
ELLE MI HA INTERVISTATO!!! A PROPOSITO DI GREAT RESIGNATION!
Great Resignation o fenomeno delle grandi dimissioni: una moda oppure no? Cosa ne pensano della scelta a distanza di tempo alcune persone che hanno cambiato vita durante la pandemia insieme con altri 3 miloni di lavoratori lasciando il lavoro.
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ESSERE NESSUNO NELL’ERA DELL’HYPE. ALCUNI “NON DETTI” CHE FORSE È BENE ESPLICITARE? Un suggerimento per la Generazione Z.
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MOTIVAZIONE SUL LAVORO SCARSA?
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I VIDEO DELLA PAGINA FACEBOOK LAVORARE COL SORRISO!
Video della Pagina Facebook di Lavorare col Sorriso: padronanza di sè, gestione rapporti lavorativi con capi/colleghi/collaboratori, equilibrio lavoro/vita privata e gestione cambiamenti.
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LA PRIMA INTERVISTA RADIOFONICA DI LAVORARE COL SORRISO!
La prima intervista Radiofonica di Lavorare col sorriso: migliorare la cultura del lavoro migliorando la propria vita lavorativa!
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CULTURA AZIENDALE, MANAGER, POTERI E PATOLOGIE
Ciao e Benvenuto a Lavorare col Sorriso!
Oggi ti parlo di patologie fra i manager e dell’esito di una ricerca interessante sul legame fra management, potere, cultura aziendale e rischi annessi.
Il tipo di relazione che esiste fra questi “elementi” citati mi ha sempre affascinato.
Soprattutto per quanto riguarda il legame potere – tratto caratteriale tipico di chi, più di altri, ambisce a ruoli di potere.
Sebbene nella mia cassetta degli attrezzi di counselor disponga fra gli altri dell’Enneagramma come mappa di decodifica della personalità, e della visione caratteriologica-evolutiva di S.M. Jhonson, che in questo senso aiutano ad identificare quali tratti caratteriali più di altri si sposino bene con le ambizioni di potere, la mia curiosità è sempre iperattiva.
Ho trovato qualche spunto di riflessione dalla lettura del libro “Colpevoli della crisi – Psicologia e psicopatologia del colletto bianco” – autori Merzagora- Travini- Pennati) che ho scoperto per caso in un programma TV – di cui condivido alcuni passaggi in parte tali e quali, in parte parafrasati, come spunto sul tema della cultura manageriale.
Salto tutta l’analisi che gli autori fanno su come possa essere qualificato il crimine dei colletti bianchi in termini storici, giuridici e di teorie psicologiche a spiegazione dello stesso e sulla caratterizzazione del tratto caratteriale “psicopatico”.
Il libro cita come pioniere Boddy (2005) che ha approntato uno strumento diagnostico sui “Corporate Psychopaths” e che “attribuisce parte della attuale crisi finanziaria globale alla presenza ai vertici di molte aziende, soprattutto finanziarie, di persone con caratteristiche tipiche degli psicopatici, quando non di veri e propri psicopatici (…) i cui tratti talvolta possono essere facilmente equivocati con quelli della leadership, ad esempio: il fascino confuso per sicurezza di sé e carisma, capacità manipolatorie intese come capacità di persuadere tipica dei leader, la mancanza di empatia scambiata per la capacità di sapersi rendere impopolare quando necessario e il saper mantenere il sangue freddo.
Buddy rileva che la presenza di psicopatici ai vertici delle aziende si attesta sul 3,5% ma la loro pericolosità è valutata superiore all’incidenza numerica in quanto in forza della posizione di potere che ricoprono sono in grado di portare alla rovina economica l’azienda ed emotiva il personale (…) con altri pareri che sostengono come questi soggetti caratterizzati da individualismo, materialismo, competitività, piuttosto che benessere comune, attecchiscano soprattutto nei paesi occidentali.
Una ricerca di Babiak e collaboratori nel 2010 ha rilevato su 203 manager che il 77,8% presentava tratti psicopatici e che tipicamente fossero uomini (non solo perché numericamente maggiori nelle posizioni di potere ma anche perché è un dato a quanto pare scientificamente provato che sono più gli uomini delle donne propensi a delinquere in senso economico).
Buddy stesso nel 2011 con un questionario somministrato a 346 colletti bianchi in posizioni apicali in Australia rilevò che il 25% presentava tratti psicopatici.
Un’agenzia statunitense preposta a monitorare le perdite economiche da “white collars crime” stimava che:
- più del 50% delle aziende sarebbe state infettato dal crimine economico
- il 75% sarebbe stato privato delle risorse
- il 36% avrebbe sofferto frodi
- il 23%furti di proprietà intellettuali
- il 14% subito atti di corruzione
- il 12% atti di riciclaggio
Gli autori del libro, mossi ingenuamente (testuali parole loro) dal voler prevenire il rischio di perdite economiche anche in Italia, sono riusciti a somministrare il questionario solo a n° 52 manager di aziende italiane milanesi.
Finalità: rilevare i tratti della personalità psicopatica comprensivi di egocentrismo machiavellico, esternalizzazione della colpa, freddezza emotiva, immagine di sé edulcorata e menzognera.
La maggior parte ha declinato l’invito a partecipare …”perché i panni sporchi si lavano in famiglia” ottenendo quindi un campione ridotto.
L’esito però è stato comunque coerente con quelli di più ampie e precedenti ricerche effettuate all’estero:
- 12 questionari sono risultati non validi in quanto i soggetti hanno mentito o non si sono applicati abbastanza, dicono gli autori “indicando una certa propensione alla menzogna e manipolazione”
Dei restanti 40 protocolli validi:
- una, peraltro donna di 30 anni, rientrava nella qualifica di psicopatica
- Il 12,5% dei restanti casi ha presentato tratti psicopatici superiori alla media
Il libro sul finire chiosa con “Ci si può chiedere se psicopatici si nasce o si diventa, cioè se persone che sono già così riescono a scalare meglio le vette e se per ricoprire posizioni apicali sono selezionati i migliori, oppure se è il clima aziendale a renderli così. Fatto sta che sono lì”.
Beh, dico io, non viviamo in un mondo perfetto, vuol dire che l’87,5% del campione esaminato non presenta tratti psicopatici.
Poi però mi domando anche, ma è tollerabile che nei ruoli manageriali ce ne sia anche solo uno così, considerando la responsabilità affidata a queste figure?
Se il tema non suscita interesse per i “costi umani” legati allo stile manageriale di queste persone (con annessi costi sommersi per assenteismo, demotivazione, scarsa collaborazione, ansia e stress etc..) potrebbe almeno suscitarlo dal punto di vista del rischio d’impresa?
Difficile sintetizzare tutto il contenuto del libro ma la considerazione che mi viene da fare è che il “dividi et impera” pare funzioni ancora molto.
Dice Alessandro Bergonzoni “Sono a favore della chirurgia etica, bisognerebbe rifarsi il senno”.
Se hai a che fare con un capo accentratore ad esempio leggi questo articolo.
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Grazie
Federica Crudeli
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