
DI SONNO, RIPARTENZE E ABITUDINI
Riprendere le abitudini post vacanze e col cambio di stagione: perché cambiare abitudini a volte è difficile. Sfatiamo il mito di alzarsi alle 5.
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COME GESTISCI I TUOI 8 TEMPI NEGLI 86.400 SECONDI DI OGNI GIORNO?
Ciao e Benvenuto a Lavorare col Sorriso!
A proposito di gestione del tempo sul lavoro: hai 86.400 secondi ogni giorno che nessuno ti restituirà! Scopri cosa sono gli 8 tempi e cosa è il “tempo dei tempi” : un viaggio per aumentare la qualità del tuo tempo, lavorativo e non, e per abbattere lo stress attraverso tecniche che renderanno la tua vita decisamente migliore!
[Tweet “Se volete sentirvi ricchi, contate le cose che avete e che i soldi non possono comprare.” – cit. A. De Carlo”]
Ipotizziamo che tu lavori anche solo 8 ore al giorno, ben 28.880 minimo, in media, li impieghi lavorando, ossia il 50% del tuo tempo “da sveglio”.
Estendendo il concetto ad una intera vita o quasi, tu passi al lavoro il 50% della TUA VITA per guadagnarti i soldi che ti servono per vivere il resto degli 8 tempi (come minimo) che hai a disposizione.
Pensi che valga la pena scoprire dei modi per gestire il tempo lavorativo al meglio?
Pensi che valga la pena vivere un tempo “di qualità”?
O preferisci restare affogato di stress, nervoso, ansia da competizione e perfezione che ti trascini dietro da giornate impegnative fra meeting, discussioni andate a buon fine e anche no, scadenze impellenti, colleghi difficili, capi troppo esigenti o assenti, clienti snervanti, fornitori “furbi”?
E di tutti gli altri tempi, cosa ne fai? Come è la gestione dei tuoi tempi?
Di quali tempi parlo?
Parlo del restante 50% di tempo “da sveglio” che ti resta dopo una giornata di lavoro: come lo impieghi e con che livello di energia?
Gestione del tempo 2 – Spostamenti
Hai da gestire il tempo per gli spostamenti casa – lavoro, l’abbonamento al treno, alla metropolitana, al bus, la benzina dell’auto, l’assicurazione.
Gestione del tempo 3 – La casa
Hai da gestire il tempo per curare la casa, l’affitto, il mutuo, il condominio da pagare, le bollette, i tuoi coinquilini se condividi un appartamento…
Gestione del tempo 4 – Il denaro
Magari ti serve del tempo anche per pensare ai tuoi risparmi, se li hai, o a come metterti da parte dei soldi, se ancora non ne hai risparmiati.
O comunque ti serve tempo per pensare a come fare più soldi possibile se il modo che adotti adesso non ti è sufficiente per la qualità che vorresti per la tua vita. Ti serve tempo per pensare a come diventare multimiliardario!
Gestione del tempo 5 – Hobby e passioni
Poi magari avresti bisogno anche del tempo per seguire le tue passioni o degli hobby: quel corso che ami tanto, quel viaggio che vorresti fare, quel sogno nel cassetto che ti proponi di realizzare.
Oppure parliamo di preistoria, nel senso che praticamente non hai mai tempo per fare alcuna di queste cose, i tuoi sogni sono ammuffiti in mezzo a tante scartoffie dimenticate magari… oppure rimandi, rimandi sempre al giorno che avrai più tempo per fare queste cose.
Gestione del tempo 6 – Svago
Poi magari ti serve tempo per uscire a svagarti senza troppi pensieri o responsabilità con gli amici: partite, cinema, teatro, concerti, una bevuta al pub, una serata a cena. Anche questo è un altro tempo da gestire.
Gestione del Tempo 7 – Famigliari
Poi magari hai anche una famiglia a cui pensare: un partner, dei figli tuoi o “ereditati”, cani, gatti, un giardino con tutta la necessità di impegno che ne consegue…
Dopo una giornata di lavoro scapperesti da solo sulle cime dell’everest o su una spiaggia deserta piuttosto che dover gestire tutti questi rapporti, o piuttosto sono il tuo porto di salvezza?
E se lo sono, la qualità del tempo che gli dedichi come è?
Gestione del tempo 8 – Salute
E cosa ne dici? Della tua salute ne vogliamo parlare?
Magari ogni tanto hai bisogno di tempo anche per andare dal dentista, o fare una visita specialistica per un problemino o problemone, prenderti cura di te stesso, della tua schiena, che in media è quella che soffre di più per chi lavora seduto molte ore.
E magari ti serve il tempo per cercare un medico di fiducia, prendere l’appuntamento, e poi andare a farti visitare.
Che poi, quando esci dall’ufficio alla sera ti senti carico per affrontare il resto del tempo o ti senti come una pila usata?
Fermati a riflettere un attimo: hai il 50% del tuo tempo, in media, impegnato SOLO nel tuo lavoro (sempre se tutto va bene, perché se poi invece che 8 ore ne devi lavorare 10-12 la situazione cambia) per fare i soldi che spenderai nel restante 50% dei tuoi almeno altri 8 differenti tempi di vita per fare tutte le cose che vuoi/devi/puoi fare.
Sei ancora convinto che non valga la pena occuparti della gestione del tempo, lavorativo in particolare?
O di quanto e come tralasci o vivi tutto il resto del tempo?
INIZIA DA QUESTI ARTICOLI a valutare in base a quali criteri è bene gestire il tuo tempo! Sicuramente è modo per guardare al tempo un pò diverso dal solito, ma che credo costituisca il pilastro su cui possono poi innestarsi le tecniche/strumenti per la gestione del tempo sul lavoro.
Cosa è il “tempo dei tempi” o “padre di tutti i tempi”? In questi due articoli: “Un giorno lo farò: il tempo ti è nemico?” Parte I e Parte II ti parlo della gestione del tempo sul lavoro a partire da un approccio particolare per guidarti a scoprire quale dovrebbe essere per te il criterio principale in base al quale “ordinare” le priorità della tua vita, e conseguentemente, anche la gestione del tempo al lavoro e in tutti gli altri ambiti. Inoltre ti guido in una riflessione per capire come guadagnare tempo e risparmiare stress presupponga un cambio di approccio al lavoro, focalizzando l’attenzione su te stesso piuttosto che su tutto quello che ti circonda.
In questo articolo invece “Motivazione sotto ai piedi appena sveglio?Riportala su” ti parlo di altri 2 criteri per orientare la gestione del tempo sul lavoro: la motivazione intrinseca ed estrinseca. Conoscerle permette di dare differenti priorità al tempo che impieghi sul lavoro e l’investimento di energie che è più o meno opportuno fare per vivere una vita qualitativamente migliore.
In questo articolo “Carriera lavorativa: potere è piacere? Come capirlo” ti guido a riflettere su un altro criterio che è importante per dare una priorità al tempo che vivi sul lavoro. Il corpo è la sede del piacere. Ascoltarlo significa anche capire quale mix di potere è piacere è migliore per te in modo da investire bene il tuo tempo.
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In questo articolo “Riunioni fiume: come gestire il tempo efficacemente” invece ti parlo ironicamente di 9 regole che dovrebbero essere seguite nella organizzazione/conduzione delle riunioni per evitare sprechi immensi di tempo. Se lavori in azienda sicuramente avrai avuto modo di assistere ad una dispersione del tempo che con qualche piccolo accorgimento può essere arginata.
Seguimi ancora nei miei articoli, ti fornirò tecniche/strumenti per l’organizzazione della tua giornata lavorativa e spunti utili ad affrontare la tua vita lavorativa per migliorarla e renderla “qualitativamente migliore”, a districarti fra incombenze, dubbi, priorità confuse, decisioni difficili, aiutandoti a fare ordine nel tempo che hai a disposizione per la tua vita.
Inoltre quanto più utilizzerai gli strumenti che ti fornirò per aumentare la consapevolezza di te stesso, tanto più aumenterà la tua velocità di decisione per raggiungere i tuoi obiettivi.
Tanto più migliorerai la tua efficacia nella gestione dei rapporti lavorativi, anche con un occhio di riguardo alle differenze fra uomini e donne, tanto migliore sarà la qualità del tuo tempo; tanto più sarai aperto al cambiamento, tanto più percepirai il tuo tempo come un tempo di valore.
Hai trovato interessante quanto ho scritto?
Ti suggerisce qualche riflessione su come spendi il tuo tempo?
Lasciami i tuoi commenti qui sotto e fammi conoscere la tua opinione.
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Grazie!
Federica Crudeli
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COLLEGHI DIFFICILI: I “FALSI”. COSA FARE?
Ciao e Bentornato a Lavorare col sorriso!
Dopo la pausa estiva che sono sicura ti abbia “rigenerato” riparto subito a “bomba” parlando di come gestire i rapporti con una particolare tipologia di colleghi difficili: i melliflui o adulatori, voltafaccia, voltagabbana, o lingua felpata che dir si voglia. Chi sono? Come puoi gestirli?
[Tweet ““ Meglio i corvi che gli adulatori: gli uni divorano i cadaveri, gli altri i vivi” – cit. Antistene“]Molti lettori del blog, al rientro dalle ferie, hanno ripreso la vita d’ufficio quotidiana avvertendo subito un potente contrasto fra la serenità legata al godere della compagnia di persone che si sono scelti durante le ferie e l’obbligo di rapportarsi, una volta rientrati in ufficio, con alcune tipologie di colleghi difficili.
Un po’ come passare dal fare un bagno nell’acqua mite del Mar Mediterraneo all’acqua ghiacciata dell’oceano Pacifico.
Beh… intanto chi sono i capi/colleghi uomini/donne difficili e falsi/melliflui?
Da dizionario il mellifluo è colui che “esprime gentilezza affettata, manierata, falsamente dolce e cortese”.
Volendone descrivere le peculiarità con una buona dose immaginaria di ironia caricaturale e a tratti grottesca, ecco una possibile caratterizzazione di questa tipologia di colleghi difficili:
- sorridono sempre quando ti incontrano e sono sempre gentili a parole, in media, anche dopo che ti hanno fatto una carognata. Il loro sorriso è spontaneo come potrebbe esserlo il sorriso di un mezzo busto della TV che in diretta tenta di fare l’indifferente mentre qualcuno gli pesta i piedi con un martello;
- se sbagliano (magari a danno tuo o altrui), non ammettono mai di aver fatto un errore, quanto piuttosto fanno completamente finta di nulla e bypassano in pieno l’argomento durante le conversazioni. Se possono non solo non ammettono l’errore ma dissimulano argomentando l’accaduto in modo tale che quasi quasi sia colpa altrui;
- generalmente affrontano le dissidie o i disaccordi fisiologici nei rapporti lavorativi in modo scivoloso come le saponette: è difficile metterli alle strette ad affrontare una questione “di petto” e con franchezza. Altrettanto difficile è risolverla girandoci a lungo ed intorno: tentano sempre di ricondurre i confronti a miti consigli e difficilmente manifestano apertamente la loro intera posizione/pensiero. Piuttosto di fronte a te fingono di capire, accettare, confrontarsi, mettersi in discussione poi tornano a fare esattamente come prima. Magari attraverso comportamenti reiterati ti boicottano in modo sottile, apparentemente distratto e casuale. In questo modo tu non ti senti mai nella posizione di poter dire che hai subito “uno sgarbo”;
- si sentono anche, generalmente, intellettualmente superiori agli altri e quindi dall’alto della loro posizione scrutano i colleghi come se fossero esseri inferiori, trattandoli con aria di sufficienza. Magari fanno la stessa attività da molti anni e pertanto si sentono i detentori della verità assoluta su una materia. Magari mancano di umiltà nel non rendersi conto di quanto poco padroneggino molte altre competenze;[/li-row][li-row]sentendosi superiori, in genere hanno quindi la preferenza a relazionarsi con colleghi di livello gerarchicamente superiore. Se una cosa la dici tu ti snobbano, se la stessa cosa la dice “un capo” allora si sciolgono in un brodo di giuggiole;
- hanno un senso di riverenza e rispetto per le posizioni gerarchiche superiori che è quasi demodè e rasenta la sudditanza. Questa riverenza talvolta assume le vesti della vera e propria paura paralizzante di chi non muove un foglio se non ha la certezza che quello che sta per fare è gradito al suo re;
- anche quando esistono tutti i presupposti per relazionarsi con te, in base alle competenze lavorative, il voltafaccia mellifluo ti “scavalca” o bypassa e si rivolge ad altri. In qualche modo tenta di destituire il tuo ruolo, che sia di responsabilità o meno;
- se in media ti evita, prevarica e non ti considera, tipicamente invece ti cerca quando deve scaricare per questioni urgenti delle colpe su qualcuno o attribuire qualche responsabilità spinosa e sconveniente a danno delle tue stesse competenze che in altre circostanze, non ti vuole riconoscere;
- di solito ha un rapporto morboso anche con le informazioni, che custodisce gelosamente come fossero il 4° segreto di Fatima, e ne centellina la divulgazione, in modo frammentato e a persone diverse, di modo che nessuno abbia mai un quadro completo della situazione che sarebbe opportuno conoscere per lavorare efficacemente;
- qualora poi fosse anche capo di qualche unità di business, maltratta con fare tiranno i suoi collaboratori mentre di fronte ad altri si mostra come la persona più affabile della terra
Terminata la descrizione, hai colleghi simili?
Prima di capire come comportarsi con colleghi difficili melliflui/voltafaccia che attuano questi comportamenti, è opportuno riflettere qualche minuto sull’effetto che ti fanno. Perchè, ti starai domandando?
Perché ne sarai ripagato in tutte le future occasioni con piccolo investimento delle tue energie mentali.
Perché ti svelo una banalità: nessun essere umano, me compresa, possiamo nulla, ma proprio nulla, per modificare o controllare i comportamenti altrui.
Tu puoi solo migliorare la consapevolezza e gestione di te stesso in relazione a qualsivoglia variabile esterna.
Sebbene siamo tutti quanti abituati a vivere in un mondo che educa in modo sottile al controllo esterno, di fatto, tentare di controllare tutto quanto è “fuori” dalla nostra persona, cercando di piegare “il mondo” al nostro volere, conduce, in ultima analisi, alla schiavitù: fisica, emotiva, razionale.
E questo ragionamento vale con chiunque, che si tratti di colleghi difficili, capi difficili, mogli, mariti, amici e così via.
Vuoi sentirti libero? Comincia ad esserlo tu per primo liberandoti dagli effetti negativi che tali colleghi difficili ti innescano e che ti aiuto ad osservare, senza giudicarti.
- Quale sfumatura emotiva si genera in te nel lavorare con questi colleghi difficili? Ci hai mai fatto caso?
Ti suscitano rabbia, collera, ira, aggressività verbale, voglia di prendere a pugni le scrivanie, paura della loro reazione, paura di non sentirti considerato/riconosciuto, nervoso, ansia, istinto di rivalsa, tristezza o cos’altro?
- Dove avverti queste sensazioni? In quale parte del corpo? Nello stomaco, nella parte alta del petto, nel respiro che resta sospeso, o trattenuto per non sbottare mai, o affannato solo per fare degli esempi?
- Quali pensieri ti nascono in testa quando devi gestire colleghi difficili voltafaccia?
Nello specifico quali pensieri fai rispetto a te stesso, alla tua autostima e al senso del valore che hai di te stesso? Ti senti invisibile, sminuito, impotente, preso in giro o cos’altro?
- Quali pensieri fai rispetto a questo modo mellifluo di comportarsi? Come lo vedi, valuti, rispetto ai tuoi valori personali, alle modalità di comportamento in cui credi e che reputi di valore per te?
- Prenditi qualche minuto e riflettici a tutto tondo: cosa ti accade dentro, in testa, nel corpo, a livello emotivo?
Fatto questo, e regalato a te stesso il tempo di ragionare e sentire che ti consente di aumentare la tua consapevolezza, passiamo al passo successivo.
Come comportarsi con i colleghi difficili e “voltafaccia”?
Dipende.
Da cosa? Dagli obiettivi che hai in relazione a quello che solitamente devi fare, ai risultati che è tua competenza assicurare e alla durata del rapporto dettato dalle circostanze.
Il collega mellifluo è di passaggio, è un consulente, è una persona che pensi non rivedrai mai più? Puoi permetterti di fare buon viso a cattivo gioco così come di manifestargli apertamente il “dissenso” (connotato in qualsivoglia modo) che ti sgorga dentro sempre nel rispetto e nei limiti dell’educazione (anche se, fuori da ipocrisie, qualche pensiero impuro su regolazione di conti alla Far West è normale… non preoccuparti).
Se invece il collega difficile e mellifluo è e resterà a lungo una persona con cui dovrai rapportarti, ti conviene abbandonare l’investimento delle tue energie negative e trasformarlo a tuo favore.
Come? La prima cosa che hai da tenere a mente e che ha senso sia il motivo principale che guidi le tue azioni è solo uno:il tuo obiettivo.
Cosa vuoi ottenere nel lavorare con il collega difficile? Diventarci amico, entrare nelle sue grazie a tutti i costi?
Oppure vuoi semplicemente collaborare quel tanto che serve per portare avanti delle attività in parte legate a lui, e quindi rapportarti con lui quel tanto che basta ed è necessario per svolgere al meglio la tua attività?
Credo che già acquisire consapevolezza di questa distinzione contribuisca a diminuire l’investimento di energie che è il caso di spendere.
Mettiamo tu abbia concluso che puoi benissimo rapportarti a lui solo quanto basta per le circostanze che lo richiedono, cosa puoi fare tutte le volte che ti scavalcherà, tenterà di affermare la sua superiorità a parole, disconoscerà i suoi errori a tuo discapito, ti dirà le cose a metà,negherà l’evidenza etc etc…?
Adesso che hai consapevolezza di cosa ti innesca questo tuo modo di fare, hai libertà di scegliere, se continuare a farti il sangue amaro , o indossare un abito diverso.
Non ci credi?
Così come hai sempre scelto di “negativizzarti”, puoi anche scegliere che le prossime volte il suo modo di fare ti provocherà un sorriso di ironia, o una battuta ironica, o una totale indifferenza. O compassione.
Perché tu, che sei intelligente e hai capito che non puoi piegare i colleghi difficili la tuo volere, quelle stesse energie che prima spendevi a reagire d’istinto e in automatico in modo negativo, adesso le spenderai per fare dell’altro, lasciando il mellifluo falso ad affogare nel suo brodo primordiale.
E’ un po’ la stessa differenza che ci passa fra il vestirsi al buio e lo scegliere un abito con la luce accesa: se non hai consapevolezza dei tuoi “moti” interiori, è come se appena sveglio prendessi un vestito a caso nell’armadio e lo indossassi, al buio.
Quando invece sai cosa ti accade dentro, è come avere acceso la luce, aprire il guardaroba, vedere quanti abiti puoi indossare, e scegliere quello che ti fa sentire meglio, invece che prendere quello che d’istinto ti capita fra le mani. Si chiama anche proattività.
Lo puoi fare con gli abiti, puoi farlo anche con i tuoi stati d’animo. Più ti eserciti a farlo, meno tempo ci metterai a scegliere fra tanti abiti quale indossare.
Questo ha anche un altro vantaggio: i colleghi difficili e voltafaccia, solitamente, si nutrono (spesso incosciamente) della negatività che ti suscitano. Forse, sotto, sotto ci godono anche un po’.
Quali siano i motivi che inducono un collega o capo a comportarsi così, è un problema loro, non tuo.
Pertanto, che cambino o meno il loro modo di fare è frutto di una loro libera scelta, così come adesso può essere una tua libera scelta scegliere un atteggiamento che fa stare bene te, a prescindere da cosa faccia lui.
Tu adesso hai messo a fuoco e sentito cosa ti accade dentro. Quello che ti accade dentro, nel momento in cui lo sai riconoscere, lo sai anche gestire.
Se tu rompi gli schemi del loro giochino, non è escluso poi che in qualche modo cambino anche il loro modo di porsi.
Se il tuo modo di rapportarti non ti ha mai condotto ai risultati lavorativi che perseguivi, cambiali.
Cambiandoli magari scopri che questo collega, a sua volta, cambia. Se non cambia, resta comunque un problema suo.
Se i tuoi risultati li raggiungi comunque, e ti è riconosciuta una professionalità da chi è giusto che te la riconosca (esempio il tuo capo) cosa ti interessa di sprecare emozioni, stati d’animo e pensieri negativi per questo collega? IGNORALO! E lascia che quel mal di pancia istantaneo poi se ne vada senza stare a dargli troppo peso.
Se invece il mellifluo è il tuo capo, posto che magari non sopporti questo suo modo di fare, ti riconosce quanto pensi di meritarti? Se si, vale quanto sopra, vai avanti per la tua strada e scegli di guardare a lui in modo diverso.
Se no, allora hai un problema. Essendo il tuo capo e quindi colui che magari decide della tua crescita professionale ed economica, hai da trovare un modo per entrarci in relazione e non per diventarci amico, (che te ne frega? Anche se capisco bene che in quanto animali sociali per senso di appartenenza ci piacerebbe piacere a tutti e stare bene con tutti), ma per il tuo interesse.
Come? Studialo bene. Posto che se lo hai riconosciuto nei comportamenti descritti significa che lo hai osservato, adesso osservalo senza giudizio non con l’occhio di chi ha di fronte a se un nemico da combattere che attua comportamenti poco digeribili, ma con l’occhio di chi osserva un potenziale alleato.
E’ umano come te. Cosa gradisce? Cosa non gradisce?
Quali modi di porre le questioni apprezza e quali no?
Come vuole sentirsi dire le cose? Da chi? Quando?
Quali argomenti extra lavorativi potete avere in comune? Potrebbero essere un terreno neutro per appianare le ostilità, e dalle quali costruire un passo alla volta un altro genere di rapporto lavorativo.
Attenzione, non ti sto dicendo di snaturarti. No.
Ti sto dicendo che tu puoi consapevolmente e restando te stesso identificare le modalità di entrare in relazione più vicine a lui, anche se magari più distanti dalle tue o da quelle che normalmente ti vengono più naturali e spontanee.
Qui non si tratta di snaturarti, ma di sviluppare quella flessibilità comportamentale che ti consente di parlare la sua lingua in modo che tu possa guadagnare a piccoli passi la sua fiducia e farti riconoscere quello che pensi di meritare.
Costa impegno? Si, ma se è il tuo capo, a differenza di un qualsiasi collega, ha più potere di influire sulla tua vita lavorativa.
Pertanto a maggior ragione il tuo impegno è giustificato.
Inoltre lui attua i suoi comportamenti a te poco graditi per le sue ragioni (per quanto possano risultarti incomprensibili), è mosso da pensieri suoi e da convinzioni sue, non tue, esattamente come tu sei mosso ad agire per interessi, motivi e convinzioni tue.
Non hai voglia di identificare modalità diverse da quelle che hai usato finora per entrarci in relazione?
Anche questa è una tua libera scelta, l’importante è che tu sia consapevole delle conseguenze a cui vai incontro e sia disposto a farne le spese, esattamente come sei disposto a non impiegare energie per rendere più flessibile i tuoi comportamenti.
Ti faccio presente che questo stesso ragionamento fondato sull’osservazione senza giudizio di comportamenti che non tolleri, l’osservazione senza auto-giudizio di cosa ti accade dentro, e l’identificazione per libera scelta consapevole di come vuoi gestirti in relazione ai tuoi obiettivi, è riproducibile su vasta scala con chiunque.
Pensi ancora che i benefici di un investimento di energie e tempo in tal senso siano cosa da poco?
Siamo tutti in media affascinati dal “successo” altrui e vediamo spesso solo la punta dell’iceberg.
Pensi che le persone che ottengono “cose” nella vita le ottengano “a gratis”?
O piuttosto, accecati dalla visione superficiale delle cose facciamo tutti poca attenzione all’impegno “sottostante” al raggiungimento di obiettivi desiderati?
Hai intenzione di subire ancora i colleghi difficili e voltafaccia?
Qualora difficile e voltafaccia non sia un collega ma il capo, ti rimando al mio articolo “Capo difficile: il voltafaccia. 2 strade possibili”.
Ti ho regalato un sorriso di libertà con questo l’articolo?
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Grazie
Federica Crudeli

IL QUI E ORA PER USCIRE DA GIORNATE NO: COME SI FA?
Ciao e Benvenuto a Lavorare col Sorriso!
Ti accade di vivere giornate NO ? Vuoi sapere come uscirne usando la capacità di stare nel qui e ora per ritrovare il tuo benessere?
Parlo di quelle giornate in cui basta una cosa da poco per scatenarti l’inferno emotivo, in cui ti senti col morale a terra, vedi tutto negativo, o va tutto storto, ma proprio tutto, e un piccolo evento cumulato con altri spiacevoli eventi negativi pregressi, crea l’effetto valanga e ti percepisci solo come una somma di errori.
Ti accade mai di sentirti così? Non è piacevole, soprattutto se hai da lavorare … Seguimi….
Oggi ti parlo di questo perchè oggi per me è stata una giornata decisamente NO, e voglio approfittarne per irrobustire la mia capacità di risollevarmi sfruttando tutto quello che si presenta nel mio qui e ora.
Infatti, se noti, questo articolo risulta pubblicato di martedì sera anziché di martedì mattina come faccio di solito.
Usando da qui in avanti un po’ di ironia, (che considero la mia salvezza), malgrado la giornata NO, non ho alcuna intenzione di arredarmi un tunnel di negatività, anche se l’effetto valanga è stato molto più forte di qualsiasi altra cosa, anche piacevole, che ha popolato la mia giornata.
Come ne sono uscita, allora? E come puoi uscirne tu, quando vivi giornate di questo genere?
I guru del pensiero positivo che vanno tanto di moda, per i quali l’imperativo presente è essere positivi, brillanti, e felici anche quando ti arrivano sassate in faccia dalla vita, ti direbbero, appunto, di pensare positivo, di ridimensionare quello che ti è successo, di cambiare punto di vista e pensare che non è proprio “marrone” quello che vivi nel qui e ora, e che le disgrazie vanno benedette e che esiste sempre un lato positivo in qualsiasi situazione.
Per carità, può anche essere vero. Anzi, diciamo che lo è, ma solo dopo, quando la valanga è passata, e non mentre ci sei nel mezzo. Quando ci sei nel mezzo l’aria che respiri nel qui e ora non è né di rosa né di gelsomino. E’ putrida. Punto.
Ecco, io non sono d’accordo con il pensiero positivo a tutti i costi per un semplice motivo: perché se sei incavolato nero, o in preda a un momento di tristezza, sei nero o in un momento di tristezza. Punto.
Inutile negarselo, si disperdono il quadruplo delle energie nel tentativo di contrastare o reprimere i propri stato d’animo che si presentano nel qui e ora del momento.
Anche se è molto umano voler sfuggire al qui e ora di negatività, in ultima analisi, la fuga come soluzione a questi momenti, alla lunga, è soltanto controproducente.
I momenti NO, di rabbia, tristezza, sfiducia, paura o di sentimenti negativi connotabili con mille altre sfumature, fanno parte della vita. Non raccontiamoci le favole.
La moda dilagante del mostrarsi sempre felici a tutti i costi è una moda a mio avviso superficiale che serve solo a fomentare l’industria del benessere a basso costo, per me. Anzi, credo che questo atteggiamento, unito alla convinzione di dover essere sempre Top, sia proprio la principale causa di infelicità dei tempi moderni.
Il volersi obbligare a mostrarsi diversi da quel che si è e da quel che si vive nel qui e ora di un dato momento specifico. Assecondare le attese e le aspettative convenzionali. Tutti modi di essere dei prigionieri a cielo aperto.
Attenzione, con questo lungi da me affermare che un momento NO debba diventare un pretesto per sguazzarci dentro e vivere di lagnanza ad oltranza!
Bene, cosa ho fatto per superare la mia valanga piena di No?
Niente. Ci sono rimasta sotto e ho vissuto, attraversando, il mio qui ed ora con tutto quello che mi ha portato. E ho fatto anche una cosa, udite, udite, che non va molto di moda dire: ho pianto. Si ho pianto a intermittenza tutte le lacrime che avevo da tirare fuori.
In ufficio, per la strada, a casa fino a quando, vedendo che i barattoli di sale e zucchero della cucina cominciavano a galleggiare…i miei occhi hanno pensato fosse il caso di smetterla di far uscir fuori lacrime se non volevo rischiare una denuncia condominiale. Sono soggetti responsabili i miei occhi … e anche le mie lacrime!!! (Ps – esagero volutamente!).
Già perché in questo mondo spesso e volentieri patinato e pettinato, dove l’obbligo latente è essere dei vincitori sempre, mostrarsi forti, sorridere a 56 denti , il fatto di piangere o essere tristi, o arrabbiati è diventato una piaga sociale da curare.
Come conseguenza forse, a forza di reprimere tutto quanto è naturale, per assurdo, è aumentata la prescrizione di antidepressivi. Forse ci siamo dimenticati di essere umani, e come tali, per dirla con le parole di Marco Giallini nel film “Perfetti sconosciuti”, siamo tutti “frangibili”. Già … siamo frangibili, ma nessuno vuole fare i conti con questa “frangibilità”e fa di tutto per di evitare il presente, il qui e ora, soprattutto quando è noioso, doloroso, o spiacevole.
A nessuno piace essere triste, o vivere emozioni negative. A nessuno. Un peccato però che capita di provarle. Un peccato che pensare di spendere una vita come se si fosse nati nel “Wallalla” è da idioti, e non è realistico.
Ed è la principale causa di infelicità…quella di pretendere che la vita sia come un giro sulle giostre, sempre divertente, sempre Up.
La convinzione che la vita debba sempre essere un luna park, conduce a misurarsi costantemente fra quel che è realmente, e quello che dovrebbe essere.
La frustrazione da gap esistenziale, aumenta a livelli esponenziali. Invece fa parte della vita cadere e farsi male. Fa parte della vita affrontare dispiaceri e sofferenze, grandi o piccoli che siano.
Fa parte della vita incappare nelle difficoltà. E tutto questo comporta a volte, anche sperimentare emozioni negative, attraversarle e superarle proprio lasciandole vivere nel qui e ora, senza reprimerle.
Inoltre accettare il qui e ora dei vissuti negativi aiuta a lasciarli defluire più facilmente.
Saper accettare il qui e ora di una giornata NO, senza contrastarla, con tutte le gradazioni di nero, marrone e grigio che porta, penso sia saggio e intelligente e apre la porta alla trasformazione delle esperienze.
Molto più saggio che sforzarsi di mascherare, o dissimulare. L’ho sempre pensato e diciamo che ho conferito al mio pensiero più autorevolezza quando l’ho trovato condiviso nella sostanza nei testi di quelli che considero mostri sacri: J. Hillmann e A. Jodorowsky.
L’anima ha la sua saggezza e un suo codice per parlare, che non ha nulla a che vedere con il buon senso, l’educazione di maniera, le pose e le parole buone. E segue le sue strade.
Mettetevi contro il libero fluire della vostra anima, o rinnegate la vostra autenticità sempre e sistematicamente, e avrete assicurata una vita di inferno.
Bene quindi per tornare al “come ho superato il momento no”, mi sono concessa di piangere nel qui e ora che ho viussuto, cosa che in passato non avrei fatto perché il mio giudice interiore (n.d.r. quella vocina rognosa che mi parla in testa e che credo anche tu abbia) avrebbe detto “…che brutta figura piangere davanti ai colleghi, o per strada… se la gente ti vede…”
A dire il vero mi sono chiusa nel bagno dell’ufficio per piangere e ho lasciato scorrere le lacrime che volevano uscire a fare due passi.
Forse erano rinchiuse là dentro da troppo tempo, stavano strette, litigavano fra di loro per avere il posto in prima fila per guardare il mondo e hanno causato una ressa sul bordo del bulbo oculare che le ha spinte ad uscire…un po’ come i tifosi che si riversano sul campo di gioco travalicando le sbarre dello stadio. Sta di fatto, che volevano uscire e anche con prepotenza, a vedere bene da quante erano.
Ho provato un sollievo notevole, dopo essermi concessa la libertà di piangere, e un senso di liberazione immenso.
Anche scientificamente le lacrime hanno un potere “purificatore”. Reprimere invece le emozioni è uno dei modi per fare in modo che uno stato d’animo negativo si radichi come l’erba gramigna e reclami attenzioni in futuro, reiteratamente, e a sproposito.
Diffida di chi consiglia sempre di “appiccicarti” un sorriso addosso, risulteresti finto. E il rischio è che, da una giornata NO, te ne auto – fomenti altre 500 reprimendo tutto quello che invece scalpita per uscire fuori e che vuole esprimersi.
Per piangere di gusto ho anche messo a tacere il mio giudice interiore, ma non ho alcun capo di accusa per omicidio preterintenzionale o sequestro. Ogni tanto, in particolare quando ti rema contro, il giudice interno va ucciso. L’anima lo sa e non ti ascrive carichi penali pendenti.
Perché va taciuto in queste circostanze il giudice interiore?
Perché reprime, vuole sminuire quello che senti, dirti che sei stupido se piangi, ti arrabbi o sei triste, in ufficio come fuori, e se lo fai per quei motivi.
Zittirlo ti consente di legittimare di fronte a te stesso il tuo sacrosanto diritto di piangere, o di essere arrabbiato, o triste, e di farlo per qualsiasi motivo, se è così che vuole la tua anima.
Puoi permetterti di lavorare anche essendo triste, spaventato, arrabbiato e senza necessità di nasconderlo: basta dire qualcosa che suoni simile a questo “oggi mi sento triste/arrabbiato/spaventato, farò del mio meglio compatibilmente con il basso livello di energia che mi sento addosso”.
Non serve entrare nei dettagli. I colleghi che hai intorno, umani fino a prova contraria come te, se sono persone di buon senso, capiranno e rispetteranno questo tuo stato d’animo prendendoti così come ti vedono.
Non solo, questo conferisce a te stesso, di conseguenza e per risonanza, la possibilità di creare un clima lavorativo di maggiore libertà emotiva e leggerezza (ovviamente nei limiti del rispetto altrui).
Passata la fase emotivo- depurativa, è affiorata verso sera, da sola, la fase razional – costruttiva a testimonianza di quanto ti ho detto sopra. Ossia spontaneamente, senza forzatura, la mia anima ha detto:
“Ok ho pianto, ok ho avuto motivi sensati per farlo, ok accetto che le cose stanno così come stanno per questa circostanza specifica: da schifo. Resta un piano di realtà con cui fare i conti. Una serie di cose che non mi piacciono, da cambiare. Come ne esco? Intanto scrivo” , cioè uso un mezzo che mi regala piacere perché voglio trasformare la mia “melma” in qualcosa di costruttivo che dia un senso alle cose.
Nel fare una cosa che mi piace mi sono regalata sollievo e piacere. Il qui e ora si è quindi trasformato da negativo e momento di sollievo spontaneo.
E poi mi sono detta “..accetto di convivere con una sorta di “fastidio” legato ad una situazione poco piacevole, e che mi svela un bisogno emergente che vuole trovare la strada per essere soddisfatto, e mi adopero per tenere la testa focalizzata ad agire una soluzione per trarre il meglio dalle giornate che verranno, verso quello che ho identificato essere un obiettivo”.
In sintesi, se vivi una giornata NO, esercita la tua capacità di restare nel qui e ora dell’esperienza:
- accetta il tuo stato d’animo negativo nel qui e ora come si presenta;[/li-row][li-row]lascia fluire in te il mare di sensazioni emotive che ne derivano;
- esprimi e riconosci a te stesso, ricavandoti un momento tutto tuo, il disagio che senti;
- se il contesto te lo consente, è di fiducia, ed è funzionale alla buona riuscita di quello che devi fare magari in un gruppo, puoi esprimere il tuo disagio anche agli altri colleghi, di modo che comprendano il tuo calo temporaneo di energie e umore (ovvio che se vivi in mezzo agli squali è più saggio tacere per preservarti, che fare il kamikaze);
- lascia che affiori spontaneamente “la luce in fondo al tunnel”. Se ti dai tempo, spontaneamente, ricomincerai a vedere le cose in modo diverso. E spesso ti accorgerai che quello stato emotivo negativo aveva bisogno di venire allo scoperto per metterti in luce qualcosa a cui non hai più prestato attenzione ma che reclama la sua “realizzazione”;
- gratificati con qualcosa che ti piace fare;
- affiorerà alla superficie, con i suoi tempi e altrettanto spontaneamente, una soluzione a quella che è stata la causa della tua giornata NO, e vedrai che le tue risorse saranno quindi mobilitate e rinvigorite perchè orientate a fare qualcosa di diverso per uscire dalla situazione di stallo e muoverti verso quel qualcosa di nuovo che, molto probabilmente, avrai identificato;
- se poi sei un pò “dissacrante” come me, fai una pernacchia alla vita e brindaci su con il motto liberatorio che preferisci.
Questo processo, che si lascia fare da sè, se gliene dai modo, esattamente come il fiume che scorre, ha molto a che fare con il rafforzamento della capacità di far fronte agli eventi negativi riorganizzando le esperienze in modo positivo.
Inoltre, nell’apparente passività del lasciar seguire alle emozioni il loro corso, proprio come i fiumi, questo atteggiamento ha molto a che vedere anche con la proattività, ossia la capacità di prendere attivamente in mano la propria vita, vissuti emotivi compresi.
Quante volte sei solito permetterti di sentire, convivere e attraversare le tue emozioni negative?
Quante volte fai si che il tuo giudice interiore abbia la meglio su di te censurando le più naturali manifestazioni del tuo essere?
Quante volte ti dai il tempo di vederle scorrere via e lasciare affiorare uno spazio nuovo dentro di te per superare le difficoltà?
Fammi sapere cosa ne pensi nel box dei commenti a fondo pagina.
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Federica Crudeli

INFORMAZIONI NASCOSTE. A VOLTE TI SEMBRA DI LAVORARE PER I SERVIZI SEGRETI?
Ciao e Benvenuto a Lavorare col Sorriso!
Oggi ti parlo di come difendersi da colleghi difficili che adottano un atteggiamento lavorativo poco collaborativo quale l’occultamento/distorsione/divulgazione tardiva dell’informazione come modo per: avvantaggiarsi nelle negoziazioni, acquisire potere/mantenerlo, difendere i propri interessi, a discapito, voluto, degli altri colleghi.
Nelle aziende possono esistere delle asimmetrie informative verticali (dai capi verso i collaboratori) ed orizzontali/interfunzionali ossia fra funzioni organizzative diverse.
Il fatto che possano esistere, di per se non ha nulla di strano, nel senso che non necessariamente tutti devono sapere tutto su ciascun argomento.
Inoltre è fisiologico che all’interno delle organizzazioni, nell’ambito della contrapposizione di interessi tipica di ogni funzione aziendale, esistano delle asimmetrie informative: fa parte del gioco, ed è anche un elemento attorno al quale ruotano le negoziazioni.
La “gelosia” in tema di informazioni esiste invece quando una persona, in qualità di manager, collaboratore o collega, volutamente e sistematicamente (cioè in tutte le circostanze) tiene per se informazioni o le rende note troppo tardi, quando invece, se note, avrebbero orientato le scelte, decisioni, comportamenti di qualche altro collega, in modo differente, o, semplicemente, gli avrebbero evitato una pessima figura in particolari circostanze.
Questa tipologia di colleghi difficili ti è sconosciuta?
Ora, personalmente, e usando un pò di ironia, sono a favore dell’evoluzione della razza umana, non di quella rettiliana, che è rimasta ferma all’utilizzo del primo stadio primitivo di sviluppo del cervello, cioè quello rettile, e come tale governata solo da meccanismi di attacco/fuga, e caratterizzata dal solo uso di pulsioni e automatismi appresi.
In realtà sono molte le tipologie di colleghi difficili che appartengono alla razza rettiliana a causa dei comportamenti che adottano, ma oggi mi soffermo su questa. A titolo informativo, dico che il più recente stadio di sviluppo del cervello è il “neo-pallio”associabile allo sviluppo dei lobi frontali, alla reazioni volontarie, a comportamenti “consci”.
Che un po’ di soldi, un bel vestito, una bella borsa, studi sofisticati e qualche titolo facciano di un umano, uomo o una donna che sia, un soggetto sviluppato ed evoluto, è tutto da vedere. Anzi. Le nostre cronache sono la testimonianza quotidiana dell’esatto contrario. …
Quindi qualora tu faccia parte della categoria di colleghi difficili che è solito usare mezzi generalmente percepiti come sgradevoli, quali quello di occultare/distorcere/fornire tardi l’informazione volutamente, per essere “vincente” credo che potresti trovare interessante leggere l’articolo per prendere coscienza degli effetti del tuo comportamento sugli altri e in ultima analisi, anche sull’organizzazione del lavoro (che spesso ne risulta deteriorata), e magari avere un punto di vista esterno diverso.
Qualora invece fossi uno di coloro che è costretto a subire questo comportamento e le sue conseguenze da parte di colleghi difficili, continua a leggere, perché potresti guadagnare una prospettiva diversa da cui guardare le cose e difendere il tuo benessere.
Quali potrebbero essere i vantaggi ottenuti dai colleghi difficili che occultano le informazioni a danno di altri colleghi, guadagnandosi probabilmente a lungo andare, la loro malevolenza, e generando inefficienze lavorative?
primo fra tutti forse aprirsi le strade per fare carriera, in un contesto dove esiste l’esempio fattivo e concreto che questo modo di fare paghi;
- difendersi dalla paura di ritorsioni del proprio capo qualora fosse un soggetto che crea un clima di diffuso “terrore” per qualsiasi cosa sfugga al suo vaglio;
- conservare il proprio potere (o percepito come tale) con la convinzione che nascondere certe informazioni o un certo sapere costituisca un modo per creare/mantenere distanze rispetto ad altri nell’organizzazione;
- sentirsi importante e indispensabile agli occhi di chi, necessariamente, per poter lavorare, dipende da un certo tipo di informazione/sapere/conoscenza;
- godere dell’avere molti più margini di manovra di altri nel gestire alcune attività, dati dalla posizione di vantaggio di cui beneficia chi conosce informazioni utili ad altri ma non divulgate. Tanto cosa importa se un collega magari non raggiunge un obiettivo, o fa le cose sbagliate, o duplicate, o in ritardo?
- sentirsi più bravi, godere della prepotenza agita sugli altri;[/li-row][li-row]proteggere il proprio senso di sicurezza o la propria “posizione”.
Ti riconosci in una di queste situazioni? Rifletti su quali sono i motivi che ti spingono a tenere questo comportamento. (Può aiutarti anche l’articolo “Manager Leader: quale tipo sei?” anche per conoscere il tema dei tuoi tratti caratteriali distintivi e degli automatismi appresi).
Insomma, anche per ridere un po’, chi si atteggia in questo modo “strutturalmente” quasi quasi sembra un membro infiltrato dei servizi segreti.
In effetti vivere la quotidianità come se si fosse l’agente segreto di un film di spionaggio internazionale rende le giornate molto più movimentate e colorite.
Quali sono le possibili conseguenze negative di questo atteggiamento, nel lungo termine (e spesso anche nel brevissimo termine?)
Rallentamento se non duplicazione di attività e, conseguentemente, inefficienze gestionali, negoziazioni il cui esito è un compromesso piuttosto che una soluzione win-win, generazione di malcontento, diffusione di un pessimo clima lavorativo e demotivazione.
Questa sindrome “patologica” da occultamento di informazione, non ti sembra un filo datata?
Poi ci lamentiamo se viviamo in un mondo che fa pena, quando già nel nostro piccolo non siamo capaci di elevarci un pochino al di sopra della media dei comportamenti puramente “rettiliani” per il progresso della civiltà!
E cosa puoi fare tu, se sei vittima di colleghi difficili che vivono come fossero infiltrati dei servizi speciali, per preservare le tue energie e il tuo benessere mentale, emotivo e, a volte, anche fisico?
Faccio presente che più è frequente e lunga l’esposizione forzata a questi colleghi difficili, più è probabile che il fisico somatizzi in qualche modo tutto quello che non esprime a parole…
- riconosci a te stesso il fastidio che senti, di rabbia, collera, paura, tristezza o qualsivoglia altra sfumatura emotiva. Uno degli atteggiamenti più auto-punitivi che esista difatti è quello di reprimere il proprio stato d’animo giudicandolo “da stupidi/perdenti/sconfitti” magari attaccandosi addosso un sorriso di circostanza a denti stretti;
- esprimi il fastidio all’interessato con garbo per cercare un dialogo finalizzato ad instaurare un rapporto di maggiore apertura. Difatti le persone ti trattano così come tu le abitui a trattarti. Se taci sempre il tuo fastidio, certamente chi è solito comportarsi così, lo rifarà. Hai paura che esprimendoti fai la figura del “deficiente?” Se si, ti domando per quale motivo dovrebbe interessarti tanto l’opinione di un collega che agisce secondo una dubbia capacità collaborativa;
- se l’aver espresso il fastidio, magari anche più volte, non sortisce alcun effetto – e per colleghi difficili con personalità particolarmente ostiche e resistenti è probabile – considera l’idea che non è un problema tuo ma di chi lo pone in essere.
- Se un soggetto decide di essere scientemente non collaborativo o di voler proseguire così per il resto dei suoi giorni, tu non potrai mai fare nulla per difenderti dalle conseguenze di questo atteggiamento, semplicemente perché non sei nella sua testa. E mai potrai prevedere quale sarà la prossima volta che mancherà di dirti delle cose che ti riguardano, o se lo farà quando sarà troppo tardi, o quale altra diavoleria escogiterà pur di fare il suo interesse. Tutte le energie mentali che spendi nel tentativo di contrastare, prevedere la prossima “scorrettezza” sono inutilmente buttate alle ortiche. Sapere questo non ti mette in una posizione di debolezza ma di forza, semplicemente perché a pugnalata ricevuta, sarai carico di energia e pronto a scegliere come rispondere (e dico rispondere – non reagire) , senza esserti sfinito prima e solo nella tua testa nel tentativo di pensare tutte le possibili difese ad un comportamento imprevedibile;
- pensa se sei il solo a percepire così questo collega difficile o se sei in allegra compagnia. Se così fosse, a maggior ragione, di cosa ti preoccupi? Di fondo, quando un collega lavora per i servizi segreti e sono in molti ad accorgersene, alla lunga, si screditerà da solo;
- il fatto che tu disponga dell’intelligenza per riconoscere questo comportamento come inopportuno, di per se, non è già una vittoria? E se disponi di questa intelligenza, perchè rivolgertela contro con malumori, rabbia, nervoso, etc? Piuttosto usala per prendere il giusto distacco emotivo dalle situazioni che probabilmente rivivrai a contatto col collega difficile;
- considera l’ipotesi che il giochetto di avvantaggiarsi dei gap informativi a spese di altri poi è un bel gioco che dura poco: le persone meno rettiliane inizieranno, in base ad altri rapporti di reciproca fiducia e trasparenza esistenti, ad intessere una rete collaborativa all’interno della quale scambiare le informazioni mancanti o verificare la veridicità di quelle ricevute dall’agente segreto;
- il collega difficile, col tempo, è destinato ad essere credibile come i soldi del monopoli. Nessuno gli crederà più. Anche se continuerà, molto probabilmente, ad essere convinto di essere un figo pazzesco e furbissmo. In realtà è miope, vede poco lontano e continua pure a muoversi senza occhiali da vista;
- qualora il collega difficile abbia fatto carriera, prima di invidiarlo, domandatevi: a che prezzo? E’ una scelta individuale. Si può scegliere di morire blasonati e isolati, oppure con meno medaglie ma ben voluti stimati e apprezzati, quanto meno come esseri umani.
Fare dell’insabbiamento delle informazioni sistematicamente un “vantaggio” è tipico, spesso, si di colleghi difficili, e anche profondamente insicuri, o altamente manipolatori, competitivi nel senso più distruttivo del termine, e poco collaborativi.
Se è vero che nei contesti negoziali fa parte del gioco delle parti, entro certi limiti, scoprire le carte un poco alla volta, oltre certi limiti è una scelta perdente per tutti che obbliga a trovare compromessi piuttosto che soluzioni win-win come vorrebbe la letteratura economica più evoluta.
In ultima analisi, le conseguenze di questo atteggiamento si ripercuotono in senso negativo sulla produttività lavorativa generale, sia per i costi “emotivi” legata alla demotivazione di chi è a contatto con queste persone, sia per la necessità di fare male, tardi o più volte, le stesse cose per porre rimedio alla finta furbizia altrui.
Fammi conoscere le tue riflessioni e la tua esperienza sul tema lasciandomi un commento nel box in fondo alla pagina.
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A presto!
Federica Crudeli
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MOTIVAZIONE SOTTO AI PIEDI APPENA SVEGLIO? RIPORTALA SU!
Ciao e Benvenuto a Lavorare col Sorriso!
Oggi ti parlo di due tipi di motivazione al lavoro: intrinseca ed estrinseca. Cosa sono, da chi e da cosa dipendono?
Ti aiuterò a capire in quali circostanze la motivazione al lavoro può essere aumentata e in che modo, in quali circostanze è possibile recuperarla se l’hai persa, e cosa fare di conseguenza. Attenzione perché è un articolo per stomaci forti e parecchio diretto.
[Tweet ““Fai della tua passione il tuo lavoro, e non lavorerai nemmeno un giorno della tua vita”– cit. Web”]
Se ti senti avere poca motivazione al lavoro potresti essere in una di queste situazioni:
- non hai ricevuto l’aumento di stipendio che desideravi/aspettavi;
- non hai ricevuto la promozione al ruolo di responsabilità a cui ambivi;
- non hai ricevuto alcun riconoscimento/apprezzamento dal tuo capo per un lavoro che ritieni di avere svolto bene, con dose di frustrazione rincarata dall’aver assistito alla promozione di qualcuno che a detta tua (e non solo) non lo meritava;
- ti senti poco considerato o mortificato dal tuo capo;
- ti vedi impiegato a fare una attività energivora che trovi poco stimolante nemmeno lavorassi in miniera, con poche ricompense e soddisfazioni.
- In linea generale, ti senti demotivato e l’idea di andare in ufficio la mattina ti genera quasi quasi anche un po’ di nausea a forma di “ma chi me lo fa fare?”
Come dice la parola stessa, motiv-azione è quel qualcosa che spinge una persona verso una certa meta, ossia l’insieme di fattori, i motivi, che inducono le persone a fare determinate cose.
Il problema, o la fortuna, (dipende dai punti di vista) è che esistono due tipi di motivazione al lavoro: quella intrinseca e quella estrinseca.
La motivazione al lavoro intrinseca, tradotta in parole coincise, equivale al buyer che stipula contratti di appalto per la gioia di farlo, al commerciale che vende prodotti e servizi e gioisce nel farlo, al legale che nell’occuparsi di pratiche e assistenza al business gode nel farlo, all’amministrativo che prova gioia sublime nell’emettere fatture e fare bilanci, al giornalista che scrive per il piacere di scrivere, al fiscalista che gode nello studiare i nuovi tributi per capire come gestire l’azienda, all’analista finanziario che studia i mercati per il piacere di conoscere l’andamento dei mercati, all’informatico che sviluppa software per il piacere di sviluppare nuovi codici sorgenti, e così a seguire …
La motivazione al lavoro intrinseca si basa sul piacere e la si sperimenta quando in generale ci si impegna in un’attività che è gratificante di per se stessa, e si sente una spinta naturale a voler soddisfare il bisogno di sentirsi sempre più competenti nel farla.
Fare quella determinata attività, indipendentemente dalle circostanze esterne, è fonte di piacere, che ci siano un collega, capo, amico, o chicchessia a gratificarti o montagne di soldi a ricoprirti.
A questo punto pongo la prima domanda: l’attività che svolgi tutti i giorni in azienda, è fonte per te di motivazione al lavoro fatta di piacere intrinseco?
Per aiutarti nella riposta, è qualcosa che adori al punto che lo faresti anche gratuitamente?
Se la riposta è SI fai parte di quelle persone che fondamentalmente ha fatto di una passione il suo lavoro e molto probabilmente, indipendentemente dalle circostanze a contorno, avrai sempre una spinta interiore ad andare avanti con la giusta tensione per raggiungere i tuoi obiettivi monetari e di carriera.
Semplicemente, se pensi di non essere valorizzato abbastanza nella tua azienda in termini monetari o di riconoscimento professionale, con una giusta dose di pazienza e fiducia in te stesso, ti metterai a cercare sul mercato del lavoro la situazione che desideri e che sicuramente otterrai. E’ solo questione di tempo. E tornerai ad alzarti la mattina con lo spirito giusto e la giusta dose di motivazione al lavoro.
Qualora invece la riposta fosse NO penso tu abbia da riflettere su quanta coerenza esiste fra il fare un lavoro che non ti regala piacere intrinseco, e l’arrabbiarti nel contempo, per scatti di remunerazione e di carriera mancati.
Gli scatti di remunerazione e carriera normalmente premiano (o dovrebbero premiare) chi si impegna sul lavoro, produce risultati con entusiasmo, ed ha capacità e competenze distintive che gli consentono di ricoprire ruoli manageriali o comunque professionali in generale crescenti.
Gli scatti di remunerazione e carriera invece difficilmente possono rappresentare una equa ricompensa per una persona che non essendo appassionata del suo lavoro, cerca in essi una qualche forma di compensazione, soddisfazione, senso di pienezza. Che per carità, sono comunque graditi e apprezzati, ma non risolveranno mai l’insoddisfazione alla base del malcontento.
Soldi e ruolo, assieme alle gratificazioni, lodi, buone valutazioni delle performance, costituiscono la cosiddetta motivazione al lavoro estrinseca, ossia quella che si ha quando l’impegno in una attività avviene per scopi che sono esterni all’attività stessa.
Con questo non sto dicendo che se fai un lavoro che non ti appassiona e con poca motivazione, non hai diritto a ricompense monetarie o di ruolo, se pensi di meritarle e ti impegni comunque a fondo.
Ti sto dicendo che se anche le avessi, e ti ricoprissero d’oro, complimenti, gratificazioni, scatti di carriera fino al gradone più alto della piramide del potere, di fondo, contribuirebbero solo in modo superficiale, temporaneo, ed effimero alla motivazione al lavoro che ti farà alzare la mattina contento di farlo.
Cosa fare in questo secondo caso? Nei miei articoli: “Potere è Piacere? Come capirlo” e “Un giorno lo farò: il tempo ti è nemico?” – Parte I e Parte II ti guido a riflettere da un lato sul mix di potere e piacere che contribuiscono a costruire un senso di benessere duraturo per la tua vita, dall’altro a scoprire quali possono essere i principi guida, valori e priorità che sarebbe bene orientassero il tuo impiego del tempo.
Ti stai rendendo conto che fai un lavoro che ti piace poco? Cosa puoi fare?
Cercarne uno che rispecchi al meglio le tue inclinazioni naturali, qualità e risorse di cui disponi, che fluiscono in te e da te in modo spontaneo. In questo modo non lavorerai più nemmeno un giorno della tua vita, perché tutto quanto si inquadrerà in una prospettiva molto diversa.
Non puoi farne a meno al momento, o magari fino alla pensione, di fare quel lavoro che ti piace poco perché hai bisogno dei soldi per vivere?
Quantomeno sii onesto con te stesso: vale la pena rincorrere soldi e carriera a tutti i costi, o spendere energie in confronti estenuanti e frustranti con gli avanzamenti di carriera altrui, o piuttosto pensare di ricavare più tempo per fare quelle cose che ti regalano piacere e gioia, lasciando perdere il livore per le vite lavorative altrui?
Tornerai a svegliarti con un piede diverso ogni giorno. In fin dei conti, il vecchio detto si lavora per vivere e non si vive per lavorare, ha un suo perché.
Pensi che ti stia dicendo delle stupidate?
Ho notato che molte persone poste di fronte alla domanda: “cosa ti dà veramente piacere fare nella vita” o non sa rispondere, o esita parecchio prima di farlo, oppure sciorina il set stereotipato standard di quello che è normale aspettarsi da chi ha fatto un certo percorso di vita, studi e lavoro (tipicamente la palestra, il calcio, le uscite).
Da qui a capire cosa ti regala veramente piacere ci passa un grande differenza.
Fai fatica a capire cosa ti dà piacere nella vita?
Ripensa a tutte le circostanze da quando sei nato ad oggi, in cui “ti sei perso” nel fare qualcosa. Noterai che la ricerca di queste esperienze metterà in evidenza delle caratteristiche comuni: un determinato contesto ambientale, azioni che stavi compiendo, stato emotivo e pensieri di un certo tipo.
E sarebbe bene che quel qualcosa che ha accomunato tutti i momenti di autentico benessere personale, sia il più possibile ripetibile e presente nella tua vita. Non siamo nati per soffrire!
Fai mente locale ai manager della tua azienda. Quanti di loro, dotati di stipendi cospicui e posizioni manageriali di tutto rispetto guadagnati uno scatto di carriera dopo l’altro trasmettono autentica (e dico autentica, non finta) passione, gioia, entusiasmo, e sono a loro volta ottimi trascinatori e motivatori ed esempi di benessere da seguire?
Quanti di loro ti fanno pensare: ma che bell’esempio da seguire, che bel clima che crea il mio capo!
Quanti di loro hanno una fisicità sana, invidiabile, che trasmette forza, vigore, energia, sguardo vivido? Quanti hanno una vitalità contagiosa?
Quanti invece nel progredire della loro carriera li percepisci come progressivamente intristiti, e con una fisicità che trasmette tutto tranne che un senso di sano benessere?
O quanti di loro hanno un carattere affabile come se fossero stati punti dalla nascita da una tarantola velenosa? Per quale motivo una persona realmente appagata, serena e contenta dei suoi successi, dovrebbe vivere in un costante stato di competizione, o disseminando un’aria pesante, di tensione se non di terrore psicologico, nella quale stare non è affatto piacevole per alcun collega?
Forse che la differenza fra le due tipologie di persone, possa risiedere, oltrechè in connotati caratteriali talvolta “nevrotici”(e questi meritano una trattazione a parte che non mancherò di fare), anche, (e non solo) nel fatto che alcuni manager hanno fatto di un passione un lavoro, mentre altri no?
Può essere che altri abbiano magari inseguito “di default”, affetti da sindrome sociale di omologazione, quella rincorsa ai soldi, potere e carriera, che nell’immaginario comune li avrebbe resi felici?
Per poi trovarsi, una volta raggiunta una meta, con un senso di piacere e appagamento duraturi come il battito d’ali di una farfalla?
Quanti di questi, a quel punto, piuttosto che ripensare alla loro vita o priorità, magari hanno trovato naturale perseverare la rincorsa al successo, per come è comunemente inteso, attribuendo la mancanza di autentico benessere e appagamento, al fatto che il traguardo raggiunto non fosse ancora abbastanza… e quindi giù con la testa diretti verso il successivo da raggiungere, in una corsa senza fine, che magari difficilmente realizzerà quella tanto attesa felicità esplosiva?
Tu sei ancora in tempo per fermarti e capirlo, se stai leggendo questo articolo.
Vuoi svegliarti motivato al lavoro la mattina?
Pensa al lavoro che fai, pensa a quanto è fatto di motivazione intrinseca e di motivazione estrinseca e regolati di conseguenza tenendo a mente quanto ho scritto negli articoli “Un giorno lo farò: Il tempo ti è nemico? Parte I e Parte II, magari smettendo di pretendere da te stesso una cosa e il suo esatto contrario, senza rendertene conto.
Saperti regolare, secondo un ordine di priorità delle cose per te importanti, aumenterà sicuramente anche la tua produttività in ufficio e renderà il tuo tempo così impiegato un tempo di qualità!
Prenditi la responsabilità e il coraggio di scegliere per quale motivo, la mattina, vorresti sentirti contento di affrontare la giornata! E identifica il mix giusto per il tuo benessere di lavoro, potere e piacere!
Se pensi che la risposta a questa domanda stia al di fuori della tua persona, o solo nelle circostanze esterne che scegli di vivere (o subire), sei destinato a svegliarti “con l’umore storto” per il resto dei tuoi giorni, anche se ricoperto d’oro e con 10.000 titoli e medaglie al valore!
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MANAGER O LEADER? QUALE TIPO SEI?
[distance1]Ciao e Benvenuto a Lavorare col Sorriso!
La consapevolezza di sè: manager, leader, perfezionista, diplomatico, creativo, altruista, pensatore, scettico, avventuriero, mediatore … che carattere hai? Quali schemi ripeti? Come ti vedono gli altri? Perchè è importante saperlo? Oggi ti parlo di 9 tratti caratteriali, frutto di una sapienza antica, con cui è possibile “andare nel mondo” che ti guideranno a riconoscerti!
Utilizzando provocatoriamente il concetto di un filosofo esistenzialista , che suona come un po’ ironico:
[Tweet “”Ognuno è condannato ad essere se stesso…” cit. J.P. Sartre”]
Quando è che essere se stessi diventa una condanna? Quando sia ha una scarsa consapevolezza di sè.
Schemi di comportamento ripetitivi e disfunzionali
Ripensa a tutte le volte che sul lavoro hai reagito come un mitra a qualche atteggiamento di altri senza darti il tempo di riflettere per poi pentirtene … la tua consapevolezza dove era?
Ripensa magari a quando hai mancato, per l’ennesima volta, di asserire quello che pensavi scegliendo in automatico di abdicare alle tua capacità relazionali e rimuginando su quel non detto per le successive tre ore o magari giorni…
Ripensa a tutte le volte che ti sei ritrovato solo con te stesso a dire che proprio non potevi fare a meno di comportarti in un certo modo, anche se avresti voluto fare diversamente, ma c’è sempre quel qualcosa più grande e forte di te che ti spinge in una direzione e non riesci a controllarti, un po’ come se avessi inserito un pilota automatico che ti guida in una direzione mentre tu resti a fare i conti con il tuo senso di impotenza di fronte a te stesso.
Ognuno di noi, nessuno escluso (se può consolarti) in alcune occasioni attiva questo pilota automatico anche quando la direzione è un burrone, ovvero può manifestare schemi comportamentali disfunzionali (e inconsci, noti anche con il termine “coazione a ripetere”) talmente radicati a causa di “introiezioni” pregresse che, sebbene in ultima analisi allontanino da un obiettivo, non c’è nulla da fare, ti portano dalla parte sbagliata.
Non averne la consapevolezza significa esserne schiavi.
Se ti stai domandando cosa significhi “introiezione”, ti dico che l’introiezione è un meccanismo di “assimilazione” di alcuni comportamenti che è avvenuto quando ancora non disponevi degli strumenti “adulti” per poter distinguere cosa fosse il caso di fare tuo da cosa non lo era. Più introietti hai, meno sei consapevole.
Continuo con il proposito di guidarti verso una maggiore consapevolezza di te stesso da un altro punto di vista: con l’articolo di oggi ti parlerò di Enneagramma, una chiave di lettura del carattere (ne seguiranno altri sul tema) che ti sarà utile:
[list-ul type=”arrow”][li-row]per aumentare la consapevolezza di te stesso, con conseguenti ripercussioni positive anche in termini di crescita professionale, ad esempio per disporre di qualche elemento in più per valutare la coerenza fra il tipo di lavoro che svolgi e i tuoi tratti caratteriali[/li-row][li-row]per divertirti a “riconoscere” il tuo carattere e quello delle persone che ti circondano e ad osservarne meglio i comportamenti in modo più distaccato e oggettivo al fine di entrarci in relazione se ti interessa o se le circostanze lavorative “ti obbligano” a farlo[/li-row][/list-ul][distance1]
Cos’è l’Enneagramma?
L’Enneagramma è una delle mappe esistenti per la comprensione della personalità umana ossia una chiave di lettura del comportamento umano la cui conoscenza aumenta la consapevolezza. Può essere utilizzato anche dalle risorse umane in ambito organizzativo nella valutazione dei candidati.
L’Enneagramma è stato introdotto in occidente all’inizio del ‘900 da Georges I. Gurdjieff, dopo averlo riscoperto in Asia centrale, in quanto frutto di una tradizione che si è tramandata per via orale partendo da una sapienza antichissima (ennea dal greco 9 e gramma segno).
E’ stato poi sistematizzato da Oscar Ichazo e da Claudio Naranjo in chiave psicologica in tempi recenti.
In sintesi, possiamo distinguere 3 famiglie caratteriali: gli istintivi (tipi 1-8-9), gli emotivi (tipi 2-3-4), i razionali (tipi 5-6-7), che tendono a mettere in campo nel vissuto della realtà rispettivamente: rabbia, tristezza e paura come principale sentimento di riposta al contesto ambientale, per un totale di 9 tratti caratteriali o “enneatipi”. Ogni singolo tratto è poi dominato da una “passione dominante”e da una “fissazione” specifica.
Specifico che parlo di tratti caratteriali proprio perché ogni essere umano è unico e non etichettabile e queste sono solo chiavi di lettura e comprensione che sono convinta tu ritroverai nel tuo quotidiano …
Ad esempio… fai mente locale alle persone che conosci. Ti è mai successo di notare che alcune persone sono accomunate/simili nella loro fisicità, nelle parole che usano, nel modo di affrontare la vita, nella carica vitale che hanno? Sono tutte diverse e uniche, ma accomunate da “tratti” distintivi.
Oppure di avere nella cerchia di amici e colleghi, persone che sono “etichettate” per una loro caratteristica particolarmente visibile e genericamente riconosciuta non solo da te ma anche dagli altri? Scommetto di si.
Come scommetto che anche tu puoi contare su una serie di nomignoli e soprannomi che nascono da una tua qualche predisposizione caratteriale.
Divertiti un po’ adesso. Guarda a te stesso e pensa ai tuoi colleghi e vedi se riesci a ricondurli a quello che leggerai sotto.
Intanto vediamo un assaggio…
Come si legge l’Enneagramma?
[list-ul type=”arrow”][li-row]Le ali –sono le porzioni di cerchio a destra e sinistra di ogni tipo e stanno ad indicare le sfumature caratteriali rilevabili in un individuo. Di norma un enneatipo assume anche i connotati caratteriali di uno e uno solo dei due enneatipi attigui.[/li-row][li-row]Le direzioni – sono le linee che partono da ogni “carattere base” puntando ad altri due ed indicano le modalità comportamentali caratteristiche di un altro enneatipo, che un “carattere base” può attivare in condizione di stress o in condizioni di serenità.[/li-row][/list-ul]
In alcuni tipi, inoltre, è possibile rintracciare in modo più significativo un bisogno nucleare dell’infanzia che è stato percepito come negato e di cui ho iniziato a parlarti nel mio articolo “Il corpo, non mente?Riflettici” : parlo dei tipi 1, 2,5,8 e 9.
[button url=”https://lavorarecolsorriso.it/wp-content/uploads/2016/04/leggi-lEnneagramma.pdf” target=”_blank” color=”jade” size=”medium” border=”true” icon=””]Leggi l’Enneagramma[/button]
Torno a dire … a cosa ti serve conoscere l’Enneagramma?
Beh… ogni persona filtra il suo sguardo sul mondo in modo completamente diverso. Se nella tua vita lavorativa hai provato spesso la sensazione di parlare e non essere capito, forse è perché ti manca la chiave di lettura giusta per entrare in relazione con una determinata persona (e magari anche per guardare a te stesso con un occhio diverso dal solito e più consapevole).
Parliamo tutti la stessa lingua eppure, spesso, non ci capiamo proprio, con annesso dispendio di tempo ed energie mentali per tentare di raggiungere obiettivi comunicativi puntualmente mancati.
Nei miei articoli ti condurrò alla scoperta di come sia possibile entrare in relazione, se le circostanze te lo richiedono, anche con i colleghi che vivi come molto distanti da te, così come ad aumentare la consapevolezza che hai di te stesso. E scoprirai come questo ti tornerà utile non solo sul lavoro, ma ovunque e con chiunque.
Quali conseguenze ha avere un certo carattere, ovvero essere un certo enneatipo?
A questo proposito ritorno alla frase iniziale “ognuno è condannato ad essere se stesso” e al concetto del pilota automatico. Ogni enneatipo ha una tipologia di pilota automatico differente ma normalmente attivato in certe circostanze.
Capire quali siano queste circostanze e cosa lo fa scattare, significa disporre di uno strumento in più per disinserire il proprio pilota automatico ed evitare il burrone, e neutralizzare gli effetti subiti dall’inserimento del pilota automatico “altrui”.
Ti sei riconosciuto in una di queste descrizioni sintetiche?
Si? continua a seguirmi nei miei articoli.. scoprirai cose ancora più interessanti su di te.. e come l’essere caratterizzati da alcuni tratti influenzi il tuo modo di manifestarti del mondo in termini di pensieri, emozioni, energia, gestione dei rapporti con gli altri …e come sia possibile disinserire il pilota automatico “smussando” alcuni tratti non funzionali alla tua crescita personale e professionale.
No. Fai fatica a riconoscerti? O ti sembra di riconoscere alcune tue caratteristiche in più enneatipi diversi? Nulla di strano, crescendo ognuno di noi puoi “mixare” i suoi tratti base con altri tratti.
In questo caso ti invito intanto a fare mente locale alla tua infanzia, dove le reazioni primarie nel mondo erano ancora incontaminate, istintive e poco filtrate da dettami educativi,scolastici e religiosi.
Ripercorri mentalmente i tuoi primi anni di vita. Quale sentimento pensi di aver sperimentato più spesso, in modo istintivo, o ti veniva più naturale “sentire” nei momenti che hai vissuto come brutti o di difficoltà? La paura, la rabbia, o la tristezza?
Ripensarci ti avvicina adesso un po’ di più all’identificazione con uno di questi tipi?
Seguimi nei miei articoli.. approfondirò anche il tema dei bisogni negati e di come fare a capire bene come si sono formati, se ce ne sono stati nel tuo caso e se il fatto che tu ancora oggi, inserisci il pilota automatico, abbia qualcosa a che fare con il tentativo perpetuo di soddisfare un bisogno che vivi come una mancanza senza accorgertene.
Riconosci immediatamente questi tratti caratteriali nel tuo capo o nei tuoi colleghi e collaboratori, o altre persone con cui hai normalmente a che fare?
Quali riflessioni ti suscita leggere queste cose?
Fammi sapere cosa ne pensi lasciandomi i tuoi commenti.
Continua a seguirmi, ho intenzione di entrare nel dettaglio dei singoli enneatipi nei futuri articoli, per mostrarti in che modo ognuno di essi può superare le “resistenze” tipiche del proprio carattere disinserendo il pilota automatico per instaurare relazioni lavorative più proficue ed imparare a Lavorare col Sorriso!
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Federica Crudeli
Qualora tu sia interessato ad approfondire da solo questo tema, ecco un riferimento (link di affiliazione).
A scanso di equivoci … è una lettura “impegnativa”…
L’enneagramma. La geometria dell’anima che vi rivela il vostro carattere
2 feb. 1996 di Helen Palmer e G. Fiorentini
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