
IL CORPO, MENTE? L’IMPORTANZA DI ASCOLTARE IL CORPO
Ciao e Bentornata/o a Lavorare col Sorriso!
Oggi ti parlo dell’importanza di imparare ad ascoltare il corpo per preservare il benessere, evitare di adeguarsi ad un livello di sopportazione dello stress troppo elevato per noi stessi ed evitare di considerare il corpo come una appendice scontata di noi stessi.
L’ansia di fare brutta figura, di commettere errori, di perdere il lavoro, di essere inadeguati o di incorrere nel giudizio negativo di altri sono alcuni degli esempi di pensieri che a tutti capita di fare.
L’eccesso di intellettualizzazione tipico del nostro mondo occidentale, ci porta spesso ad utilizzare questa qualità straordinaria, che è la capacità di pensare, in modo disfunzionale per il nostro benessere …quando in realtà, sarebbe bene poterla utilizzare a nostro vantaggio.
Perché usare spesso e solo la mente, senza mai ascoltare il corpo? Oppure rispettandolo poco?
Misuriamo il nostro dispendio energetico in termini di metabolismo e calorie accumulate e bruciate: siamo dunque produttori e consumatori di energia , anche se per questa attività per fortuna ancora non paghiamo tasse o “bollette”. Non diciamolo troppo forte, sia mai che qualcuno arrivi a tassare anche il metabolismo …
La vita mediamente sedentaria di un lavoratore in azienda, costretto spesso: a stare davanti al PC per buona parte della giornata, a mangiare spesso fuori per trasferte lavorative, a saltare pranzi o cene per rispettare scadenze, orari, riunioni incide sul nostro sistema energetico e sul metabolismo.
Non ultimo trascurare il corpo può anche avere riverberi sulla struttura muscolare che nel tempo a causa della sedentaretà prevalente perde di flessibilità, mobilità e resistenza originando magari cervicali, lombalgie croniche (solo per citarne alcune) che sono fastidi tipici di chi sta molto spesso seduto.
L’affollamento di attività da svolgere, accompagnato da eccessi di ansie ed insicurezze può rendere molto stanchi, spossati, come se ci avessero messo dentro ad una lavatrice, eppure, normalmente nè spostiamo carichi pesanti, nè facciamo lavori di fatica fisica così pesanti da giustificare questo senso di stanchezza.
Ma quante delle cose che ti sono richieste giornalmente le fai realmente utilizzando quella parte di pensiero utile e funzionale al da farsi, e quanto invece con una produzione eccessiva di pensieri collaterali a quello che realmente sarebbero richiesti dal “qui e ora” di quello che stai facendo?
E quanto tempo spendi invece ad ascoltare il corpo facendo un po’ di silenzio mentale?
Scommetto poco, a meno che qualche fastidio non ti costringa a farlo.
Noi SIAMO un corpo. Il corpo non è quella cosa che ci porta a spasso ma quello di cui siamo fatti. Sembra banale ma non lo è.
Quale affermazione ti viene spontanea se pensi al tuo corpo? Sono un corpo oppure ho un corpo?
Nella mia esperienza di counselor la maggior parte delle persone usa l’espressione HO UN CORPO. Penso che questo sia molto indicativo di quanto ci identifichiamo solo con la mente.
Comincia a farci caso ripensando magari ai disturbi fisici di salute che hai avuto nel tempo.
In alcuni casi li hai avuti in corrispondenza di periodi di stress, di nervoso sul lavoro, o magari dopo qualche litigata con capi/colleghi/famigliari etc?
Vista l’importanza che ha ascoltare il corpo, nei miei percorsi, quando la situazione lo richiede, utilizzo degli esercizi di bioenergetica per favorire l’eliminazione di rigidità fisiche.
Cos’è la Bioenergetica?
Vivere nel piacere e godersi la vita: questo quello che rappresenta per me la Bioenergetica che racchiude di fatti in sé le parole vita (bio) ed energia.
Oggi applicata nel trattamento dello stress e delle rigidità muscolari anche al di fuori dell’ambito strettamente psico-terapeutico, la Bioenergetica nasce come una psicoterapie corporea.
È stata messa a punto da Alexander Lowen, un avvocato e sportivo, con la passione per l’atletica leggera prima, divenuto poi anche psicoterapeuta e psichiatra statunitense, nato nel 1910 e deceduto nel 2008 a ben 98 anni.
L’età in cui ha lasciato questa terra credo sia una buona indicazione di come l’aver vissuto secondo l’approccio da lui stesso diffuso abbia funzionato in concreto.
La Bioenergetica parte dall’assunto che corpo e mente sono strettamente connessi, al punto che quanto accade nell’uno si riverbera sull’altro e viceversa. Un individuo sano è “fluido” nei suoi movimenti, nel senso che la sua energia fluisce in modo armonioso nel corpo senza “bloccarsi” in rigidità muscolari “cronicizzate”.
Specifici esercizi, praticabili anche da soli a casa, focalizzati sul respiro, sul “grounding” ossia la capacità di “essere radicati a terra” o assertivi, e su piccoli movimenti graduali e lenti, ti aiutano a migliorare la consapevolezza, padronanza ed espressività di te stesso, ad allentare tensioni muscolari e stress, riscoprendo delle spontanee e liberatorie “vibrazioni” nel corpo che sono indicatori di un corpo effettivamente “vivo”.
Non a caso, la morte viene normalmente indicata con il termine “rigor mortis” che sta a richiamare il concetto di “rigidità definitiva”.
Prendersi cura di se stessi significa evitare, da vivi, di restare intrappolati in eccessi di rigidità che impediscono ai normali processi energetici quali respiro e metabolismo, di fluire spontaneamente e liberamente.
Lo stress è la causa di uno di questi eccessi di rigidità.
Sottolineo che questa condizione di benessere vibrante (anche a livello muscolare), non coincide necessariamente con quella di uno sportivo. Alexander Lowen, che per primo ha gareggiato in competizioni di atletica leggera, ad un certo punto della sua vita, approfonditi gli studi sulle dinamiche caratteriali e somatiche, realizzò quanto poco conoscesse il suo corpo in termini di governo della propria capacità espressiva e conoscenza di sè aprendo di conseguenza anche una finestra sulle strette connessioni esistenti fra il corpo e i vissuti cognitivi ed emotivi.
Lo sport è un’ottimo modo per ricercare benessere e sfogare lo stress. Ma da questo ad imparare ad ascoltare il corpo e usarlo non per una competizione sportiva ma per prendere coscienza dei propri vissuti cognitivi – emotivi – e corporei nel QUI e ORA, volgendoli a nostro vantaggio ci passa una enorme differenza.
Oserei dire la stessa differenza che corre fra la cura di un sintomo e l’individuazione delle reali cause che determinano uno stato di mal-essere che tende a ripresentarsi se non anche a cronicizzarsi.
Comincia a dedicare un pò di tempo coltivando del sano ozio come suggerisco in questo articolo (link). Oziare è gratis!
Se invece senti di avere qualche disturbo cronicizzato o qualche sintomatologia ricorrente considera di fruire del mio percorso “Lavora col Sorriso”: possiamo esplorare il significato simbolico dei vissuti corporei e scoprire come uscire da situazioni di empasse.
Se ancora non lo hai fatto ti invito ad iscriverti alla Newsletter, oltre a ricevere una comoda notifica nella tua mail quando pubblicherò nuovi contenuti, riceverai un trattamento speciale per tutte le future iniziative che svilupperò e potrai scaricare la mia Guida Gratuita Fai il lavoro giusto per te che contiene agevolazioni sul valore dei miei percorsi .
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Grazie dell’attenzione
Federica Crudeli

RIPETI SEMPRE GLI STESSI ERRORI? COME TRASFORMARLI IN SUCCESSO
Ciao e Benvenuto a Lavorare col Sorriso!
Ripeti sempre gli stessi errori nella gestione dei rapporti lavorativi e vorresti trasformarli in successo uscendo da schemi di comportamento ripetitivi, che vivi come poco utili e fastidiosi per te nella vita lavorativa, quasi fossi una creatura inerme intrappolata nella morsa di un serpente velenoso? Leggimi!
[Tweet “”Fare errori è naturale, andarsene senza averli compresi vanifica il senso di una vita” – cit. S.Tamaro “]In quali casi ripeti gli stessi errori?
Quando, a titolo di esempio (non esaustivo), in modo sistematico e automatico:
- attacchi un collega con collera di fronte ad una critica, salvo pentirti della tua istintività;
- subisci qualche angheria sempre con lo stesso senso di impotenza covando rabbia repressa per i successivi 6 mesi;
- non sei capace di affermare con assertività una tua convinzione;
- ti dai per vinto in partenza di fronte ad una situazione che vivi come troppo complessa da gestire malgrado una parte di te vorrebbe “buttarsi”;
- fatichi a far rispettare il tuo ruolo in azienda quando hai rapporti troppo amichevoli con alcuni colleghi;
- quando in una negoziazione o conflitto tendi al ritiro o a mediare eccessivamente e rinunci a difendere i tuoi interessi purchè tutte le facce dei colleghi siano sorridenti, tranne la tua.
Inutile dire che questi errori si riferiscono a situazioni che presuppongono uno scambio fra te e altre persone, e quindi il tema, oltre ad avere a che fare con la consapevolezza che hai di te stesso, si inquadra nell’ambito dei rapporti tra colleghi.
Ci tengo poi a fare una premessa: TU NON SEI I TUOI ERRORI!
Oppure fai parte di quelle persone che si identificano con i propri errori e li personalizzano al punto da avvertire un senso pervasivo di fallimento ogni volta che ne commettono uno?
Scrivo questo articolo perché di recente ho commesso un errore le cui conseguenze sulla mia pelle sono state paragonabili a un bagno ghiacciato nel Mar Glaciale Artico in pieno inverno (si, dai, esagero volutamente anche per farti sorridere un po’).
Il fatto “grave” è che ho commesso ancora una volta lo stesso errore in una determinata circostanza, simile a tutte quelle precedenti, in cui il risultato finale se non era stato il bagno ghiacciato nel Mar Glaciale Artico era pur sempre stato fastidioso come la sabbia negli occhi.
Accade di affezionarsi così tanto agli stessi errori che Dante, se fosse vivo, probabilmente indirebbe un concorso a premi per la diabolicità da coazione a ripetere.
Il fastidio che ho avvertito è stato talmente acuto però, che mi sono detta BASTA! E se BASTA l’ho detto io, lo può dire chiunque, a patto che lo voglia davvero!
Come ti ho spiegato nel mio articolo “Manager o Leader: quale tipo sei” ognuno di noi si manifesta con un carattere che talvolta ci porta ad attuare meccanismi inconsci che attivano il famoso pilota automatico o coazione a ripetere.
Si ripetono le circostanze esterne e si commettono gli stessi errori, si fanno le stesse cose, con annesso senso di frustrazione e di impotenza e talvolta con conseguenze progressivamente nefaste che vanno da piccole scottature, a urti, a ustioni di 3° grado.
Eppure ci sarebbe tanto una parte di noi che non vorrebbe fare così, ma lo fa comunque.
Come puoi uscire dai tuoi errori?
Parto dal presupposto che per te sia importante sradicare questa abitudine a commettere sempre gli stessi errori in una o più circostanze similari, e che quindi tu abbia voglia di apprendere un modo per cambiare strada.
Cosa fare in concreto con i tuoi errori:
intanto comincia con il pensare che cambiare è possibile. Hai imparato a guidare e fare tante altre cose nella vita. Puoi impararne altre. Certe abitudini così come le hai apprese, le puoi anche sostituire con altre più utili per te;
- ripensa a, e scrivi, tutte le situazioni in cui hai attivato il pilota automatico, quello che ti porta allo schianto o conseguenza indesiderata (perchè se ti porta positività e benessere non è il caso in esame);
- analizza cosa accomuna tutte queste situazioni per le circostanze esterne alla tua persona, ossia quale è “lo stimolo” esterno che ti fa “partire per la tangente”;
- analizza cosa accomuna tutte queste situazioni per gli aspetti interni alla tua persona, più in particolare quali sentimenti, emozioni, pensieri hanno causato l’inserimento del pilota automatico?
- ora che li hai messi a fuoco, quali benefici/vantaggi speravi di ottenere con il tuo comportamento? Quali bisogni cerchi di soddisfare con il tipo di comportamento che adotti in automatico?
- ricordi se in passato, anche da piccolo, usavi questo stesso schema o lo hai visto usare da qualcuno?
- quali reali benefici hai ottenuto rispetto alle circostanze esterne e rispetto a te stesso?
- quali benefici e quali obiettivi vorresti che agisse il te stesso futuro che vorresti libero da questo fastidioso pilota automatico?
- cosa devi/vuoi fare per ottenere questo nuovo obiettivo/comportamento? Immaginalo nei minimi particolari a livello emotivo (emozioni che vorresti provare, pensieri che vorresti avere), e ripercorrilo nella testa e con il corpo passo dopo passo…magari anche camminando nello spazio. Solitamente, se è vero che il tuo vecchio schema era disfunzionale, il nuovo che hai identificato molto probabilmente assomiglierà al suo esatto contrario;
- identifica la prima circostanza utile in cui potresti dare prova a te stesso di essere capace di disinserire il pilota automatico, magari anche fuori dal contesto lavorativo;
- agisci nel nuovo modo con tutto te stesso, corpo, mente ed emozioni appena ti trovi nella circostanza che ti attiva il comportamento disfunzionale.
Ora, non ti sto dicendo che sia una cosa immediata cessare di commettere gli stessi errori, ma sicuramente prima comincerai a fare esercizio, prima diventerai il nuovo te stesso che ti prefiggi di essere e prima otterrai quello che vuoi dalla circostanza che normalmente ti causa problemi.
All’inizio ci sarà una parte di te talmente simbiotica con il tuo vecchio errore, che farà di tutto per impedirti di uscire dalla tua zona di comfort.
Ci sguazzi tanto bene lì dentro che ormai ti sei scavato la Fossa delle Marianne ed uscirne fuori assomiglia ad una impresa estrema.
Ti faccio presente che è così per tutti, tutti viviamo questa difficoltà, ma con uno sforzo di volontà cosciente, puoi educare prograssivamente i tuoi pensieri, comportamenti, azioni, abitudini, verso una meta nuova, perché di fondo, la Fossa delle Marianne esiste solo nella tua mente, non nella realtà.
È un po’ come fare gli addominali per la prima volta.
All’inizio senti dolore e fatica e ti sembra uno sforzo immane, ma piano piano, un piccolo passo alla volta, la nuova modalità comportamentale ti entrerà nei muscoli fino a quando la avrai interiorizzata: è questione di esercizio e abitudine, e tutte le abitudini possono essere cambiare con un uno sforzo di volontà cosciente.
Ti renderai conto che se anche per un po’ di tempo continuerai a commettere lo stesso errore, il tuo tempo di “ripresa” si farà sempre più breve, riuscirai a sfumare gradatamente quel comportamento e sentirai sempre meno lo sforzo dettato dal voler cambiare abitudine.
Se sono qui a scrivertelo è perché l’ho fatto e ha funzionato. E ha funzionato solo nel momento in cui ho smesso di procrastinare il momento in cui farlo sul serio. E ha funzionato con un atto di volontà vero e proprio di forzatura alla mia parte più “distruttiva”.
Fatto sta che, a differenza delle volte precedenti in cui avevo commesso lo stesso errore, questa volta in un lasso di tempo molto più breve, ho voltato pagina, orientato mente e cuore in qualcosa di utile che ho scelto consapevolmente, mi sono trattenuta dal fare le stesse cose che avrei fatto in quelle circostanze e ho ritrovato l’amore per me stessa.
Perché preservarsi dal commettere sempre gli stessi errori è, di fatto, un atto di amore verso se stessi.
Commettere sempre gli stessi errori, piccoli o grandi che siano, con conseguenze che tu valuti più o meno “gravi”, col tempo, demolisce l’autostima, ti rende incapace ai tuoi stessi occhi e rischia di portarti ad identificarti con essi fino al punto di dirti “sono un disastro”. Non è così.
Tutti commettiamo errori: l’importante è farne qualcosa di buono e impararne una lezione per trasformarli in un successo. Se questo non avviene, se dopo l’ennesimo errore ci passiamo sopra senza rifletterci come ti ho indicato sopra, è matematico, lo commetteremo di nuovo.
Nel condividere questa mia “caduta” ti sto anche dando un esempio di come un evento spiacevole e negativo, possa essere trasformato in qualcosa di utile per te che stai leggendo, invece che crogiolarmi sul “ho sbagliato anche questa volta”.
Il tempo è prezioso, ed essere proattivi rispetto alle circostanze invece che reattivi come ti ho spiegato sia nel mio articolo “I conflitti: li risolvi o cerchi colpevoli?” , così come il focalizzarsi sulla propria centratura come ti ho spiegato sia nel mio articolo “Un giorno lo farò: il tempo ti è nemico – Parte II”, e’ SALVIFICO!
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CONFLITTI SUL POSTO DI LAVORO: LI RISOLVI O CERCHI COLPEVOLI?
Ciao e Benvenuto a Lavorare col Sorriso!
Che tu sia uomo o donna, sei solito risolvere i conflitti sul posto di lavoro efficacemente usando l’intelligenza emotiva per migliorare la tua leadership oppure vai accusando in cerca di colpevoli, o della ragione costi quel che costi? In questo articolo ti parlo di questi due diversi atteggiamenti nell’affrontare i conflitti sul posto di lavoro e ti parlo delle softskills utili anche per la vita, dato che i conflitti o le divergenze fra colleghi, uomini, donne e umani in generale sono assai frequenti.
[Tweet ““I più grandi conflitti non sono tra due persone ma tra una persona e se stessa.” – cit. T.G. Brooks”]
La gestione dei conflitti sul posto di lavoro, può avere una finalità utile o non utile.
La finalità utile della gestione dei conflitti sul lavoro è quella di capire, esprimersi, farsi rispettare, trovare punti di accordo.
La finalità non utile della gestione dei conflitti è quella di manipolare (spesso inconsapevolmente), cercare colpevoli, accusare, difendersi, avere ragione.
Per quali motivi discuti, di solito? E quanto sei consapevole di come il tuo modo di gestire i conflitti sul posto di lavoro impatta sulla buona riuscita dei rapporti tra colleghi?
Ipotizziamo che Alice e Marco, che rappresentano due unità aziendali differenti nell’ambito di un gruppo di lavoro composto da più impiegati, abbiano da consegnare un lavoro finito per una certa scadenza.
Ognuno di loro è portatore di interessi differenti e ovviamente, ha preferenze diverse sulle modalità con cui è possibile “risolvere” un dato “compito”o “task” per usare gli inglesismi che fanno molto moda.
Nel giorno della scadenza stabilita e per rispettare obiettivi sfidanti Alice, senza dire nulla a Marco che era impegnato in altre attività, presenta all’intero gruppo di lavoro il “task” finito e costruito, in parte, ma non del tutto, con il contributo anche di Marco, che viene a conoscenza della versione finale del lavoro a cose fatte.
Marco si sente salire un pò di rabbia, quando vede scritto su una mail quello che avrebbe dovuto essere frutto anche del suo lavoro: non solo vede i fatti compiuti, ma condivide solo in parte la soluzione proposta, e in ogni caso ci sono degli aspetti dati per decisi che lo mettono in difficoltà rispetto alla sua unità di business.
Marco è arrabbiato e dentro di lui si agitano questi pensieri: sono incavolato nero, non mi ha considerato, mi ha “scavalcato”, ha deciso una cosa che non condivido e in più l’ha fatto in mia assenza senza avvisarmi.
Non posso neanche arrabbiarmi apertamente, perché si sa che in azienda i conflitti sul posto di lavoro “aperti” sono malvisti e come uno manifesta un po’ di dissenso viene tacciato di essere un polemico rompiballe.
Come potrebbe comportarsi Marco?
Esempio di gestione del conflitto sul posto di lavoro con modalità comunicative finalizzate a manipolare, cercare colpevoli, accusare, difendere, avere ragione.
M – (con tono risentito e veemenza verbale, verso Alice) Ho visto la mail… bella sorpresa… siete proprio scorretti! Non solo avete deciso la versione finale senza di me, ma in più l’avete comunicata a tutto il gruppo e vi siete venduti una cosa che ora mi mette in difficoltà con altri miei colleghi!
Il tono “risentito” è umano, ci può anche stare…ma quello che segue si chiama accusa, prima ancora di capire se abbia affettivamente dei fondamenti o meno.
A – Marco, sei sempre assente, questa è la logica conseguenza del tuo modo di fare!
Alice si sente attaccata e di istinto, invece che smussare i toni, contro-accusa il collega.
M – Ma che assente e assente, non nasconderti dietro a delle scuse perchè hai torto e sei stata scorretta! Non è la prima volta che succede. Mancava poco alla versione finale. Hai il brutto vizio di non parlare!
A – Se non ti fai trovare!
M – Ma se ero in trasferta ieri!
A – …e comunque cosa vorresti insinuare con quel “non è la prima volta che succede?” vogliamo parlare di quando due mesi fa ti sei “venduto” la scadenza senza condividerla?
Ora….potete capire che gestire i conflitti sul posto di lavoro con questo rimbalzo di attacchi e accuse reciproche potrebbe durare più o meno all’infinito.
Per ironizzare, in tre nanosecondi ogni collega ha già piazzato nella sua mente come arma di difesa tutto il Consiglio Superiore della Magistratura, con tanto di primo, secondo e terzo grado di giudizio, Cassazione compresa!
Si chiama anche “escalation of commitment” per usare un gergo psicologicamente “tecnico”.
Risoluzione finale? Animo amaro da entrambe le parti, e soprattutto, nessuno dei due probabilmente otterrà nulla di quello che realmente avrebbe voluto.
Esempio di gestione del conflitto sul posto di lavoro con modalità comunicative finalizzate a capire, esprimersi, farsi capire, rispettare il prossimo e trovare punti di incontro.
M – (con tono un po’ risentito) Ciao Alice! Ho visto lo scambio di mail e che hai presentato la versione finale del lavoro a tutto il gruppo quando non c’ero. Mi sento parecchio infastidito! Mi puoi spiegare cosa è successo?
In questo modo Marco applica l’intelligenza emotiva in 3 modi:
1 – saluta come accade fra esseri umani,
2 –manifesta il suo stato d’animo irritato che fa sempre bene, visto che reprimere le emozioni, alla lunga, fa più danni dell’uragano katrina, e non lo dico io ma la scienza,
3 -senza tirare conclusioni si attiene ai fatti che ha visto e chiede spiegazioni, per capire, prima di scegliere se permettersi di essere alterato del tutto o meno e di biasimare la collega.
A – Ciao Marco. Mi spiace vederti arrabbiato. E’ successo che ieri il Direttore ci ha chiesto entro le 16 di presentargli il lavoro proprio mentre stavamo valutando di chiedere un posticipo della scadenza di altri 3 giorni. Sono mancati i tempi tecnici sia per avvisarti prima, visto che ci hanno detto che eri fuori, sia dopo, e nel dubbio piuttosto che lasciare la cosa incompleta abbiamo preso quella che ci sembrava la decisione migliore ricordandoci anche le tue indicazioni. I modi in effetti non sono stati dei migliori ma almeno nella scelta finale ti ritrovi oppure no?
M – Ah ecco… volevo ben sperare che ci fosse una ragione valida per quello che ho visto. Diversamente, e lo specifico nel caso accada di nuovo in futuro, vorrei condividere le scelte prima e sapere quando saranno ricondivise nel team. In questo caso in effetti la decisione che avete preso mi mette in difficoltà per diversi motivi che ora ti spiego (…) come possiamo venirne fuori? Mi aiutate?
A – Si si tranquillo, a parte che non è da me, in ogni caso certo che condividerò le scelte future prima di presentarle a tutti qualora non ci fossi. Tu però le prossime volte, se dovessi sapere che a ridosso di una scadenza ti mandano fuori per lavoro, ci avvisi prima?
M – Ok sarà fatto. Anche io preso dalla fretta proprio mi sono dimenticato.. scusami. Quindi come ne veniamo fuori? Io ho questo problema adesso (…)
A– Beh credo che ci siano tempi e margini per rivedere la cosa!
Alice utilizza l’intelligenza emotiva nella gestione del conflitto lavorativo in questi modi:
1 – saluta;
2 – esprime dispiacere per il collega che vede risentito, con empatia;
3 – chiede se la soluzione individuata è condivisibile;
4 – chiede al collega per il futuro, di avvisare qualora fosse assente, usando quindi la sua assertività.
Marco a sua volta: esprime chiaramente la sua difficoltà e la necessità di trovare una soluzione, si prende l’impegno di avvisare qualora debba assentarsi vicino ad una scadenza, ed esprime cosa vorrebbe per se in futuro.
Nella tua quotidianità quante volte la gestione dei conflitti sul posto di lavoro assomiglia al primo caso e quante volte al secondo?
Quante volte “prendi la tangente” di fronte ad una situazione mal digerita e quante volte invece ti prendi del tempo per capire, prima di scegliere la riposta più opportuna usando la tua assertività?
La possibilità di scegliere la risposta di fronte ad una situazione di conflitto, prende il nome di proattività, ed è un concetto introdotto da V. Frankl, che ha condotto molteplici studi sul senso di scopo delle persone.
Reagire significa non interporre alcuna consapevolezza fra uno stimolo esterno e il nostro comportamento, rispondere significa invece prendere consapevolezza di quello che accade al nostro interno ed indirizzarlo con assertività in modo utile rispetto all’obiettivo che ci poniamo.
Farlo significa rafforzare la propria leadership, ossia la consapevolezza e padronanza di sè stessi. Qualora l’obiettivo di una conversazione sia litigare con i colleghi in modo fine a se stesso allora la modalità n° 1 è quella giusta.
Qualora l’obiettivo invece sia trovare soluzioni condivise e ridefinire comportamenti accettabili per entrambe le parti in futuro, la modalità n° 2 è quella più adatta da seguire.
Qualora invece, dopo aver raccolto il punto di vista dell’altro ti trovi di fronte ad una vera e propria scorrettezza ingiustificabile ai tuoi occhi, considera che:
a – possono esserci colleghi che per differenti ragioni e motivi, vivono di bassezze. In questo caso intanto puoi avere una fortuna magari: non assomigliargli;
b – inoltre, quando hai a che fare con colleghi che deliberatamente fanno cose a danno altrui, o per metterti in cattiva luce, o per affermare se stessi, o per screditarti, tieni a mente che il problema è loro: quasi sempre soffrono di insicurezza cronica con un ego pari ad una mongolfiera, ed hanno bisogno di sminuire gli altri per emergere.
In questo senso, sempre a proposito di vivere per se stessi un tempo di qualità, prima di dare eccessiva importanza a questo tipo di colleghi e quello che fanno, ti ricordo che nell’articolo “Un giorno lo farò: il tempo ti è nemico? Parte I” ti ho parlato di investire il tempo in funzione del tuo scopo e dei tuoi principi.
Di conseguenza il tempo da dedicare a queste persone tossiche è bene che si riduca all’osso. Puoi sempre scegliere di averci a che fare per il tempo che è imposto dal contesto, ma nulla di più.
E poi lasciarti alle spalle la rabbia e il senso di sconfitta che a volte l’esito di questi conflitti sul posto di lavoro può generare.
Inoltre, se vivi in funzione dei tuoi principi guida, disponi di una bussola interna che ti conferisce sicurezza interiore e ti indirizza nelle scelte, ed è corretto che sia l’unico riferimento rispetto al quale misurarti, piuttosto che preoccuparti della figura da stupido che magari qualcuno ci tiene tanto a farti fare…la summa di questo pensiero è resa bene da questa celebre frase dei Beatles da tenere a mente di fronte a colleghi poco corretti:
[Tweet ““Live and let die”- cit. Beatles”]
In sintesi ti ho parlato di due modi di affrontare i conflitti sul posto di lavoro rispetto all’obiettivo di trovare punti di accordo: uno più utile ed uno non utile.
Ti ho quindi parlato della differenza fra la reattività e la capacità di risposta intesa come proattività: in questi casi le differenze fra uomini e donne non hanno alcuna relazione con la maggiore o minore padronanza di queste softskills!
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Federica Crudeli