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Colleghi ostili: Cosa fanno, cosa vuoi, cosa evitare? Una riflessione per imparare a difendersi emotivamente.
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Video della Pagina Facebook di Lavorare col Sorriso: padronanza di sè, gestione rapporti lavorativi con capi/colleghi/collaboratori, equilibrio lavoro/vita privata e gestione cambiamenti.
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LA PRIMA INTERVISTA RADIOFONICA DI LAVORARE COL SORRISO!
La prima intervista Radiofonica di Lavorare col sorriso: migliorare la cultura del lavoro migliorando la propria vita lavorativa!
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Q&A – LA RISPOSTA AL QUESITO DI OGGI SULLA QUALITÀ DEL LAVORO
Cosa fare se il tuo capo non valuta sufficiente la qualità del tuo lavoro.
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COSA FARE SE UN COLLABORATORE È MOLTO DEMOTIVATO
Collaboratori demotivati: ignorarli non è una strategia utile da seguire!
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SE NEGOZIARE DIVENTA LITIGARE: 7 DOMANDE PER RIFLETTERE!
Se negoziare diventa litigare: 7 domande per riflettere ed evitare atteggiamenti estremi quali aggredire verbalmente oppure abbandonare del tutto una negoziazione.
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4 DIFFERENZE FRA UOMINI E DONNE AL LAVORO!
Ciao e Bentornato a Lavorare col Sorriso!
Oggi ti parlo di almeno 4 differenze fra uomini e donne al lavoro che rendono la comunicazione fra i due sessi più difficoltosa.
Non è una novità che da secoli ci sia un tentativo reciproco di comprendersi, in ufficio come fuori, con scarsi risultati, a volte.
Gli scarsi risultati sono legati principalmente al fatto che le aspettative di un uomo sono diverse da quelle di una donna, e che entrambi filtrino il mondo con occhi molto diversi.
I significati attribuiti nel mondo maschile divergono da quelli attribuiti dal genere femminile, a parità di situazione, e questo genera infiniti fraintendimenti, delusioni e molto stress.
Nei miei precedenti articoli “Differenze fra uomini e donne: capirle ti aiuta” e “L’empatia è uomo o donna?” ho già iniziato a parlarti di quali siano alcune differenze fra uomini e donne sul lavoro, e quindi oggi continuo sempre ispirandomi liberamente al libro di Jhon Gray “How to get what you want in the workplace” (link affiliazione).
1 – Differenze fra uomini e donne al lavoro – potere vs. relazioni
Gli uomini danno importanza al potere, alla competenza, all’efficienza e ai risultati, elementi dai quali dipende la definizione del loro senso di sé stessi, incrementato attraverso il superamento di sfide e il raggiungimento di obiettivi.
La paura più recondita (e spesso inconscia) di un uomo è quella di non essere all’altezza e non sentirsi necessari.
Gli uomini sono più interessati a cose ed oggetti, meno a sentimenti e persone.
Le donne considerano importanti i rapporti interpersonali, l’armonia nelle relazioni e nella comunicazione.
Per tradizione culturale radicata nei secoli, le donne traggono il loro senso di sè in base a quanto riescono a sentirsi utili e contribuire al benessere altrui.
Atteggiamento questo, peraltro, che sconfina molto spesso nella famosa “sindrome della Croce rossa” con cui ancora oggi, molte donne, finiscono per annullare/avvilire/disintegrare completamente se stesse in campo lavorativo pur di compiacere il capo/collega di turno e in campo sentimentale per “salvare” l’uomo difficile di turno.
Non a caso, la paura recondita (spesso inconscia) delle donne è quella di non sentirsi apprezzate, riconosciute e di sentirsi rifiutate, anche quando sono donne affermatissime e di successo.
2 – Differenze fra uomini e donne al lavoro – autonomia vs. sostegno
Gli uomini incrementano il senso della loro efficacia nel fare le cose da soli e in autonomia senza chiedere consiglio.
Chiedere consiglio è inteso come segno di debolezza.
Le donne invece tendono a fornire consigli non richiesti per fornire supporto, che dagli uomini sono interpretati come “tu non mi ritieni capace di fare queste cose da solo”.
3 – Differenze fra uomini e donne al lavoro – soluzione vs. comprensione
Di fronte ai problemi, gli uomini cercano soluzioni rivolgendosi a persone che stimano, solo quando non riescono a trovarle da soli.
Partendo da questo presupposto, quando una donna esprime un suo problema, l’uomo tende a leggerlo (misurandosi con il suo metro) come una richiesta di aiuto/soluzione mentre per la donna la finalità è “sfogare le sue emozioni”, ottenere ascolto, comprensione e sostegno emotivo.
4 – Differenze fra uomini e donne al lavoro – status quo vs. miglioramento continuo
Le donne sono convinte che una cosa che funziona possa funzionare ancora meglio e si prodigano per questo.
Gli uomini al contrario, se una cosa funzione preferiscono non interessarsi a come migliorarla ulteriormente difendendo lo status quo.
Istintivamente preferiscono non interferire su ciò che già funziona.
Siamo nel 2017. Sono passati millenni da quando uomini e donne hanno iniziato a popolare la terra, ma , malgrado ciò, credo che facendo mente locale alle nostre cerchie di persone vicine, che si tratti di colleghi/e, amici/amiche, o partners, buona parte di queste differenze esista ancora e sia ancora molto radicata, sebbene ovviamente poi nello specifico, sia uomini che donne possano rispecchiare queste caratteristiche in modo più o meno spinto.
L’evoluzione culturale che è avvenuta negli anni, l’incremento del livello di istruzione, ancora non sono stati sufficienti ad abbattere queste barriere e a favorire uno scambio più fluido fra uomini e donne, sul lavoro come in altri settori della vita.
Da un lato la difficoltà maschile nello sviluppare un miglior rapporto con le emozioni, (lasciando vivere la loro parte più “femminile” che comunque esiste) senza per questo considerarsi deboli, uscendo dallo stereotipo dell’ uomo che non deve chiedere mai.
Dall’ altro la difficoltà femminile di concepire la propria realizzazione in se stesse più che nel bisogno di attribuirsi un valore in funzione di una qualche buona relazione che sia di lavoro, o affettiva, nella quale sentirsi indispensabile (lasciando vivere la loro parte più maschile).
Come incontrarsi a metà strada dunque? Con un pò di empatia …
Per le donne:
a) è bene evitare di dare consigli a capi e colleghi quando non sono espressamente richiesti, soprattutto davanti a più persone, in quanto questo atteggiamento mina il senso della loro auto-efficacia;
b) è bene lasciare che un capo/collega si “ritiri in se stesso” per trovare una soluzione ai suoi problemi, senza sentirsi per questo svilite e non ascoltate. Un uomo si ritira in se stesso per alleviare il suo stress, non perché rifiuta l’aiuto o il supporto di una donna.
c) è bene imparare a riconoscere ed esprimere un bisogno, senza entrare nel biasimo e nella critica: una cosa è dire al proprio capo/collega “tu non mi ascolti mai!” altra cosa e di ben diversa efficacia è dire “ho bisogno di parlarti/esporti una idea, quando mi dedichi un po’ del tuo tempo?”
Per gli uomini:
a) è bene capire l’importanza che ha la bontà delle relazioni in ufficio per una donna;
b) è bene saperla ascoltare quando una donna si lamenta di una situazione senza andare dritti al fornire una soluzione: la soluzione spesso una donna la sa ottenere da sola. Quello che le preme è sentirsi supportata emotivamente;
c) è bene capire che manifestare le proprie difficoltà nell’affrontare un problema non è vissuto da una donna come sintomo di debolezza o di “non essere all’altezza” ma anzi, di vicinanza emotiva;
d) è bene smetterla di interpretare i consigli non richiesti di una donna o le sue proposte di miglioramento nel fare alcune cose, come una forma di “svilimento” delle proprie capacità, ma come volontà di fornire supporto, comprensione e miglioramento continuo.
Riepilogando, oggi ti ho parlato di 4 differenze fra uomini e donne al lavoro che sono superabili da entrambe le parti sviluppando maggiore empatia nella comprensione delle reciproche differenze.
Se rifletti sui tuoi rapporti lavorativi quotidiani, rivedi qualcuna di queste dinamiche?
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Federica Crudeli

FUFFA MANAGER: 10 ERRORI CHE NESSUNO OSA DIRE
Ciao e Bentornato a Lavorare col Sorriso!
Manager o “Fuffa” manager? Oggi ridiamo!Ecco 10 errori che è bene evitare di fare e che farebbero di te un “Fuffa manager” anche se nessuno avrebbe mai il coraggio di dirtelo in faccia.
Si fa presto a diventare manager: è un titolo talmente ambito, soprattutto se unito a qualche inglesismo che va tanto di moda, che oggi il mondo è popolato di manager pronto uso.
Anche nell’immagine come vedi ho messo una foto che richiama l’idea del prestigiatore: chi è quindi il Fuffa manager? Il Fuffa manager è l’essenza del nulla, della fuffa, dell’inconsistenza, dei giochi di prestigio, in giacca cravatta o tailleur, anche firmati magari, ma sempre nulla resta.
Il trionfo della forma sulla sostanza.
Ho visto bigliettini da visita in giro pieni di titoli altisonanti accompagnati dalla parola Manager: poi chiedi in concreto “ma quindi cosa fai tu?” e scopri che praticamente stai parlando con un Fotocopying Manager, Shifters Chairs Manager, Troubles Makers Manager, Air Conditioning Manager, Coffè Machine Manager (ironizzo ovviamente)
Insomma … molti forse farebbero di tutto pur di potersi accostare a questo titolo. Che è appunto, un titolo. E il titolo di per se, non è garanzia di un buon contenuto.
Fare carriera è normalmente considerato simbolo di successo (per te? per la società? per chi?), ed in parte, probabilmente, è anche così. Il raggiungimento di un traguardo di carriera, tuttavia, oltre ai soldi, ai benefit, alle soddisfazioni, comporta soprattutto prendersi delle responsabilità con i relativi risvolti.
Non è raro che la nomina a manager di (x) possa tuttavia instillare nel designato, una gamma di atteggiamenti variabili fra i deliri di onnipotenza e gli eccessi di ansia (a questo proposito puoi leggere l’articolo “L’ansia da prestazione lavorativa ti divora? Divorala tu in 5 mosse”) che possono privarti del sorriso.
Può accadere che tu ti senta arrivato e che tutto adesso ti sia dovuto, il classico atteggiamento da strafottente, o che ti senta costantemente sotto la pressione di dover dimostrare che tu quel posto te lo sei meritato. In ogni caso, soprattutto se la nomina è fresca, devi tenere a mente che sei appena partito.
Non considerare o considerare male alcune dirette conseguenze dell’aver assunto determinate responsabilità, significa fare il Fuffa manager: cioè essere un manager nel titolo senza esserlo nei fatti.
E può anche significare che, sottovalutando alcuni aspetti connaturati con l’ assumere questo ruolo, si viva molto peggio di come si potrebbe, con un carico di ansie esagerate, o senso di fastidio per cose da poco, raccogliendo antipatia a mazzi e con scarsi risultati, malgrado l’impegno profuso, e per di più, in malo modo.
Ecco 10 errori che fanno di un manager, un Fuffa manager.
1 – La Fuffa è tutta mia, e ne parlo solo io!
Uno dei rischi a cui frequentemente si può essere esposti è quello di fare i tuttologi o tentare di mascherare la propria ignoranza su alcuni argomenti, soprattutto nelle riunioni. La nomina a manager di (X) può instillare la falsa convinzione che improvvisamente si è tenuti a fare miracoli di sapienza con le parole come se si fossero ingoiate in un botto tutte le Treccani in circolazione.
Non so se mi spiego … l’atteggiamento per cui si dice giusto per dire, per mostrarsi “fighi”, per fare sfoggio di sè con una certa saccenza.
Nessuno di noi può sapere tutto, e usare parole fuffose, altisonanti, generiche per dare l’impressione “di saperne” funziona, si, funziona, ma con persone poco avvedute o facilmente abbindnalibili dalla forma (che in effetti forse proprio poche non sono) o con chi non è nella posizione di poter valutare il grado di fuffa che si sta cercando di vendere.
Alla lunga, detto in soldoni, se di alcune cose non ne capisci o ne capisci poco, non sto dicendo di andare a sbandierarlo ai 4 venti, ma neanche di fare la parte di quello che con 4 parole vuole incantare i serpenti.
Ti renderesti solo ridicolo. Diciamo che questo modo di fare in effetti paga e premia nel breve termine. Nel lungo termine, la sostanza irrimediabilmente si svela.
2 – Perché, dovevo pensarci io????
Fare il manager vuol dire programmare, organizzare, gestire e controllare persone e attività.
Sperare che tutto si faccia da solo perché le esigenze sono state espresse chiaramente una volta, senza monitorare, chiedere, verificare, senza ripetere più e più volte, è irreale.
Sperare che tutti abbiano capito alla prima, che tutti si sappiano gestire perfettamente in sintonia con la propria idea, che tutti abbiano compreso le priorità, non è realistico.
Non perché i collaboratori siano stupidi. Ma perché essendo umani, ognuno di noi ha la sua percezione delle cose.
E non necessariamente questa percezione si sposa con le priorità che ha in testa un manager, neanche nel caso in cui sia stato bravissimo ad esprimerle.
3- Scaricare barili di colpe a destra e a manca
Ti sembrerà assurdo (sono ironica) ma l’essere manager significa che qualsiasi prodotto del lavoro esca dalla tua unità organizzativa, nel bene e nel male, è responsabilità tua.
La furbissima idea del prendersi i meriti se le cose funzionano, e scaricare barili di letame sui collaboratori se invece le cose vanno male, di fronte ai propri superiori , è da “Fuffa manager”.
Si può fare, per carità, per tentare di fare sempre bella figura. Ma è un modo miope di gestire le cose. Poi se alla lunga ti ritrovi sommerso di macumbe e iniziano a pioverti rane in casa non hai da stupirti .
Senza contare che il superiore gerarchico, a meno che non sia uno squilibrato mentale, col tempo, noterà questo atteggiamento e questo non deporrà a tuo favore.
4 – Atteggiarsi come le star capricciose e isteriche di Hollywood a cui tutto è consentito e dovuto
Il fatto di diventare capo/manager non significa poter decidere sempre e liberamente di tutto su tutto in qualunque momento.
Banale e scontato, ma nella realtà accade. Ci sarà sempre da fare i conti con le limitazioni imposte dal contesto (di soldi e altre “risorse, di attività etc.), senza che questo diventi motivo di isterismo diffuso da riversare sui malcapitati di turno a casaccio, a causa della frustrazione generata dalla falsa convinzione “ora conto qualcosa, finalmente faccio come mi pare”.
In questo rientra anche l’idea malsana che “siccome io sono manager di (…)” posso permettermi di trattate le persone a pedate in faccia. E’ normale e umano arrabbiarsi, alzare la voce, discutere fra colleghi.
Ma la convinzione che assunto un certo ruolo ci si possa permettere di soverchiare il prossimo o di sentirsi superiori, è da malati di mente.
5 – Lei non sa chi sono io …
Ci sono persone che nell’ ambito di “normali” diverbi di opinione, ma anche per molto meno, usano dire “Lei non sa chi sono io” oppure “ma come ti permetti di dire a me …” oppure “il mio tempo vale più del suo”.
L’uso di queste frasi è sintomatico di qualcosa di “strano”. Quando le sento dire, dentro di me si scatena un carnevale di risate. E’ bello lasciare che alcune persone si cullino nel loro brodo primordiale di presunta superiorità.
Preghiamo tutti per loro.
Comunque dicevo … un collaboratore/collega sbaglia? Espone una idea opposta o diversa sul modo/opportunità di fare delle cose?
Va quantomeno ascoltato, prima di decretare che ha detto/fatto una cazzata. Ci vuole pazienza.
E scrive una che in effetti a volte, ne ha poca. Ma fa parte del gioco. Illudersi che sia diverso e che tutte le questioni/errori/problemi possano essere liquidati in 2 nanosecondi non è prerogativa di questo ruolo.
E’ compito di un manager spiegare ad un collaboratore dove ha sbagliato, come poter evitare gli stessi errori in futuro e imporsi con assertività per ottenere qualcosa di migliore e diverso le prossime volte.
Poi ci sono per carità anche i casi recidivi, che ripeti, spieghi, ripeti e spieghi e nulla si muove. Ma a quel punto non è più un problema tuo.
6 – Tergiversare come se non ci fosse un domani
Prendere decisioni, anche antipatiche e spinose, anche in breve tempo, anche addossandosi dei rischi, anche accettando di rendersi antipatici ed impopolari, anche senza disporre di tutti gli elementi del caso (compatibili con il proprio ruolo ovviamente) fa parte del gioco: anche questa cosa così banale, invece potrebbe passare in sordina e generare infinite ansie.
Non si è pagati per essere sempre e comunque simpatici e benvoluti. Occorre saper fare i conti con l’idea che certe scelte andranno non solo prese, ma, immancabilmente, anche incontro allo sfavore di qualcuno. Chi pensa di poter fare il capo senza doversi mai scontrare con queste dinamiche, sbaglia.
E i capi/manager che non prendono mai decisioni quando il contesto lo richiede, sono visti come il fumo negli occhi. Non c’è da stupirsi se poi ci si ritrova senza seguito e/o stima fra i collaboratori.
7 – Insabbiare i propri errori
Fare il manager non significa accedere d’improvviso a qualche straordinario potere ultra terreno che rende immuni dal commettere errori.
Sbagliare è umano. E sulle lunghe distanze, ottiene molta più fiducia e stima chi ha la capacità di ammettere gli errori, che chi tenta in tutti i modi di occultare i fatti.
Che vantaggio dà fare la figura di quello che a tutti i costi vuole nascondere il suo torto marcio? Si, forse si salva la faccia con qualcuno, ma solo nel breve periodo.
8 – Trattare i collaboratori come dei Mocio Vileda per il pavimento: ossia fargli fare sempre e solo il lavoro “sporco”
E’ compito di un manager capire come motivare i collaboratori al lavoro valorizzandone le qualità e indicando loro dove e come possono superare delle loro difficoltà.
Quindi mettere i collaboratori a fare sempre cose poco gratificanti o che gli fanno schifo, facendo orecchie da mercante, non è saggio. Aspettarsi in più che questo atteggiamento non produca scontento e lamentele, è da illusi sognatori.
9 – Usare l’udito selettivo
Voler ascoltare sempre e solo le cose buone, comode, positive, spegnendo il sonoro in caso di problemi, lamentele, rivendicazioni di promozioni, premi dei collaboratori, è controproducente.
Non sto dicendo che la normalità debba essere un centro di mutuo soccorso e nemmeno che tu possa/debba farti carico di qualsiasi problema ti sia manifestato, e che magari esula in parte dal tuo potere effettivo, ma nemmeno ignorare completamente le argomentazioni che sono degne di essere ascoltate.
Ci vuole un po’ di empatia. (Puoi leggere a questo proposito l’articolo “L’empatia è uomo o donna?” e “Conflitti sul posto di lavoro. li risolvi o cerchi colpevoli’?”)
E ascoltare costa poco. Costa poco ascoltare come il poter dire onestamente “capisco, ma quanto mi chiedi esula dalle mie possibilità” (se è vero, perchè altrimenti è un problema che devi risolvere).
Anche questo modo di fare è abbastanza diffuso fra i manager: quello di pensare che, una volta diventati capi, si è instaurato il regno della beatitudine e qualsiasi rimostranza viene vissuta come un attacco personale invece che vederla come un sacro santo diritto di ogni essere umano a dire ciò che pensa o a fare rimostranze, o a rivendicare altre cose (sempre che ciò avvenga nel rispetto altrui).
10 – Risolvere i problemi
Che si tratti di problemi pertinenti il lavoro, o problemi pertinenti le dinamiche fra colleghi, quando le cose prendono una “brutta piega” non si può chiamarsene fuori. Rientra nelle aspettative del ruolo dare riposta a queste situazioni.
Avrai il compito di gestire le lamentele dei collaboratori: entro certi limiti (quindi a patto di non diventare la versione umana del muro del pianto) fa parte del ruolo gestire anche i momenti di scontentezza dei collaboratori.
Avrai il compito di scegliere chi premiare e chi no. E decidere. E motivare la decisione.
Avrai il compito di risolvere problemi di lavoro e di gestire problemi fra collaboratori che inquinano l’ambiente anche per altre persone, quando ciò avviene in una misura non più tollerabile al punto da compromette i risultati per tutti.
Avrai il compito di continuare a fare le fotocopie, se serve, senza che questo ti susciti sdegno o ti faccia sentire “declassato”.
Ora che ti ho detto ciò, come ti vedi nel tuo ruolo?
E se ambisci a fare il buon manager, pensi di aver voglia di imbarcarti per questa avventura, pro e contro del caso inclusi?
In sintesi, essere percepiti come un buon manager richiede di disporre di enormi dosi di pazienza ed energia: io personalmente con l’energia me la cavo, con la pazienza, in alcune specifiche circostanze, meno, nel senso che se la vendessero in fiale forse sbancherei le farmacie.
Essere un “fuffa manager” prevede l’uso di atteggiamenti che in sostanza sono l’esatto contrario del prendersi le responsabilità connaturate al ruolo. E a mio modesto avviso, uno che agisce così sul lavoro, forse, ha qualche domanda da farsi non solo come professionista, ma anche come essere umano.
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Grazie
Federica Crudeli

DIVENTARE CAPO: 7 PASSI PER NON REMARE LA BARCA DA SOLO/A!
Ciao e Bentornato a Lavorare col Sorriso!
Diventare capo di fresca nomina: ecco 7 passi per assicurarti che tutti i membri dell’equipaggio che guiderai remeranno con te!
Ti spiego come essere un buon manager, e guadagnarti la fiducia del tuo management di riferimento e dei collaboratori, gestendo efficacemente (ossia risparmiando tempo e stress) il cambiamento nell’ assumere un ruolo di maggiore responsabilità, magari anche in un nuovo tipo di lavoro e/o unità di business, e/o azienda, per farti apprezzare e stimare senza cadere nell’ ansia divorante da prestazione lavorativa, di cui ti ho già parlato nel mio precedente articolo!
[Tweet ““ Prima capisci, poi agisci” – cit. mia”]Diventare capo, diciamolo, mette sempre un misto di euforia per il traguardo raggiunto e le nuove sfide in vista, e anche un po’ di ansia per la paura di non essere all’ altezza delle aspettative, o per come ti vedranno i capi, colleghi e collaboratori.
Il primo errore da evitare è quello di voler strafare da subito.
I processi di cambiamento, come ti ho spiegato anche nel mio articolo “Cambiamenti lavorativi: battere l’effetto Trump in 2 mosse” spaventano, non tanto per il cambiamento in se stesso, quanto per gli effetti che produce.
Il cambiamento necessita di tempo per essere metabolizzato: da te che ti appresti ad indossare un nuovo vestito, e da chi avrà a che fare con te, che come ogni essere umano potrebbe rivestire speranze in un cambiamento in positivo, o essere diffidente nei tuoi confronti.
Per lavorare bene cosa devi avere a cuore? La fiducia del tuo nuovo capo (se ancora non la hai) e dei tuoi collaboratori. O remerai la barca da solo.
Va da se che il diventare capo a seguito di un promozione all’interno della stessa unità di business in cui sei già collocato e in cui conosci i colleghi, il contesto e il tuo superiore quello che segue sarà notevolmente semplificato, sebbene ti consiglio di leggerlo ugualmente, dal momento che il cambio di ruolo comporta sempre una ridefinizione di precedenti equilibri.
Diventare capo – Passo n° 1 – informati!
Per diventare capo e muoverti al meglio nella nuova realtà, è bene che tu raccolga più informazioni possibile sull’ambiente lavorativo in cui stai per calarti.
Ormai le aziende hanno tutte o quasi un sito internet dal quale è possibile evincere tantissime informazioni di contesto: mercato di riferimento, attività di business, clienti e fornitori, livello di organizzazione e strutturazione dell’azienda, dati economico – finanziari.
In particolare cerca nelle fonti esterne e pubbliche tutto quello che ha a che fare e caratterizza il tuo nuovo ruolo e ne costituisce una variabile chiave che ti troverai a gestire.
Diventare capo significa gestire problemi e trovare soluzioni. Prima capisci quali sono i tipici problemi caratteristici del tuo ruolo, prima diventi efficace nel padroneggiare le responsabilità che ti competono.
Diventare capo in un’area commerciale capisci bene che ha implicazioni diverse dal diventare capo in area amministrazione finanzia e controllo, dal diventarlo nell’area logistica e approvvigionamenti etc.
I principali temi e problemi da affrontare differiscono da area ad area e presuppongono delle caratteristiche tipiche di quel determinato ruolo: preparati!
Ipotizziamo adesso sia nella tua nuova realtà con il tuo nuovo ruolo: cosa fare?
Diventare capo – Passo n° 2 – Capisci il tuo capo: ti serve una bussola!
Diventare capo significa avere delle responsabilità su determinate attività.
Di norma avrai a tua volta un capo a cui riferire che ti aiuterà (si spera) ad inserirti nel nuovo contesto.
Le sue aspettative su di te è giusto che siano la tua bussola: tu renderai di conto a lui, quindi è bene che ti occupi immediatamente di capire quali risultati vuole assicurati, nel modo più specifico possibile.
La prima domanda a cui devi dare riposta è: cosa si attende da te? Se tu sei subentrato a qualcun altro, si aspetta cose diverse? Quali?
Quali miglioramenti si attende, per cosa, in che tempi?
Quali sono le cose per lui più importanti/prioritarie che ti chiede siano assicurate?
Se invece assumi un ruolo in una nuova attività precedentemente non formalizzata come unità di business, comunque, quali aspettative ha? Quali sfide ti aspettano? Quali sono le più importanti e le più urgenti per le quali è richiesto il tuo contributo?
Diventare capo – Passo n° 3 – Capisci il tuo ruolo efficacemente
Attraverso colloqui con il tuo capo/supervisore, letture di mansionari, procedure, o altri strumenti organizzativi che in base al contesto possono essere più o meno formalizzati, il puzzle che devi arrivare a comporre risponde alle seguenti domande:
Cosa devo fare? Preoccupati di censire tutte le macro-attività che competono alla tua responsabilità.
Con che frequenza? Ogni attività avrà una sua programmazione. Distinguere da subito le attività routinarie (che sono quindi da eseguire con cadenza giornaliera, mensile, trimestrale, semestrale e così via ) da progetti speciali o attività ad hoc (che di norma hanno una data di inizio e fine prevista) ti consente di disporre da subito di criteri per organizzarle al meglio partendo dalla prima che necessita di essere portata a termine dopo il tuo arrivo.
Con quale obiettivo? Ogni attività si prefigge di raggiungere un determinato obiettivo. Chiedi da subito quale sia.
Come si fanno le attività? Altra cosa che hai da capire subito sono i riferimenti procedurali esistenti per lo svolgimento delle attività. Se non ne esistono attraverso i colloqui con i collaboratori fatti descrivere come vengono usualmente svolte le attività che ti sono state assegnate.
Chi sono i miei fornitori interni? Mappa subito chi sono gli interlocutori principali che forniscono gli input ad ognuna delle tue attività.
Chi sono i miei clienti interni? Mappa subito chi sono gli interlocutori principali che beneficeranno degli output delle tue attività.
Se lo valuti opportuno, in un secondo momento, puoi pianificare incontri con i clienti/fornitori interni per ascoltare anche il loro punto di vista allo scopo di identificare punti di miglioramento.
Esistono criteri strutturati di misurazione delle performance per ogni attività?
Se si, è bene che tu sappia da subito quali siano.
Diventare capo – Passo n° 4 – Parla con i collaboratori!
Dato che hai dei collaboratori, e che sei nuovo nella veste di capo, è bene che ti prenda il tempo di parlare singolarmente con ognuno di loro.
Si lo so cosa stai pensando, è impegnativo. Ti espone. Ma se sei sicuro di te stesso, dove è il problema? Ti spaventa eventualmente sentire “qualche lamento?”
L’obiettivo di questi colloqui è: conoscerli come esseri umani, capire le loro aspettative e il loro grado di motivazione, cosa li gratifica e cosa no, stato delle politiche retributive a loro attribuite, storia lavorativa pregressa, compreso il rapporto con il precedente capo.
Queste informazioni saranno utili a comprendere le loro leve motivazionali e a valorizzarli al meglio nella gestione delle tue attività. Sarà produttivo ed efficace per te, saranno contenti loro.
Questo atteggiamento è di per sé motivante per i tuoi futuri collaboratori: significa che gli dai attenzione e che sei disposto ad ascoltarli (sempre che poi tu dia seguito a quanto hai raccolto).
Interessati di capire cosa facevano fino a prima del tuo arrivo: ti servirà per acquisire informazioni e poter valutare una eventuale re-distribuzione delle attività e dei carichi di lavoro, anche in funzione delle loro risorse e del loro potenziale, ed a capire il loro punto di vista su cosa funziona bene e cosa meno.
Interessati di capire il loro punto di vista sullo stato dei rapporti con i vostri clienti e fornitori interni, cosa funziona bene e cosa no nella gestione di questi rapporti.
Diventare capo – Passo n° 5 – comprendi bene la cultura aziendale
Questo passo, acquisisce maggiore importanza se “vieni da fuori”, e in ogni caso, anche qualora la tua nomina a capo sia avvenuta all’interno dell’azienda in cui già lavori, il cambio di ruolo presuppone comunque una redistribuzione di vecchi equilibri.
Qui si tratta di investire del tempo per capire come muoverti all’interno delle regole non scritte della tua azienda ma che sono determinanti per la tua buona riuscita come capo.
Quindi cerca di capire (e puoi farlo prevalentemente osservando le dinamiche relazionali e chiedendo con discrezione) come è opportuno muoverti nella gestione dei rapporti con i colleghi. In parte lo avrai già capito raccogliendo le informazioni dei punti precedenti, ma, qualora il puzzle non ti sia ancora chiaro è bene che ti adoperi per completarlo.
In sostanza devi darti una riposta a questa domanda: cosa è opportuno che io faccia e cosa no, in funzione dei miei obiettivi, per non urtare troppo la suscettibilità di chi mi circonda?
Questo non perché necessariamente nulla debba essere cambiato, ma semplicemente perché, se hai dei cambiamenti da attuare, è bene che siano nei limiti del possibile, graduali, in modo da essere digeriti da chi ha da farci i conti.
Ti ricordo che il tuo obiettivo guida è guadagnarti la fiducia di chi ha il potere di incidere sulla buona riuscita del tuo incarico: guidare una barca con n persone sopra che non remano o che remano contro capisci bene che è uno sforzo immane e poco intelligente.
Se cominci facendoti tabula rasa intorno, va da se che ti stai scavando la fossa con le tue mani.
Magari resterei capo di nomina, ma non nei fatti, perché tutti ti remeranno contro.
Diventare capo – Passo n° 6 – Tira le somme e osserva!
Dopo aver compiuto i 5 precedenti passi (non necessariamente in ordine sequenziale) hai: acquisito informazioni su cosa si aspetta il tuo capo da te, quali attività devi gestire, con che obiettivi, con che frequenza, con quali risorse.
Hai compreso aspettative, motivazione, risorse e potenziale dei tuoi collaboratori.
Hai mappato i tuoi interlocutori interni, e le principali criticità nella gestione delle relative attività e rapporti.
Adesso prenditi un po’ di tempo per valutare tutti questi elementi nell’insieme e farti una idea circa l’opportunità che le cose possano o meno proseguire in armonia con la gestione precedente.
Inizia a pensare quali attività possono essere fatte meglio, quali possono essere eliminate, quali possono essere fatte in modo più efficace e chi può farle: andava bene la precedente distribuzione delle attività fra collaboratori oppure è pensabile una re-distribuzione che valorizzi meglio le loro risorse e vada incontro maggiormente alle loro aspettative in modo da motivarli?
Diventare capo – Passo n° 7 – Agisci
Con il quadro della situazione sotto mano, e passato un minimo di tempo ad osservare come funzionano le cose, puoi stendere un piano di azione funzionale all’assolvimento delle tue responsabilità e al contempo, a soddisfare le aspettative del tuo management di riferimento.
Individua le attività che a tuo parere necessitano di essere ripensate.
E’ bene che tu inizi da quelle più importanti: quali sono? Quel 20% di attività che assicurano l’80% dei risultati , usando il criterio di Pareto.
Come individui quelle più importanti? In termini di conseguenze/effetti che avrebbero sull’obiettivo finale se tu non le affrontassi per prime.
Come metti in pratica le tue valutazioni sulle cose da cambiare? Coinvolgendo nei cambiamenti più impattanti i collaboratori e tutti coloro che ne sono impattati. Condividi con loro le tue proposte, ascolta i loro parari, sii disponibile a rivedere le tue posizioni con apertura mentale.
Ci vuole tempo per muoversi in questo modo? Si.
Ma se pensi di risparmiare tempo agendo cambiamenti con totale noncuranza di chi ne farà le spese, o in teoria di chi dovrebbe assicurarti la sua collaborazione, quello che spenderai in futuro e a lungo per rimediare a questo errore ti costerà molto stress, energie buttate e malumore diffuso.
In sintesi, se stai per diventare capo, acquisire informazioni sul contesto in cui andrai ad operare, capire la cultura aziendale, capire le aspettative di capi e collaboratori, clienti e fornitori interni ti consente di agire e gestire le tue responsabilità guadagnandoti la fiducia di tutti coloro che dovranno remare la barca con te!
Non lasciare a terra nessuno prima di partire!
Pronto a salpare adesso?
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Non ultimo, se alle prese con le responsabilità ti senti in affanno, non trascurare l’approccio micro-organizzativo che adotti e che se mal gestito può essere fonte di rischi (di inadempienza contrattuale) e di cattive relazioni.
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La mia esperienza manageriale di 15 anni potrebbe esserti di aiuto!
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Grazie
Federica Crudeli