cambierà atteggiamento, o farà cose diverse, o prometterà di farle, per tornare poi esattamente come prima nel giro di poco.
Più spesso le energie spese per queste persone saranno del tutto buttate via. Evitale, stanne alla larga, difenditi, non dargli corda, non spendere parole per argomentare punti di visti diversi per aiutarli.
Dargli corda poi, oltre a “sfinire” te, non è utile neanche per loro, che, fin quando troveranno vittime a cui succhiare energie, si sentiranno legittimati o sollevati dal prendersi le responsabilità che ognuno di noi dovrebbe avere riguardo a se stesso, a quello che ha fatto, a quello che ha seminato e a quello che sceglie di fare della sua vita.
Spesso di fatti, queste persone hanno bisogno di un aiuto/sostegno/supporto psicologico ben diverso dalla semplice vicinanza amicale. Ma se loro per primi non intendono nè riconoscere a ste stessi, nè uscire dalla spirale malsana in cui sono “incastrati” adoperandosi fattivamente e concretamente chiedendo aiuto a qualcuno che lo faccia per mestiere, tanto meno avrai qualche potere tu, se non del tutto palliativo come potrebbe essere una borsa per il ghiaccio per una persona che si è frantumata un ginocchio.
Ognuno di noi è quello che sceglie di essere.
Una persona che vive un malessere profondo e che vuole davvero cambiare qualcosa e da sola non riesce, ammette di avere un problema e si fa aiutare da qualcuno competente, non pretende che altri sacrifichino energie e tempo per qualcosa di più grande di loro e fuori dalla loro portata.
E che è fuori dalla portata altrui è certo e risiede nel fatto che, se negli anni, fossero bastati l’ascolto e i consigli degli altri, amici/colleghi/parenti/famigliari oggi, un vampiro emotivo, non sarebbe più tale.
I vampiri emotivi sono pericolosi per te sia in ufficio che nella vita fuori.
Queste persone sono molto brave a “comprare” il prossimo a suon di lusinghe, premure, manifestazioni di interesse che accarezzano l’ego.
Sono come il suono delle sirene Scilla e Cariddi. Se poi magari tu stai a tua volta attraversando un momento di debolezza/difficoltà e hai bisogno di sentirti importante, ancora peggio…restare invischiati in queste “dinamiche malate” è un momento, e ritrovarsi portatori di croci di altri è un lampo.
Vero è che una via di uscita esiste sempre… ma per la propria salvaguardia sarebbe meglio non doverla mai cercare, perdendo tempo e sprecando energie inutilmente.
Sia chiaro: non sto nè giudicando, nè criticando i vampiri emotivi per quello che sono, nè mettendo in dubbio che la vita possa portare ad adottare atteggiamenti simili. Anzi, se per caso ti riconoscessi in questa descrizione, ti consiglio vivamente di accettarti e chiedere aiuto a qualcuno che possa farlo secondo un protocollo medico.
Certo, il percorso per uscire dal vampirismo comporta impegno, tempo e la voglia di mettersi in discussione. Che ti piaccia o no, nè hai messa tanta di energia e voglia per costruire una percezione del mondo attorno a te ostile nel tempo.
Altrettanto tempo ed energia li puoi investire per costruire per te stesso qualcosa di migliore!
Se invece ti senti “invischiato” in una dinamica simile, prendi le giuste precauzioni e tutele per te stesso!
Se hai un innato istinto a fare la “croce rossa” (più tipico delle donne) e a sentirti in colpa, ti invito a pensare a quello che sei, a quello che fai, alla fatica/impegno/energia che metti nella tua vita per essere una persona migliore. Neanche a te la vita regala nulla. E come lo fai tu, può farlo anche il vampiro emotivo!
Fra 2 settimane, nel prossimo articolo, proseguirò la riflessione su altre tipologie di pensieri negativi (o forse sarebbe meglio dire atteggiamenti mentali) che avvelenano la mente.
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Federica Crudeli
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4 DIFFERENZE FRA UOMINI E DONNE AL LAVORO!
Ciao e Bentornato a Lavorare col Sorriso!
Oggi ti parlo di almeno 4 differenze fra uomini e donne al lavoro che rendono la comunicazione fra i due sessi più difficoltosa.
Non è una novità che da secoli ci sia un tentativo reciproco di comprendersi, in ufficio come fuori, con scarsi risultati, a volte.
Gli scarsi risultati sono legati principalmente al fatto che le aspettative di un uomo sono diverse da quelle di una donna, e che entrambi filtrino il mondo con occhi molto diversi.
I significati attribuiti nel mondo maschile divergono da quelli attribuiti dal genere femminile, a parità di situazione, e questo genera infiniti fraintendimenti, delusioni e molto stress.
Nei miei precedenti articoli “Differenze fra uomini e donne: capirle ti aiuta” e “L’empatia è uomo o donna?” ho già iniziato a parlarti di quali siano alcune differenze fra uomini e donne sul lavoro, e quindi oggi continuo sempre ispirandomi liberamente al libro di Jhon Gray “How to get what you want in the workplace” (link affiliazione).
1 – Differenze fra uomini e donne al lavoro – potere vs. relazioni
Gli uomini danno importanza al potere, alla competenza, all’efficienza e ai risultati, elementi dai quali dipende la definizione del loro senso di sé stessi, incrementato attraverso il superamento di sfide e il raggiungimento di obiettivi.
La paura più recondita (e spesso inconscia) di un uomo è quella di non essere all’altezza e non sentirsi necessari.
Gli uomini sono più interessati a cose ed oggetti, meno a sentimenti e persone.
Le donne considerano importanti i rapporti interpersonali, l’armonia nelle relazioni e nella comunicazione.
Per tradizione culturale radicata nei secoli, le donne traggono il loro senso di sè in base a quanto riescono a sentirsi utili e contribuire al benessere altrui.
Atteggiamento questo, peraltro, che sconfina molto spesso nella famosa “sindrome della Croce rossa” con cui ancora oggi, molte donne, finiscono per annullare/avvilire/disintegrare completamente se stesse in campo lavorativo pur di compiacere il capo/collega di turno e in campo sentimentale per “salvare” l’uomo difficile di turno.
Non a caso, la paura recondita (spesso inconscia) delle donne è quella di non sentirsi apprezzate, riconosciute e di sentirsi rifiutate, anche quando sono donne affermatissime e di successo.
2 – Differenze fra uomini e donne al lavoro – autonomia vs. sostegno
Gli uomini incrementano il senso della loro efficacia nel fare le cose da soli e in autonomia senza chiedere consiglio.
Chiedere consiglio è inteso come segno di debolezza.
Le donne invece tendono a fornire consigli non richiesti per fornire supporto, che dagli uomini sono interpretati come “tu non mi ritieni capace di fare queste cose da solo”.
3 – Differenze fra uomini e donne al lavoro – soluzione vs. comprensione
Di fronte ai problemi, gli uomini cercano soluzioni rivolgendosi a persone che stimano, solo quando non riescono a trovarle da soli.
Partendo da questo presupposto, quando una donna esprime un suo problema, l’uomo tende a leggerlo (misurandosi con il suo metro) come una richiesta di aiuto/soluzione mentre per la donna la finalità è “sfogare le sue emozioni”, ottenere ascolto, comprensione e sostegno emotivo.
4 – Differenze fra uomini e donne al lavoro – status quo vs. miglioramento continuo
Le donne sono convinte che una cosa che funziona possa funzionare ancora meglio e si prodigano per questo.
Gli uomini al contrario, se una cosa funzione preferiscono non interessarsi a come migliorarla ulteriormente difendendo lo status quo.
Istintivamente preferiscono non interferire su ciò che già funziona.
Siamo nel 2017. Sono passati millenni da quando uomini e donne hanno iniziato a popolare la terra, ma , malgrado ciò, credo che facendo mente locale alle nostre cerchie di persone vicine, che si tratti di colleghi/e, amici/amiche, o partners, buona parte di queste differenze esista ancora e sia ancora molto radicata, sebbene ovviamente poi nello specifico, sia uomini che donne possano rispecchiare queste caratteristiche in modo più o meno spinto.
L’evoluzione culturale che è avvenuta negli anni, l’incremento del livello di istruzione, ancora non sono stati sufficienti ad abbattere queste barriere e a favorire uno scambio più fluido fra uomini e donne, sul lavoro come in altri settori della vita.
Da un lato la difficoltà maschile nello sviluppare un miglior rapporto con le emozioni, (lasciando vivere la loro parte più “femminile” che comunque esiste) senza per questo considerarsi deboli, uscendo dallo stereotipo dell’ uomo che non deve chiedere mai.
Dall’ altro la difficoltà femminile di concepire la propria realizzazione in se stesse più che nel bisogno di attribuirsi un valore in funzione di una qualche buona relazione che sia di lavoro, o affettiva, nella quale sentirsi indispensabile (lasciando vivere la loro parte più maschile).
Come incontrarsi a metà strada dunque? Con un pò di empatia …
Per le donne:
a) è bene evitare di dare consigli a capi e colleghi quando non sono espressamente richiesti, soprattutto davanti a più persone, in quanto questo atteggiamento mina il senso della loro auto-efficacia;
b) è bene lasciare che un capo/collega si “ritiri in se stesso” per trovare una soluzione ai suoi problemi, senza sentirsi per questo svilite e non ascoltate. Un uomo si ritira in se stesso per alleviare il suo stress, non perché rifiuta l’aiuto o il supporto di una donna.
c) è bene imparare a riconoscere ed esprimere un bisogno, senza entrare nel biasimo e nella critica: una cosa è dire al proprio capo/collega “tu non mi ascolti mai!” altra cosa e di ben diversa efficacia è dire “ho bisogno di parlarti/esporti una idea, quando mi dedichi un po’ del tuo tempo?”
Per gli uomini:
a) è bene capire l’importanza che ha la bontà delle relazioni in ufficio per una donna;
b) è bene saperla ascoltare quando una donna si lamenta di una situazione senza andare dritti al fornire una soluzione: la soluzione spesso una donna la sa ottenere da sola. Quello che le preme è sentirsi supportata emotivamente;
c) è bene capire che manifestare le proprie difficoltà nell’affrontare un problema non è vissuto da una donna come sintomo di debolezza o di “non essere all’altezza” ma anzi, di vicinanza emotiva;
d) è bene smetterla di interpretare i consigli non richiesti di una donna o le sue proposte di miglioramento nel fare alcune cose, come una forma di “svilimento” delle proprie capacità, ma come volontà di fornire supporto, comprensione e miglioramento continuo.
Riepilogando, oggi ti ho parlato di 4 differenze fra uomini e donne al lavoro che sono superabili da entrambe le parti sviluppando maggiore empatia nella comprensione delle reciproche differenze.
Se rifletti sui tuoi rapporti lavorativi quotidiani, rivedi qualcuna di queste dinamiche?
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Federica Crudeli

RAPPORTI TRA COLLEGHI: 7 MODI PER FARSI ODIARE. QUANTO CI METTI DEL TUO?
Ciao e Benvenuto a Lavorare col Sorriso!
Rapporti tra colleghi: ecco 7 modi per farsi odiare, se ci tieni a trasformare il tuo posto di lavoro nel set di un film di Quentin Tarantino! Come fare invece a costruire rapporti tra colleghi efficaci e funzionali tanto al tuo benessere quanto alla tua crescita professionale? Ti spiegherò quali sono i benefici dell’evitare spargimento di odio in ufficio e come l’uso e sviluppo dell’intelligenza emotiva ti può venire in aiuto!
[Tweet ““ L’amore spesso non è ricambiato. L’odio lo è sempre!” – cit. U. Bernasconi”]1 – Mentire sempre e comunque.
In funzione dei tuoi obiettivi, menti sempre, non essere mai onesto sulle tue scadenze e non essere mai trasparente.
Occulta i problemi da superare le cui soluzioni andrebbero pianificate per tempo per avvantaggiare te stesso.
Nascondi le informazioni disponibili, o diffondile ma in modo parziale a chi ne sarebbe interessato così da rallentare il tuo lavoro e a cascata compromettere quello altrui.
Sorridi fintamente, sempre. Tu sei Dio. Non sbagli mai. Non hai mai crolli di nervi. Sei immune da qualsiasi sentimento umano.
2 – Esiste un problema? Creane altri 100.
Se c’è un problema da risolvere, passa tutto il tempo che hai a lamentarti del problema con chiunque.
Sparla di chi l’ha creato, di come tu l’avresti affrontato meglio (ovviamente col senno di poi), e, possibilmente, portane sul piatto altri 100 e butta benzina sul fuoco.
3 – Hai sbagliato? Non ammetterlo mai.
Se ti accorgi di avere sbagliato qualcosa e aver causato un problema a qualche collega, non chiedere scusa e non ammettere i tuoi errori.
Chiedere scusa non è da persone educate, ma deboli. Tu mica lavori in un ufficio con persone civili? Sei in trincea, e l’imperativo è vincere.
4 – Non dare alcuna importanza allo sviluppo delle capacità necessarie a gestire i rapporti tra colleghi
Comportati con tutti i colleghi, indipendentemente dal tipo di carattere, dal ruolo e dal momento, sempre nello stesso modo. Nasconditi dietro alla più bella delle scuse “io sono fatto così”!
Un ottimo modo per farsi odiare è relazionarsi agli altri senza considerare che esistono delle differenze “emotive” fra esseri umani, di cui sarebbe bene tenere conto.
Un altro ottimo modo per relazionarsi ai colleghi è pensare che tu sei il solo detentore della verità assoluta e che il tuo modo di vedere le cose è il più giusto di tutti, e l’unico ammissibile.
Urla ad un timido introverso, oppure critica di continuo una persona permalosa, parla male di Dio al tuo capo credente prima di esporgli una idea. Biasima un collega in riunione davanti a tutti.
Dì sempre la parola meno opportuna nel momento meno opportuno.
5 – Prendere sul personale qualsiasi cosa.
Voi non siete pagati per risolvere problemi e trovare soluzioni efficaci, ma per prendere sul personale qualsiasi problema, offendervi e fomentare liti e discussioni alla caccia di colpevoli da esporre alla pubblica gogna.
Oppure per cogliere qualsiasi occasione per screditare qualcuno che vi ha mosso una critica al vostro lavoro.
6 – Invadere lo spazio vitale di tutti.
Occupati dei fatti altrui di continuo, spettegola, deridi, carpisci informazioni della vita privata dei colleghi e diffondila sotto banco.
Invadi anche lo spazio altrui, prendi a prestito cose senza chiedere permesso. Usa la prepotenza.
7 – Non essere mai nè gentile, nè cortese, nè rispettoso.
Parla sempre con tono astioso, evita di ringraziare se qualcuno fa qualcosa di gradito, tu devi dare tutto per scontato come se fossi Giulio Cesare.
Calpesta volutamente il prossimo facendo esattamente le cose che sai bene possono infastidire i tuoi capi o colleghi.
Ridi poco o solo alle battute dei capi. Ridere ti conferisce quell’aria da essere umano che è bene in ufficio sia occultata.
Adesso che ti ho dato 7 ingredienti per la ricetta dell’odio in ufficio, come fare a gestire efficacemente i rapporti tra colleghi costruendo un ambiente sano?
Beh è palese che per creare un clima di benessere lavorativo occorre fare l’esatto contrario di quanto elencato prima.
Può accadere sia che tu abbia a volte, anche involontariamente, agito comportamenti come quelli sopra.
Può accadere che tu li subisca.
In entrambi i casi parliamo sempre di modalità di rapportarsi fra persone diverse.
Il costo di atteggiamenti simili è alto in termini di stress lavoro correlato, energie sprecate, tempo mal riposto, inefficienza e inefficacia lavorativa, negatività sparsa a “ quantine”.
L’ufficio rischia di diventare l’equivalente di un incubo ad occhi aperti.
Chi mai vorrebbe lavorare in un posto con colleghi che si comportano così?
Come gestire efficacemente quindi i rapporti tra colleghi? Sviluppando l’intelligenza emotiva!
Cosa è l’intelligenza emotiva e perché è un pilastro fondamentale per una gestione efficace e costruttiva dei rapporti tra colleghi.
Il concetto di intelligenza emotiva, è stato trattato per la prima volta intorno agli anni ’90 ed è “sbarcato” in Italia nel 1995 con l’omonimo testo di Daniel Goleman “Emotional Intelligence”.
Senza entrare troppo nei costrutti teorici, sintetizzo il concetto con parole mie dicendo che la competenza emotiva è l’insieme di abilità pratiche volte alla consapevolezza e padronanza di sè per essere efficaci nelle interazioni sociali e quindi, lavorative, con conseguenti ripercussioni positive anche in termini di carriera o percorsi professionali di crescita.
I modelli organizzativi aziendali passati, più orientati ad una elevata gerarchizzazione dei ruoli, stanno via via cambiando, anche a seguito dell’avvento di internet, delle nuove tecnologie, e alla velocità di riposta che è imposta dalle regole di mercato.
Per usare una metafora oserei dire che un elefante difficilmente potrà partecipare ad una competizione di iron man.
Il modello in base al quale una sola persone decide e tutte le altre devono eseguire si sta dimostrando desueto, motivo per il quale per affrontare le sfide della modernità anche le organizzazioni hanno iniziato a prestare più attenzione alle softskill delle quali l’intelligenza emotiva fa parte.
Inesorabilmente tu sei inserito in un contesto le cui dinamiche relazionali costituiscono la fetta più significativa da dover gestire, tant’è che in qualsiasi contesto, lo sviluppo professionale e quindi a possibilità di fare carriera passa attraverso 4 fasi:
1 – il sapere legato al percorso di studi e all’ingresso nel mondo lavorativo;
2 – il saper fare ossia sapere applicare in ambito professionale le conoscenze acquisite;
3 – sapere saper fare ossia applicare in modo efficace le competenze migliori per una determinata attività discriminandole fra mille altre;
4 – il saper essere ossia essere consapevoli di te, del tuo modo di porti, dell’effetto che susciti negli altri, e capaci di gestire con “intelligenza emotiva” i rapporti tra colleghi in modo costruttivo per se stessi e l’organizzazione di cui fai parte.
Quest’ultima fase è, alla fine dei conti, la più “energivora” di tutte, soprattutto se ti interessa una “scalata al potere”, e quella che può differenziarti nel tuo percorso lavorativo avvantaggiandoti rispetto ad altri colleghi che ancora non hanno acquisito una maturità tale da saper essere, in modo costruttivo, la persona adatta a determinati ruoli, in un certo momento professionale.
Il saper essere è a sua volta strettamente legato allo sviluppo dell’intelligenza emotiva, come soft skills chiave.
A scanso di ipocrisie, vero è anche che talvolta, pur con l’acquisizione di una migliore consapevolezza dei nostri vissuti istintivi, emotivi e cognitivi, in rapporto con capi, colleghi, collaboratori, fornitori, clienti etc.. l’unica via per migliorare la propria qualità della vita si rivela necessariamente quella di cambiare, o mansione, o lavoro, o azienda, o vita. Ma se questo fosse il tuo caso, ti darò gli strumenti per scoprirlo.
Nei miei articoli di questa categoria ti darò strumenti utili per usare l’intelligenza emotiva per comunicare efficacemente, per gestire i conflitti sul lavoro, per gestire i rapporti con i colleghi e/o capi difficili e imparare a difendertene, per abbattere lo stress legato alla gestione di questi rapporti, per affrontare discorsi in pubblico qualora ne avessi la necessità per il ruolo che svolgi.
Elemento costitutivo n° 1 dell’intelligenza emotiva: la consapevolezza di te stesso.
La capacità di utilizzare l’intelligenza emotiva per gestire i rapporti tra colleghi di lavoro, è strettamente connessa con il grado di consapevolezza e padronanza che hai di te stesso, a cui dedico una intera sezione di questo blog con i miei articoli.
Hai sempre ottenuto quello che volevi sul lavoro? Si? No? A che prezzo?
Hai mai pensato che tu stesso per primo potresti generare certi tipi di comportamenti “antipatici” nei tuoi riguardi dagli altri?
O hai mai pensato che è possibile cambiare il tuo atteggiamento per prendere le distanze dai comportamenti di colleghi difficili che di norma ti danneggiano, demotivano ed irritano?
Difficilmente potrai essere sul luogo di lavoro persona totalmente avulsa da quello che sei “là fuori nel mondo” , in quanto portatore di dinamiche, vissuti e tratti caratteriali che sono sempre e comunque frutto delle tue esperienze di vita.
Fatta questa doverosa premessa, quanto: rabbia, stress, nervoso, ansia, senso di inadeguatezza, irritazione o qualsivoglia stato negativo, sono non solo, e sottolineo non solo, determinata dalle persone con cui devi rapportarti, ma anche determinati in parte dalle tue modalità apprese di risposta ai contesti?
Acquisire una migliore consapevolezza e padronanza di te stesso e delle tue risposte ai contesti, consente un notevole risparmio di energie mentali, una migliorata capacità di rapportarti anche con le persone più difficili e di conseguenza anche di aumentare le tue probabilità di crescita professionale esercitando un maggior distacco da quello che rischia di nuocere al tuo benessere.
Negli articoli dedicati alla consapevolezza di te stesso ti fornisco un sacco di spunti utili per venirne a capo qualora tu stesso per primo voglia “smussare” alcuni tuoi tratti caratteriali, o rompere schemi di comportamento ripetitivi e che tu vivi come disfunzionali (cioè che ti allontanano da quello che vuoi davvero) che ti hanno portato più grane che soddisfazioni, per gestire al meglio i tuoi rapporti tra colleghi e con i capi.
INIZIA DA QUI a rafforzare la consapevolezza di te stesso leggendo questi articoli :

Nell’articolo “Manager o Leader: quale tipo sei?” ti parlo di 9 tratti caratteriali con cui è possibile muoversi nel mondo. Ogni tratto caratteriale è un modo differente di vivere le emozioni, di pensare, di relazionarsi agli altri, con tutti i pro e contro del caso. Questo è un primo articolo introduttivo ai 9 caratteri. In futuro tratterò molto più approfonditamente tutti i pro e contro di ogni carattere per aiutarti a disporre di molte più energie a tuo vantaggio.
“Ripeti sempre gli stessi errori? Come trasformarli in successo”. In questo articolo ti illustro 11 passi per trasformare a tuo vantaggio i tuoi errori “ripetitivi”, cioè quelle abitudini comportamentali radicate che riconosci essere aspetti di te “detestabili” senza riuscire a modificarli e che ti suscitano un senso di fallimento.

“Vuoi diventare capo? 6 segreti per riuscirci”. In questo articolo ti svelo 6 segreti se ambisci ad un percorso di crescita professionale. Avrai modo di valutare quanto il tuo attuale modo di fare ti sta agevolando o meno verso gli obiettivi di carriera che ti sei prefissato, e in caso contrario a regolarti di conseguenza.
Elemento costitutivo n° 2 dell’intelligenza emotiva: la capacità di gestire i rapporti tra colleghi e con i capi.
L’utilizzo dell’intelligenza emotiva è anche strettamente connesso con la capacità di osservare e riconoscere gli altri, e modulare la comunicazione con empatia in modo da instaurare buoni rapporti tra colleghi .
Tutti i giorni hai da rapportarti con persone differenti e, diciamolo pure, alcune volte, magari anche spesso, con colleghi difficili che hanno atteggiamenti esasperati in termini di arrivismo a discapito di altri, prepotenza, scarsa empatia e capacità di collaborare, eccessivamente serie, manipolatorie, voltagabbana, o tirapiedi.
Comunicare, farti capire, ottenere quello che vuoi, a volte, diventa difficile, soprattutto se non sai bene come fare. Oppure, anche nell’ipotesi che sia semplice, è comunque una attività che richiede un grande impiego di energie per tutto il tempo di permanenza in ufficio e probabilmente, te le sottrae per il tempo rimanente.
Se invece ti senti costretto dalle circostanze a “dover accettare” atteggiamenti poco gradevoli da parte di colleghi o capi difficili, allora sempre in questa categoria troverai il modo per difenderti imparando ad entrare in relazione con colleghi difficili solo per quanto ti è utile con il giusto distacco emotivo. Potresti anche scoprire che il tuo peggior nemico potrebbe rivelarsi il tuo migliore alleato.
INIZIA DA QUESTI ARTICOLI a rafforzare la tua intelligenza emotiva nella gestione dei rapporti tra colleghi e con i capi:

“L’empatia è uomo o donna? Scoprilo e usala!”. Un pilastro fondamentale dell’intelligenza emotiva per una comunicazione efficace fra colleghi è l’uso dell’empatia, ossia la capacità di guardare le cose anche dal punto di vista degli altri. In questo articolo ti parlo delle differenze esistenti nella comunicazione fra uomini e donne sul lavoro e di come la comprensione dei reciproci mondi aiuti a sviluppare un ponte comunicativo realistico e consapevole.

“Conflitti sul lavoro: li risolvi o cerchi colpevoli?” Come entrare in relazione efficacemente con i colleghi, soprattutto quando le cose si fanno difficili e ci sono momenti di conflitto da gestire? Esistono 2 modi di affrontare i conflitti: uno più costruttivo, proiettato alla ricerca di soluzioni, usando l’empatia, e l’altro non costruttivo, rivolto alla sola ricerca di colpevoli, senza risolvere nulla. Tu quale sei solito adoperare? Nel mio articolo ti guido a capire quale dei due sei solito usare e come porre rimedio per un migliorato benessere in ufficio.

“Colleghi difficili: i melliflui. Cosa fare?”. Come ti comporti con colleghi difficili, in particolare i voltafaccia melliflui? Li gestisci, li subisci? Hanno il potere di inquinare le tue giornate? In questo articoli ti faccio guardare a questa tipologia di colleghi in modo differente per neutralizzare l’effetto negativo che hanno su di te. Se poi ad essere mellifluo e voltafaccia non è un collega ma il tuo capo, nell’articolo “Capo difficile: il voltafaccia. 2 strade possibili” ti guido ad esplorare 2 strade per ritrovare il tuo benessere in ufficio.

In questo articolo “Capo accentratore? Conquista autonomia in 6 passi” ti spiego che caratteristiche ha un capo accentratore, cosa può nascondersi dietro a questo comportamento che non ha nulla a che vedere con la sfiducia nelle tue capacità e nell’affidarti attività, e come conquistare autonomia in 6 passi.

“Informazioni nascoste. A volte ti sembra di lavorare per i servizi segreti?” : come rapportarsi con una particolare e diffusa categoria di colleghi difficili che insabbiano le informazioni a loro vantaggio. Una riflessione in 8 passi per imparare a gestirli.
Ti ho parlato di come l’uso dell‘intelligenza emotiva per gestire i rapporti tra colleghi e con i capi possa incidere sulla tua crescita professionale e sulla qualità del tuo tempo lavorativo e di vita in generale.
Ti ho anche detto che nei miei articoli troverai spunti utili a capire se ti trovi davvero nel posto di lavoro giusto per te anche in relazione ai colleghi con cui “co-abiti”.
Hai capito cosa hai da fare per non farti odiare, cos’è l’intelligenza emotiva e perchè svilupparla migliora la tua capacità di gestire efficamente i rapporti tra colleghi e con i capi.
Sapere che ti parlerò di rapporti tra colleghi e con i capi a lungo e diffusamente per regalarti benessere, ti regala un “sorriso di sollievo?”
Fammi conoscere le tue riflessioni lasciandomi un commento.
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A presto!
Federica Crudeli