
INFELICITÀ SUL LAVORO E INGRATITUDINE: QUALE NESSO?
Ciao Bentornata/o a Lavorare col Sorriso!
Che nesso esiste fra infelicità sul lavoro e ingratitudine? Di atteggiamento mentale!
Te lo spiego con un esempio.
Fra voi lettori, iscritti al sito o lettori casuali, ci sono persone che commentano gli articoli in pubblico o privato raccontandomi le loro difficoltà lavorative.
Ci sono molte persone che leggono, magari si ritrovano in quello che leggono, prendono qualcosa di buono dalla lettura e tengono per sè le loro riflessioni per “n” motivi: vergogna, riservatezza, mancanza di tempo etc.
Il risultato è che non condividono necessariamente con me o con altri lettori le riflessioni che fanno. Ci sta, lo metto in conto! D’altra parte mi rivolgo ad una platea indistinta di persone che potrebbero essere più o meno interessate o trovare più o meno utile quanto scrivo.
A maggior ragione quindi, apro la mail di risposta a chi commenta con un “grazie”, perché il soggetto, oltre a soddisfare il proprio bisogno di esprimersi, mostra generosità nel condividere un commento pubblico, dando a me e ad altri la possibilità di arricchirci di vissuti altrui.
Grazie perché non posso dare per scontato che le persone abbiano voglia e/o tempo di condividere con estranei i loro vissuti.
Dopo il grazie, normalmente quando posso (gestendo il sito nel mio poco tempo libero) articolo anche una risposta ad hoc e privata che possa indurre una ulteriore riflessione alla persona che mi ha raccontato il suo vissuto.
Questo significa che leggo quanto mi viene scritto da quella specifica persona, ci ragiono sopra, identifico delle riflessioni che secondo me ha senso far fare a quella persona, e poi scrivo una risposta.
Ecco. Normalmente, dopo questa mia replica, il buio. Alcune persone “scompaiono” dandosi alla macchia.
Loro insomma, al posto mio, malgrado io abbia speso il mio poco tempo libero a pensare ad una risposta specifica, e magari a qualcuno offra anche la possibilità di fare una conversazione con me (gratuita), non la pensano come me, e non ritengono opportuno dire almeno “grazie per la riflessione/il colloquio offerto”.
La mia risposta ad hoc è quindi sempre dovuta, mi domando?
Certo che no. Eppure, anche qui, per “n motivi” probabilmente tutti molto ragionevoli, le persone tacciono.
Questa è la media di quello che accade. Ci sono invece persone che dopo aver letto la mia risposta scritta appositamente per il loro specifico vissuto, a differenza delle altre che sono numericamente maggiori, rispondono con un “grazie per la riflessione. Mi interessa/non mi interessa parlarne”.
In sostanza ricambiano la mia cura e attenzione verso di loro con altrettanta cura e attenzione, libera da obblighi di sorta. Insomma, manifestano di non dare per scontato che tutto gli sia dovuto.
Infelicità sul lavoro e ingratitudine: quale atteggiamento mentale adotti?
Se da un lato riscontro questa capacità di mostrare esplicita gratitudine per quanto non ci è dovuto, dall’altro rilevo che in media il comportamento maggiormente diffuso appare invece quello di dare per scontato ciò che gli altri non sarebbero tenuti a dare.
Ecco che mi viene facile pensare a quale possa essere una delle fonti di infelicità sul lavoro (e forse anche nella vita).
Per caso sei uno di quei lavoratori che mai e poi mai si ferma a riflettere 5 minuti su quale sia il confine fra quello che ti è realmente dovuto in ambito lavorativo da contratto collettivo, rispetto a quello che invece non ti sarebbe dovuto, ma ricevi comunque?
Ti poni nel mondo lavorativo o verso la vita come un/a bimbo/a un pò cresciuto a cui è tutto dovuto?
Premesso che la perfezione non esiste per nessuno, nel tuo lavoro, anche se vivi momenti di difficoltà, esistono fattori per i quali potresti essere grato e che normalmente tendi a dare per scontati?
Rilevo in noi umani, me compresa, una tendenza a fissarci sugli aspetti meno graditi del nostro lavoro, sulle mancanze, perdendo di vista e dando del tutto per scontato quello che c’è.
Riscopriamo invece un senso di gratitudine quando restiamo improvvisamente privati di quello che fino a qualche minuto prima davamo per scontato.
Questo è un atteggiamento diffusissimo, normale, soprattutto per noi occidentali, che a tratti però diventa una trappola.
L’abitudine ad un determinato stato di cose ci porta col tempo in automatico a non apprezzarle più, a ritenerle scontate. Quindi poi finiamo per averne sempre meno cura, fino a quando magari creiamo noi stessi i presupposti per farle venire meno del tutto.
Questo credo che valga sul lavoro, ma anche nelle altre sfere della vita.
Quindi ti domando:
- è parte di te avere un atteggiamento nei riguardi della tua vita lavorativa (o vita in generale) che vede dare per scontata qualunque cosa o qualunque rapporto con le persone?
- Le cose che ritieni dovute sul lavoro da parte di capi/colleghi/collaboratori, ti sono sempre davvero dovute? Oppure in qualche modo è anche responsabilità tua far accadere ciò che desideri o ritieni utile?
- ad oggi, se sei infelice sul lavoro, oltre a prenderti cura di questa sensazione e a ricercare attivamente delle soluzioni, ti concentri però anche sulle cose per le quali potresti dire “grazie”? Portare l’attenzione su ciò che c’è, anziché su quello che manca, può essere una buona tecnica per traghettarti con una certa serenità durante il periodo di tempo transitorio che sarà necessario, per andare verso un contesto lavorativo che ti dia più soddisfazione.
A proposito di non dare le cose per scontate, ti invito a leggere questo articolo in cui ti parlo del coraggio con cui un mio ex compagno di unversità ha affrontato una paralisi sucessiva ad un brutto incidente: la vera disabilità è fisica o mentale? Parte I e Parte II.
Ci risentiamo fra 15 gg con il nuovo articolo!
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Grazie
Federica Crudeli
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