
RAPPORTI TRA COLLEGHI: 7 MODI PER FARSI ODIARE. QUANTO CI METTI DEL TUO?
Ciao e Benvenuto a Lavorare col Sorriso!
Rapporti tra colleghi: ecco 7 modi per farsi odiare, se ci tieni a trasformare il tuo posto di lavoro nel set di un film di Quentin Tarantino! Come fare invece a costruire rapporti tra colleghi efficaci e funzionali tanto al tuo benessere quanto alla tua crescita professionale? Ti spiegherò quali sono i benefici dell’evitare spargimento di odio in ufficio e come l’uso e sviluppo dell’intelligenza emotiva ti può venire in aiuto!
[Tweet ““ L’amore spesso non è ricambiato. L’odio lo è sempre!” – cit. U. Bernasconi”]1 – Mentire sempre e comunque.
In funzione dei tuoi obiettivi, menti sempre, non essere mai onesto sulle tue scadenze e non essere mai trasparente.
Occulta i problemi da superare le cui soluzioni andrebbero pianificate per tempo per avvantaggiare te stesso.
Nascondi le informazioni disponibili, o diffondile ma in modo parziale a chi ne sarebbe interessato così da rallentare il tuo lavoro e a cascata compromettere quello altrui.
Sorridi fintamente, sempre. Tu sei Dio. Non sbagli mai. Non hai mai crolli di nervi. Sei immune da qualsiasi sentimento umano.
2 – Esiste un problema? Creane altri 100.
Se c’è un problema da risolvere, passa tutto il tempo che hai a lamentarti del problema con chiunque.
Sparla di chi l’ha creato, di come tu l’avresti affrontato meglio (ovviamente col senno di poi), e, possibilmente, portane sul piatto altri 100 e butta benzina sul fuoco.
3 – Hai sbagliato? Non ammetterlo mai.
Se ti accorgi di avere sbagliato qualcosa e aver causato un problema a qualche collega, non chiedere scusa e non ammettere i tuoi errori.
Chiedere scusa non è da persone educate, ma deboli. Tu mica lavori in un ufficio con persone civili? Sei in trincea, e l’imperativo è vincere.
4 – Non dare alcuna importanza allo sviluppo delle capacità necessarie a gestire i rapporti tra colleghi
Comportati con tutti i colleghi, indipendentemente dal tipo di carattere, dal ruolo e dal momento, sempre nello stesso modo. Nasconditi dietro alla più bella delle scuse “io sono fatto così”!
Un ottimo modo per farsi odiare è relazionarsi agli altri senza considerare che esistono delle differenze “emotive” fra esseri umani, di cui sarebbe bene tenere conto.
Un altro ottimo modo per relazionarsi ai colleghi è pensare che tu sei il solo detentore della verità assoluta e che il tuo modo di vedere le cose è il più giusto di tutti, e l’unico ammissibile.
Urla ad un timido introverso, oppure critica di continuo una persona permalosa, parla male di Dio al tuo capo credente prima di esporgli una idea. Biasima un collega in riunione davanti a tutti.
Dì sempre la parola meno opportuna nel momento meno opportuno.
5 – Prendere sul personale qualsiasi cosa.
Voi non siete pagati per risolvere problemi e trovare soluzioni efficaci, ma per prendere sul personale qualsiasi problema, offendervi e fomentare liti e discussioni alla caccia di colpevoli da esporre alla pubblica gogna.
Oppure per cogliere qualsiasi occasione per screditare qualcuno che vi ha mosso una critica al vostro lavoro.
6 – Invadere lo spazio vitale di tutti.
Occupati dei fatti altrui di continuo, spettegola, deridi, carpisci informazioni della vita privata dei colleghi e diffondila sotto banco.
Invadi anche lo spazio altrui, prendi a prestito cose senza chiedere permesso. Usa la prepotenza.
7 – Non essere mai nè gentile, nè cortese, nè rispettoso.
Parla sempre con tono astioso, evita di ringraziare se qualcuno fa qualcosa di gradito, tu devi dare tutto per scontato come se fossi Giulio Cesare.
Calpesta volutamente il prossimo facendo esattamente le cose che sai bene possono infastidire i tuoi capi o colleghi.
Ridi poco o solo alle battute dei capi. Ridere ti conferisce quell’aria da essere umano che è bene in ufficio sia occultata.
Adesso che ti ho dato 7 ingredienti per la ricetta dell’odio in ufficio, come fare a gestire efficacemente i rapporti tra colleghi costruendo un ambiente sano?
Beh è palese che per creare un clima di benessere lavorativo occorre fare l’esatto contrario di quanto elencato prima.
Può accadere sia che tu abbia a volte, anche involontariamente, agito comportamenti come quelli sopra.
Può accadere che tu li subisca.
In entrambi i casi parliamo sempre di modalità di rapportarsi fra persone diverse.
Il costo di atteggiamenti simili è alto in termini di stress lavoro correlato, energie sprecate, tempo mal riposto, inefficienza e inefficacia lavorativa, negatività sparsa a “ quantine”.
L’ufficio rischia di diventare l’equivalente di un incubo ad occhi aperti.
Chi mai vorrebbe lavorare in un posto con colleghi che si comportano così?
Come gestire efficacemente quindi i rapporti tra colleghi? Sviluppando l’intelligenza emotiva!
Cosa è l’intelligenza emotiva e perché è un pilastro fondamentale per una gestione efficace e costruttiva dei rapporti tra colleghi.
Il concetto di intelligenza emotiva, è stato trattato per la prima volta intorno agli anni ’90 ed è “sbarcato” in Italia nel 1995 con l’omonimo testo di Daniel Goleman “Emotional Intelligence”.
Senza entrare troppo nei costrutti teorici, sintetizzo il concetto con parole mie dicendo che la competenza emotiva è l’insieme di abilità pratiche volte alla consapevolezza e padronanza di sè per essere efficaci nelle interazioni sociali e quindi, lavorative, con conseguenti ripercussioni positive anche in termini di carriera o percorsi professionali di crescita.
I modelli organizzativi aziendali passati, più orientati ad una elevata gerarchizzazione dei ruoli, stanno via via cambiando, anche a seguito dell’avvento di internet, delle nuove tecnologie, e alla velocità di riposta che è imposta dalle regole di mercato.
Per usare una metafora oserei dire che un elefante difficilmente potrà partecipare ad una competizione di iron man.
Il modello in base al quale una sola persone decide e tutte le altre devono eseguire si sta dimostrando desueto, motivo per il quale per affrontare le sfide della modernità anche le organizzazioni hanno iniziato a prestare più attenzione alle softskill delle quali l’intelligenza emotiva fa parte.
Inesorabilmente tu sei inserito in un contesto le cui dinamiche relazionali costituiscono la fetta più significativa da dover gestire, tant’è che in qualsiasi contesto, lo sviluppo professionale e quindi a possibilità di fare carriera passa attraverso 4 fasi:
1 – il sapere legato al percorso di studi e all’ingresso nel mondo lavorativo;
2 – il saper fare ossia sapere applicare in ambito professionale le conoscenze acquisite;
3 – sapere saper fare ossia applicare in modo efficace le competenze migliori per una determinata attività discriminandole fra mille altre;
4 – il saper essere ossia essere consapevoli di te, del tuo modo di porti, dell’effetto che susciti negli altri, e capaci di gestire con “intelligenza emotiva” i rapporti tra colleghi in modo costruttivo per se stessi e l’organizzazione di cui fai parte.
Quest’ultima fase è, alla fine dei conti, la più “energivora” di tutte, soprattutto se ti interessa una “scalata al potere”, e quella che può differenziarti nel tuo percorso lavorativo avvantaggiandoti rispetto ad altri colleghi che ancora non hanno acquisito una maturità tale da saper essere, in modo costruttivo, la persona adatta a determinati ruoli, in un certo momento professionale.
Il saper essere è a sua volta strettamente legato allo sviluppo dell’intelligenza emotiva, come soft skills chiave.
A scanso di ipocrisie, vero è anche che talvolta, pur con l’acquisizione di una migliore consapevolezza dei nostri vissuti istintivi, emotivi e cognitivi, in rapporto con capi, colleghi, collaboratori, fornitori, clienti etc.. l’unica via per migliorare la propria qualità della vita si rivela necessariamente quella di cambiare, o mansione, o lavoro, o azienda, o vita. Ma se questo fosse il tuo caso, ti darò gli strumenti per scoprirlo.
Nei miei articoli di questa categoria ti darò strumenti utili per usare l’intelligenza emotiva per comunicare efficacemente, per gestire i conflitti sul lavoro, per gestire i rapporti con i colleghi e/o capi difficili e imparare a difendertene, per abbattere lo stress legato alla gestione di questi rapporti, per affrontare discorsi in pubblico qualora ne avessi la necessità per il ruolo che svolgi.
Elemento costitutivo n° 1 dell’intelligenza emotiva: la consapevolezza di te stesso.
La capacità di utilizzare l’intelligenza emotiva per gestire i rapporti tra colleghi di lavoro, è strettamente connessa con il grado di consapevolezza e padronanza che hai di te stesso, a cui dedico una intera sezione di questo blog con i miei articoli.
Hai sempre ottenuto quello che volevi sul lavoro? Si? No? A che prezzo?
Hai mai pensato che tu stesso per primo potresti generare certi tipi di comportamenti “antipatici” nei tuoi riguardi dagli altri?
O hai mai pensato che è possibile cambiare il tuo atteggiamento per prendere le distanze dai comportamenti di colleghi difficili che di norma ti danneggiano, demotivano ed irritano?
Difficilmente potrai essere sul luogo di lavoro persona totalmente avulsa da quello che sei “là fuori nel mondo” , in quanto portatore di dinamiche, vissuti e tratti caratteriali che sono sempre e comunque frutto delle tue esperienze di vita.
Fatta questa doverosa premessa, quanto: rabbia, stress, nervoso, ansia, senso di inadeguatezza, irritazione o qualsivoglia stato negativo, sono non solo, e sottolineo non solo, determinata dalle persone con cui devi rapportarti, ma anche determinati in parte dalle tue modalità apprese di risposta ai contesti?
Acquisire una migliore consapevolezza e padronanza di te stesso e delle tue risposte ai contesti, consente un notevole risparmio di energie mentali, una migliorata capacità di rapportarti anche con le persone più difficili e di conseguenza anche di aumentare le tue probabilità di crescita professionale esercitando un maggior distacco da quello che rischia di nuocere al tuo benessere.
Negli articoli dedicati alla consapevolezza di te stesso ti fornisco un sacco di spunti utili per venirne a capo qualora tu stesso per primo voglia “smussare” alcuni tuoi tratti caratteriali, o rompere schemi di comportamento ripetitivi e che tu vivi come disfunzionali (cioè che ti allontanano da quello che vuoi davvero) che ti hanno portato più grane che soddisfazioni, per gestire al meglio i tuoi rapporti tra colleghi e con i capi.
INIZIA DA QUI a rafforzare la consapevolezza di te stesso leggendo questi articoli :

Nell’articolo “Manager o Leader: quale tipo sei?” ti parlo di 9 tratti caratteriali con cui è possibile muoversi nel mondo. Ogni tratto caratteriale è un modo differente di vivere le emozioni, di pensare, di relazionarsi agli altri, con tutti i pro e contro del caso. Questo è un primo articolo introduttivo ai 9 caratteri. In futuro tratterò molto più approfonditamente tutti i pro e contro di ogni carattere per aiutarti a disporre di molte più energie a tuo vantaggio.
“Ripeti sempre gli stessi errori? Come trasformarli in successo”. In questo articolo ti illustro 11 passi per trasformare a tuo vantaggio i tuoi errori “ripetitivi”, cioè quelle abitudini comportamentali radicate che riconosci essere aspetti di te “detestabili” senza riuscire a modificarli e che ti suscitano un senso di fallimento.

“Vuoi diventare capo? 6 segreti per riuscirci”. In questo articolo ti svelo 6 segreti se ambisci ad un percorso di crescita professionale. Avrai modo di valutare quanto il tuo attuale modo di fare ti sta agevolando o meno verso gli obiettivi di carriera che ti sei prefissato, e in caso contrario a regolarti di conseguenza.
Elemento costitutivo n° 2 dell’intelligenza emotiva: la capacità di gestire i rapporti tra colleghi e con i capi.
L’utilizzo dell’intelligenza emotiva è anche strettamente connesso con la capacità di osservare e riconoscere gli altri, e modulare la comunicazione con empatia in modo da instaurare buoni rapporti tra colleghi .
Tutti i giorni hai da rapportarti con persone differenti e, diciamolo pure, alcune volte, magari anche spesso, con colleghi difficili che hanno atteggiamenti esasperati in termini di arrivismo a discapito di altri, prepotenza, scarsa empatia e capacità di collaborare, eccessivamente serie, manipolatorie, voltagabbana, o tirapiedi.
Comunicare, farti capire, ottenere quello che vuoi, a volte, diventa difficile, soprattutto se non sai bene come fare. Oppure, anche nell’ipotesi che sia semplice, è comunque una attività che richiede un grande impiego di energie per tutto il tempo di permanenza in ufficio e probabilmente, te le sottrae per il tempo rimanente.
Se invece ti senti costretto dalle circostanze a “dover accettare” atteggiamenti poco gradevoli da parte di colleghi o capi difficili, allora sempre in questa categoria troverai il modo per difenderti imparando ad entrare in relazione con colleghi difficili solo per quanto ti è utile con il giusto distacco emotivo. Potresti anche scoprire che il tuo peggior nemico potrebbe rivelarsi il tuo migliore alleato.
INIZIA DA QUESTI ARTICOLI a rafforzare la tua intelligenza emotiva nella gestione dei rapporti tra colleghi e con i capi:

“L’empatia è uomo o donna? Scoprilo e usala!”. Un pilastro fondamentale dell’intelligenza emotiva per una comunicazione efficace fra colleghi è l’uso dell’empatia, ossia la capacità di guardare le cose anche dal punto di vista degli altri. In questo articolo ti parlo delle differenze esistenti nella comunicazione fra uomini e donne sul lavoro e di come la comprensione dei reciproci mondi aiuti a sviluppare un ponte comunicativo realistico e consapevole.

“Conflitti sul lavoro: li risolvi o cerchi colpevoli?” Come entrare in relazione efficacemente con i colleghi, soprattutto quando le cose si fanno difficili e ci sono momenti di conflitto da gestire? Esistono 2 modi di affrontare i conflitti: uno più costruttivo, proiettato alla ricerca di soluzioni, usando l’empatia, e l’altro non costruttivo, rivolto alla sola ricerca di colpevoli, senza risolvere nulla. Tu quale sei solito adoperare? Nel mio articolo ti guido a capire quale dei due sei solito usare e come porre rimedio per un migliorato benessere in ufficio.

“Colleghi difficili: i melliflui. Cosa fare?”. Come ti comporti con colleghi difficili, in particolare i voltafaccia melliflui? Li gestisci, li subisci? Hanno il potere di inquinare le tue giornate? In questo articoli ti faccio guardare a questa tipologia di colleghi in modo differente per neutralizzare l’effetto negativo che hanno su di te. Se poi ad essere mellifluo e voltafaccia non è un collega ma il tuo capo, nell’articolo “Capo difficile: il voltafaccia. 2 strade possibili” ti guido ad esplorare 2 strade per ritrovare il tuo benessere in ufficio.

In questo articolo “Capo accentratore? Conquista autonomia in 6 passi” ti spiego che caratteristiche ha un capo accentratore, cosa può nascondersi dietro a questo comportamento che non ha nulla a che vedere con la sfiducia nelle tue capacità e nell’affidarti attività, e come conquistare autonomia in 6 passi.

“Informazioni nascoste. A volte ti sembra di lavorare per i servizi segreti?” : come rapportarsi con una particolare e diffusa categoria di colleghi difficili che insabbiano le informazioni a loro vantaggio. Una riflessione in 8 passi per imparare a gestirli.
Ti ho parlato di come l’uso dell‘intelligenza emotiva per gestire i rapporti tra colleghi e con i capi possa incidere sulla tua crescita professionale e sulla qualità del tuo tempo lavorativo e di vita in generale.
Ti ho anche detto che nei miei articoli troverai spunti utili a capire se ti trovi davvero nel posto di lavoro giusto per te anche in relazione ai colleghi con cui “co-abiti”.
Hai capito cosa hai da fare per non farti odiare, cos’è l’intelligenza emotiva e perchè svilupparla migliora la tua capacità di gestire efficamente i rapporti tra colleghi e con i capi.
Sapere che ti parlerò di rapporti tra colleghi e con i capi a lungo e diffusamente per regalarti benessere, ti regala un “sorriso di sollievo?”
Fammi conoscere le tue riflessioni lasciandomi un commento.
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A presto!
Federica Crudeli

CAPO ACCENTRATORE: 6 PASSI PER CONQUISTARE AUTONOMIA!
Ciao e Benvenuto a Lavorare col Sorriso
Hai un capo accentratore? Ti senti demotivato, non visto, non valorizzato, non apprezzato, infastidito, irritato dal suo atteggiamento? Passi le giornate a scarto ridotto perché hai meno cose da fare di quello che vorresti? Ecco 6 passi da seguire per guadagnarti la sua fiducia e maggiore autonomia.
[Tweet “”Conosci il tuo nemico.” – cit. Sun Tzu”]
La prima cosa che puoi fare, prima di agire con i 6 passi che ti consiglio al punto n° 4 dell’articolo, è conoscere il tuo “nemico” e le ragioni che lo spingono ad agire così: disporrai di una chiave di lettura diversa con la quale guarderai diversamente soprattutto te stesso…anche se può sembrarti strano!
Premessa: capire il capo accentratore, non significa giustificarlo!
1 – Chi è un capo accentratore?
Un capo accentratore è mediamente caratterizzato da questi comportamenti:
a) di 100 cose che ci sono da fare, in sostanza ne fa circa il 70%, curandole direttamente lui nella maggior parte degli aspetti, e quelle poche attività che delega comunque non possono sfuggire la suo controllo;
b) pretende di essere presente a qualsiasi iniziativa che riguardi la sua area di business e se non può esserlo, a malapena delega pochissime persone ma comunque solo stretto controllo e previa sua autorizzazione;
c) non tollera che qualcuno al di fuori della sua area si rivolga direttamente ai suoi collaboratori anche per attività minori. Si sente “scavalcato”;
d) tende ad essere permaloso, nel senso che fargli notare una qualsiasi possibilità alternativa di gestire alcune attività costituisce per lui motivo di “offesa”;
e) tiene la sua conoscenza ed esperienza per se;
f) accetta qualsiasi richiesta gli venga fatta dall’alto, e per soddisfarla prima possibile, la sua struttura è perennemente in sofferenza;
g) lascia ai collaboratori la gestione/esecuzione di attività più routinarie e ripetitive mentre gli incarichi più complessi li gestisce direttamente lui;
h) ha poca cura nel trasferire le attività che cambiano, il contesto in cui si collocano, gli effetti dei cambiamenti in atto.
2 – Gli effetti sulle persone e sul business dei comportamenti del capo accentratore
Questo comportamento genera rallentamenti delle attività e inefficienze, ma cosa ben più grave, la demotivazione di tutti i collaboratori, e conseguentemente, un pessimo clima lavorativo, fatto di lamentele, e aggressività “strisciante”.
Demotivazione che peggiora se questo capo si avvale solo di una/due persone di fiducia per fare, seppure limitatamente, alcune cose più complesse alimentando gelosie, acredine, maldicenze.
Inoltre con un capo accentratore, le possibilità di crescita intese come sviluppo di una maggiore padronanza dell’attività, sono limitate.
3 – Perché ha senso capire cosa si nasconde dietro questo atteggiamento?
Capire cosa si nasconde dietro a questo atteggiamento ti è utile, come ti dicevo sopra, non per giustificare chi, rivestendo un tale ruolo, forse dovrebbe operare in tutt’altro modo, ma per farti guardare alla situazione con empatia da un altro punto di vista che non vede nessun legame esistente fra il comportamento del capo accentratore e le tue presunte o meno capacità.
Ebbene, quali possono essere le motivazioni alla base di un comportamento simile? L’ansia da prestazione esasperata ai massimi livelli, di cui ti ho già parlato nel mio articolo “L’ansia da prestazione lavorativa ti divora?Divorala tu in 5 bocconi”.
L’obiettivo finale dell’accentratore, più o meno consapevole, è preservare il suo potere, la sua posizione, attraverso la continua dimostrazione di meritarsela con la ricerca della perfezione e del controllo totale ansiolitico.
L’ansioso è talmente chiuso nel suo loop mentale tutto fatto di ansia che non si accorge minimamente degli effetti che ha, sia sull’operatività corrente che sui collaboratori: è cieco. Non sente, non vede. Ha a cuore solo se stesso , la sua ansia e la sua ovvia necessità di placarla controllando e accentrando tutto, e questo nulla a che vedere con la volontà di denigrare te e il tuo lavoro.
L’ansia è una bruttissima “bestia”. Se tu “soffrissi” di ansia come lui, e non disponessi di strumenti per farla cessare a monte, faresti la stessa cosa che fa lui. Ad aggravare la situazione c’è il fatto che spesso, il capo accentratore è anche inconsapevole di soffrire di ansia.
4 – Bene, adesso che conosci i motivi di questo comportamento, cosa puoi fare?
Subire in silenzio, o lamentarti con gli altri, se è quello che hai fatto fino ad ora, non credo ti porterà molto lontano. Lo sai vero?
Spesso in queste situazioni si crea un muro del pianto infinito fra colleghi dove di fondo, nessuno fa nulla per cambiare lo stato delle cose, eccetto lamentarsi di gran lena. Il fatto che continuino a farlo in molti, non significa che sia una cosa sensata. E soprattutto, non produce cambiamenti positivi per nessuno, anzi…
Parlaci! Chiedi un colloquio e procedi nel seguente modo:
1) chiedigli un momento adatto per lui, in cui può dedicarti del tempo con serenità. Sembra banale ma non lo è. Ci sono fior fiore di trattative fallite solo per essere state affrontate nel momento sbagliato;
2) preparati prima e con cura il modo giusto di rivolgerti al capo accentratore: se è il tuo capo immagino avrai osservato nel tempo in quale modo è possibile entrarci in relazione bonaria senza farlo surriscaldare subito.
Ti ricordo che potrebbe essere persona dallo scatto di nervoso facile, perché è ansiolitico e suscettibile. Dire cose giuste nella sostanza adottando il modo sbagliato, è l’assicurazione per il fallimento totale.
Osserva le parole che usa più spesso. Osserva cosa lo lascia tranquillo. Osserva cosa gli fa piacere.
Se non conosci quello che gli fa piacere, almeno conoscerai di sicuro quello che lo irrita. Bene. Fai il contrario.
Se qualcuno prima di te ha già tentato di esporgli il problema senza risultato, preoccupati di capire veramente in quale modo gli si è rivolto. Potresti scoprire che non ha ottenuto nulla perché si è posto nel modo meno adatto per quell’interlocutore.
3) comincia col chiedergli che vorresti conoscere l’opinione che ha di te sul lavoro, come stai andando.
Gli dai importanza e considerazione e intanto acquisisci informazioni utili per la fasi successive del colloquio, soprattutto se di te ne ha una buon opinione.
In base a cosa rifiuterebbe quanto stai per chiedergli? Se invece di te non avesse una buona opinione, va da se che prima di passare ai successivi punti, allora hai da capire bene come fare ma in un senso di diverso da quello trattato qui.
4) esprimi chiaramente ed in modo specifico quello che desideri per te nella tua attività volgendo la questione al futuro, senza recriminare troppo sul passato.
Comincia identificando un ambito piccolo in cui vorresti più autonomia. In questo modo introdurrai una “piccola breccia” di cambiamento per lui più facilmente digeribile rispetto alla richiesta di qualcosa di “esageratamente grande” .
Ovviamente un accentratore di punto in bianco non ti darà mai totale autonomia per una cosa che lui ritiene troppo importante.
Se anche tu hai le idee vaghe su quello che vorresti è bene che te le chiarisca prima di parlare. Faresti una pessima figura chiedendo un colloquio per poi non mostrarti capace di esprimere qualcosa di compiuto.
Perciò pensa a tutto quello che vorresti fare, esponilo e chiedigli quale risultato lo farebbe sentire “garantito” della tua buona riuscita.
5) motiva la tua richiesta parlando di te, di come ti senti sul lavoro, sempre in prima persona senza cadere nella tentazione di usare frasi del tipo “tu mi demotivi, tu non mi dai fiducia, tu non mi valorizzi”.
Queste alle sue orecchie suoneranno come accuse. E in effetti lo sono. Perché dal suo punto di vista, molto probabilmente lui sul lavoro bada solo a placare la sua ansia, non a denigrare te.
Prenditi piuttosto la responsabilità delle cose che pensi e senti e usa “io mi sento demotivato, poco valorizzato, non degno di fiducia”.
Evita paragoni con altre persone. Evita anche di calcare troppo la mano su questo aspetto esagerando con le recriminazioni.
6) elenca in modo più descrittivo e fattuale possibile, senza giudizio, i fatti accaduti che sostengono il tuo modo di sentirti e che sono necessari durante il colloquio a fargli comprendere le circostanze che motivano la tua richiesta di maggiore autonomia.
Se segui nel modo corretto questi punti avvierai un confronto civile, rispettoso, cortese, che potrà essere solo costruttivo (sempre se rispetti questi suggerimenti nel modo di parlare) e porterà sicuramente ad un miglioramento, piccolo e progressivo.
Ora, va da se che un capo accentratore in quanto ansiolitico, difficilmente cambierà in 2 giorni quello che fa da anni. Certo è che l’avergli aperto una visione differente dall’unica che conosce (la sua), con una richiesta “piccola” costituisce un precedente.
Certo è anche che se la sua tendenza caratteriale è quella, magari avrai da reiterare periodicamente le tue richieste sempre per piccoli step e con margini via via crescenti di ampiezza.
Ma se riesci a strappargli una fettina di autonomia, e poi nei fatti gli dimostri che sei capace di sostenerla, lui non avrà motivi per negarti un successivo ampiamento di attività anche nella richiesta successiva, dato che lui stesso potrà beneficiare di un carico di lavoro alleggerito.
Resta anche la possibilità di richiedere di cambiare ufficio, in ultima istanza, qualora proprio la situazione si riveli immodificabile.
D’altra parte visto che il capo accentratore tende alla perfezione e controllo di tutto, il fatto che un collaboratore lavori per lui infelicemente costituisce qualcosa di cui occuparsi. Almeno temporaneamente.
Senza contare che se inizi tu a parlare, magari ti seguiranno anche tutti gli altri colleghi (a meno che tu fossi l’unico a vivere questa dinamica). A quel punto, per massa critica, sarà costretto a fare i conti con il fatto che il problema è davvero lui e magari si adopererà per cambiare in meglio.
Nessun capo gradisce di essere considerato tale solo nella forma.
Malgrado la sua reazione non sia prevedibile, di sicuro quando qualcosa “cambia” nella relazione fra parti, cambia anche il risultato. E cambierà in meglio se segui questa strategia.
Ricapitolando, ti ho definito chi è il capo accentratore, che effetti genera sul lavoro, per quali motivi si comporta così, e come introdurre dei piccoli cambiamenti “strappandogli” margini di autonomia progressivamente crescenti guadagnandoti la sua totale fiducia.
Ti è chiaro che il suo essere accentratore non ha quantomeno nulla a che vedere con la tua presunta incapacità?
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Grazie
Federica Crudeli

BENESSERE IN UFFICIO: QUESTO SCONOSCIUTO? 5 RISPOSTE!
Ciao e Benvenuto a Lavorare col Sorriso!
Il benessere in ufficio … questo sconosciuto? L’ l’80% delle malattie è fortemente influenzato dallo stress lavorativo secondo alcune recenti ricerche su stress e malattia! Come puoi abbattere lo stress? Imparare ad ascoltare il corpo, gestire le emozioni, zittire la mente, comunicare efficacemente con capi e colleghi, capire chi sei e dove sei davvero aiutano a sviluppare la consapevolezza del buono o cattivo uso che fai del tuo corpo, della tua mente, delle tue emozioni, delle tue capacità e risorse. Perché dovresti occupartene? Ti do 5 ottimi motivi per iniziare a farlo!
[Tweet ” La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non semplicemente l’assenza di malattia o infermità.” – Organizzazione Mondiale della Sanità “]
Metaforicamente, quanto sei consapevole del fatto che spesso guidi la tua macchina con la testa girata verso il finestrino sinistro e rischi di schiantarti da solo? Perché lo fai senza accorgertene?
Se sei solito pensare: se solo potessi eliminare quel capo, vaporizzare i colleghi odiosi, se solo avessi più soldi, se solo avessi più tempo, se solo avessi quel ruolo, se solo, se solo, se solo … preoccupati!
Bene, ogni volta che parli come sopra, di fatto, stai facendo quello: porti l’attenzione dalla parte sbagliata e rischi lo schianto!
Ti darò 5 ottime ragioni per le quali è fondamentale avere un assetto della tua macchina perfetto per guidare qualsiasi strada guardando dalla parte giusta e concedendoti gli sguardi al panorama, senza però che il panorama diventi la tua ossessione energivora.
Ecco 5 motivi per i quali è importante per il tuo benessere in ufficio essere consapevole e fare un buon uso del tuo corpo, dei tuoi pensieri e delle tue emozioni, sviluppando quindi un’ottima consapevolezza di te stesso, a cui dedico una intera categoria di articoli del blog.
Motivo n° 1 – Il tuo corpo, mente? Sviluppare la capacità di ascoltarlo.
Sai che alcuni disturbi potrebbero essere somatizzazioni psichiche o disagi emotivi che il corpo ti segnala con il suo personale motto di “ribellione” per ottenere l’attenzione laddove sei solito non prestarla?
Li ignori, li ascolti, o proprio non ci fai mai caso e soprassiedi per l’urgenza di turno?
Hai un corpo o sei un corpo?
Ti consideri immortale: dai per scontato che avrai sempre il corpo a tua completa disposizione?
Quale è il tuo livello generale di energia, in media? Ti senti energico?
O più spesso ti senti spossato?
Quali emozioni provi più frequentemente?
Noti una connessione fra il tuo livello di energia e i tuoi stati d’animo?
Soffri di disturbi fisici cronici?
In quali parti del corpo?
Da quanto tempo convivi o ignori questi sintomi?
Hai mai considerato che continuare ad ignorarli, un giorno, potrebbe costarti un conto ben più salato delle tante ore che passi a lavorare?
La vita di un impiegato in azienda è mediamente sedentaria, costretto alla scrivania per buona parte della giornata, o saltare pranzi/cene per rispettare le scadenze o gli orari stabiliti dai contratti di lavoro.
Ciò incide sul nostro sistema energetico, sul metabolismo, e in ultima analisi anche sulla struttura muscolare, che spesso manifesta cronicizzazioni fisiche (emicranie, cervicali, lombalgie, gastriti, coliti, ulcere, solo per citarne alcune).
Accade di sentirsi stanchi, spossati, come se ci avessero messo dentro ad una lavatrice, eppure, normalmente nè spostiamo carichi pesanti, o facciamo lavori di fatica fisica così pesanti, da giustificare questo senso di stanchezza.
In aggiunta… Non sono io a dirlo, ma esistono molteplici studi che dimostrano innanzitutto l’impossibilità per qualsiasi umano di sostenere uno stress elevato per periodi prolungati, salvo crolli fisici e psicologici di varia entità e natura, così come il calo del rendimento o produttività con conseguenti ripercussioni anche per tutti coloro che ci ruotano attorno.
In ultima analisi un peggioramento per tutto il sistema di cui facciamo parte. Lo stress ha difatti impatti sulle manifestazioni emotive, cognitive, comportamentali, talvolta uscendo dalla qualificazione di quanto è fisiologico, per sfociare nel patologico.
Tant’è che il D. Lgs. 81/2008 – Testo Unico per la Salute e Sicurezza dei Lavoratori – definisce la condizione di salute di un lavoratore all’articolo 2 comma 1 come “lo stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, che non consistente solo in un’assenza di malattia o infermità” .
L’articolo n° 3, nella descrizione dello stress lavoro correlato recita che “lo stress lavoro correlato può essere causato da fattori diversi come il contenuto del lavoro, l’eventuale inadeguatezza nella gestione dell’organizzazione del lavoro e dell’ambiente di lavoro, carenze nella comunicazione etc.”
Il fatto che sia una legge a definire che cosa sia il benessere, è qualcosa di sufficiente per motivare perché dovrebbe starti a cuore la consapevolezza di come tu disponi delle tue risorse fisiche, mentali, ed emotive? Oppure non sei convinto abbastanza?
A sostenere la causa, ti ricordo che misuriamo il nostro dispendio energetico in termini di metabolismo e calorie accumulate e bruciate: siamo dunque produttori e consumatori di energia , anche se per questa attività per fortuna ancora non paghiamo tasse o “bollette”.
Non diciamolo troppo forte, sia mai che qualche governante illuminato ci metta una tassa sul metabolismo o sulle calorie…
Io stessa per anni mi sono considerata solo “una mente” contenuta in un corpo che mi porta a spasso.
Solo molto più tardi, ho realizzato di “essere un corpo” e non “di avere un corpo”.
L’eccesso di intellettualizzazione tipico del nostro mondo occidentale, porta spesso ad identificarci solo con uno dei nostri elementi costitutivi, la mente, dimenticandoci che siamo un tutt’uno e che il corpo ha un suo linguaggio e una sua saggezza e che l’imparare a osservarlo, scoprirlo, o riscoprirlo, leggerne i segnali e rispettarlo, invece che usarlo come mezzo saltuario per fare sport, ci dà un enorme potere sulla possibilità di mantenere il benessere in ufficio e nella vita in generale.
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“Il qui e ora per uscire da giornate no” . Comincia a scoprire che rapporto hai con le tue emozioni: ti gestiscono o sei tu a gestirle? Nel mio articolo ti spiego in 5 fasi come, paradossalmente, il modo più efficace per superare momenti no è proprio quello di imparare ad accettarli. In questo modo, l’emotività negativa, invece che soffocarti o dominarti, fluirà liberamente e più velocemente, lasciando spazio ad una rinnovata carica ed energia!
Se il primo motivo non ti è bastato, passiamo al secondo!
Motivo n° 2 – La tua mente straparla a sproposito? Imparare a zittirla!
A discapito del tuo benessere in ufficio, quanti pensieri spendi rimuginando sul passato, sui tuoi errori, e quanto ne spendi preoccupandoti per le scadenze, la carriera, il futuro? A cascata quanto senso di colpa, inadeguatezza e ansia ti somministri quotidianamente?
Hai presente quella vocina che ti parla in testa spesso? Cosa ti dice? Parla di continuo?
Quante delle cose che ti sono richieste giornalmente le fai realmente utilizzando quella parte di pensiero utile e funzionale al da farsi, e quanto invece con una produzione eccessiva di pensieri collaterali a quello che realmente sarebbero richiesti dal “qui e ora” di quello che stai facendo?
Avere consapevolezza anche di questo tuo aspetto, imparare a gestire meglio i tuoi pensieri, è fonte di una liberazione infinita.
Lo sai che i pensieri incidono sulla produzione di sostanze chimiche nell’organismo?
Le neuroscienze hanno fatto enormi progressi in tal senso con scoperte strabilianti.
Lo sai che potenzialmente ogni volta che fai cattivo uso della tua mente fra ansie e sensi di colpa, collera, bisogno di approvazione, istanze di giustizia, ti stai intossicando da solo, e somministrando al tuo corpo dosi di tensioni di ogni genere?
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“Ripeti sempre gli stessi errori? Come trasformarli in successo” Vuoi un esempio di cattivo uso della tua mente? Ogni volta che di fronte ad un errore, ti demoralizzi, colpevolizzi e magari ti senti anche un fallimento totale, stai usando male la tua testa! In questo articolo ti illustro 11 passi per trasformare a tuo vantaggio i tuoi errori “ripetitivi”, cioè quelle abitudini comportamentali radicate che riconosci essere aspetti di te “detestabili” senza riuscire a modificarli.
“L’ansia da prestazione lavorativa ti divora? divorala tu in 5 bocconi”. Un altro pessimo modo di usare la tua mente sul lavoro è quello di vivere divorato dall’ansia di prestazione: perennemente in tensione nel tentativo di fare ogni cosa perfetta, di farti apprezzare, di essere impeccabile. Nel mio articolo attraverso 5 modi diversi di guardare alle cose, metterai fuori gioco questa fastidiosa nemica del tuo benessere in ufficio per vivere più serenamente e con molto molto meno stress di prima.
Non sei ancora convinto che ascoltare il corpo, gestire le emozioni, e zittire la mente sia importante per il tuo benessere in ufficio? Allora dal prossimo motivo non puoi scappare, perchè a che vedere con la tua capacità di gestire i rapporti con capi e colleghi!
Motivo n° 3 – L’ingresso dell’ Intelligenza Emotiva in azienda. Imparare a gestire i rapporti fra colleghi in modo efficace!
Il mondo si sta muovendo ad una velocità vorticosa su tutti i piani. Il contesto esterno è caratterizzato da cambiamenti repentini, innovazione tecnologica spinta, elevata incertezza. Se qualcosa, ora, sta funzionando, non è detto funzioni in eterno e neanche fra qualche settimana.
Le vecchie gerarchie aziendali, con il concetto di capo e sottoposto fantozziano, che forse potevano condurre a risultati in un contesto socio-economico stabile, sono desuete e stanno perdendo la loro ragione di esistere.
Non è più sufficiente una persona a comandare e tante ad eseguire, ma che ciascun individuo contribuisca apportando idee, innovazioni per restare competitivi sul mercato.
Si lavora più frequentemente in gruppo, per aree interfunzionali e trasversali alla propria area di business. Tutto questo necessita in media lo sviluppo di una maggiore flessibilità comportamentale, e lo sviluppo di più competenze rispetto a quelle che erano necessarie un tempo.
L’intelligenza emotiva si è fatta strada nelle aziende con l’introduzione di giochi di ruolo, formazione dedicata al Team Building, Problem Solving, alla Comunicazione Efficace, al Business Coaching e affini.
L’obiettivo di questo tipo di formazione normalmente è appunto lavorare sulle due dimensioni costitutive e interdipendenti dell’intelligenza emotiva: in primis la consapevolezza e padronanza di sè e poi la capacità di gestire, di conseguenza ed efficacemente, i rapporti tra colleghi sviluppando l’empatia.
È anche vero che a causa di molteplici fattori di profittabilità aziendale, non tutte le aziende possono investire nella formazione.
Questo blog vuole essere una risposta anche a chi, per ragioni di sopravvivenza economica, non può beneficiare in azienda di questo tipo di investimento e non ha denaro da spendere in privato per formare competenze che sono ormai indispensabili per farsi largo in questo caotico e sempre più complesso mondo (nel bene e nel male).
Ti aiuterò a sviluppare rispettivamente la consapevolezza di te stesso e la capacità di entrare in relazione con capi e colleghi in modo efficace e volto ad accrescere il tuo benessere in ufficio.
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“L’empatia è uomo o donna? Scoprilo e usala!”. Un pilastro fondamentale dell’intelligenza emotiva per una comunicazione efficace fra colleghi è l’uso dell’empatia, ossia la capacità di guardare le cose anche dal punto di vista degli altri. In questo articolo ti parlo delle differenze esistenti nella comunicazione fra uomini e donne sul lavoro e di come la comprensione dei reciproci mondi aiuti a sviluppare un ponte comunicativo realistico e consapevole.
“Conflitti sul lavoro: li risolvi o cerchi colpevoli?” Come entrare in relazione efficacemente con i colleghi, soprattutto quando le cose si fanno difficili e ci sono momenti di conflitto da gestire? Esistono 2 modi di affrontare i conflitti: uno più costruttivo, proiettato alla ricerca di soluzioni, usando l’empatia, e l’altro non costruttivo, rivolto alla sola ricerca di colpevoli, senza risolvere nulla. Tu quale sei solito adoperare? Nel mio articolo ti guido a capire quale dei due sei solito usare e come porre rimedio per un migliorato benessere in ufficio.
“Colleghi difficili: i melliflui. Cosa fare?”. Come ti comporti con colleghi difficili, in particolare i voltafaccia melliflui? Li gestisci, li subisci? Hanno il potere di inquinare le tue giornate? In questo articoli ti faccio guardare a questa tipologia di colleghi in modo differente per neutralizzare l’effetto negativo che hanno su di te. Se poi ad essere mellifluo e voltafaccia non è un collega ma il tuo capo, nell’articolo “Capo difficile: il voltafaccia. 2 strade possibili” ti guido ad esplorare 2 strade per ritrovare il tuo benessere in ufficio.
“Informazioni nascoste. A volte ti sembra di lavorare per i servizi segreti?” Come rapportarsi con una particolare e diffusa categoria di colleghi difficili che insabbiano le informazioni a loro vantaggio. Una riflessione in 8 passi per imparare a gestirli.
Se anche questa motivazioni ad occuparti di te stesso a tutto tondo per il tuo benessere in ufficio, non ti è sufficiente, te ne fornisco un’altra!
Motivo n° 4 – Obiettivi di carriera – imparare a capire dove sei davvero!
Ipotizziamo tu abbia degli obiettivi di crescita professionali. E’ probabile che quindi tu debba avere ben chiaro in testa quali sono, come li vuoi raggiungere, in quanto tempo…. E già stabilire efficacemente questo non è cosa facile!
Conoscere poi il punto di arrivo senza conoscere quello di partenza, o avendone una consapevolezza limitata, credi ti aiuti ad avere aspirazioni realmente concrete e realizzabili? Credi che contribuisca ad incrementare davvero il tuo benessere in ufficio?
Converrai con me che è difficile puntare ad una meta senza avere presente quale sia il punto di partenza, o avendone una consapevolezza limitata, o peggio ancora, essendo convinti di essere in un punto quando magari è evidente al resto del mondo che ti trovi da un’altra parte.
Per esperienza diretta posso dirti che a volte, la nostra percezione di chi siamo non è proprio allineata perfettamente a come agiamo nel mondo. E a volte, nemmeno i risultati che otteniamo sono quelli che ci aspettiamo.
Tendenzialmente quando le cose non vanno come vorremmo , siamo, in quanto esseri umani, abbastanza inclini a distribuire colpe e responsabilità al di fuori di noi stessi.
“Il capo non ci ha capito, il collega è insopportabile, fuori pioveva ed ero stanco (…)” solo per fare alcuni esempi. In effetti può anche essere così. Ma, c’è un ma…è anche vero che a volte a malapena ci rendiamo conto che il nostro modo di fare e l’immagine che diamo di noi stessi nel mondo, se solo ci concedessimo il lusso di domandare, non è proprio uguale all’ idea immaginifica, o terribile, che abbiamo di noi stessi.
In realtà, qualunque situazione tu debba affrontare nella vita, voluta, o forzata che sia, quello che costituisce un discrimine sull’esito finale delle esperienze sei sempre e solo tu, il tuo modo di essere, porti, e guardare alle cose.
A prescindere dal fatto che le tue ambizioni personali e professionali siano “basse” o “sconfinatamente alte”, nel vivere la quotidianità e nella gestione dei rapporti lavorativi con i colleghi, capi, collaboratori, il livello di consapevolezza che tu hai di te stesso fa una enorme differenza in termini di capacità di conseguire gli obiettivi desiderati in azienda e anche fuori, primo fra tutti la qualità del tuo tempo e il tuo benessere in ufficio.
Senza contare poi che una maggiore consapevolezza di te stesso è sinonimo anche di maggiore benessere e di una immensa libertà, ovunque con chiunque in qualsiasi situazione.
Inoltre, normalmente, la crescita professionale si accompagna poi all’assunzione di responsabilità crescenti e anche alla gestione di altre persone.
Tu ti affideresti per fare un viaggio di gruppo ad una guida turistica che è nota nell’ambiente per non essere capace ad organizzare nemmeno 8 ore della sua giornata?
Volgendo la domanda a te, se tu per primo non hai la minima contezza di come gestire te stesso a tutto tondo, o ti sai gestire male, come pensi di poter “guidare” agevolmente ed efficacemente (ossia senza dissanguarti di energie con risultati appena sufficienti) un team fatto di tante persone?
Vuoi iniziare a fare pratica con lo sviluppo della tua consapevolezza, anche sui tuoi obiettivi?
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“Vuoi diventare capo? 6 segreti per riuscirci”. In questo articolo ti svelo 6 segreti se ambisci ad un percorso di crescita professionale. Avrai modo di valutare quanto il tuo attuale modo di fare ti sta agevolando o meno verso gli obiettivi di carriera che ti sei prefissato, e in caso contrario a regolarti di conseguenza.
“Motivazione sotto ai piedi appena sveglio? Riportala su!”. Il tuo lavoro attuale quanto è fatto di motivazione intrinseca e quanto di motivazione estrinseca? Non sai quale differenza ci sia? Scoprilo! Capirlo è la base fondamentale per orientare al meglio i tuoi obiettivi di carriera risparmiando tempo ed energie e guadagnare benessere in ufficio.
“Carriera lavorativa: il potere è piacere? Come capirlo”. Spesso ambiamo tutti ad ottenere successo nella accezione più comune del termine: soldi e potere. Ma quanto realmente sei disposto a pagare il prezzo del successo? E che relazione esiste fra il potere e il piacere? Individua il mix di potere – piacere che è in sintonia con la tua natura. Ne guadagnerai in benessere in ufficio.
Un’ultima motivazione, ma non in ordine di importanza, qualora le 4 precedenti ancora non siano sufficienti a convincerti che la consapevolezza del buono o cattivo uso che fai delle tue risorse costituiscano il discrimine fra il benessere in ufficio e il malessere…
Perché n° 5 – Dentro l’ufficio/fuori l’ufficio – imparare a conoscere il tuo carattere e le tue capacità
La qualità della vita in ufficio influisce pesantemente sulla qualità della tua vita fuori, così come vale il viceversa.
Uno squilibrio, legato a qualsiasi motivo in una area della vita, si ripercuote immancabilmente su tutte le altre, seppure in maniera differente e con diverse gradazioni di pervasività.
In questo blog di fatti mi occupo nello specifico di tutto quanto ha a che vedere con la capacità di conquistare, (se non lo hai), mantenere o migliorare equilibrio interiore, benessere e serenità integrando efficacemente l’uso di corpo-mente ed emozioni, durante la giornata lavorativa in ufficio.
Tu sei una persona che si manifesta nel mondo con un carattere. Difficilmente sarai là fuori nel mondo qualcosa di profondamente diverso da quello che sei in ufficio.
Se invece sei solito attuare una spaccatura marcata tra il tuo modo di manifestarti sul lavoro e quello di manifestarti fuori, a maggior ragione dovrebbe interessarti la tua auto-consapevolezza: è fuori di dubbio che un simile comportamento conduce a consumare energie e spegnerti fino a quando ti sentirai una pila usata ed esaurita. Altro che benessere in ufficio!
Con i miei articoli di questa categoria ti guiderò in riflessioni che ti saranno utili a: mettere a fuoco come ti muovi nel mondo, quali pensieri, schemi comportamentali stati emotivi ti caratterizzano, a che punto sei della tua crescita professionale o a capire quale tipo di crescita professionale faccia la caso tuo anche in base al binomio potere – piacere, a valutare il tuo livello di energia e ad aumentare la tua autostima per farla fruttare al meglio nel tuo contesto lavorativo.
Se potessi guardati con gli occhi di una persona esterna, cosa scopriresti di te?
Che effetti susciti negli altri con il tuo modo di relazionarti?
Ogni “carattere” è connotato da caratteristiche affettive (il tuo rapporto con le emozioni e sentimenti), energetiche (quanta energia senti di avere per affrontare le tue giornate), somatiche (che struttura fisica hai), cognitive (quali sono i tuoi tipici modi di pensare) e relazionali (come ti poni rispetto agli altri) ben distinte e legate ai bisogni primari che hai percepito come negati o limitati: diritto di esistere, di avere bisogno di accudimento, di possedere te stesso, di importi, di essere autonomo e di amare sessualmente.
Nei miei articoli ti guiderò ad esplorare quali manifestazioni esteriori oggi ti caratterizzano per prendere coscienza di quali sono gli schemi ripetitivi che metti in atto nel lavoro e nella tua vita e che, qualora disfunzionali per il tuo benessere, ti allontanano piuttosto che avvicinarti, a quello che realmente vuoi.
Aumentare la propria consapevolezza quali vantaggi dà? La libertà. Sebbene talvolta possa sembrare una “fatica” investire del tempo per fermarsi a riflettere su alcuni aspetti di se stessi, e sebbene questa fatica l’abbia avvertita io stessa, con il tempo invece ho imparato a raccoglierne i frutti in termini di maggior benessere in ufficio e fuori.
Ti aiuterò a fare tutto questo da molteplici punti di vista, che sono certa saranno per te un enorme arricchimento, una grande sorpresa e scoperta che ti accompagneranno a lungo!
Vuoi iniziare a capire quale tratto caratteriale ti distingue e cosa ne consegue?
Nell’articolo “Manager o Leader: quale tipo sei?” ti parlo di 9 tratti caratteriali con cui è possibile muoversi nel mondo. Ogni tratto caratteriale è un modo differente di vivere le emozioni, di pensare, di relazionarsi agli altri, con tutti i pro e contro del caso. Questo è un primo articolo introduttivo ai 9 caratteri. In futuro tratterò molto più approfonditamente tutti i pro e contro di ogni carattere per aiutarti a disporre di molte più energie a tuo vantaggio.
Nell’articolo “Che capacità ho? Conoscerle ti aiuta” ti guido a valutare quali capacità senti più tue fra quelle cognitive, realizzative e relazionali. Conoscerle ti aiuta a verificare quali servono maggiormente per il tuo lavoro e per i tuoi obiettivi di carriera e ti consentono di risparmiare tempo focalizzandoti su quelle che pensi di dover migliorare.
Ti ho motivato a sufficienza perchè è bene, per il tuo benessere in ufficio, che tu impari ad ascoltare il corpo, gestire le emozioni, zittire la mente quando parla a sproposito, comunicare efficacemente, capire che carattere, capacità, risorse hai, in funzione dei tuoi obiettivi lavorativi?
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Federica Crudeli
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VUOI DIVENTARE CAPO? 6 CONSIDERAZIONI
Ciao e Bentornato a Lavorare col Sorriso!
Ecco 6 segreti da applicare se ambisci a diventare capo, ossia assumere un ruolo di maggiore responsabilità e quindi (di solito) anche più remunerato, nell’ambito dell’attività lavorativa che svolgi.
[Tweet ” Chi pensa di guidare gli altri e non ha nessuno che lo segue sta solo facendo una passeggiata.” – cit. John Maxwell “]Ipotizziamo tu sia entrato in azienda da poco oppure che tu abbia maturato già dell’esperienza e che tu voglia diventare capo.
Cosa vuol dire diventare capo di solito? Assumere un ruolo di responsabilità nella organizzazione, gestione e controllo di una attività, collaboratori compresi, normalmente rendendo di conto ad un altro capo.
Normalmente il diventare capo è in realtà il riconoscimento formale ed economico di un processo che, nei fatti, è avvenuto prima: ossia tu ti sei già messo nelle condizioni di essere un capo di fatto, perché ti sei costruito una credibilità, una tua autonomia e buone relazioni con capo e colleghi, e quindi l’azienda è “costretta” a riconoscerti quello che ti spetta.
Prima di condividere le 6 considerazioni sul diventare capo, affinchè ciò avvenga, due doverose premesse: una di tempo, l’altra di “spazio”.
La prime domande a cui a mio avviso è bene tu dia risposta sono: nella mia realtà aziendale, dopo quanto tempo una persona assume in media un ruolo di responsabilità e può quindi aspirare a diventare capo?
Dal punto di vista organizzativo, c’è già o è possibile creare lo spazio per un ruolo di capo?
In questo modo hai già una indicazione di come i tempi interni di crescita e la visione di lungo termine del tuo capo sulla possibile evoluzione organizzativa della tua attività, si sposino o meno con le tue aspettative.
Se vuoi diventare capo dopo 3 anni di esperienza e in media questo avviene nella tua azienda dopo almeno 5 anni, puoi applicare i seguenti 5 segreti come ti dico di seguito, con la consapevolezza che i tempi potrebbero comunque non essere maturi per il contesto generale in cui sei attualmente collocato.
Sono considerazioni di buon senso ma nella mia esperienza proprio perchè così essenziali e sotto gli occhi di tutti, quasi mai prese in considerazione quando si scalpita per qualcosa. Lo sguardo finisce per restare focalizzato sulla mancanza.
Va da se che se sei a conoscenza di un contesto esterno che ti “premia” nei tempi che tu ti sei prefissato, puoi proporti altrove e cambiare lavoro.
Le 6 considerazioni esposte di seguito restano comunque valide ovunque tu aspiri a diventare capo. La premessa è che come dico spesso mi piace aiutare le persone ad essere persone sostenibili e a difendersi da chi non lo è.
Quindi parlo di considerazioni volte ad essere persone migliori in un contesto sano.
Diversamente queste considerazioni potrebbero non essere adatte.
1 – Umiltà
Sei collocato in un contesto di business e organizzativo fatto di colleghi, ossia persone, di varia estrazione ed esperienza.
Il fatto che tu abbia una serie infinita di titoli di studio o master, ed esperienza, non significa in automatico porsi con saccenza ed arroganza verso i colleghi.
Mostrati disponibile ad imparare, ascoltare e capire chi ha più esperienza lavorativa di te: può essere una miniera preziosa di informazioni e conoscenze che ti torneranno utili.
Poniti con umiltà anche verso altri colleghi esterni alla tua unità di business. Sii collaborativo.
2 – Rispetta i confini
Impara a capire più velocemente possibile quali sono i limiti di autonomia che hai per muoverti all’interno della tua organizzazione, senza “pestare” i piedi o “tentare di scavalcare” i colleghi e i capi.
Anche qualora tu fossi più veloce, efficace, efficiente di altri nello svolgere le attività, lascia che siano i fatti a parlare per te e non cadere nella tentazione di “sopraffare” i colleghi facendo la corsa a mostrarti come il meglio a loro discapito, usando mezzucci “infimi” per farti notare.
Ad esempio screditando il lavoro altrui, accaparrandoti i meriti quando fai le cose fatte bene (magari con il supporto altrui) e scaricando le colpe sugli altri accampando giustificazioni quando fai qualcosa di sbagliato.
Oppure estromettendo il tuo capo, o altri colleghi, dalle comunicazioni e/o scambi lavorativi con altri uffici per farti bello.
Questi atteggiamenti, solitamente, non sono premiati. Anzi, depongono notevolmente a tuo sfavore.
Se osservi, capisci e rispetti i confini formali ed informali che esistono nella gestione dei rapporti fra colleghi e con il tuo capo, la tua velocità, efficacia ed efficienza saranno riconosciute in automatico e verrà spontaneo affidarti incarichi via via più complessi che coinvolgono via via più interlocutori aziendali diversi.
3 – Capisci le capacità chiave da sviluppare nella tua attività!
Ogni tipo di lavoro presuppone un uso più o meno marcato di alcune capacità fra quelle realizzative, cognitive e relazionali.
Se vuoi diventare capo devi fare in modo che quelle necessarie alla tipologia di lavoro che fai siano progressivamente sviluppate e/o rinforzate.
Come? Identificando quelle che senti come più deboli e rafforzandole con comportamenti fattivi, o valorizzando al massimo quelle necessarie che già possiedi e in cui ti senti forte.
Ad esempio se ambisci a diventare capo nel settore ricerca e sviluppo di una farmaceutica, le capacità relazionali avranno meno importanza per la crescita professionale di quanta ne abbiano per chi ambisce a diventare un “commerciale puro”, per intenderci.
Per riflettere sulle tue capacità cognitive, realizzative e relazionali ti rimando al mio articolo: Che capacità ho? Conoscerle ti aiuta!
4 – Comprendi le aspettative del tuo capo!
Tu lavori per una azienda e poi per un capo che ne rappresenta le “volontà” in uno specifico ambito.
Sembra banale ma nella mia esperienza non lo è: può capitare che alcune attività che ti siano affidate siano per te di poco valore.
Sta di fatto che se ti sono richieste, servono a qualcuno: se non ne comprendi i motivi (anche se di norma qualcuno dovrebbe spiegarteli) chiedili con garbo, non essere passivo!
Capire il contesto generale in cui si innestano le attività e che finalità hanno, aiuta a sviluppare il pensiero sistemico, una capacità indispensabile per assumere ruoli di responsabilità crescente e diventare un capo.
Il tuo attuale capo o supervisore diretto si aspetta da te delle cose: chiedigli direttamente cosa, precisamente, oppure osserva i risultati che lui apprezza particolarmente conseguiti da altri.
Impara o chiedi cosa vuole che sia fatto, in che tempi, con che priorità e come vuole che gli siano presentati i risultati che si aspetta da te.
Se non ti è possibile chiedere sempre, assicurati di comprendere bene l’obiettivo che ti viene di volta in volta affidato, e la sua priorità rispetto ad altre attività più o meno urgenti.
Fare un lavoro fatto benissimo, ma consegnato tardi, magari a discapito di attività più urgenti, non è saggio.
Quando il tuo capo ti fa notare un errore, invece che mugugnare alle spalle o maledirlo, vedi di capire cosa puoi fare meglio la prossima volta. Sii costruttivo.
Non affezionarti troppo al tuo lavoro al punto di volerlo difendere oltremodo se il tuo capo o un supervisore lo contestano o ti chiedono di cambiare qualcosa che hai già fatto: piuttosto cerca di capirne i motivi.
Rispondere subito “NO” a una richiesta che ti appare poco sensata è controproducente: da un lato perché potrebbero mancarti informazioni di contesto che la renderebbero sensata, dall’altro perché capita anche ai capi di sbagliare o valutare male alcuni compiti, priorità, implicazioni.
Se tu ti dimostri aperto ad ascoltare e capire, e hai già intuito che quanto ti chiede rischia di non avere concretamente senso, fai domande specifiche per condurlo a capire che quanto vuole da te contrasta/non è coerente con altre attività, o che allontana invece di avvicinare al risultato che lui si prefigge di ottenere con il tuo aiuto.
In questo modo vedrà da un lato un atteggiamento di apertura, dall’altro la capacità di condurlo a valutare che la strada proposta non è quella più efficace o efficiente, e per questo ti ringrazierà.
5 – Trova soluzioni a problemi che ancora non esistono
Le probabilità di diventare capo facendo sempre e solo alla perfezione il compitino che ti viene affidato, magari esigendo che ti sia spiegato anche il modo per farlo, sono ridotte.
Nell’ambito di una delega ben esercitata, tu riceverai attività da fare, lasciando a te la scelta del modo: non chiedere di essere seguito minuziosamente in ogni micro – step da fare.
Buttati, prenditi l’iniziativa, organizzati e pianifica le cose da fare, trova tu il modo per portare dei risultati, purchè siano quelli attesi nella finalità e nei tempi richiesti.
Se nel fare una attività noti qualcosa che non funziona, o che potrebbe essere fatto meglio, in minor tempo, e in modo più efficiente, prendi l’iniziativa e proponi una soluzione condividendola prima con i tuoi colleghi o chi sarebbe impattato dalla tua proposta. Opera un “fine tuning” raccogliendo anche idee e osservazioni altrui. Se la tua idea riscuote il consenso di chi ne è impattato, la strada con il tuo capo sarà spianata.
Inoltre considera che il capo solitamente apprezza chi si fa portatore di innovazioni. Poi per “n” motivi può decidere di non dare seguito alle tue proposte, ma tu proponiti con decisione! Sempre nel rispetto e con il consenso di chi è impattato dalla tua proposta di modifica “operativa”.
Ancora meglio se riesci a guardare oltre all’orizzonte di un singolo compito o di attività consolidate e ripetitive che possono essere fatte meglio, identificando in anticipo qualcosa che ritieni possa diventare un problema per il tuo ufficio se non gestito per tempo!
Il fatto di risparmiare problemi futuri è una dei modi più efficaci per farsi apprezzare e crescere professionalmente.
Quindi prendi l’iniziativa con una buona dosa di fiducia nelle tue capacità!
6 – Ascolto, trasparenza, empatia e simpatia
Forse nelle aziende c’è una diffusa convinzione che possa diventare capo solo chi è serio e non ride mai: sicuramente è bene osservare il contesto prima di compiere “imprudenze”, ma in media regalare un sorriso, una battuta amichevole, scherzare, rende il clima più leggero, incrementa il senso di reciproca fiducia e genera consenso.
Ti augureresti mai un capo che è sempre triste, nervoso, irascibile, critico con tutti e verso tutto? Sii come il capo che vorresti avere!
Non fomentare discussioni inutili!
Se hai qualche problema relazionale con qualche tuo collega difficile o antipatico, vedi di risolvertelo da solo.
Sul lavoro è fisiologico non andare d’amore e d’accordo con tutti o non essere simpatici a tutti. Fintanto che questo non intacca i tuoi risultati, resta un problema di carattere relazionale “gestibile” con il buon senso.
Il tuo capo non è lì a fare da genitore – arbitro: cerca un confronto, trova un modo di andare d’accordo o risolvere un problema con i colleghi autonomamente.
I capi normalmente sanno bene quali sono i collaboratori difficili. E apprezzano chi riesce a rapportarsi in modo maturo senza sollevare inutili sommosse o fare le guerre ai mulini a vento per cambiare ciò che non è cambiabile: il carattere altrui.
Si tratta di trovare un giusto equilibrio di convivenza senza farne un caso di stato.
Se dopo numerosi tentativi falliti proprio non ottieni risultati, o malgrado tentativi di pacifica convivenza vedi boicottati i tuoi risultati, e compromessa la buona riuscita delle tue attività, allora valuta di ricorrere al tuo capo che è l’unico che può effettivamente dirimere “la controversia” come ultima istanza.
Ricorda però che essere aperto di vedute nell’atteggiamento, empatico, sorridente, costruttivo (e non quindi un lamentoso che borbotta come una pentola di fagioli piuttosto che proporre rimedi alle cose che non vanno) fa si che tu in automatico possa diventare il punto di riferimento spontaneo per molti colleghi e per molte attività.
Se noti qualcosa che funziona male, proponi una soluzione piuttosto che lamentarti di continuo!
Poniti in modo trasparente nei rapporti con i colleghi.
In conclusione
Ti ho fatto 6 considerazioni, che poi sono atteggiamenti/comportamenti che se attuati preparano il terreno, creando quel seguito spontaneo che ti è necessario per un salto di responsabilità.
Certo, forse penserai, guardandoti attorno, che non tutti coloro che conosci e che sono responsabili di qualche attività, abbiano mai attuato questi comportamenti.
Qui però stiamo parlando di buone regole per diventare un capo che sia un buon esempio e non di come, eccezionalmente e chissà per quali altri motivi, alcune persone possono diventare capo malgrado difettino di umiltà, capacità realizzative, relazionali, empatia, trasparenza e capacità di ascolto.
Quindi, sei pronto a diventare capo?
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Grazie
Federica Crudeli

CONFLITTI SUL POSTO DI LAVORO: LI RISOLVI O CERCHI COLPEVOLI?
Ciao e Benvenuto a Lavorare col Sorriso!
Che tu sia uomo o donna, sei solito risolvere i conflitti sul posto di lavoro efficacemente usando l’intelligenza emotiva per migliorare la tua leadership oppure vai accusando in cerca di colpevoli, o della ragione costi quel che costi? In questo articolo ti parlo di questi due diversi atteggiamenti nell’affrontare i conflitti sul posto di lavoro e ti parlo delle softskills utili anche per la vita, dato che i conflitti o le divergenze fra colleghi, uomini, donne e umani in generale sono assai frequenti.
[Tweet ““I più grandi conflitti non sono tra due persone ma tra una persona e se stessa.” – cit. T.G. Brooks”]
La gestione dei conflitti sul posto di lavoro, può avere una finalità utile o non utile.
La finalità utile della gestione dei conflitti sul lavoro è quella di capire, esprimersi, farsi rispettare, trovare punti di accordo.
La finalità non utile della gestione dei conflitti è quella di manipolare (spesso inconsapevolmente), cercare colpevoli, accusare, difendersi, avere ragione.
Per quali motivi discuti, di solito? E quanto sei consapevole di come il tuo modo di gestire i conflitti sul posto di lavoro impatta sulla buona riuscita dei rapporti tra colleghi?
Ipotizziamo che Alice e Marco, che rappresentano due unità aziendali differenti nell’ambito di un gruppo di lavoro composto da più impiegati, abbiano da consegnare un lavoro finito per una certa scadenza.
Ognuno di loro è portatore di interessi differenti e ovviamente, ha preferenze diverse sulle modalità con cui è possibile “risolvere” un dato “compito”o “task” per usare gli inglesismi che fanno molto moda.
Nel giorno della scadenza stabilita e per rispettare obiettivi sfidanti Alice, senza dire nulla a Marco che era impegnato in altre attività, presenta all’intero gruppo di lavoro il “task” finito e costruito, in parte, ma non del tutto, con il contributo anche di Marco, che viene a conoscenza della versione finale del lavoro a cose fatte.
Marco si sente salire un pò di rabbia, quando vede scritto su una mail quello che avrebbe dovuto essere frutto anche del suo lavoro: non solo vede i fatti compiuti, ma condivide solo in parte la soluzione proposta, e in ogni caso ci sono degli aspetti dati per decisi che lo mettono in difficoltà rispetto alla sua unità di business.
Marco è arrabbiato e dentro di lui si agitano questi pensieri: sono incavolato nero, non mi ha considerato, mi ha “scavalcato”, ha deciso una cosa che non condivido e in più l’ha fatto in mia assenza senza avvisarmi.
Non posso neanche arrabbiarmi apertamente, perché si sa che in azienda i conflitti sul posto di lavoro “aperti” sono malvisti e come uno manifesta un po’ di dissenso viene tacciato di essere un polemico rompiballe.
Come potrebbe comportarsi Marco?
Esempio di gestione del conflitto sul posto di lavoro con modalità comunicative finalizzate a manipolare, cercare colpevoli, accusare, difendere, avere ragione.
M – (con tono risentito e veemenza verbale, verso Alice) Ho visto la mail… bella sorpresa… siete proprio scorretti! Non solo avete deciso la versione finale senza di me, ma in più l’avete comunicata a tutto il gruppo e vi siete venduti una cosa che ora mi mette in difficoltà con altri miei colleghi!
Il tono “risentito” è umano, ci può anche stare…ma quello che segue si chiama accusa, prima ancora di capire se abbia affettivamente dei fondamenti o meno.
A – Marco, sei sempre assente, questa è la logica conseguenza del tuo modo di fare!
Alice si sente attaccata e di istinto, invece che smussare i toni, contro-accusa il collega.
M – Ma che assente e assente, non nasconderti dietro a delle scuse perchè hai torto e sei stata scorretta! Non è la prima volta che succede. Mancava poco alla versione finale. Hai il brutto vizio di non parlare!
A – Se non ti fai trovare!
M – Ma se ero in trasferta ieri!
A – …e comunque cosa vorresti insinuare con quel “non è la prima volta che succede?” vogliamo parlare di quando due mesi fa ti sei “venduto” la scadenza senza condividerla?
Ora….potete capire che gestire i conflitti sul posto di lavoro con questo rimbalzo di attacchi e accuse reciproche potrebbe durare più o meno all’infinito.
Per ironizzare, in tre nanosecondi ogni collega ha già piazzato nella sua mente come arma di difesa tutto il Consiglio Superiore della Magistratura, con tanto di primo, secondo e terzo grado di giudizio, Cassazione compresa!
Si chiama anche “escalation of commitment” per usare un gergo psicologicamente “tecnico”.
Risoluzione finale? Animo amaro da entrambe le parti, e soprattutto, nessuno dei due probabilmente otterrà nulla di quello che realmente avrebbe voluto.
Esempio di gestione del conflitto sul posto di lavoro con modalità comunicative finalizzate a capire, esprimersi, farsi capire, rispettare il prossimo e trovare punti di incontro.
M – (con tono un po’ risentito) Ciao Alice! Ho visto lo scambio di mail e che hai presentato la versione finale del lavoro a tutto il gruppo quando non c’ero. Mi sento parecchio infastidito! Mi puoi spiegare cosa è successo?
In questo modo Marco applica l’intelligenza emotiva in 3 modi:
1 – saluta come accade fra esseri umani,
2 –manifesta il suo stato d’animo irritato che fa sempre bene, visto che reprimere le emozioni, alla lunga, fa più danni dell’uragano katrina, e non lo dico io ma la scienza,
3 -senza tirare conclusioni si attiene ai fatti che ha visto e chiede spiegazioni, per capire, prima di scegliere se permettersi di essere alterato del tutto o meno e di biasimare la collega.
A – Ciao Marco. Mi spiace vederti arrabbiato. E’ successo che ieri il Direttore ci ha chiesto entro le 16 di presentargli il lavoro proprio mentre stavamo valutando di chiedere un posticipo della scadenza di altri 3 giorni. Sono mancati i tempi tecnici sia per avvisarti prima, visto che ci hanno detto che eri fuori, sia dopo, e nel dubbio piuttosto che lasciare la cosa incompleta abbiamo preso quella che ci sembrava la decisione migliore ricordandoci anche le tue indicazioni. I modi in effetti non sono stati dei migliori ma almeno nella scelta finale ti ritrovi oppure no?
M – Ah ecco… volevo ben sperare che ci fosse una ragione valida per quello che ho visto. Diversamente, e lo specifico nel caso accada di nuovo in futuro, vorrei condividere le scelte prima e sapere quando saranno ricondivise nel team. In questo caso in effetti la decisione che avete preso mi mette in difficoltà per diversi motivi che ora ti spiego (…) come possiamo venirne fuori? Mi aiutate?
A – Si si tranquillo, a parte che non è da me, in ogni caso certo che condividerò le scelte future prima di presentarle a tutti qualora non ci fossi. Tu però le prossime volte, se dovessi sapere che a ridosso di una scadenza ti mandano fuori per lavoro, ci avvisi prima?
M – Ok sarà fatto. Anche io preso dalla fretta proprio mi sono dimenticato.. scusami. Quindi come ne veniamo fuori? Io ho questo problema adesso (…)
A– Beh credo che ci siano tempi e margini per rivedere la cosa!
Alice utilizza l’intelligenza emotiva nella gestione del conflitto lavorativo in questi modi:
1 – saluta;
2 – esprime dispiacere per il collega che vede risentito, con empatia;
3 – chiede se la soluzione individuata è condivisibile;
4 – chiede al collega per il futuro, di avvisare qualora fosse assente, usando quindi la sua assertività.
Marco a sua volta: esprime chiaramente la sua difficoltà e la necessità di trovare una soluzione, si prende l’impegno di avvisare qualora debba assentarsi vicino ad una scadenza, ed esprime cosa vorrebbe per se in futuro.
Nella tua quotidianità quante volte la gestione dei conflitti sul posto di lavoro assomiglia al primo caso e quante volte al secondo?
Quante volte “prendi la tangente” di fronte ad una situazione mal digerita e quante volte invece ti prendi del tempo per capire, prima di scegliere la riposta più opportuna usando la tua assertività?
La possibilità di scegliere la risposta di fronte ad una situazione di conflitto, prende il nome di proattività, ed è un concetto introdotto da V. Frankl, che ha condotto molteplici studi sul senso di scopo delle persone.
Reagire significa non interporre alcuna consapevolezza fra uno stimolo esterno e il nostro comportamento, rispondere significa invece prendere consapevolezza di quello che accade al nostro interno ed indirizzarlo con assertività in modo utile rispetto all’obiettivo che ci poniamo.
Farlo significa rafforzare la propria leadership, ossia la consapevolezza e padronanza di sè stessi. Qualora l’obiettivo di una conversazione sia litigare con i colleghi in modo fine a se stesso allora la modalità n° 1 è quella giusta.
Qualora l’obiettivo invece sia trovare soluzioni condivise e ridefinire comportamenti accettabili per entrambe le parti in futuro, la modalità n° 2 è quella più adatta da seguire.
Qualora invece, dopo aver raccolto il punto di vista dell’altro ti trovi di fronte ad una vera e propria scorrettezza ingiustificabile ai tuoi occhi, considera che:
a – possono esserci colleghi che per differenti ragioni e motivi, vivono di bassezze. In questo caso intanto puoi avere una fortuna magari: non assomigliargli;
b – inoltre, quando hai a che fare con colleghi che deliberatamente fanno cose a danno altrui, o per metterti in cattiva luce, o per affermare se stessi, o per screditarti, tieni a mente che il problema è loro: quasi sempre soffrono di insicurezza cronica con un ego pari ad una mongolfiera, ed hanno bisogno di sminuire gli altri per emergere.
In questo senso, sempre a proposito di vivere per se stessi un tempo di qualità, prima di dare eccessiva importanza a questo tipo di colleghi e quello che fanno, ti ricordo che nell’articolo “Un giorno lo farò: il tempo ti è nemico? Parte I” ti ho parlato di investire il tempo in funzione del tuo scopo e dei tuoi principi.
Di conseguenza il tempo da dedicare a queste persone tossiche è bene che si riduca all’osso. Puoi sempre scegliere di averci a che fare per il tempo che è imposto dal contesto, ma nulla di più.
E poi lasciarti alle spalle la rabbia e il senso di sconfitta che a volte l’esito di questi conflitti sul posto di lavoro può generare.
Inoltre, se vivi in funzione dei tuoi principi guida, disponi di una bussola interna che ti conferisce sicurezza interiore e ti indirizza nelle scelte, ed è corretto che sia l’unico riferimento rispetto al quale misurarti, piuttosto che preoccuparti della figura da stupido che magari qualcuno ci tiene tanto a farti fare…la summa di questo pensiero è resa bene da questa celebre frase dei Beatles da tenere a mente di fronte a colleghi poco corretti:
[Tweet ““Live and let die”- cit. Beatles”]
In sintesi ti ho parlato di due modi di affrontare i conflitti sul posto di lavoro rispetto all’obiettivo di trovare punti di accordo: uno più utile ed uno non utile.
Ti ho quindi parlato della differenza fra la reattività e la capacità di risposta intesa come proattività: in questi casi le differenze fra uomini e donne non hanno alcuna relazione con la maggiore o minore padronanza di queste softskills!
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Federica Crudeli

L’EMPATIA È UOMO O DONNA? SCOPRILO E USALA
Ciao e Benvenuto a Lavorare col Sorriso!
In questo articolo ti parlo di empatia, uno degli aspetti dell’intelligenza emotiva che ti aiuta nella crescita personale e professionale: cosa è, a cosa ti serve, come puoi imparare a svilupparla per gestire efficacemente i tuoi rapporti lavorativi e Lavorare col Sorriso!
Come ti ho già detto nel mio articolo introduttivo di Lavorare col Sorriso “Rapporti con i colleghi: 7 modi per farsi odiare” è affidata anche a te la buona riuscita o meno dei tuoi rapporti tra colleghi, e uno dei mezzi utilizzabili è appunto l’empatia.
[Tweet “”Solo perché emetti suoni nella mia direzione non significa che stai comunicando” cit. D. Gordon”]
Sviluppare una maggiore empatia è fondamentale, che tu sia un capo o un collaboratore di qualcuno, che tu sia uomo o donna.
L’empatia, in sintesi, è la capacità di guardare alle situazioni anche dal punto di vista dell’altro.
A dispetto delle gerarchie organizzative, infatti, i colleghi uomini/donne fanno cose per i loro motivi, non per i tuoi: comprendere quindi cosa può muovere un collega e/o collaboratore a fare o meno una determinata attività, mettendoti nei suoi “panni”con empatia, è l’atteggiamento più efficace da adottare.
Nel mio articolo dedicato alle differenze fra uomini e donne ti ho già parlato del fatto che gli uomini sono più orientati “al compito” e le donne “alla relazione”.
Quindi a proposito di empatia, continuo a parlare di queste differenze ispirandomi in parte e liberamente al testo di Jhon Gray “How to get what you want in the workplace” per precisare meglio quelle esistenti fra uomini e donne.
Mentre gli uomini generalmente comunicano all’unico scopo di risolvere un problema e/o portare a termine una attività, le donne comunicano anche per altri tre motivi: per dare e ricevere supporto emozionale, per alleviare tensioni e stress, per analizzare meglio un problema.
Capire questa differenza è un presupposto per disporre di una chiave di lettura del comportamento per migliorare l’empatia.
Vediamoli singolarmente.
Un’espressione quale “che giornata faticosa, non so se riesco a fare tutto quanto” per una donna è un modo di esprimere il suo stato emotivo e non ha alcuna finalità di biasimo (verso chi l’ha eventualmente “caricata di lavoro”) o di richiesta di aiuto (aspettativa che qualcuno la renda meno faticosa).
E’ solo un modo di alleviare la tensione e ricercare supporto condividendo uno stato emotivo negativo. Tipicamente, una collega donna fornirà il suo supporto con un “eh ti capisco, è una giornata lunga” , diversamente un uomo tenderà a minimizzare lo stress dicendo “ho visto di molto peggio”.
La differenza fra le due riposte è che la prima, per una donna significa implicitamente “vedo che esisti, ti capisco e rispetto il tuo stato d’animo”, diversamente nel secondo caso la riposta appare come un modo spicciativo per liquidare la questione e che tra l’ altro non produce, dal punto di vista della donna, alcuna visione positiva come invece sarebbe nell’intenzione dell’uomo.
Le donne attraverso l’espressione del loro vissuto alleviano la loro tensione, prima ingigantendo un problema, poi relativizzandolo attraverso il dialogo, per arrivare a rendersi conto, nel parlare, che la questione magari non era così importante come sembrava.
Un collega uomo legge questo “stra-parlare” come un tentativo di esonerarsi dal fare una cosa, un cercare scuse, un sottintendere “è troppo faticoso quindi non lo faccio”.
Anche un collega uomo può nutrire delle insicurezze rispetto al sapere fare o meno una cosa, o all’avere abbastanza tempo a disposizione, ma non lo manifesta.
Pensa internamente a sè quale soluzione può mettere in campo ed agisce. Questo processo solleva la tensione di un uomo rispetto ad un problema.
Lo stesso sollievo invece, una donna lo trova esprimendosi. Infatti, generalmente un uomo ha già chiaro quello che vuole dire prima di parlare, mentre una donna, generalmente inizia a parlare per poi scoprire gradualmente quanto vuole dire e per analizzare un problema.
Come possono quindi uomini e donne sul lavoro migliorare la loro empatia? Iniziando a comprendere i motivi che sottendono i reciproci comportamenti per inquadrarli nel giusto modo.
Quindi come prima cosa ti chiedo di ripensare al tuo vissuto lavorativo e di verificare se effettivamente ti ritrovi in questa descrizione e poi, da subito, di cominciare a porti rispetto all’altro sesso in modo differente, ora che conosci le motivazioni di fondo che giustificano queste differenze.
Ovvio che questi comportamenti valgono in media e generalmente: nulla esclude che ci siano donne con una forte componente di mascolinità che parlano solo per trattare uno specifico problema senza alcuna divagazione, e viceversa uomini con uno spiccato lato femminile che divagano rispetto alla trattazione di un tema condividendo un proprio sentire del momento.
Saper usare l’empatia significa tenere conto di queste differenze in modo da comunicare efficacemente.
Inoltre tutti i più recenti studi sulle neuroscienze e la scoperta dei neuroni specchio dimostrano che la “natura” o “diversità biologica” influenza solo in parte la nostra capacità di usare l’empatia, il cui sviluppo è comunque condizionato dall’educazione ricevuta e dall’ambiente esterno e sociale. (Qualora poi volessi approfondire la scoperta dei neuroni specchio ti consiglio il libro “So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio ” di Giacomo Rizzolati e Corrado Sinigaglia).
A questo proposito personalmente penso ad esempio, che la tendenza degli uomini a non manifestare le emozioni come fa una donna più naturalmente, sia legata alla cristallizzazione nel tempo del concetto dell’uomo Denim che non deve chiedere mai. Anche gli uomini vivono delle emozioni internamente, che per cultura e per la necessità di mantenere lo status di “forti” puntualmente nascondono o reprimono.
Poi, a prescindere dal tuo sesso, immaginati in una giornata particolarmente felice per qualche motivo: sei entusiasta, contento e magari muori anche dalla voglia di esternare quello che ti rende così contento, a qualcuno, o semplicemente, vorresti conservare questo tuo stato di grazia magari anche un po’ con la testa leggera leggera per aria. Ti si avvicina alla scrivania un capo/collega per parlarti di un compito congiunto che dovete portare a termine. La scena si svolge più o meno così:
“(senza saluti né nulla… ) avevamo da finire entro oggi quell’incarico. Vieni con me di là un attimo!”
Tu nel frattempo sei lì con la tua fibrillazione interiore di gioia e vorresti che qualcuno almeno ti dica almeno “wow che espressione soddisfatta che hai” .
Nulla di tutto questo. Il tuo collega ti ha rivolto un ciao a malapena e del tutto indifferente attaccata a parlarti di numeri, dati, cose da fare, Tizio che ha detto così poi fatto colà, l’altro che ha ritardato l’invio dei documenti che vi servono, e parla come un treno che va ai 400 km orari riempiendoti di sacchettini di parole senza sosta.
Eppure i treni ogni tanto la fanno una fermata, pensi dentro di te. Neanche i rapper professionisti parlano a quella velocità. Ma nulla. Tutto lo sproloquio, magari anche con un tono triste o monotono se non incazzoso finisce con un “ora fai questo!”.
Nel frattempo quasi divaghi con la testa ricavandoti un angolo di pace in mezzo a tutto quel parlare, sperando che termini il prima possibile.
Ecco, possiamo dire che questo è il contrario dell’empatia, ossia la capacità di entrare in sintonia con un’altra persona o di mettersi “nei suoi panni”. Io direi anche cecità emotiva, se possibile.
Le cose peggiorano notevolmente se, invece che trovarti in uno stato di grazia, fossi invece profondamente triste per qualche motivo, o preoccupato, e quindi, con poche energie e poca voglia di aprirti al mondo e interagire col prossimo.
In questo secondo caso magari ti aspetteresti, da un altro essere umano almeno un “tutto ok? Ti vedo strano/triste/silenzioso” o più genericamente una qualsiasi forma di genuina e umana attenzione per la tua persona tipo un semplice “ciao”…
Una parte di te magari pensa pure “sai a me quanto me ne frega dei tuoi dati e bla bla bla con questo pensiero martellante che ho nella testa che non mi da pace ben più importante di quanto mi stai dicendo”.
Ti è mai successo? Che sensazione hai provato?
Oppure sei tu uno di quelli che a prescindere da chi hai di fronte, fai sempre il rapper sul treno ai 400 km l’ora da tanto che sei fissato con i tuoi compiti/obiettivi/scadenze vedendo solo e soltanto te stesso e le tue incombenze?
Riconoscere gli stati d’animo altrui dagli indizi non verbali è sicuramente un punto di partenza per instaurare una comunicazione efficace usando l’empatia.
La postura, lo sguardo assente/presente, il tono di voce, l’espressione del viso, la respirazione bloccata come se uno stesse in apnea, o veloce come se avesse fatto un ironman al cardiopalma, il tipo di linguaggio usato, sono tutti elementi che entrano in gioco nella comunicazione sul lavoro e sono un termometro del tipo di scambio che è più o meno opportuno avviare, per un collega che, dotato di empatia, sappia appunto usare le circostanze a suo favore dopo averle osservate.
Quanto sei allenato a notarli? Tanto? Poco? Per nulla?
Quando li noti? Sempre, mai, occasionalmente?
Li noti poco sugli altri o anche su te stesso, cioè fai fatica a riconoscerti stati d’animo differenti di felicità, entusiasmo, gioia, rabbia, tristezza, paura, e annesse manifestazioni usuali nel mondo esterno, perché sul lavoro devi essere una macchina produttiva senza intoppi perciò tutto quanto entra nel campo della tua consapevolezza lo rifuggi per essere performante?
Quanto sei capace di esprimere i tuoi stati d’animo, senza soffocarli ma anche senza soffocare/travolgere un altro collega?
Un buon modo per migliorare l’empatia è, qualora anche tu abbia difficoltà con te stesso, iniziare a prestare attenzione al tuo linguaggio non verbale e alla tua vita emotiva. E’ un po’ difficile poterlo notare negli altri quando non siamo capaci ad osservarlo in noi stessi.
Come si fa? Osservati. Ascoltati. Senza giudizio rispetto ai tuoi vissuti emotivi e cognitivi. Spesso il censore interno che abbiamo, soprattutto se il nostro vissuto è negativo, tende a dirci “no, ma così non si fa, così non ci si fa vedere di fronte agli altri, così non sta bene” etc.. Il risultato finale? Si rischia di diventare delle foglie morte senza linfa. Ci si spegne.
Premesso questo, per “creare” rapporti lavorativi efficaci col prossimo usando l’empatia, è appunto importante considerare che questo prossimo esiste, è umano come te, ha gioie/difficoltà come te e magari ha bisogno di sentirsi “visto” prima di essere oggetto di “rapperaggio spinto”, romanticamente o aggressivamente connotato che sia.
L’uso dell’empatia consente di creare un clima di fiducia, apertura e reciproca comprensione ed è presupposto basilare per una comunicazione efficace.
Vuoi allenarti ad entrare in empatia con i colleghi? Allenati ad osservare gli altri in generale.
Tutti i momenti sono buoni: in attesa davanti alla fermata del treno, bus, metropolitana, in coda alle poste, al supermercato, invece che tenere la testa impiantata dentro al tuo smartphone, osserva gli altri e il loro modo di parlare, la postura fisica, lo sguardo, l’espressione, improvvisamente ti renderai conto di far parte di un mondo che non necessariamente è rinchiuso nei profili facebook o instagram delle persone. Dal vivo c’è il sonoro! E’ più interessante!
Per quanto mi riguarda, ad esempio, pur considerandomi una persona dotata di empatia, ho fatto comunque questo esercizio, soprattutto per impegnare i momenti di attesa che consideravo come “tempi morti” finchè un coach uomo (vedi vedi che anche gli uomini badano a queste cose) mi ha suggerito ironicamente come potevo sfruttarli, con la freddura “perché, per te esistono i tempi vivi e i tempi morti, oppure i tempi che consideri morti puoi farli vivere in qualche modo?”.
Ovvero potevo “ammazzare” quella che per me era la noia mortale delle attese, in momenti di “sperimentazione” , “osservazione” e “allenamento” all’empatia. Rafforzare la sensibilità ad osservare e riconoscere il linguaggio non verbale degli altri mi è servito molto. E nella vita in generale.
Una volta che hai acquisito una maggiore capacità tanto di leggere meglio te stesso quanto gli altri, cosa ci fai?
Usi questa tua capacità per costruire relazioni più efficaci, dosando l’espressione della tua emotività, delle parole che usi e il momento adatto per parlare considerando anche l’altra persona nella tua conversazione non come un soprammobile che è lì per rispondere a dei comandi, ma come un umano.
Anche semplicemente proporre una idea o iniziativa o affrontare una discussione quando l’altro non è presente a sufficienza se non addirittura indisponibile, è controproducente sia per te, che corri un elevato rischio di non ottenere il tuo obiettivo, che per l’altra persona che magari ti archivia nella RAM della sua memoria come persona sgradevole con cui avere a che fare e senza empatia. Poi non lamentarti se i colleghi ti scansano!
[Tweet ““Sono umano, e niente che sia umano mi è estraneo”. cit. Erich Fromm”]
Ricapitolando ti ho spiegato la differenza fra i motivi per i quali in genere uomini e donne comunicano sul lavoro, cosa è l’empatia in modo pratico, ti ho dato spunti di riflessone per imparare a guardare meglio a te stesso, ti ho detto che l’avere empatia non dipende dalla tua diversità biologica di uomo e donna, ma più da fattori culturali/educativi/ambientali e ti ho dato un primo esempio pratico per allenarti ad osservare gli altri per costruire una modalità comunicativa empatica efficace.
Tornerò ancora sul tema dell’empatia, del linguaggio non verbale e delle modalità con cui sviluppare o affinare le tue capacità di utilizzare l’empatia a tuo vantaggio.
Nel frattempo lasciami un commento e dimmi quali riflessioni hai fatto o quale argomento vorresti fosse trattato o approfondito.
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Federica Crudeli
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DIFFERENZE FRA UOMINI E DONNE. CAPIRLE TI AIUTA
Ciao e benvenuto a Lavorarecolsorriso!
Questo è il primo articolo introduttivo sul tema: uomini e donne sul lavoro e le differenze, ed è, in parte, liberamente ispirato dal testo “How to get what you want in the workplace” di Jhon Gray (link di affiliazione).
Immagino che tu, uomo o donna, abbia riconosciuto nella tua esperienza una significativa differenza nel modo di approcciare la vita in generale rispetto a persone dell’altro sesso… e qui le battute potrebbero sprecarsi come nel celebre film “La guerra dei Roses” … ma non è mia intenzione fomentare l’idea che questa diversità sia dannosa.
Conoscere queste differenze credo che contribuisca a Lavorare col Sorriso piuttosto che adombrarsi spendendo tempo prezioso dietro ad incomprensioni inutili o riponendo l’uno nell’altro aspettative che puntualmente potrebbero essere disattese.
Aspettative che peraltro, in genere, non sono limitate solo all’ambito lavorativo ma anche al di fuori. Quindi conoscerle ti sarà di aiuto anche al di fuori del contesto lavorativo.
Parto con una premessa doverosa: in teoria, sul posto di lavoro, si viene assunti per dare il meglio di se, perché si è valutati come candidati idonei a ricoprire certe mansioni, e non perché si è simpatici.
Quindi la prima domanda che ti faccio, che tu sia uomo o donna, è: quanto è importante per te risultare per forza simpatico a tutti sul posto di lavoro?
Vivi cercando di riscuotere sempre simpatia fra i colleghi? Quanto ti infastidisce sapere che con qualcuno, malgrado tanti sforzi e tentativi proprio non riesci a trovare la chiave per entrare in sintonia?
Se si, hai da domandarti come mai ti interessi tanto. E a questo proposito nella categoria di articoli dedicati alla consapevolezza e gestione di sè pubblicherò articoli che ti aiuteranno a fare i conti con questo e altri temi e a prendere le misure più opportune per te (nel frattempo puoi cominciare con il leggerti l’articolo “Benessere in ufficio: questo sconosciuto? 5 risposte” e l’articolo “Manager o Leader? Quale tipo sei?” )
Altra doverosa premessa è che sul posto di lavoro, le persone non hanno un interesse personale nei tuoi confronti.
Pensa a quando qualcuno all’ultimo minuto ha disertato ad una riunione così importante per un tuo progetto causandoti problemi, o a quando qualcuno non ti ha mandato dei documenti in tempo per rispettare una scadenza importante, o a quando qualcuno è insistente per ottenere da te una cosa che è molto in contrasto con qualcosa d’altro che sai benissimo di non poter fare.
[distance1]
Uomini e donne, sul lavoro, fanno cose per i loro motivi.
E non necessariamente i loro “buoni motivi” possono coincidere con i tuoi.
Anzi, spesso può accadere che perseguire questi loro “buoni motivi” abbia una ricaduta negativa su di te e il tuo lavoro, ma solo come conseguenza del tutto incidentale, non come volontà premeditata di nuocerti.
…Semplicemente un collega ha pensato a se stesso, a quello che doveva fare e non ha pensato neanche per un secondo a come, quello che stava facendo, avrebbe potuto nuocerti in termini lavorativi.
Ci hai mai pensato? Oppure tendi a personalizzare tutti i comportamenti da parte degli altri come atti volutamente compiuti per nuocere a te o screditarti o farti fare brutta figura?
Intanto diciamo che se tu cominci a pensare appunto che uomini e donne, sul lavoro, fanne le cose in funzione di un loro interesse e con una intenzione positiva, a prescindere che ciò sia vero o meno, cominci a vedere e vivere diversamente molte cose. Comincia subito!
Lo so che stai pensando che esistono uomini e donne che invece fanno le cose proprio col proposito di nuocerti, ma ti invito a fare una riflessione.
Pensa a tutti i tuoi colleghi e a tutte le volte che hanno fatto qualcosa che ti ha generato “grane”. In quanti casi e quante di queste persone pensi che abbiano avuto un reale interesse “a farti del male, screditarti, metterti in cattiva luce”?
Riesci ad individuare, mettendoti dal loro punto di vista, dei motivi validi che potrebbero aver indotto un comportamento che, a cascata, si è ripercosso su di te in senso negativo?
Magari il non darti un documento nei tempi utili per te, dal punto di vista dell’altro, era legato alla volontà/dovere di condividerne il contenuto con il suo superiore che però, essendo fuori in trasferta o preso da altre urgenze, glielo ha consentito una settimana dopo.
Avere messo a fuoco questa cosa ti aiuta a Lavorarecolsorriso o no?
Qualora tu poi abbia a che fare con uomini e donne che invece, di proposito, adottano comportamenti poco corretti, ( e ci credo che ne esistano a bizzeffe…) nella categoria di articoli dedicata ai rapporti lavorativi con capi, colleghi, collaboratori approfondirò anche il tema della gestione dei rapporti con personalità particolarmente resistenti, partendo con la riflessione “Rapporti fra colleghi: 7 modi per farsi odiare. Quanto ci metti del tuo?” per introdurti al tema dell’intelligenza emotiva e di come il saperla utilizzare e sviluppare può semplificarti la vita e sia importante anche per le tue ambizioni di crescita professionale.
Veniamo al dunque, quale è una delle principali differenze fra uomini e donne sul lavoro?
Millenni di evoluzione non hanno cambiato una differenza fondamentale fra i due sessi che ancora oggi, seppure in modo molto diverso, persiste, e che continua puntualmente ad esse ignorata con tutte le conseguenze del caso. L’uomo era cacciatore, focalizzato sul procacciarsi il cibo per se e la famiglia, mentre la donna si occupava della crescita dei figli, di tutte le attività domestiche e molte altre attività.
Ancora oggi quindi, gli uomini sono più orientati al “compito” le donne, invece, alla “relazione”. Generalmente gli uomini sono più stabili emotivamente, usano meno parole, le donne invece sono più emotive, comprensive, empatiche e “chiacchierone”.
Gli uomini usano la comunicazione principalmente per risolvere problemi, svolgere una attività assegnata, ottenere informazioni finalizzate ad uno scopo. Fanno una cosa alla volta.
Mentre le donne ne fanno 10 contemporaneamente. Generalmente poi gli uomini si considerano tanto più competenti quanto meno parole riescono ad utilizzare per esprimere un determinato “punto”.
Può accadere che un uomo parli molto, ma solitamente, quando la fa, lo fa in modo che ogni parola spesa sia necessaria e focalizzata, essenziale, e in sequenza lineare per formulare una conclusione logica.
Le donne tendono a comunicare sia per risolvere i problemi, ma che per minimizzare lo stress, sentirsi meglio, alleviate da un peso, creando legami emozionali per rafforzare le relazioni così come stimolare la creatività.
Spesso il modo di comunicare di una donna può dare l’impressione ad un uomo che essa dubiti delle sue capacità nel dimostrarsi aperta anche ad altri punti di vista.
L’inclinazione della donna ad entrare in relazione empatica, spesso può essere letta da un uomo come una ricerca di approvazione, indicatore di insicurezza, mentre invece è legata alla volontà femminile di ricercare sostegno empatico, e consenso.
Difatti, quando una donna va direttamente a trattare “il cuore” di una questione generalmente è l’indicazione che non stima/rispetta abbastanza quell’uomo al punto da voler creare un rapporto “amichevole”, mentre al contrario, la tendenza naturale dell’uomo a focalizzarsi in modo coinciso e sbrigativo senza troppe parole su una questione, non necessariamente implica che non stimi o sia arrabbiato con una donna. Gli uomini tendono a minimizzare i problemi per alleviare lo stress, le donne invece tendono a “fomentarlo” per poi trovare sollievo nell’espressione dei loro sentimenti ed emozioni.
Cosa ne dici, questa prima differenza ti fornisce una chiave di lettura utile per tutte le volte che, in quanto donna, ti sei sentita “messa da parte” da un collega che è andato dritto al punto?
E tu, in quanto uomo, puoi iniziare a dubitare meno della sicurezza di una tua collega, ora che sai che gli orientamenti comportamentali naturali dell’uno e dell’altro sono così diversi?
Saperlo ti aiuta a pensare che puoi migliorare la qualità dei tuoi 8 tempi lavorativi e non?
Pensi che, date queste differenze, i ruoli di potere siano una prerogativa di uno dei due sessi in particolare?
Ti è stato utile questo articolo?
Tu quali differenze percepisci in modo più evidente nell’affrontare il lavoro, fra uomini e donne?
Mi piacerebbe conoscere la tua opinione al riguardo.. lasciami i tuoi commenti!
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