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DIVENTARE CAPO: 7 PASSI PER NON REMARE LA BARCA DA SOLO/A!
Ciao e Bentornato a Lavorare col Sorriso!
Diventare capo di fresca nomina: ecco 7 passi per assicurarti che tutti i membri dell’equipaggio che guiderai remeranno con te! Ti spiego come essere un buon manager, e guadagnarti la fiducia del tuo management di riferimento e dei collaboratori, gestendo efficacemente (ossia risparmiando tempo e stress) il cambiamento nell’ assumere un ruolo di maggiore responsabilità, magari anche in un nuovo tipo di lavoro e/o unità di business, e/o azienda, per farti apprezzare e stimare senza cadere nell’ ansia divorante da prestazione lavorativa, di cui ti ho già parlato nel mio precedente articolo!
[Tweet ““ Prima capisci, poi agisci” – cit. mia”]
Diventare capo, diciamolo, mette sempre un misto di euforia per il traguardo raggiunto e le nuove sfide in vista, e anche un po’ di ansia per la paura di non essere all’ altezza delle aspettative, o per come ti vedranno i capi, colleghi e collaboratori.
Il primo errore da evitare è quello di voler strafare da subito. I processi di cambiamento, come ti ho spiegato anche nel mio articolo “Cambiamenti lavorativi: battere l’effetto Trump in 2 mosse” spaventano, non tanto per il cambiamento in se stesso, quanto per gli effetti che produce.
Il cambiamento necessita di tempo per essere metabolizzato: da te che ti appresti ad indossare un nuovo vestito, e da chi avrà a che fare con te, che come ogni essere umano potrebbe rivestire speranze in un cambiamento in positivo, o essere diffidente nei tuoi confronti.
Per lavorare bene cosa devi avere a cuore? La fiducia del tuo nuovo capo (se ancora non la hai) e dei tuoi collaboratori. O remerai la barca da solo.
Va da se che il diventare capo a seguito di un promozione all’interno della stessa unità di business in cui sei già collocato e in cui conosci i colleghi, il contesto e il tuo superiore quello che segue sarà notevolmente semplificato, sebbene ti consiglio di leggerlo ugualmente, dal momento che il cambio di ruolo comporta sempre una ridefinizione di precedenti equilibri.
Diventare capo – Passo n° 1 – informati!
Per diventare capo e muoverti al meglio nella nuova realtà, è bene che tu raccolga più informazioni possibile sull’ambiente lavorativo in cui stai per calarti.
Ormai le aziende hanno tutte o quasi un sito internet dal quale è possibile evincere tantissime informazioni di contesto: mercato di riferimento, attività di business, clienti e fornitori, livello di organizzazione e strutturazione dell’azienda, dati economico – finanziari.
In particolare cerca nelle fonti esterne e pubbliche tutto quello che ha a che fare e caratterizza il tuo nuovo ruolo e ne costituisce una variabile chiave che ti troverai a gestire.
Diventare capo significa gestire problemi e trovare soluzioni. Prima capisci quali sono i tipici problemi caratteristici del tuo ruolo, prima diventi efficace nel padroneggiare le responsabilità che ti competono.
Diventare capo in un’area commerciale capisci bene che ha implicazioni diverse dal diventare capo in area amministrazione finanzia e controllo, dal diventarlo nell’area logistica e approvvigionamenti etc.
I principali temi e problemi da affrontare differiscono da area ad area e presuppongono delle caratteristiche tipiche di quel determinato ruolo: preparati!
Ipotizziamo adesso sia nella tua nuova realtà con il tuo nuovo ruolo: cosa fare?
Diventare capo – Passo n° 2 – Capisci il tuo capo: ti serve una bussola!
Diventare capo significa avere delle responsabilità su determinate attività.
Di norma avrai a tua volta un capo a cui riferire che ti aiuterà (si spera) ad inserirti nel nuovo contesto.
Le sue aspettative su di te è giusto che siano la tua bussola: tu renderai di conto a lui, quindi è bene che ti occupi immediatamente di capire quali risultati vuole assicurati, nel modo più specifico possibile.
La prima domanda a cui devi dare riposta è: cosa si attende da te? Se tu sei subentrato a qualcun altro, si aspetta cose diverse? Quali?
Quali miglioramenti si attende, per cosa, in che tempi?
Quali sono le cose per lui più importanti/prioritarie che ti chiede siano assicurate?
Se invece assumi un ruolo in una nuova attività precedentemente non formalizzata come unità di business, comunque, quali aspettative ha? Quali sfide ti aspettano? Quali sono le più importanti e le più urgenti per le quali è richiesto il tuo contributo?
Diventare capo – Passo n° 3 – Capisci il tuo ruolo efficacemente
Attraverso colloqui con il tuo capo/supervisore, letture di mansionari, procedure, o altri strumenti organizzativi che in base al contesto possono essere più o meno formalizzati, il puzzle che devi arrivare a comporre risponde alle seguenti domande:
Cosa devo fare? Preoccupati di censire tutte le macro-attività che competono alla tua responsabilità.
Con che frequenza? Ogni attività avrà una sua programmazione. Distinguere da subito le attività routinarie (che sono quindi da eseguire con cadenza giornaliera, mensile, trimestrale, semestrale e così via ) da progetti speciali o attività ad hoc (che di norma hanno una data di inizio e fine prevista) ti consente di disporre da subito di criteri per organizzarle al meglio partendo dalla prima che necessita di essere portata a termine dopo il tuo arrivo.
Con quale obiettivo? Ogni attività si prefigge di raggiungere un determinato obiettivo. Chiedi da subito quale sia.
Come si fanno le attività? Altra cosa che hai da capire subito sono i riferimenti procedurali esistenti per lo svolgimento delle attività. Se non ne esistono attraverso i colloqui con i collaboratori fatti descrivere come vengono usualmente svolte le attività che ti sono state assegnate.
Chi sono i miei fornitori interni? Mappa subito chi sono gli interlocutori principali che forniscono gli input ad ognuna delle tue attività.
Chi sono i miei clienti interni? Mappa subito chi sono gli interlocutori principali che beneficeranno degli output delle tue attività.
Se lo valuti opportuno, in un secondo momento, puoi pianificare incontri con i clienti/fornitori interni per ascoltare anche il loro punto di vista allo scopo di identificare punti di miglioramento.
Esistono criteri strutturati di misurazione delle performance per ogni attività?
Se si, è bene che tu sappia da subito quali siano.
Diventare capo – Passo n° 4 – Parla con i collaboratori!
Dato che hai dei collaboratori, e che sei nuovo nella veste di capo, è bene che ti prenda il tempo di parlare singolarmente con ognuno di loro.
Si lo so cosa stai pensando, è impegnativo. Ti espone. Ma se sei sicuro di te stesso, dove è il problema? Ti spaventa eventualmente sentire “qualche lamento?”
L’obiettivo di questi colloqui è: conoscerli come esseri umani, capire le loro aspettative e il loro grado di motivazione, cosa li gratifica e cosa no, stato delle politiche retributive a loro attribuite, storia lavorativa pregressa, compreso il rapporto con il precedente capo.
Queste informazioni saranno utili a comprendere le loro leve motivazionali e a valorizzarli al meglio nella gestione delle tue attività. Sarà produttivo ed efficace per te, saranno contenti loro.
Questo atteggiamento è di per sé motivante per i tuoi futuri collaboratori: significa che gli dai attenzione e che sei disposto ad ascoltarli (sempre che poi tu dia seguito a quanto hai raccolto).
Interessati di capire cosa facevano fino a prima del tuo arrivo: ti servirà per acquisire informazioni e poter valutare una eventuale re-distribuzione delle attività e dei carichi di lavoro, anche in funzione delle loro risorse e del loro potenziale, ed a capire il loro punto di vista su cosa funziona bene e cosa meno.
Interessati di capire il loro punto di vista sullo stato dei rapporti con i vostri clienti e fornitori interni, cosa funziona bene e cosa no nella gestione di questi rapporti.
Diventare capo – Passo n° 5 – comprendi bene la cultura aziendale
Questo passo, acquisisce maggiore importanza se “vieni da fuori”, e in ogni caso, anche qualora la tua nomina a capo sia avvenuta all’interno dell’azienda in cui già lavori, il cambio di ruolo presuppone comunque una redistribuzione di vecchi equilibri.
Qui si tratta di investire del tempo per capire come muoverti all’interno delle regole non scritte della tua azienda ma che sono determinanti per la tua buona riuscita come capo.
Quindi cerca di capire (e puoi farlo prevalentemente osservando le dinamiche relazionali e chiedendo con discrezione) come è opportuno muoverti nella gestione dei rapporti con i colleghi. In parte lo avrai già capito raccogliendo le informazioni dei punti precedenti, ma, qualora il puzzle non ti sia ancora chiaro è bene che ti adoperi per completarlo.
In sostanza devi darti una riposta a questa domanda: cosa è opportuno che io faccia e cosa no, in funzione dei miei obiettivi, per non urtare troppo la suscettibilità di chi mi circonda?
Questo non perché necessariamente nulla debba essere cambiato, ma semplicemente perché, se hai dei cambiamenti da attuare, è bene che siano nei limiti del possibile, graduali, in modo da essere digeriti da chi ha da farci i conti.
Ti ricordo che il tuo obiettivo guida è guadagnarti la fiducia di chi ha il potere di incidere sulla buona riuscita del tuo incarico: guidare una barca con n persone sopra che non remano o che remano contro capisci bene che è uno sforzo immane e poco intelligente.
Se cominci facendoti tabula rasa intorno, va da se che ti stai scavando la fossa con le tue mani.
Magari resterei capo di nomina, ma non nei fatti, perché tutti ti remeranno contro.
Diventare capo – Passo n° 6 – Tira le somme e osserva!
Dopo aver compiuto i 5 precedenti passi (non necessariamente in ordine sequenziale) hai: acquisito informazioni su cosa si aspetta il tuo capo da te, quali attività devi gestire, con che obiettivi, con che frequenza, con quali risorse.
Hai compreso aspettative, motivazione, risorse e potenziale dei tuoi collaboratori.
Hai mappato i tuoi interlocutori interni, e le principali criticità nella gestione delle relative attività e rapporti.
Adesso prenditi un po’ di tempo per valutare tutti questi elementi nell’insieme e farti una idea circa l’opportunità che le cose possano o meno proseguire in armonia con la gestione precedente.
Inizia a pensare quali attività possono essere fatte meglio, quali possono essere eliminate, quali possono essere fatte in modo più efficace e chi può farle: andava bene la precedente distribuzione delle attività fra collaboratori oppure è pensabile una re-distribuzione che valorizzi meglio le loro risorse e vada incontro maggiormente alle loro aspettative in modo da motivarli?
Diventare capo – Passo n° 7 – Agisci
Con il quadro della situazione sotto mano, e passato un minimo di tempo ad osservare come funzionano le cose, puoi stendere un piano di azione funzionale all’assolvimento delle tue responsabilità e al contempo, a soddisfare le aspettative del tuo management di riferimento.
Individua le attività che a tuo parere necessitano di essere ripensate.
E’ bene che tu inizi da quelle più importanti: quali sono? Quel 20% di attività che assicurano l’80% dei risultati , usando il criterio di Pareto.
Come individui quelle più importanti? In termini di conseguenze/effetti che avrebbero sull’obiettivo finale se tu non le affrontassi per prime.
Come metti in pratica le tue valutazioni sulle cose da cambiare? Coinvolgendo nei cambiamenti più impattanti i collaboratori e tutti coloro che ne sono impattati. Condividi con loro le tue proposte, ascolta i loro parari, sii disponibile a rivedere le tue posizioni con apertura mentale.
Ci vuole tempo per muoversi in questo modo? Si.
Ma se pensi di risparmiare tempo agendo cambiamenti con totale noncuranza di chi ne farà le spese, o in teoria di chi dovrebbe assicurarti la sua collaborazione, quello che spenderai in futuro e a lungo per rimediare a questo errore ti costerà molto stress, energie buttate e malumore diffuso.
In sintesi, se stai per diventare capo, acquisire informazioni sul contesto in cui andrai ad operare, capire la cultura aziendale, capire le aspettative di capi e collaboratori, clienti e fornitori interni ti consente di agire e gestire le tue responsabilità guadagnandoti la fiducia di tutti coloro che dovranno remare la barca con te!
Non lasciare a terra nessuno prima di partire!
Pronto a salpare adesso?
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Federica Crudeli
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CAPO ACCENTRATORE: 6 PASSI PER CONQUISTARE AUTONOMIA!
Ciao e Benvenuto a Lavorare col Sorriso
Hai un capo accentratore? Ti senti demotivato, non visto, non valorizzato, non apprezzato, infastidito, irritato dal suo atteggiamento? Passi le giornate a scarto ridotto perché hai meno cose da fare di quello che vorresti? Ecco 6 passi da seguire per guadagnarti la sua fiducia e maggiore autonomia.
[Tweet “”Conosci il tuo nemico.” – cit. Sun Tzu”]
La prima cosa che puoi fare, prima di agire con i 6 passi che ti consiglio al punto n° 4 dell’articolo, è conoscere il tuo “nemico” e le ragioni che lo spingono ad agire così: disporrai di una chiave di lettura diversa con la quale guarderai diversamente soprattutto te stesso…anche se può sembrarti strano!
Premessa: capire il capo accentratore, non significa giustificarlo!
1 – Chi è un capo accentratore?
Un capo accentratore è mediamente caratterizzato da questi comportamenti:
a) di 100 cose che ci sono da fare, in sostanza ne fa circa il 70%, curandole direttamente lui nella maggior parte degli aspetti, e quelle poche attività che delega comunque non possono sfuggire la suo controllo;
b) pretende di essere presente a qualsiasi iniziativa che riguardi la sua area di business e se non può esserlo, a malapena delega pochissime persone ma comunque solo stretto controllo e previa sua autorizzazione;
c) non tollera che qualcuno al di fuori della sua area si rivolga direttamente ai suoi collaboratori anche per attività minori. Si sente “scavalcato”;
d) tende ad essere permaloso, nel senso che fargli notare una qualsiasi possibilità alternativa di gestire alcune attività costituisce per lui motivo di “offesa”;
e) tiene la sua conoscenza ed esperienza per se;
f) accetta qualsiasi richiesta gli venga fatta dall’alto, e per soddisfarla prima possibile, la sua struttura è perennemente in sofferenza;
g) lascia ai collaboratori la gestione/esecuzione di attività più routinarie e ripetitive mentre gli incarichi più complessi li gestisce direttamente lui;
h) ha poca cura nel trasferire le attività che cambiano, il contesto in cui si collocano, gli effetti dei cambiamenti in atto.
2 – Gli effetti sulle persone e sul business dei comportamenti del capo accentratore
Questo comportamento genera rallentamenti delle attività e inefficienze, ma cosa ben più grave, la demotivazione di tutti i collaboratori, e conseguentemente, un pessimo clima lavorativo, fatto di lamentele, e aggressività “strisciante”.
Demotivazione che peggiora se questo capo si avvale solo di una/due persone di fiducia per fare, seppure limitatamente, alcune cose più complesse alimentando gelosie, acredine, maldicenze.
Inoltre con un capo accentratore, le possibilità di crescita intese come sviluppo di una maggiore padronanza dell’attività, sono limitate.
3 – Perché ha senso capire cosa si nasconde dietro questo atteggiamento?
Capire cosa si nasconde dietro a questo atteggiamento ti è utile, come ti dicevo sopra, non per giustificare chi, rivestendo un tale ruolo, forse dovrebbe operare in tutt’altro modo, ma per farti guardare alla situazione con empatia da un altro punto di vista che non vede nessun legame esistente fra il comportamento del capo accentratore e le tue presunte o meno capacità.
Ebbene, quali possono essere le motivazioni alla base di un comportamento simile? L’ansia da prestazione esasperata ai massimi livelli, di cui ti ho già parlato nel mio articolo “L’ansia da prestazione lavorativa ti divora?Divorala tu in 5 bocconi”.
L’obiettivo finale dell’accentratore, più o meno consapevole, è preservare il suo potere, la sua posizione, attraverso la continua dimostrazione di meritarsela con la ricerca della perfezione e del controllo totale ansiolitico.
L’ansioso è talmente chiuso nel suo loop mentale tutto fatto di ansia che non si accorge minimamente degli effetti che ha, sia sull’operatività corrente che sui collaboratori: è cieco. Non sente, non vede. Ha a cuore solo se stesso , la sua ansia e la sua ovvia necessità di placarla controllando e accentrando tutto, e questo nulla a che vedere con la volontà di denigrare te e il tuo lavoro.
L’ansia è una bruttissima “bestia”. Se tu “soffrissi” di ansia come lui, e non disponessi di strumenti per farla cessare a monte, faresti la stessa cosa che fa lui. Ad aggravare la situazione c’è il fatto che spesso, il capo accentratore è anche inconsapevole di soffrire di ansia.
4 – Bene, adesso che conosci i motivi di questo comportamento, cosa puoi fare?
Subire in silenzio, o lamentarti con gli altri, se è quello che hai fatto fino ad ora, non credo ti porterà molto lontano. Lo sai vero?
Spesso in queste situazioni si crea un muro del pianto infinito fra colleghi dove di fondo, nessuno fa nulla per cambiare lo stato delle cose, eccetto lamentarsi di gran lena. Il fatto che continuino a farlo in molti, non significa che sia una cosa sensata. E soprattutto, non produce cambiamenti positivi per nessuno, anzi…
Parlaci! Chiedi un colloquio e procedi nel seguente modo:
1) chiedigli un momento adatto per lui, in cui può dedicarti del tempo con serenità. Sembra banale ma non lo è. Ci sono fior fiore di trattative fallite solo per essere state affrontate nel momento sbagliato;
2) preparati prima e con cura il modo giusto di rivolgerti al capo accentratore: se è il tuo capo immagino avrai osservato nel tempo in quale modo è possibile entrarci in relazione bonaria senza farlo surriscaldare subito.
Ti ricordo che potrebbe essere persona dallo scatto di nervoso facile, perché è ansiolitico e suscettibile. Dire cose giuste nella sostanza adottando il modo sbagliato, è l’assicurazione per il fallimento totale.
Osserva le parole che usa più spesso. Osserva cosa lo lascia tranquillo. Osserva cosa gli fa piacere.
Se non conosci quello che gli fa piacere, almeno conoscerai di sicuro quello che lo irrita. Bene. Fai il contrario.
Se qualcuno prima di te ha già tentato di esporgli il problema senza risultato, preoccupati di capire veramente in quale modo gli si è rivolto. Potresti scoprire che non ha ottenuto nulla perché si è posto nel modo meno adatto per quell’interlocutore.
3) comincia col chiedergli che vorresti conoscere l’opinione che ha di te sul lavoro, come stai andando.
Gli dai importanza e considerazione e intanto acquisisci informazioni utili per la fasi successive del colloquio, soprattutto se di te ne ha una buon opinione.
In base a cosa rifiuterebbe quanto stai per chiedergli? Se invece di te non avesse una buona opinione, va da se che prima di passare ai successivi punti, allora hai da capire bene come fare ma in un senso di diverso da quello trattato qui.
4) esprimi chiaramente ed in modo specifico quello che desideri per te nella tua attività volgendo la questione al futuro, senza recriminare troppo sul passato.
Comincia identificando un ambito piccolo in cui vorresti più autonomia. In questo modo introdurrai una “piccola breccia” di cambiamento per lui più facilmente digeribile rispetto alla richiesta di qualcosa di “esageratamente grande” .
Ovviamente un accentratore di punto in bianco non ti darà mai totale autonomia per una cosa che lui ritiene troppo importante.
Se anche tu hai le idee vaghe su quello che vorresti è bene che te le chiarisca prima di parlare. Faresti una pessima figura chiedendo un colloquio per poi non mostrarti capace di esprimere qualcosa di compiuto.
Perciò pensa a tutto quello che vorresti fare, esponilo e chiedigli quale risultato lo farebbe sentire “garantito” della tua buona riuscita.
5) motiva la tua richiesta parlando di te, di come ti senti sul lavoro, sempre in prima persona senza cadere nella tentazione di usare frasi del tipo “tu mi demotivi, tu non mi dai fiducia, tu non mi valorizzi”.
Queste alle sue orecchie suoneranno come accuse. E in effetti lo sono. Perché dal suo punto di vista, molto probabilmente lui sul lavoro bada solo a placare la sua ansia, non a denigrare te.
Prenditi piuttosto la responsabilità delle cose che pensi e senti e usa “io mi sento demotivato, poco valorizzato, non degno di fiducia”.
Evita paragoni con altre persone. Evita anche di calcare troppo la mano su questo aspetto esagerando con le recriminazioni.
6) elenca in modo più descrittivo e fattuale possibile, senza giudizio, i fatti accaduti che sostengono il tuo modo di sentirti e che sono necessari durante il colloquio a fargli comprendere le circostanze che motivano la tua richiesta di maggiore autonomia.
Se segui nel modo corretto questi punti avvierai un confronto civile, rispettoso, cortese, che potrà essere solo costruttivo (sempre se rispetti questi suggerimenti nel modo di parlare) e porterà sicuramente ad un miglioramento, piccolo e progressivo.
Ora, va da se che un capo accentratore in quanto ansiolitico, difficilmente cambierà in 2 giorni quello che fa da anni. Certo è che l’avergli aperto una visione differente dall’unica che conosce (la sua), con una richiesta “piccola” costituisce un precedente.
Certo è anche che se la sua tendenza caratteriale è quella, magari avrai da reiterare periodicamente le tue richieste sempre per piccoli step e con margini via via crescenti di ampiezza.
Ma se riesci a strappargli una fettina di autonomia, e poi nei fatti gli dimostri che sei capace di sostenerla, lui non avrà motivi per negarti un successivo ampiamento di attività anche nella richiesta successiva, dato che lui stesso potrà beneficiare di un carico di lavoro alleggerito.
Resta anche la possibilità di richiedere di cambiare ufficio, in ultima istanza, qualora proprio la situazione si riveli immodificabile.
D’altra parte visto che il capo accentratore tende alla perfezione e controllo di tutto, il fatto che un collaboratore lavori per lui infelicemente costituisce qualcosa di cui occuparsi. Almeno temporaneamente.
Senza contare che se inizi tu a parlare, magari ti seguiranno anche tutti gli altri colleghi (a meno che tu fossi l’unico a vivere questa dinamica). A quel punto, per massa critica, sarà costretto a fare i conti con il fatto che il problema è davvero lui e magari si adopererà per cambiare in meglio.
Nessun capo gradisce di essere considerato tale solo nella forma.
Malgrado la sua reazione non sia prevedibile, di sicuro quando qualcosa “cambia” nella relazione fra parti, cambia anche il risultato. E cambierà in meglio se segui questa strategia.
Ricapitolando, ti ho definito chi è il capo accentratore, che effetti genera sul lavoro, per quali motivi si comporta così, e come introdurre dei piccoli cambiamenti “strappandogli” margini di autonomia progressivamente crescenti guadagnandoti la sua totale fiducia.
Ti è chiaro che il suo essere accentratore non ha quantomeno nulla a che vedere con la tua presunta incapacità?
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Federica Crudeli

VUOI DIVENTARE CAPO? 6 SEGRETI PER RIUSCIRCI
Ciao e Bentornato a Lavorare col Sorriso!
Ecco 6 segreti da applicare se ambisci a diventare capo, ossia assumere un ruolo di maggiore responsabilità e quindi (di solito) anche più remunerato, nell’ambito dell’attività lavorativa che svolgi.
[Tweet ” Chi pensa di guidare gli altri e non ha nessuno che lo segue sta solo facendo una passeggiata.” – cit. John Maxwell “]
Ipotizziamo tu sia entrato in azienda da poco oppure che tu abbia maturato già dell’esperienza e che tu voglia diventare capo.
Cosa vuol dire diventare capo di solito? Assumere un ruolo di responsabilità nella organizzazione, gestione e controllo di una attività, collaboratori compresi, normalmente rendendo di conto ad un altro capo.
Normalmente il diventare capo è in realtà il riconoscimento formale ed economico di un processo che, nei fatti, è avvenuto prima: ossia tu ti sei già messo nelle condizioni di essere un capo di fatto, perché ti sei costruito una credibilità, una tua autonomia e buone relazioni con capo e colleghi, e quindi l’azienda è “costretta” a riconoscerti quello che ti spetta.
Prima di parlare dei 6 segreti affinchè ciò avvenga, due doverose premesse: una di tempo, l’altra di “spazio”.
La prime domande a cui devi dare riposta sono: nella mia realtà aziendale, dopo quanto tempo una persona assume in media un ruolo di responsabilità e può quindi aspirare a diventare capo? Dal punto di vista organizzativo, c’è già o è possibile creare lo spazio per un ruolo di capo?
In questo modo hai già una indicazione di come i tempi interni di crescita e la visione di lungo termine del tuo capo sulla possibile evoluzione organizzativa della tua attività, si sposino o meno con le tue aspettative.
Se vuoi diventare capo dopo 3 anni di esperienza e in media questo avviene nella tua azienda dopo almeno 5 anni, puoi applicare i seguenti 5 segreti come ti dico di seguito, con la consapevolezza che i tempi potrebbero comunque non essere maturi per il contesto generale in cui sei attualmente collocato.
Va da se che se sei a conoscenza di un contesto esterno che ti “premia” nei tempi che tu ti sei prefissato, puoi proporti altrove e cambiare lavoro.
I 6 segreti esposti di seguito restano comunque validi ovunque tu aspiri a diventare capo.
Segreto n° 1 – Umiltà
Sei collocato in un contesto di business e organizzativo fatto di colleghi, ossia persone, di varia estrazione ed esperienza.
Il fatto che tu abbia una serie infinita di titoli di studio o master, ed esperienza, non significa in automatico porsi con saccenza ed arroganza verso i colleghi.
Mostrati disponibile ad imparare, ascoltare e capire chi ha più esperienza lavorativa di te: può essere una miniera preziosa di informazioni e conoscenze che ti torneranno utili.
Poniti con umiltà anche verso altri colleghi esterni alla tua unità di business. Sii collaborativo.
Segreto n° 2 – Rispetta i confini
Impara a capire più velocemente possibile quali sono i limiti di autonomia che hai per muoverti all’interno della tua organizzazione, senza “pestare” i piedi o “tentare di scavalcare” i colleghi e i capi.
Anche qualora tu fossi più veloce, efficace, efficiente di altri nello svolgere le attività, lascia che siano i fatti a parlare per te e non cadere nella tentazione di “sopraffare” i colleghi facendo la corsa a mostrarti come il meglio a loro discapito, usando mezzucci “infimi” per farti notare.
Ad esempio screditando il lavoro altrui, accaparrandoti i meriti quando fai le cose fatte bene (magari con il supporto altrui) e scaricando le colpe sugli altri accampando giustificazioni quando fai qualcosa di sbagliato.
Oppure estromettendo il tuo capo, o altri colleghi, dalle comunicazioni e/o scambi lavorativi con altri uffici per farti bello.
Questi atteggiamenti, solitamente, non sono premiati. Anzi, depongono notevolmente a tuo sfavore.
Se osservi, capisci e rispetti i confini formali ed informali che esistono nella gestione dei rapporti fra colleghi e con il tuo capo, la tua velocità, efficacia ed efficienza saranno riconosciute in automatico e verrà spontaneo affidarti incarichi via via più complessi che coinvolgono via via più interlocutori aziendali diversi.
Segreto n° 3 – Capisci le capacità chiave da sviluppare nella tua attività!
Ogni tipo di lavoro presuppone un uso più o meno marcato di alcune capacità fra quelle realizzative, cognitive e relazionali.
Se vuoi diventare capo devi fare in modo che quelle necessarie alla tipologia di lavoro che fai siano progressivamente sviluppate e/o rinforzate.
Come? Identificando quelle che senti come più deboli e rafforzandole con comportamenti fattivi, o valorizzando al massimo quelle necessarie che già possiedi e in cui ti senti forte.
Ad esempio se ambisci a diventare capo nel settore ricerca e sviluppo di una farmaceutica, le capacità relazionali avranno meno importanza per la crescita professionale di quanta ne abbiano per chi ambisce a diventare un “commerciale puro”, per intenderci.
Per riflettere sulle tue capacità cognitive, realizzative e relazionali ti rimando al mio articolo: Che capacità ho? Conoscerle ti aiuta!
Segreto n° 4 – Comprendi le aspettative del tuo capo!
Tu lavori per una azienda e poi per un capo che ne rappresenta le “volontà” in uno specifico ambito.
Sembra banale ma nella mia esperienza non lo è: può capitare che alcune attività che ti siano affidate siano per te di poco valore.
Sta di fatto che se ti sono richieste, servono a qualcuno: se non ne comprendi i motivi (anche se di norma qualcuno dovrebbe spiegarteli) chiedili con garbo, non essere passivo! Capire il contesto generale in cui si innestano le attività e che finalità hanno, aiuta a sviluppare il pensiero sistemico, una capacità indispensabile per assumere ruoli di responsabilità crescente e diventare un capo.
Il tuo attuale capo o supervisore diretto si aspetta da te delle cose: chiedigli direttamente cosa, precisamente, oppure osserva i risultati che lui apprezza particolarmente conseguiti da altri.
Impara o chiedi cosa vuole che sia fatto, in che tempi, con che priorità e come vuole che gli siano presentati i risultati che si aspetta da te.
Se non ti è possibile chiedere sempre, assicurati di comprendere bene l’obiettivo che ti viene di volta in volta affidato, e la sua priorità rispetto ad altre attività più o meno urgenti.
Fare un lavoro fatto benissimo, ma consegnato tardi, magari a discapito di attività più urgenti, non è saggio.
Quando il tuo capo ti fa notare un errore, invece che mugugnare alle spalle o maledirlo, vedi di capire cosa puoi fare meglio la prossima volta. Sii costruttivo.
Non affezionarti troppo al tuo lavoro al punto di volerlo difendere oltremodo se il tuo capo o un supervisore lo contestano o ti chiedono di cambiare qualcosa che hai già fatto: piuttosto cerca di capirne i motivi.
Rispondere subito “NO” a una richiesta che ti appare poco sensata è controproducente: da un lato perché potrebbero mancarti informazioni di contesto che la renderebbero sensata, dall’altro perché capita anche ai capi di sbagliare o valutare male alcuni compiti, priorità, implicazioni.
Se tu ti dimostri aperto ad ascoltare e capire, e hai già intuito che quanto ti chiede rischia di non avere concretamente senso, fai domande specifiche per condurlo a capire che quanto vuole da te contrasta/non è coerente con altre attività, o che allontana invece di avvicinare al risultato che lui si prefigge di ottenere con il tuo aiuto.
In questo modo vedrà da un lato un atteggiamento di apertura, dall’altro la capacità di condurlo a valutare che la strada proposta non è quella più efficace o efficiente, e per questo ti ringrazierà.
Segreto n° 5 – Trova soluzioni a problemi che ancora non esistono
Se speri di diventare capo facendo sempre e solo alla perfezione il compitino che ti viene affidato, magari esigendo che ti sia spiegato anche il modo per farlo, non arriverai da nessuna parte.
Nell’ambito di una delega ben esercitata, tu riceverai attività da fare, lasciando a te la scelta del modo: non chiedere di essere seguito minuziosamente in ogni micro – step da fare.
Buttati, prenditi l’iniziativa, organizzati e pianifica le cose da fare, trova tu il modo per portare dei risultati, purchè siano quelli attesi nella finalità e nei tempi richiesti.
Se nel fare una attività noti qualcosa che non funziona, o che potrebbe essere fatto meglio, in minor tempo, e in modo più efficiente, prendi l’iniziativa e proponi una soluzione condividendola prima con i tuoi colleghi o chi sarebbe impattato dalla tua proposta. Opera un “fine tuning” raccogliendo anche idee e osservazioni altrui. Se la tua idea riscuote il consenso di chi ne è impattato, la strada con il tuo capo sarà spianata.
Inoltre considera che il capo solitamente apprezza chi si fa portatore di innovazioni. Poi per “n” motivi può decidere di non dare seguito alle tue proposte, ma tu proponiti con decisione! Sempre nel rispetto e con il consenso di chi è impattato dalla tua proposta di modifica “operativa”.
Ancora meglio se riesci a guardare oltre all’orizzonte di un singolo compito o di attività consolidate e ripetitive che possono essere fatte meglio, identificando in anticipo qualcosa che ritieni possa diventare un problema per il tuo ufficio se non gestito per tempo!
Il fatto di risparmiare problemi futuri è una dei modi più efficaci per farsi apprezzare e crescere professionalmente.
Quindi prendi l’iniziativa con una buona dosa di fiducia nelle tue capacità!
Segreto n° 6 – Ascolto, trasparenza, empatia e simpatia
Forse nelle aziende c’è una diffusa convinzione che possa diventare capo solo chi è serio e non ride mai: sicuramente è bene osservare il contesto prima di compiere “imprudenze”, ma in media regalare un sorriso, una battuta amichevole, scherzare, rende il clima più leggero, incrementa il senso di reciproca fiducia e genera consenso.
Ti augureresti mai un capo che è sempre triste, nervoso, irascibile, critico con tutti e verso tutto? Sii come il capo che vorresti avere!
Non fomentare discussioni inutili!
Se hai qualche problema relazionale con qualche tuo collega difficile o antipatico, vedi di risolvertelo da solo.
Sul lavoro è fisiologico non andare d’amore e d’accordo con tutti o non essere simpatici a tutti. Fintanto che questo non intacca i tuoi risultati, resta un problema di carattere relazionale “gestibile” con il buon senso.
Il tuo capo non è lì a fare da genitore – arbitro: cerca un confronto, trova un modo di andare d’accordo o risolvere un problema con i colleghi autonomamente.
I capi normalmente sanno bene quali sono i collaboratori difficili. E apprezzano chi riesce a rapportarsi in modo maturo senza sollevare inutili sommosse o fare le guerre ai mulini a vento per cambiare ciò che non è cambiabile: il carattere altrui.
Si tratta di trovare un giusto equilibrio di convivenza senza farne un caso di stato.
Se dopo numerosi tentativi falliti proprio non ottieni risultati, o malgrado tentativi di pacifica convivenza vedi boicottati i tuoi risultati, e compromessa la buona riuscita delle tue attività, allora valuta di ricorrere al tuo capo che è l’unico che può effettivamente dirimere “la controversia” come ultima istanza.
Ricorda però che essere aperto di vedute nell’atteggiamento, empatico, sorridente, costruttivo (e non quindi un lamentoso che borbotta come una pentola di fagioli piuttosto che proporre rimedi alle cose che non vanno) fa si che tu in automatico possa diventare il punto di riferimento spontaneo per molti colleghi e per molte attività.
Se noti qualcosa che funziona male, proponi una soluzione piuttosto che lamentarti di continuo!
Poniti in modo trasparente nei rapporti con i colleghi.
In conclusione
Ti ho parlato di 6 segreti, che poi sono atteggiamenti/comportamenti che se attuati preparano il terreno, creando quel seguito spontaneo che ti è necessario per un salto di responsabilità.
Certo, forse penserai, guardandoti attorno, che non tutti coloro che conosci e che sono responsabili di qualche attività, abbiano mai attuato questi comportamenti.
Qui però stiamo parlando di buone regole per diventare un capo che sia un buon esempio e non di come, eccezionalmente e chissà per quali altri motivi, alcune persone possono diventare capo malgrado difettino di umiltà, capacità realizzative, relazionali, empatia, trasparenza e capacità di ascolto.
Quindi, sei pronto a diventare capo?
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Federica Crudeli
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MOTIVAZIONE SOTTO AI PIEDI APPENA SVEGLIO? RIPORTALA SU!
Ciao e Benvenuto a Lavorare col Sorriso!
Oggi ti parlo di due tipi di motivazione al lavoro: intrinseca ed estrinseca. Cosa sono, da chi e da cosa dipendono? Ti aiuterò a capire in quali circostanze la motivazione al lavoro può essere aumentata e in che modo, in quali circostanze è possibile recuperarla se l’hai persa, e cosa fare di conseguenza. Attenzione perché è un articolo per stomaci forti e parecchio diretto.
[Tweet ““Fai della tua passione il tuo lavoro, e non lavorerai nemmeno un giorno della tua vita”– cit. Web”]
Se ti senti avere poca motivazione al lavoro potresti essere in una di queste situazioni: [list-ul type=”arrow”][li-row]non hai ricevuto l’aumento di stipendio che desideravi/aspettavi;[/li-row][li-row]non hai ricevuto la promozione al ruolo di responsabilità a cui ambivi;[/li-row][li-row] non hai ricevuto alcun riconoscimento/apprezzamento dal tuo capo per un lavoro che ritieni di avere svolto bene, con dose di frustrazione rincarata dall’ aver assistito alla promozione di qualcuno che a detta tua (e non solo) non lo meritava; [/li-row][li-row] ti senti poco considerato o mortificato dal tuo capo; [/li-row][li-row] ti vedi impiegato a fare una attività energivora che trovi poco stimolante nemmeno lavorassi in miniera, con poche ricompense e soddisfazioni. [/li-row][/list-ul][distance1] In linea generale, ti senti demotivato e l’idea di andare in ufficio la mattina ti genera quasi quasi anche un po’ di nausea a forma di “ma chi me lo fa fare?”
Come dice la parola stessa, motiv-azione è quel qualcosa che spinge una persona verso una certa meta, ossia l’insieme di fattori, i motivi, che inducono le persone a fare determinate cose.
Il problema, o la fortuna, (dipende dai punti di vista) è che esistono due tipi di motivazione al lavoro: quella intrinseca e quella estrinseca.
La motivazione al lavoro intrinseca, tradotta in parole coincise, equivale al buyer che stipula contratti di appalto per la gioia di farlo, al commerciale che vende prodotti e servizi e gioisce nel farlo, al legale che nell’occuparsi di pratiche e assistenza al business gode nel farlo, all’amministrativo che prova gioia sublime nell’emettere fatture e fare bilanci, al giornalista che scrive per il piacere di scrivere, al fiscalista che gode nello studiare i nuovi tributi per capire come gestire l’azienda, all’analista finanziario che studia i mercati per il piacere di conoscere l’andamento dei mercati, all’informatico che sviluppa software per il piacere di sviluppare nuovi codici sorgenti, e così a seguire …
La motivazione al lavoro intrinseca si basa sul piacere e la si sperimenta quando in generale ci si impegna in un’attività che è gratificante di per se stessa, e si sente una spinta naturale a voler soddisfare il bisogno di sentirsi sempre più competenti nel farla.
Fare quella determinata attività, indipendentemente dalle circostanze esterne, è fonte di piacere, che ci siano un collega, capo, amico, o chicchessia a gratificarti o montagne di soldi a ricoprirti.
A questo punto pongo la prima domanda: l’attività che svolgi tutti i giorni in azienda, è fonte per te di motivazione al lavoro fatta di piacere intrinseco?
Per aiutarti nella riposta, è qualcosa che adori al punto che lo faresti anche gratuitamente?
Se la riposta è SI fai parte di quelle persone che fondamentalmente ha fatto di una passione il suo lavoro e molto probabilmente, indipendentemente dalle circostanze a contorno, avrai sempre una spinta interiore ad andare avanti con la giusta tensione per raggiungere i tuoi obiettivi monetari e di carriera.
Semplicemente, se pensi di non essere valorizzato abbastanza nella tua azienda in termini monetari o di riconoscimento professionale, con una giusta dose di pazienza e fiducia in te stesso, ti metterai a cercare sul mercato del lavoro la situazione che desideri e che sicuramente otterrai. E’ solo questione di tempo. E tornerai ad alzarti la mattina con lo spirito giusto e la giusta dose di motivazione al lavoro.
Qualora invece la riposta fosse NO penso tu abbia da riflettere su quanta coerenza esiste fra il fare un lavoro che non ti regala piacere intrinseco, e l’arrabbiarti nel contempo, per scatti di remunerazione e di carriera mancati.
Gli scatti di remunerazione e carriera normalmente premiano (o dovrebbero premiare) chi si impegna sul lavoro, produce risultati con entusiasmo, ed ha capacità e competenze distintive che gli consentono di ricoprire ruoli manageriali o comunque professionali in generale crescenti.
Gli scatti di remunerazione e carriera invece difficilmente possono rappresentare una equa ricompensa per una persona che non essendo appassionata del suo lavoro, cerca in essi una qualche forma di compensazione, soddisfazione, senso di pienezza.
Soldi e ruolo, assieme alle gratificazioni, lodi, buone valutazioni delle performance, costituiscono la cosiddetta motivazione al lavoro estrinseca, ossia quella che si ha quando l’impegno in una attività avviene per scopi che sono esterni all’attività stessa.
Con questo non sto dicendo che se fai un lavoro che non ti appassiona e con poca motivazione, non hai diritto a ricompense monetarie o di ruolo, se pensi di meritarle e ti impegni comunque a fondo.
Ti sto dicendo che se anche le avessi, e ti ricoprissero d’oro, complimenti, gratificazioni, scatti di carriera fino al gradone più alto della piramide del potere, di fondo, contribuirebbero solo in modo superficiale, temporaneo, ed effimero alla motivazione al lavoro che ti farà alzare la mattina contento di farlo.
Cosa fare in questo secondo caso? Nei miei articoli: “Potere è Piacere? Come capirlo” e “Un giorno lo farò: il tempo ti è nemico?” – Parte I e Parte II ti guido a riflettere da un lato sul mix di potere e piacere che contribuiscono a costruire un senso di benessere duraturo per la tua vita, dall’altro a scoprire quali possono essere i principi guida, valori e priorità che sarebbe bene orientassero il tuo impiego del tempo.
Ti stai rendendo conto che fai un lavoro che ti piace poco? Cosa puoi fare?
Cercarne uno che rispecchi al meglio le tue inclinazioni naturali, qualità e risorse di cui disponi, che fluiscono in te e da te in modo spontaneo. In questo modo non lavorerai più nemmeno un giorno della tua vita, perché tutto quanto si inquadrerà in una prospettiva molto diversa.
Non puoi farne a meno al momento, o magari fino alla pensione, di fare quel lavoro che ti piace poco perché hai bisogno dei soldi per vivere?
Quantomeno sii onesto con te stesso: vale la pena rincorrere soldi e carriera a tutti i costi, o spendere energie in confronti estenuanti e frustranti con gli avanzamenti di carriera altrui, o piuttosto pensare di ricavare più tempo per fare quelle cose che ti regalano piacere e gioia, lasciando perdere il livore per le vite lavorative altrui?
Tornerai a svegliarti con un piede diverso ogni giorno. In fin dei conti, il vecchio detto si lavora per vivere e non si vive per lavorare, ha un suo perché.
Pensi che ti stia dicendo delle stupidate?
Ho notato che molte persone poste di fronte alla domanda: “cosa ti dà veramente piacere fare nella vita” o non sa rispondere, o esita parecchio prima di farlo, oppure sciorina il set stereotipato standard di quello che è normale aspettarsi da chi ha fatto un certo percorso di vita, studi e lavoro (tipicamente la palestra, il calcio, le uscite).
Da qui a capire cosa ti regala veramente piacere ci passa un grande differenza.
Fai fatica a capire cosa ti dà piacere nella vita?
Ripensa a tutte le circostanze da quando sei nato ad oggi , in cui “ti sei perso” nel fare qualcosa. Noterai che la ricerca di queste esperienze metterà in evidenza delle caratteristiche comuni: un determinato contesto ambientale, azioni che stavi compiendo, stato emotivo e pensieri di un certo tipo.
E sarebbe bene che quel qualcosa che ha accomunato tutti i momenti di autentico benessere personale, sia il più possibile ripetibile e presente nella tua vita. Non siamo nati per soffrire!
Fai mente locale ai manager della tua azienda. Quanti di loro, dotati di stipendi cospicui e posizioni manageriali di tutto rispetto guadagnati uno scatto di carriera dopo l’altro trasmettono autentica (e dico autentica, non finta) passione, gioia, entusiasmo, e sono a loro volta ottimi trascinatori e motivatori ed esempi di benessere da seguire?
Quanti di loro ti fanno pensare: ma che bell’esempio da seguire, che bel clima che crea il mio capo!
Quanti di loro hanno una fisicità sana, invidiabile, che trasmette forza, vigore, energia, sguardo vivido? Quanti hanno una vitalità contagiosa?
Quanti invece nel progredire della loro carriera li percepisci come progressivamente intristiti, e con una fisicità che trasmette tutto tranne che un senso di sano benessere?
O quanti di loro hanno un carattere affabile come se fossero stati punti dalla nascita da una tarantola velenosa? Per quale motivo una persona realmente appagata, serena e contenta dei suoi successi, dovrebbe vivere in un costante stato di competizione, o disseminando un’aria pesante, di tensione se non di terrore psicologico, nella quale stare non è affatto piacevole per alcun collega?
Forse che la differenza fra le due tipologie di persone, possa risiedere, oltrechè in connotati caratteriali talvolta “nevrotici”(e questi meritano una trattazione a parte che non mancherò di fare), anche, (e non solo) nel fatto che alcuni manager hanno fatto di un passione un lavoro, mentre altri no?
Può essere che altri abbiano magari inseguito “di default”, affetti da sindrome sociale di omologazione, quella rincorsa ai soldi, potere e carriera, che nell’immaginario comune li avrebbe resi felici?
Per poi trovarsi, una volta raggiunta una meta, con un senso di piacere e appagamento duraturi come il battito d’ali di una farfalla?
Quanti di questi, a quel punto, piuttosto che ripensare alla loro vita o priorità, magari hanno trovato naturale perseverare la rincorsa al successo, per come è comunemente inteso, attribuendo la mancanza di autentico benessere e appagamento, al fatto che il traguardo raggiunto non fosse ancora abbastanza… e quindi giù con la testa diretti verso il successivo da raggiungere, in una corsa senza fine, che magari difficilmente realizzerà quella tanto attesa felicità esplosiva?
Tu sei ancora in tempo per fermarti e capirlo, se stai leggendo questo articolo.
Vuoi svegliarti motivato al lavoro la mattina?
Pensa al lavoro che fai, pensa a quanto è fatto di motivazione intrinseca e di motivazione estrinseca e regolati di conseguenza tenendo a mente quanto ho scritto negli articoli “Un giorno lo farò: Il tempo ti è nemico? Parte I e Parte II, magari smettendo di pretendere da te stesso una cosa e il suo esatto contrario, senza rendertene conto.
Saperti regolare, secondo un ordine di priorità delle cose per te importanti, aumenterà sicuramente anche la tua produttività in ufficio e renderà il tuo tempo così impiegato un tempo di qualità!
Prenditi la responsabilità e il coraggio di scegliere per quale motivo, la mattina, vorresti sentirti contento di affrontare la giornata! E identifica il mix giusto per il tuo benessere di lavoro, potere e piacere!
Se pensi che la risposta a questa domanda stia al di fuori della tua persona, o solo nelle circostanze esterne che scegli di vivere (o subire), sei destinato a svegliarti “con l’umore storto” per il resto dei tuoi giorni, anche se ricoperto d’oro e con 10.000 titoli e medaglie al valore!
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CHE CAPACITÀ HO? CONOSCERLE TI AIUTA
Ciao e Benvenuto a Lavorare col Sorriso!
Oggi ti guido in una auto-riflessione pratica sulle principali capacità (o soft skills) cognitive, realizzative e relazionali, ossia inerenti la gestione dei rapporti lavorativi, che sono tipicamente oggetto di “valutazione” da parte dei capi e delle Risorse Umane in ambito aziendale. Capire quali capacità hai più sviluppate e quali meno, rispetto ai tuoi obiettivi di crescita professionale o carriera, può aiutarti a focalizzare efficacemente tempo ed energie mentali rispetto a quanto ti viene richiesto dal tipo di ruolo che ricopri e/o mansione che svolgi.
[Tweet ““Se facessimo tutto quello di cui siamo capaci sorprenderemmo davvero noi stessi” cit. T. Jefferson”]
Ti ho già introdotto ad una prima riflessione sul carattere nel mio articolo “Manager o Leader. Quale tipo sei?”e continuo questa volta focalizzandomi su un aspetto con cui il carattere si manifesta nel mondo: le capacità, appunto.
Prendi un foglio di carta, una penna e scrivi. Scrivere ha un enorme potere liberatorio a prescindere da cosa scrivi e aiuta ad imprimere bene nella testa i concetti.
A maggior ragione se lo fai con un obiettivo specifico: quello di mettere nero su bianco le capacità che usi in modo più naturale e quelle capacità che senti più distanti da te. Può essere di aiuto auto-valutarti con una scala di giudizio da 0 a 10. Inizia a stendere la lista ripensando a te stesso anche al di fuori dell’ambito lavorativo.
A titolo esemplificativo e non esaustivo ragiona su questi aspetti identificando i comportamenti che senti più vicini:
Capacità realizzative
Ti hanno affidato un progetto complesso:
[list-ul type=”arrow”][li-row]l’ idea di organizzare le attività, pianificarle, tempificarle, quanto ti manda in panico oppure quanto agevolmente riesci a chiarirti le idee su cosa fare, come e quando e stendi subito un programma di massima?;[/li-row][li-row]preferisci che sia qualcuno a identificare un tuo compito preciso per poterlo eseguire al meglio senza dover pensare a tutta la pianificazione e organizzazione delle attività;[/li-row][li-row]sei determinato a portarlo a termine costi quel che costi;[/li-row][li-row]in media, vedi il percorso già irto in partenza di difficoltà e ti abbatti subito;[/li-row][/list-ul][distance1]
Immagina di dover prendere una decisione che impatterà sull’organizzazione del lavoro nel tuo ufficio:
[list-ul type=”arrow”][li-row]decidi in poco tempo e in autonomia e con le informazioni di cui disponi;[/li-row][li-row]tendi ad accumulare più informazioni possibili per essere sicuro di avere valutato tutti i pro e contro, coinvolgi tutti i possibili interessati e fino a quando non lo hai fatto non sei sereno, non decidi.[/li-row][/list-ul][distance1]
Come te la cavi con gli imprevisti? Un telefonata mentre sei impegnato in quella attività importante, una riunione spostata all’ultimo minuto, un collega che ti si presenta alla scrivania e ti coinvolge a fare dell’altro:
[list-ul type=”arrow”][li-row]Ti irritano molto;[/li-row][li-row]le vivi come imprevisti fisiologici da gestire.[/li-row][/list-ul][distance1]
Vedi diverse cose nel tuo ufficio che funzionano meno bene di come potrebbero:
[list-ul type=”arrow”][li-row]ti fai promotore di un cambiamento verso il tuo capo;[/li-row][li-row]aspetti che qualcun altro sollevi il problema.[/li-row][/list-ul][distance1]
Capacità cognitive
Devi analizzare un documento molte tecnico, lungo, inerente una dinamica complessa per identificare la soluzione ad un problema:
[list-ul type=”arrow”][li-row]alla 3° riga della prima pagina hai già la testa che ti divaga alle spiagge del Brasile tanto hai già capito il contesto generale e le dinamiche principali dell’argomento, quindi il dettaglio ti annoia;[/li-row][li-row]ami perderti nei dettagli e anzi, sei tranquillo quando hai accumulato tutte le informazioni possibili che puoi acquisire;[/li-row][li-row]hai bisogno di vedere e capire tutte le interrelazioni all’interno di un problema.[/li-row][/list-ul][distance1]
Stai facendo una attività fino a quando qualcuno ti fa notare che esiste un modo migliore e più efficace per portarla a termine:
[list-ul type=”arrow”][li-row]sei disposto di buon grado a rivedere le tue idee e a confrontarti con chi può darti un punto di vista differente;[/li-row][li-row]tendi a perseverare sulla tua strada.[/li-row][/list-ul][distance1]
Se ti proponessero di fare cose poco attinenti o diverse da quelle di cui solitamente ti occupi:
[list-ul type=”arrow”][li-row]ti dimostri disponibile e collaborativo;[/li-row][li-row]ti infastidisce che qualcuno ti richieda cose diverse da quelle per cui sei pagato;[/li-row][li-row]identifichi in autonomia e frequentemente modi diversi di fare le stesse cose.[/li-row][/list-ul][distance1]
Capacità relazionali
Durante la giornata il capo ti fa notare una mancanza, o un collega ti critica per una cosa che hai detto/fatto, un altro collega ti coinvolge in una discussione accesa. Il tuo umore come cambia?
[list-ul type=”arrow”][li-row]resta pressoché stabilmente simile a quello che avevi prima della critica;[/li-row][li-row]risente pesantemente da questi “intoppi” al punto che perdi di lucidità e magari entri in un loop di autoaccuse e senso di insicurezza.[/li-row][/list-ul][distance1]
Quando hai delle attività da fare:
[list-ul type=”arrow”][li-row]ami farle da solo in pace;[/li-row][li-row]trovi più stimolante e divertente lavorare in gruppo.[/li-row][/list-ul][distance1]
Vedi diverse cose nel tuo ufficio che funzionano meno bene di come potrebbero:
[list-ul type=”arrow”][li-row]Se sei tu a farti promotore del cambiamento, insisti fino a quando non trovi il modo di far passare la tua idea;[/li-row][li-row]al primo no che ricevi “molli il colpo”;[/li-row][li-row]proponi la tua idea alla sperindio senza pensarci troppo;[/li-row][li-row]valuti come sia il caso di comunicarla in base all’interlocutore e all’obiettivo che ti prefiggi e ti accerti che quanto proponi sia stato compreso nei termini giusti;[/li-row][li-row]ti accade spesso di essere frainteso? Inascoltato? Fai fatica a comunicare le cose che pensi in modo chiaro e assertivo?[/li-row][/list-ul][distance1]
Quanta attenzione riservi all’identificazione dei modi più efficaci da usare verso i tuoi principali interlocutori per raggiungere i tuoi obiettivi?
Adesso che per ciascuno di questi punti ti sei auto-valutato nella scala da 0 a 10 noti per caso delle sorprese? In quali capacità ti senti più forte e in quali più debole?
Ti ho guidato in una riflessione relativa alle capacità cognitive (analisi, sintesi, flessibilità di pensiero) realizzative (responsabilità, programmazione e organizzazione, iniziativa, decisione, tensione all’obiettivo) relazionali (negoziazione, persuasività, comunicazione efficace, team working, stabilità emotiva).
Quali capacità pensi siano più importanti per fare carriera nel tuo lavoro fra quelle realizzative, cognitive, relazionali? E all’interno di ciascuna categoria, quali sono le più importanti da usare?
Se rispetto alla tua autovalutazione, identifichi delle capacità importanti per il tuo lavoro in cui ti senti debole, cosa puoi fare?
Identificare subito quelle più importanti ad esempio scegliendo una capacità in cui ti senti più fragile e che valuti importante per il tuo lavoro e decidere di volerla migliorare: poniamo la tua autovalutazione su una capacità sia 4 e che tu ritenga di volerla portare a 6 o 7 o 10 in un arco di tempo che tu stabilisci.
Quali azioni concrete puoi porre in essere per fare questo piccolo salto in avanti? Focalizzati per il tempo che hai deciso, ad agire un comportamento che ti porti a questo miglioramento, che sia misurabile e quantificabile, con dei piccoli step. Misurati nel tempo, prendendo nota dei progressi che fai.
Supponiamo invece che tu veda una enorme distanza fra le capacità che ti sono richieste dal tuo lavoro e quelle in cui ti senti forte, e per la maggior parte delle capacità valutate. Quanto valuti che valga la pena impegnarsi a migliorare per tutte o quanto piuttosto individuare un tipo di lavoro che sia più vicino alla maggioranza di capacità che agisci in modo più naturale?
Hai mai pensato di chiedere al tuo capo di sviluppare queste capacità con un percorso formativo?
Sia chiaro, non esistono capacità giuste o sbagliate in assoluto da usare. …tutto sta a capire in quale contesto, in che momento, con quale persona e a quale fine vale la pena mettere in gioco alcune capacità piuttosto che altre in funzione di un determinato obiettivo.
Un altro esercizio che puoi fare è, una volta stesa la tua lista, di chiedere a qualche persona di tua fiducia e che stimi (almeno 3), anche fuori dal lavoro, di darti la sua opinione. Se per più persone quello che ad esempio tu vivi come un tuo punto di forza/debolezza non ti è riconosciuto, forse hai qualche riflessione da fare. Quale convinzione ti spinge a valutare in modo così tanto differente dalla percezione degli altri, una specifica capacità?
E ancora, ipotizziamo che ti venga difficile programmare o organizzare le attività per la tua giornata o per un progetto mentre invece organizzare cene, eventi, viaggi ti venga estremamente facile. Ripercorri mentalmente tutto l’iter che segui nell’uno e nell’altro caso e identifica cosa c’è di differente che ti spinge ad agire dei comportamenti che invece sul lavoro trovi difficili da applicare. Lo sai che, una volta individuate, puoi applicare quelle stesse strategie che sono efficaci in altri contesti “replicandole” sul lavoro?
Per tornare all’affermazione iniziale: sei un po’ sorpreso delle capacità che hai?
Pensi che sia impossibile migliorarle? Cambiare completamente la propria natura si. Ma ricordati che qui stiamo parlando di capacità che possono esser sviluppate pur nel rispetto della propria natura.
Infatti se sei una di quelle persone che, a prescindere, si nasconde dietro al “sono fatto così” e lo usi come scusa per non fare mai la minima fatica di far “evolvere” alcune tue capacità per poter raggiungere la crescita professionale o carriera a cui ambisci, oppure se sei una di quelle persone che dice a se stessa “tanto io non ce la posso fare” allora ti faccio presente che hai delle convinzioni molto limitanti su te stesso, tema del quale tornerò a parlare nei prossimi articoli.
Il fatto di averle messe a fuoco e di aver capito che nessuna di queste capacità è giusta o sbagliata, ma solo più o meno efficace rispetto a qualcosa di specifico e relativo, ti aiuta a Lavorare col Sorriso o no?
Sono le stesse che avevi bene a mente anche prima di fare questa riflessione, o adesso noti cose di te che prima ignoravi? Che effetto ti fa? Come pensi di poterle usare in futuro?
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Federica Crudeli
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