
EMOZIONI IN UFFICIO
Emozioni in ufficio: spesso mostrare la nostra emotività sul lavoro è fonte di vergogna.
Oggi ti conduco in una riflessione su quanto le emozioni siano utili per il nostro vivere, malgrado talvolta apparentemente lo intralcino.
Ti sarà capitato immagino di rimuginare fra te e te con pensieri quali:
“uff … avrei dovuto essere meno impulsivo/meno collerico/meno rabbioso”
“che stupido/a! Se invece che restare bloccato/avessi espresso quella idea senza farmela fregare!
“se avessi titubato meno ad esprimere la mia opinione” e così via…
Accade insomma di vivere le nostre emozioni, più spesso quelle negative, come un intralcio alla buona riuscita sul lavoro, o nella gestione dei rapporti con capi e colleghi.
In realtà anche l’eccesso di euforia può portarci a commettere, in preda all’eccitazione e alla leggerezza, sbagli od errori irrimediabili, o a sottostimare alcuni pericoli.
Questo accade nella sfera lavorativa e in quella privata, soprattutto nei rapporti affettivi.
Immagino tu abbia potuto pensare come me a volte, “se solo fossi un robot lucido, perfettamente razionale, capace di agire in modo logico senza interferenze, paura o condizionamenti di sorta” auspicandoti di rinascere un po’ più freddo, cinico, risoluto.
Lascia che ti racconti una storia vera allora, che mi ha colpito molto e ha dato una risposta a questa mia domanda:
“Cosa ne sarebbe di me e di noi umani se potessimo smetterla di sentire le emozioni? … Come sarebbe la vita senza quelle emozioni negative e spiacevoli che fanno stare male?”
Questa storia è tratta dal libro del neurologo, neuroscienziato e psicologo Antonio R. Damasio –“ l’Errore di Cartesio” di cui ti riassumo l’equivalente di quasi 400 pagine in cui vengono spiegati tutti i passaggi logici e i fondamenti scientifici che conducono alle interessanti conclusioni che ti esporrò.
Ebbene in questo libro è narrata la singolare storia di un uomo americano di circa 30 anni, tale Elliot, operato per un tumore al cervello nell’area del lobo frontale. Nel corso dell’intervento Elliot subì necessariamente una asportazione del tumore e dell’area cerebrale attinente alla sede del tumore, nella zona del lobo frontale mediano.
Posto in osservazione dopo l’intervento, sebbene Elliot apparentemente stesse bene, con cervello perfettamente funzionante, capacità di ragionare e di rispondere alle domande, la famiglia notò in lui qualcosa di anomalo.
Eliot appariva distaccato da tutto, in particolare dalla sua vita e da quello che aveva vissuto, come se nel raccontarla stesse parlando di qualcun altro.
Mostrò inoltre una incapacità di prendere decisioni e programmare o pianificare il futuro. Pur non essendo né stupido, né ignorante, agiva come se lo fosse, e gli esiti catastrofici dei suoi comportamenti sembravano non insegnarli più niente, non imparava più dai suoi errori.
I medici, incuriositi, una volta assodato che il quoziente di intelligenza e tutte le funzioni inerenti la facoltà di ragionamento erano rimaste intatte, addirittura anche ad un livello avanzato, decisero di sottoporlo ad una serie di test e stimoli in modo da vedere le sue reazioni.
Gli stimoli sottoposti ad Elliot spaziarono da essere negativi (immagini di disastri e incidenti impattanti sulle persone), a molto positivi (quali i suoi cibi e musica preferiti).
Nessuna reazione. Elliot non reagiva. Non mostrava mai né tristezza, né rabbia, né stupore, nulla di nulla. Né riguardo agli stimoli a cui fu sottoposto, né riguardo al racconto della sua vita.
La sua condizione fu così efficacemente riassunta in “Sapere ma non sentire”
In sostanza Elliot sapeva benissimo cosa fare in teoria in qualunque situazione di vita, lavorativa, sociale, valutando razionalmente tutte le possibilità di azione esistenti nei vari test che gli furono somministrati, ma in pratica non sentiva più nulla.
Privato del sentire emotivo non era più in grado di attribuire un valore alle opzioni di scelta possibili, e quindi di fronte a delle scelte non sapeva quale compiere.
Senza contare che questa assenza di sentire emotivo si riverberava anche nei rapporti sociali: dall’essere una persona equilibrata ed educata, adesso spesso parlava a sproposito, come se non fosse in grado di dare un peso alle parole e agli effetti delle parole sui sentimenti altrui.
Sintetizzando l’articolata descrizione dei test che hanno condotto a questa conclusione, in sintesi i medici conclusero che l’assenza di emozioni compromette la nostra capacità di decidere.
Quindi è tanto vero che in alcuni casi le emozioni hanno in effetti un ruolo potenzialmente disastroso nelle nostre vite quando non sono ben gestite, altrettanto vero che il non sentirle ci porta, di fatto, all’inazione, come dimostrato in questi studi scientifici.
In effetti, pensa a quante volte nella vita magari sei uscito da una brutta situazione e hai trovato il coraggio di voltare pagina perché spinto dalla rabbia che sentivi, o dall’ansia che volevi evitare, o spinto dalla grinta o dall’entusiasmo che ti trasmetteva l’ingresso in una nuova sfida o nuova situazione.
Le emozioni sono una sorta di cartina di tornasole del nostro modo di vivere. Quando ci vengono a trovare in modo invadente, spesso è per segnalarci qualcosa che stiamo trascurando e ci stanno invitando a guardare dentro di noi.
In qualche modo le emozioni sono come dei sensori, delle spie, che si accendono per segnalarci qualcosa che sotto sotto, non va come vorremmo. Spetta a noi accettarle, ascoltarle e lasciarci guidare per agire, considerandole degli alleati invece che ospiti sgraditi come spesso accade.
Più le combatti, più le rinforzi. Più le accetti, più possono diventare preziose alleate!
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Grazie
Federica Crudeli
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articolo molto interessante. grazie. Nella scrivania di fronte a me ho un collega che mi procura variegate emozioni, per lo più negative. Lui è molto puntiglioso. Deve sempre trovare da ridire. Difficilmente qualcosa gli va bene. Se parlo al telefono, alla fine della telefonata deve correggermi. Al telefono lui ha un volume altissimo. Si lamenta spesso. Critica molto i suoi colleghi. Lui è sempre il più bravo e il “più”perfetto. Avendo parentela con il titolare mette sempre “il becco” in tutto. Vorrei riuscire a schermarmi dalla sua negatività ma non è semplice. Come posso avere con lui una relazione migliore senza arrivare a desiderare che non venga più a lavoro o rivolgergli la parola (che è impossibile)? grazie