
DONNE, LAVORO E CARRIERA: UNA RIFLESSIONE
Ciao e Bentornata/o a Lavorare col Sorriso!
Donne, lavoro e carriera: è vero che le donne sono “tagliate fuori” da alcuni tipi di carriera? Oggi ti propongo una riflessione.
Stavo consultando Facebook domenica scorsa quando mi è comparso davanti un articolo di giornale che portava l’attenzione sul fatto che il nuovo governo in via di formazione pare non stesse prevedendo alcuna donna a capo dei ministeri.
L’articolo sottintendeva l’esclusione delle donne da cariche alte nel governo in formazione.
In merito al ruolo delle donne sul lavoro e le possibilità di carriera, la mia testa, immediatamente, è volata ad una sera del 2017.
Donne, lavoro e carriera: verità e menzogne
Era un giorno lavorativo come tanti e malgrado una notevole dose di stanchezza, dopo il mio lavoro usuale, in piena fascia oraria da rientro, mi sono sopportata qualcosa come un’ora di coda in tangenziale a Milano per raggiungere in zona periferica un grande hotel nel quale si sarebbe tenuto un evento a cui mi ero iscritta.
Quell’evento era rivolto tanto a lavoratori dipendenti, quanto ad imprenditori.
Arrivata, rimasi sbalordita dalla quantità di persone che era in fila per accreditarsi.
Non avevo un conta-persone con me, ma potevamo essere almeno 1.000.
Durante la fila che ho fatto per l’accredito all’evento ho scambiato qualche parola con le persone che avevo vicino.
Notavo qualcosa di strano nell’aria, ma sul momento, non riusciii a focalizzare cosa.
Ad un certo punto … l’illuminazione!
Ecco cosa stavo notando di tanto strano: non c’erano donne a quell’evento!!!
O meglio, ce ne erano, ma erano talmente poche che praticamente mi sono sentita per qualche momento, non lo nego, molto a disagio. Come se mi fosse mancata una qualche forma di solidarietà, come se mi sentissi quasi una intrusa.
Io ero lì per imparare cose, ma la stragrande maggioranza di presenti che avevano fatto quella stessa scelta erano uomini, non donne.
I miei pensieri quindi sono rimbalzati in avanti, da quella serata del 2017 al 2020.
In occasione di un evento riservato ai membri di una associazione di cui faccio parte, fra le presenti, due donne celebri in italia, una attrice, l’altra imprenditrice, parlando della loro vita, della famiglia, della loro carriera lavorativa, raccontavano di aver convissuto, e di convivere ancora, sebbene con minore intensità, con quel senso del “non sentirsi mai abbastanza”.
Dove il “non sentirsi mai abbastanza” è traducibile a livello pratico con un pensiero di questo tipo: se tutti fanno 10, io devo fare almeno 20 per iniziare ad avere la percezione di essere in gamba, di valere qualcosa, altrimenti, anche se gli altri si complimentano con me, io non ci credo.
Oppure questo non sentirsi mai abbastanza è traducibile con il non partire neppure per intraprendere alcune strade, già auto-mortificate in partenza da un “tanto non ce la farò mai/tanto non lo fa nessuna/ma dove vado?” per ripiegare su quello che, essendo in media considerato nelle corde di una donna, sottrae dal fare i conti con una scomodità in realtà sotto sotto desiderabile e desiderata.
La riflessione allora che pongo è: noi donne, siamo davvero escluse da alcuni tipi di lavoro e carriere, o forse ci auto-escludiamo, evitando di pensarci imprenditrici, in carriera, con la stessa disinvoltura con cui probabilmente ci pensa un uomo?
Oppure ancora: che influenza ha nella nostra crescita di donne adulte, il modo in cui veniamo vissute in età giovane se abbiamo desideri ritenuti “non consoni” per una donna?
Ho in mente ad esempio un intervento che ho avuto il piacere di fare per Valore D, per una scuola media di Brescia sui temi appunto dell’inclusione e della diversità. Fra gli alunni ricordo una ragazza che raccontava di essere spesso derisa tanto dai compagni maschietti, ma paradossalmente anche dalle femminucce, perché desidererebbe proseguire i suoi studi nel campo dell’astronomia.
Non serve che vi dica che le ho dato tutta la mia solidarietà, l’ho invitata a tenere duro nel perseguire il suo sogno, cercando di arginare l’effetto dei sabotatori.
Donne, lavoro e carriera: dove erano le donne quella sera del 2017?
L’osservazione della realtà, unita alle riflessioni che ho fatto a seguito di quelle serate del 2017 e 2020, unita ai racconti delle donne – neo-madri comprese – che si sono rivolte a me per percorsi di counseling, e alla mie esperienza di vita in generale, ho tirato la conclusione che, al di là degli argomenti tanto di moda oggi (quali quote rosa, politiche di gender diversity & inclusion), molte donne, non partono neppure verso la realizzazione di sè stesse.
Penso che anche oggi, dopo altri 4 anni, ad un evento simile a quello a cui ho partecipato nel 2017, probabilmente ci sarebbero pochissime donne.
Tante probabilmente sarebbero felicemente impegnate a fare qualcosa da qualche parte in compagnia di qualcuno o anche in perfetta solitudine e beatitudine, ma molte altre penso sarebbero combattute dentro a qualche “vorrei, ma non posso/non sono capace/nessuno mi capirebbe” solo perché magari hanno per la testa qualcosa che non incontrerebbe l’approvazione generale e diffusa per qualunque motivo di “buon senso”.
Ogni donna, anzi, ogni essere umano, penso abbia il sacrosanto diritto di scegliere cosa vuole per sè, e dare importanza a ciò che vuole (nel rispetto altrui e delle leggi di pacifica convivenza sociale, ovviamente).
Diventa invece un peccato quando una donna che abbia delle ambizioni di qualunque tipo, rinunci e ripieghi su altro per scarsa fiducia nelle sue capacità e possibilità di riuscita.
Qualunque ruolo ricopra una donna nella vita affettiva e/o lavorativa, quel “non sentirsi mai abbastanza” sarà comunque sempre pernicioso e fonte di minaccia alle fondamenta del nostro stare nel mondo.
Se ti riconosci in una donna alle prese con la difficoltà di affermare qualche tuo bisogno che avverti, ma che ritieni potrebbe non essere compreso o accettato fino in fondo, hai tutta la mia solidarietà!
Noi donne spesso, quando desideriamo profondamente qualcosa che va in contrasto con quanto è atteso per noi dalle persone che abbiamo attorno, tendiamo a reprimere il nostro sentire fino a rinnegarlo, razionalizzarlo, spesso arrivando a convincerci che quanto sentiamo non ha diritto di avere tanto spazio. (Creando poi di conseguenza i presupposti per la vera malattia).
Gli uomini, da questo punto di vista, sono molto più spavaldi ed egoisti di noi… in questo ci possono essere di sano aiuto e di esempio!
Se vivi con questa sensazione, ti invito a rifletterci sopra e a cercare un modo per andare in primo luogo verso l’accettazione – e non la negazione – di quanto desideri.
Il coraggio di seguire questo sentire, si costruirà poi progressivamente nel tempo e sarà la naturale conseguenza del passo precedente.
Ci risentiamo fra 15 gg con il nuovo articolo!
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Grazie
Federica Crudeli
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