
DONNE, UOMINI E LINGUAGGIO NON VERBALE. UNA RIFLESSIONE.
Ciao Bentornata/o a Lavorare col Sorriso!
Oggi parlo di linguaggio non verbale e rispondo alla domanda che ho ricevuto da un lettore del blog, Nicola, che dopo aver letto il mio articolo “Uomini e donne sul lavoro. Capire le differenze ti aiuta” mi chiede quanto segue: “vorrei conoscere qualcosa di più sui comportamenti non verbali in ambito lavorativo, in merito a quanto detto. Per esempio: come si comporta un maschio, a livello non verbale, rispetto sia alle colleghe femmine, sia ai superiori?”.
Intanto, da cosa è costituito il linguaggio non verbale?
Da espressioni facciali, sguardo, tono, ritmo, frequenza nell’uso della voce, le pause o silenzi, dall’uso dello spazio o prossemica e dalla postura fisica.
Non esistono modi di usare le varie componenti del linguaggio non verbale che abbiano un significato unico per uomini e donne e in tutte le circostanze.
Affermarlo sarebbe una semplificazione della realtà atta a dare un “contentino superficiale” per non deludere il lettore che ha posto la domanda.
Questo è il motivo per il quale sul lavoro e nella vita in generale, vale la pena coltivare l’empatia: ossia la capacità di osservare e decodificare cosa significano non per me, in base ai miei filtri cognitivi, ma per l’altra persona, tutte le componenti del suo linguaggio non verbale.
Insomma sviluppare l’empatia significa allenarsi a mettersi “nei panni dell’altro”.
Questo si che consente di disporre di una chiave di lettura davvero utile ad entrare in relazione con gli altri in modo proficuo.
Come si fa a fare questo?
Osservando.
Scegliti un uomo e una donna sul lavoro e osserva o fai “mente locale” alle varie componenti non verbali utilizzate per rapportarsi agli altri colleghi di pari livello e poi con i capi: noterai qualcosa che resta pressoché immutato e qualcosa che invece cambia in base alla situazione. Quello che cambia indica qualcosa di utile per te.
Supponiamo ad esempio che io stia osservando un mio collega uomo seduto di fronte a me: parla sempre con un tono di voce basso, pacato, un ritmo molto lento, guardandomi negli occhi, tenendo le braccia lungo il corpo o appoggiate alla scrivania ma aperte, senza cioè porle davanti al petto.
Nel dialogo non cerca mai contatto fisico, ma tende a stare sempre “sulle sue”. Questo lo osservo 9 volte su 10 e non riesco a notare significative differenze ad esempio nel suo tono di voce, nè nel caso in cui sia triste o arrabbiato, né nel caso in cui sia particolarmente allegro.
Poiché io ad esempio quando sono triste tendo a parlare piano nel tono e nel ritmo, mentre quando sono allegra alzo sia tono che ritmo, sarei portata quindi a pensare che questo uomo che ho di fronte non si arrabbia mai o non si rallegra mai, dato che il suo tono e ritmo sono sempre monotonamente identici.
Invece, se lo osservo ad esempio in un conflitto con un’altra persona noto che, anche se il tono resta pacato, basso e monotono, comincia a mordersi ogni 3 per 2 il labbro, si mangia le unghie, abbassa lo sguardo e chiude le braccia e batte di continuo il piede in terra.
Viceversa, se lo osservo mentre sta scherzando con un’altra persona, a parità sempre di tono e ritmo, noto che fa un cenno di sorriso (seppure minimo) con le labbra, gli occhi cambiano espressione, articola il suo discorso muovendo le mani e magari dà pure un “cenno” di complicità con le mani al collega toccandolo sulle spalle.
Sono differenze piccole ma che noto ricorrentemente. Osservarlo mi ha consentito quindi di capire quando si innervosisce o quando è allegro, sebbene abbia un modo di fare notevolmente diverso dal mio, dato che queste “modifiche” al suo linguaggio non verbale le ho osservate ricorrentemente con altre persone.
Questo a cosa mi serve?
Se ad esempio ci sto parlando e noto che comincia a mangiarsi le unghie, tamburellare i piedi in terra come l’ho visto fare durante un “conflitto“ con altre persone, posso pensare che quello che gli sto dicendo, produce in lui un qualche effetto “negativo”.
Allora posso domandare “noto che agiti le gambe, c’è qualcosa di quello che ti sto dicendo che ti innervosisce? Se si, fammi capire come posso esserti di aiuto o alleviare il tuo nervoso o le tue preoccupazioni”.
Se hai osservato una persona per un po’ e con cura, difficilmente sbaglierai nel cogliere ed interpretare questi segnali, ma questa volta non secondo il tuo parametro di comportamento in quella stessa situazione, ma secondo il suo.
Nel dubbio però, eviterei di direi “ti vedo nervoso” quanto piuttosto userei l’espressione “mi sembri nervoso. Mi sbaglio?”
Altra cosa: penso che la cosa interessante non sia tanto quella di distinguere il linguaggio non verbale di un uomo rispetto a quello di una donna, ma l’eventuale incongruenza fra il linguaggio verbale e il linguaggio non verbale di uno stesso soggetto.
L’incoerenza fra i due tipi di linguaggi è, credo, più utile rispetto a considerarne solo uno in particolare, perché è da questa incoerenza che possiamo ottenere osservando, e non giudicando, informazioni utili sul lavoro.
Nel caso di cui sopra, se ho osservato ripetutamente che l’uomo in questione quando è allegro tiene le braccia aperte, cambia espressione negli occhi e mostra un sorrisetto contenuto, e alla domanda “come è andato il colloquio con il tuo capo” mi risponde “bene dai” con gli occhi bassi, mordendosi le labbra, e tamburellando con i piedi il pavimento, l’incoerenza del suo “bene dai” proferito a parole mi balza all’occhio molto evidente perché è accompagnato da un linguaggio non verbale che quella stessa persona utilizza tipicamente in situazioni “negative”.
Inoltre il nostro cervello rettile, ossia quello più legato agli istinti primari, è in grado di percepire da subito queste incoerenze.
Ti è mai successo di ascoltare una persona e provare un senso di diffidenza, fastidio ” a pelle”?
Immagino di si. Questo accade perchè appunto il nostro cervello rettile, ancora prima di fare una osservazione razionale degli input che riceve, ha già percepito queste incogruenze.
Quindi, fidati di te stesso quando “senti” che qualcosa non ti convince!
Più in generale, nella mia esperienza posso dire che mentre è possibile per le donne osservare maggiormente l’emotività in situazioni di stress, gli uomini tendono invece a rimanere più “freddi” e controllati.
Questo non credo che sia legato al fatto che gli uomini non provino alcuna emozione, quanto al fatto che per retaggio culturale, gli uomini tendono a reprimerle o magari a trasformarle in sarcasmo e battute, in quanto la manifestazione di emotività in un uomo è considerata “cosa da mammole” dalla notte dei tempi.
A noi donne invece è concesso il nostro “isterismo” in quanto altrettanto radicato nella notte dei tempi essere considerate “emotive”.
Se ci pensate, le donne sono “programmate” per contenere un’altra vita in grembo, a prescindere dal fatto che diventino madri o meno, gli uomini no.
E’ forse anche per questo che gli uomini, come ho già scritto, sono orientati “al compito” e le donne “alla relazione”.
La donna biologicamente ha “iscritto” nel suo codice biologico “la cura” per un altro essere umano, e come tale, è molto più orientata al supporto e al sostegno emotivo, di quanto lo sia un uomo, sebbene poi esistano tutte le eccezioni del caso.
Detto questo, in realtà io mi auguro che tanto un passo in avanti possa essere fatto dalle donne nel ragionare meno emotivamente, altrettanto possa essere fatto un passo in avanti dagli uomini concedendosi il lusso, ogni tanto, di mostrare la loro emotività senza per questo temere di essere considerati deboli, oppure smettendo di “bollare” come “isteriche” le donne quando manifestano ciò che è proprio della loro natura.
Se ognuno di noi facesse un passo verso la comprensione dell’altro, ne avremmo tutti da guadagnare in vicinanza.
Se poi ti incuriosisce un particolare aspetto del linguaggio non verbale, lo psicologo Paul Ekman ha condotto studi nei quali ha dimostrato che le espressioni facciali e le emozioni primarie (rabbia, disgusto, gioia,tristezza, sorpresa) non sono determinate dalla cultura di un posto o dalle tradizioni, ma sono universali ed uguali per tutto il mondo (quindi per uomini e per donne), indicando il fatto che sono di origine biologica e non “ambientale”.
Quindi che cosa ha senso osservare se le espressioni facciali delle emozioni primarie sono uguali in tutto il mondo?
I fattori che le scatenano, che possono essere differenti da individuo a individuo!
Da ultimo, in generale, le persone (uomini e donne) che si muovono nel mondo “a testa alta”, con la postura eretta, con le spalle ben aperte e un sorriso genuino e non forzato o di circostanza, sono quelle che tendenzialmente sono anche più sicure di loro stesse.
Pensaci. Che cosa ti trasmette una persona che cammina incurvata su se stessa, con le spalle strette, le braccia sempre conserte, lo sguardo basso, un tono di voce monotono e sommesso, quasi come se volesse essere meno visibile possibile o come se quasi si vergognasse di portare il suo ingombro nel mondo?
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Federica
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Riesci sempre a cogliere l’essenza delle cose. Bellissimo articolo. Hai proprio ragione, sarebbe proprio bello se le persone provassero a mettersi nei panni degli altri, ne guadagneremo tutti. E la cosa che mi sconvolge è che molti non arrivino a fare questi ragionamenti, si pensa sempre a sé stessi e a quello che può sembrare il proprio tornaconto… grazie
Grazie mille Alberta!