
FARE CARRIERA = VALERE? LIBERA NOS A MALOS!
Ciao Bentornato a Lavorare col Sorriso!
Oggi ti parlo di fare carriera e di una prigione mentale comunemente diffusa, e fonte di grandi mal di pancia, per chi lavora in una azienda: quella di sentirsi nullità/falliti qualora le aspettative di diventare manager/capo/quadro/dirigente fossero disattese. Voglio liberarti da questo male con una riflessione coraggiosa. Seguimi!
Questo articolo nasce dall’ osservazione di molte persone che vivono male e con grande senso di sconfitta il fatto di non aver fatto carriera o averla fatta parzialmente rispetto ad obiettivi più ambiziosi.
Attenzione: ho usato volutamente la parola FARE carriera, ossia il manager/capo/quadro/dirigente ma non sono sicura che sia scontato coglierne la sottile differenza.
Tu sei. Punto. Poi il tuo essere si manifesta nel mondo attraverso tanti ruoli: impiegato (a qualsiasi livello), madre/padre, moglie/marito, partner, sorella/fratello, amico/amica e così via.
Ha mai pensato alla questione in questi termini? Se no, è bene che cominci a farlo.
La convinzione diffusa che fare carriera in automatico significhi godere di un riconoscimento di valore che è appannaggio esclusivo di chi ha conseguito un qualche titolo durante la sua vita lavorativa e di sentirsi in automatico persona “da poco” in caso contrario è una grande stupidata.
L’equazione presente nella mente di molte persone è appunto fare carriera = valere/avere la certificazione “sono in gamba”. Le implicazioni negative di questa convinzione spesso sono di non poco conto.
Intanto allora ti lancio subito una provocazione: se la tua mente è abituata a pensare così, il tuo istinto e il tuo cuore, cosa ti dicono?
Quale sarebbe un modello di uomo/donna in carriera ideale?
Sposo il punti di vista di Marco Montemagno : un “vero leader” è una persona animata da passione per il suo lavoro, consistenza (ossia persona che produce risultati fattivi e concreti persistenti), che è capace di emozionare e coinvolgere le persone in un “noi”, che è imperfetto come tutti gli umani e non ha bisogno di nasconderlo.
Chi può fare carriera in azienda?
Potenzialmente chiunque.
In concreto una cerchia ristretta di persone.
Per quali motivi alcune persone fanno carriera ed altre no?
I motivi possono essere molteplici. Alcuni possono essere:
a) una persona ha costruito nel tempo i presupposti per fare carriera producendo risultati consistenti e durevoli. A questo proposito ti rimando al mio articolo sulle differenze fra un buon manager e un fuffa manager.
b) una persona ha venduto la sua dignità (tipicamente facendo lo zerbino, il lacchè, lo spione nel riguardo dei potenti di turno, o prostituendosi mentalmente e/o fisicamente) per un lungo periodo ottenendo in cambio la sua promozione, che poco potrebbe avere a che vedere con le sue qualità, capacità e doti manageriali.
c) una persona si è trovata al posto giusto, nel momento giusto, con il capo giusto rispetto alle dinamiche aziendali, ossia ha avuto le circostanze ambientali “a favore”.
Aver avuto le circostanze a favore non necessariamente è sinonimo che quella persona avesse, come sopra, capacità e qualità manageriali. Potrebbe essere si come no.
Cosa voglio dire?
Voglio dire che fare carriera non necessariamente è sintomatico di una persona “che vale”. Potrebbero esistere molti manager che semplicemente, hanno fatto ricorso ad altri mezzi per fare carriera.
Mentre essere persone di valore è sicuramente un plus, un “vantaggio competitivo” per fare carriera, non vale il viceversa.
Fare il manager non è condizione sufficiente per potere asserire con certezza che una persona, automaticamente, possa anche considerarsi di valore, con buone qualità e capacità professionali ed umane che ad altri non sono accessibili o riconosciute.
Ora, se sei una di quelle persone che “vive male” il suo “non avere fatto carriera” o che vive male le carriere altrui, ti invito a domandarti: a che prezzo queste persone hanno fatto carriera? Se sei disposto a pagarlo anche tu, fallo. Altrimenti, perché ti incazzi?
Oppure sei sicuro che gli altri ottengano risultati sempre senza faticare, senza metterci del loro?
Se invece hai esempi positivi di carriera, perché quello che pensi di meritare non lo vai a cercare altrove, se nel tuo contesto attuale non ti viene riconosciuto? Non dirmi “ehhh ma c’è la crisi”.
Fai prima ad ammettere che non hai voglia di alzare il sedere e metterti in discussione. Chi cerca, prima o poi, trova. Te ne parlo anche nel mio articolo Bastardi senza gloria.
Diversamente, perché pensi a te stesso/a in modo così impietoso come se tutto il tuo valore umano possa essere riducibile ad un titolo?
Il lavoro è un mezzo. Per vivere, per realizzarsi.
Ma se tu ti identifichi tutto intero con il tuo lavoro, le possibili o concrete mancate soddisfazioni lavorative andranno ad intaccare tutta la tua identità di persona.
Dimenticandoti che tu hai molti altri mezzi, ed eventualmente anche posti, per viverti come una persona di valore, ed usare le tue risorse e qualità.
Molto spesso noi umani tendiamo a darci un valore in funzione di qualcosa di “esterno” alla nostra persona che ci restituisca una immagine socialmente accettata e riconosciuta come di successo.
Molto spesso rischiamo di pensare che ammirazione, stima, amore da parte di famigliari e amici sia strettamente connessa e ottenibile solo a condizione di “essere qualcuno”.
Non sto tentando di promuovere una società cosparsa di Grandi Lebowsky (personaggio peraltro che mi suscita una enorme simpatia), ma neanche di persone ossessionate dalla carriera al punto da vivere troppo male il mancato raggiungimento di un certo traguardo di carriera sperimentando frustrazione e auto-denigrazione oltre il dovuto.
Questa prigione mentale causa: disagi emotivi, nevrosi, disturbi psicosomatici, squilibri in altri settori della vita, senso perenne di inadeguatezza.
In preda a queste forma malsane di competizione/invidia è possibile assistere nelle aziende alle più alte manifestazioni di bruttura umana e, talvolta, anche di fantozziana maniera.
Puoi leggerti a questo proposito anche il mio articolo “Potere è piacere?”
Quindi, tornando a noi, se fai parte di queste persone ti invito a domandarti: ma questa carriera quanto è importante per te? Cosa significa carriera per te?
Ed è importante per te, o per le persone che ti circondano? Stai cercando da una vita di soddisfare aspettative tue o di altri?
Fare carriera che vantaggi insostituibili ti porterà? Potresti ottenerli in altro modo?
E il fatto che questa carriera non sia come tu la vuoi, che conseguenze ha su di te? Che pensieri fai verso te stesso?
Perché fai dipendere interamente il tuo valore dalla carriera?
Perché tu pensi di poter esser “qualcuno” solo in funzione di una qualifica che qualcuno può scegliere come no (e per mille motivi indipendenti da te) di non riconoscerti?
Tutte le persone in carriera che conosci sono esempi di doti morali, qualità manageriali, capacità del tutto esclusive e non replicabili?
E se ti paragoni ad altri, a che scopo lo fai? In che modo un risultato eventualmente ottenuto da un’altra persona, può condizionare la stima che hai di te stesso?
E soprattutto, quando ti paragoni ai successi di altri, lo fai considerando questi altri nella loro interezza, o solo relativamente ad alcuni aspetti?
Sei incline a paragonare sempre i lati negativi della tua persona o situazione lavorativa con quelli positivi degli altri?
Non pensi che sia un modo parziale di guardare le cose? Perché allora non paragonarti agli altri comparando sia i lati positivi che quelli negativi di te e della tua situazione lavorativa, rispetto a quelli positivi e negativi degli altri?
Spero che questa riflessione ti sia servita a fare un po’ di chiarezza dentro te stesso e magari a liberarti di qualche fardello mentale inutile.
Qualora poi tu voglia esercitarti a guardare in modo diverso altre tipologie di pensiero che avvelenano la mente ti consiglio di leggere i miei articoli Pensieri negativi sul lavoro: liberati dal loro veleno Parte I – Parte II e Parte III.
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Federica Crudeli
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FUFFA MANAGER: 10 ERRORI CHE NESSUNO OSA DIRE
Ciao e Bentornato a Lavorare col Sorriso!
Manager o “Fuffa” manager? Oggi ridiamo!Ecco 10 errori che è bene evitare di fare e che farebbero di te un “Fuffa manager” anche se nessuno avrebbe mai il coraggio di dirtelo in faccia.
Si fa presto a diventare manager: è un titolo talmente ambito, soprattutto se unito a qualche inglesismo che va tanto di moda, che oggi il mondo è popolato di manager pronto uso.
Anche nell’immagine come vedi ho messo una foto che richiama l’idea del prestigiatore: chi è quindi il Fuffa manager? Il Fuffa manager è l’essenza del nulla, della fuffa, dell’inconsistenza, dei giochi di prestigio, in giacca cravatta o tailleur, anche firmati magari, ma sempre nulla resta. Il trionfo della forma sulla sostanza.
Ho visto bigliettini da visita in giro pieni di titoli altisonanti accompagnati dalla parola Manager: poi chiedi in concreto “ma quindi cosa fai tu?” e scopri che praticamente stai parlando con un Fotocopying Manager, Shifters Chairs Manager, Troubles Makers Manager, Air Conditioning Manager, Coffè Machine Manager.
Insomma … molti forse farebbero di tutto pur di potersi accostare a questo titolo. Che è appunto, un titolo. E il titolo di per se, non è garanzia di un buon contenuto.
Fare carriera è normalmente considerato simbolo di successo (per te? per la società? per chi?), ed in parte, probabilmente, è anche così. Il raggiungimento di un traguardo di carriera, tuttavia, oltre ai soldi, ai benefit, alle soddisfazioni, comporta soprattutto prendersi delle responsabilità con i relativi risvolti.
Non è raro che la nomina a manager di (x) possa tuttavia instillare nel designato, una gamma di atteggiamenti variabili fra i deliri di onnipotenza e gli eccessi di ansia (a questo proposito puoi leggere l’articolo “L’ansia da prestazione lavorativa ti divora? Divorala tu in 5 mosse”) che possono privarti del sorriso.
Può accadere che tu ti senta arrivato e che tutto adesso ti sia dovuto, il classico atteggiamento da strafottente, o che ti senta costantemente sotto la pressione di dover dimostrare che tu quel posto te lo sei meritato. In ogni caso, soprattutto se la nomina è fresca, devi tenere a mente che sei appena partito.
Non considerare o considerare male alcune dirette conseguenze dell’aver assunto determinate responsabilità, significa fare il Fuffa manager: cioè essere un manager nel titolo senza esserlo nei fatti.
E può anche significare che, sottovalutando alcuni aspetti connaturati con l’ assumere questo ruolo, si viva molto peggio di come si potrebbe, con un carico di ansie esagerate, o senso di fastidio per cose da poco, raccogliendo antipatia a mazzi e con scarsi risultati, malgrado l’impegno profuso, e per di più, in malo modo.
Ecco 10 errori che fanno di un manager, un Fuffa manager.
1 – La Fuffa è tutta mia, e ne parlo solo io!
Uno dei rischi a cui frequentemente si può essere esposti è quello di fare i tuttologi o tentare di mascherare la propria ignoranza su alcuni argomenti, soprattutto nelle riunioni. La nomina a manager di (X) può instillare la falsa convinzione che improvvisamente si è tenuti a fare miracoli di sapienza con le parole come se si fossero ingoiate in un botto tutte le Treccani in circolazione.
Non so se mi spiego … l’atteggiamento per cui si dice giusto per dire, per mostrarsi “fighi”, per fare sfoggio di sè con una certa saccenza.
Nessuno di noi può sapere tutto, e usare parole fuffose, altisonanti, generiche per dare l’impressione “di saperne” funziona, si, funziona, ma con gli stupidi o con chi non è nella posizione di poter valutare il grado di fuffa che si sta cercando di vendere.
Alla lunga, detto in soldoni, se di alcune cose non ne capisci o ne capisci poco, non sto dicendo di andare a sbandierarlo ai 4 venti, ma neanche di fare la parte di quello che con 4 parole fuffose vuole incantare i serpenti.
Ti renderesti solo ridicolo. Diciamo che questo modo di fare in effetti paga e premia nel breve termine. Nel lungo termine, la sostanza irrimediabilmente si svela.
2 – Perché, dovevo pensarci io????
Fare il manager vuol dire programmare, organizzare, gestire e controllare persone e attività.
Sperare che tutto si faccia da solo perché le esigenze sono state espresse chiaramente una volta, senza monitorare, chiedere, verificare, senza ripetere più e più volte, è irreale.
Sperare che tutti abbiano capito alla prima, che tutti si sappiano gestire perfettamente in sintonia con la propria idea, che tutti abbiano compreso le priorità, non è realistico.
Non perché i collaboratori siano stupidi. Ma perché essendo umani, ognuno di noi ha la sua percezione delle cose.
E non necessariamente questa percezione si sposa con le priorità che ha in testa un manager, neanche nel caso in cui sia stato bravissimo ad esprimerle.
3- Scaricare barili di colpe a destra e a manca
Ti sembrerà assurdo (sono ironica) ma l’essere manager significa che qualsiasi prodotto del lavoro esca dalla tua unità organizzativa, nel bene e nel male, è responsabilità tua.
La furbissima idea del prendersi i meriti se le cose funzionano, e scaricare barili di letame sui collaboratori se invece le cose vanno male, di fronte ai propri superiori , è da “Fuffa manager”.
Si può fare, per carità, per tentare di fare sempre bella figura. Ma è un modo miope di gestire le cose. Poi se alla lunga ti ritrovi sommerso di macumbe e iniziano a pioverti rane in casa non hai da stupirti .
Senza contare che il superiore gerarchico, a meno che non sia uno squilibrato mentale, col tempo, noterà questo atteggiamento e questo non deporrà a tuo favore.
4 – Atteggiarsi come le star capricciose e isteriche di Hollywood a cui tutto è consentito e dovuto
Il fatto di diventare capo/manager non significa poter decidere sempre e liberamente di tutto su tutto in qualunque momento.
Banale e scontato, ma nella realtà accade. Ci sarà sempre da fare i conti con le limitazioni imposte dal contesto (di soldi e altre “risorse, di attività etc.), senza che questo diventi motivo di isterismo diffuso da riversare sui malcapitati di turno a casaccio, a causa della frustrazione generata dalla falsa convinzione “ora conto qualcosa, finalmente faccio come mi pare”.
In questo rientra anche l’idea malsana che “siccome io sono manager di (…)” posso permettermi di trattate le persone a pedate in faccia. E’ normale e umano arrabbiarsi, alzare la voce, discutere fra colleghi.
Ma la convinzione che assunto un certo ruolo ci si possa permettere di soverchiare il prossimo o di sentirsi superiori, è da malati di mente.
5 – Lei non sa chi sono io …
Ci sono persone che nell’ ambito di “normali” diverbi di opinione, ma anche per molto meno, usano dire “Lei non sa chi sono io” oppure “ma come ti permetti di dire a me …” oppure “il mio tempo vale più del suo”.
L’uso di queste frasi è sintomatico di qualcosa di “strano”. Quando le sento dire, dentro di me si scatena un carnevale di risate. E’ bello lasciare che alcune persone si cullino nel loro brodo primordiale di presunta superiorità.
Preghiamo tutti per loro.
Comunque dicevo … un collaboratore/collega sbaglia? Espone una idea opposta o diversa sul modo/opportunità di fare delle cose?
Va quantomeno ascoltato, prima di decretare che ha detto/fatto una cazzata. Ci vuole pazienza.
E scrive una che in effetti a volte, ne ha poca. Ma fa parte del gioco. Illudersi che sia diverso e che tutte le questioni/errori/problemi possano essere liquidati in 2 nanosecondi non è prerogativa di questo ruolo.
E’ compito di un manager spiegare ad un collaboratore dove ha sbagliato, come poter evitare gli stessi errori in futuro e imporsi con assertività per ottenere qualcosa di migliore e diverso le prossime volte.
Poi ci sono per carità anche i casi recidivi, che ripeti, spieghi, ripeti e spieghi e nulla si muove. Ma a quel punto non è più un problema tuo.
6 – Tergiversare come se non ci fosse un domani
Prendere decisioni, anche antipatiche e spinose, anche in breve tempo, anche addossandosi dei rischi, anche accettando di rendersi antipatici ed impopolari, anche senza disporre di tutti gli elementi del caso (compatibili con il proprio ruolo ovviamente) fa parte del gioco: anche questa cosa così banale, invece potrebbe passare in sordina e generare infinite ansie.
Non si è pagati per essere sempre e comunque simpatici e benvoluti. Occorre saper fare i conti con l’idea che certe scelte andranno non solo prese, ma, immancabilmente, anche incontro allo sfavore di qualcuno. Chi pensa di poter fare il capo senza doversi mai scontrare con queste dinamiche, sbaglia.
E i capi/manager che non prendono mai decisioni quando il contesto lo richiede, sono visti come il fumo negli occhi. Non c’è da stupirsi se poi ci si ritrova senza seguito e/o stima fra i collaboratori.
7 – Insabbiare i propri errori
Fare il manager non significa accedere d’improvviso a qualche straordinario potere ultra terreno che rende immuni dal commettere errori.
Sbagliare è umano. E sulle lunghe distanze, ottiene molta più fiducia e stima chi ha la capacità di ammettere gli errori, che chi tenta in tutti i modi di occultare i fatti.
Che vantaggio dà fare la figura di quello che a tutti i costi vuole nascondere il suo torto marcio? Si, forse si salva la faccia con qualcuno, ma solo nel breve periodo.
8 – Trattare i collaboratori come dei Mocio Vileda per il pavimento: ossia fargli fare sempre e solo il lavoro “sporco”
E’ compito di un manager capire come motivare i collaboratori al lavoro valorizzandone le qualità e indicando loro dove e come possono superare delle loro difficoltà.
Quindi mettere i collaboratori a fare sempre cose poco gratificanti o che gli fanno schifo, facendo orecchie da mercante, non è saggio. Aspettarsi in più che questo atteggiamento non produca scontento e lamentele, è da illusi sognatori.
9 – Usare l’udito selettivo
Voler ascoltare sempre e solo le cose buone, comode, positive, spegnendo il sonoro in caso di problemi, lamentele, rivendicazioni di promozioni, premi dei collaboratori, è controproducente.
Non sto dicendo che la normalità debba essere un centro di mutuo soccorso e nemmeno che tu possa/debba farti carico di qualsiasi problema ti sia manifestato, e che magari esula in parte dal tuo potere effettivo, ma nemmeno ignorare completamente le argomentazioni che sono degne di essere ascoltate.
Ci vuole un po’ di empatia. (Puoi leggere a questo proposito l’articolo “L’empatia è uomo o donna?” e “Conflitti sul posto di lavoro. li risolvi o cerchi colpevoli’?”)
E ascoltare costa poco. Costa poco ascoltare come il poter dire onestamente “capisco, ma quanto mi chiedi esula dalle mie possibilità” (se è vero, perchè altrimenti è un problema che devi risolvere).
Anche questo modo di fare è abbastanza diffuso fra i manager: quello di pensare che, una volta diventati capi, si è instaurato il regno della beatitudine e qualsiasi rimostranza viene vissuta come un attacco personale invece che vederla come un sacro santo diritto di ogni essere umano a dire ciò che pensa o a fare rimostranze, o a rivendicare altre cose (sempre che ciò avvenga nel rispetto altrui).
10 – Risolvere i problemi
Che si tratti di problemi pertinenti il lavoro, o problemi pertinenti le dinamiche fra colleghi, quando le cose prendono una “brutta piega” non si può chiamarsene fuori. Rientra nelle aspettative del ruolo dare riposta a queste situazioni.
Avrai il compito di gestire le lamentele dei collaboratori: entro certi limiti (quindi a patto di non diventare la versione umana del muro del pianto) fa parte del ruolo gestire anche i momenti di scontentezza dei collaboratori.
Avrai il compito di scegliere chi premiare e chi no. E decidere. E motivare la decisione.
Avrai il compito di risolvere problemi di lavoro e di gestire problemi fra collaboratori che inquinano l’ambiente anche per altre persone, quando ciò avviene in una misura non più tollerabile al punto da compromette i risultati per tutti.
Avrai il compito di continuare a fare le fotocopie, se serve, senza che questo ti susciti sdegno o ti faccia sentire “declassato”.
Ora che ti ho detto ciò, come ti vedi nel tuo ruolo?
E se ambisci a fare il buon manager, pensi di aver voglia di imbarcarti per questa avventura, pro e contro del caso inclusi?
In sintesi, essere percepiti come un buon manager richiede di disporre di enormi dosi di pazienza ed energia: io personalmente con l’energia me la cavo, con la pazienza, in alcune specifiche circostanze, meno, nel senso che se la vendessero in fiale forse sbancherei le farmacie.
Essere un “fuffa manager” prevede l’uso di atteggiamenti che in sostanza sono l’esatto contrario del prendersi le responsabilità connaturate al ruolo. E a mio modesto avviso, uno che agisce così sul lavoro, forse, ha qualche domanda da farsi non solo come professionista, ma anche come essere umano.
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Federica Crudeli
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CARRIERA: TI SENTI UN BASTARDO SENZA GLORIA?
Ciao e Bentornato a Lavorare col Sorriso!
Oggi parliamo di carriera: ti senti poco valorizzato, ad un punto morto, di stallo, della tua carriera? Ecco 6 domande a cui è bene tu dia una riposta se vuoi lavorare col sorriso. Seguimi!
Mi rendo conto che il titolo è un po’ fortino… mi sono ispirata al mio regista preferito … Quentin Tarantino 🙂
Ti avviso: non ci andrò molto per il sottile. Se ti senti fragile smettila di leggere.
Sei nella seguente situazione:
Hai dato, dato, dato … il tuo tempo, le tue energie, raggiunto obiettivi sfidanti, regalato il tuo equilibrio emotivo impeccabile, pulito pure i gabinetti, aggiustato i condizionatori d’aria, fatto il facchino, annaffiato le piante dell’ufficio, pulito le scrivanie e anche qualcosa in più, eppure non ti vedi riconosciuto alcuno scatto di carriera (di ruolo e/o economico).
Sei fermo sempre al solito punto. E “covi” un misto di rabbia, nervoso, frustrazione.
Ricevi solo pacche sulle spalle e apprezzamenti per il lavoro svolto dal parte del tuo capo.
Diciamo che hai continue attestazioni di stima. Nulla di più. Sappiamo bene però che con la stima non ci compri la casa e neppure la Ferrari. Ti senti un bastardo senza gloria: né infamie, poche lodi, e magari vedi il tuo vicino di scrivania lanciato per le dune siderali della carriera.
Magari ti confronti e ti rendi anche conto che tu non hai poi così tante meno capacità di altri, eppure, sei lì, immobile come una statua di sale nel Mar Morto.
Ti senti avvilito, frustrato, e pieno di sacchettini di veleno magari, che non disdegni di somministrare a chi ti capita a tiro.
Che fare per tornare a sorridere? Intanto farti almeno 3 domande, che possono apparire banali, ma per esperienza, non lo sono affatto.
Quando le cose nella vita non si mettono come vogliamo tutti tendiamo a sprofondare nel nostro orticello di negatività perdendo di vista il contesto più generale, che può allargare gli orizzonti e aiutare a vivere meglio.
Tendiamo insomma a focalizzarci sul negativo, restringendo la visuale dai potenziali 360° a 35°, ad esempio.
1 – le tue aspettative di carriera, sono ragionevoli in termini di tempo, per il contesto aziendale di cui fai parte?
Voglio dire: sei talmente focalizzato sul volere quel ruolo, da perdere di vista che quel ruolo, in media, è accessibile in media dopo x anni? Se ti aspetti una promozione dopo 3 anni, supponiamo, mentre la media con cui ciò avviene è di 5, forse ti stai avvelenando per nulla. Il fatto che tu sia “super” potrebbe non sposarsi bene con il resto del contesto.
2 – esistono nel tuo contesto reali spazi di crescita orizzontale o verticale? Se la riposta è no, anche qui ti stai avvelenando inutilmente. Ci sono cose che non dipendono da te, e fino a quando le circostanze non si faranno più favorevoli, o tu non ti adopererai per crearle, è inutile che ti danni l’anima.
3 – se ambisci ad aumenti di stipendio o premi, quello che vorresti, è negato a te, o magari è in realtà negato a tutti coloro che sono in una situazione simile alla tua? Come funzionano le politiche retributive? Che periodicità anno? A chi sono rivolte?
Sto dando anche per scontato che tu sappia che esisterà sempre un fisiologico gap fra quello che pensi di meritarti e quello che ti viene riconosciuto. Questo caso non lo considero neppure.
Voglio dire … prima di “avvilirti” inutilmente, e sentirti una pecora nera, uno sfigato a cui va tutto storto, accertati di guardare alla situazione in modo più ampio. Magari ti accorgi che il mondo non è in combutta contro di te e che non c’è una cospirazione cosmica a tuo danno.
Ciò non toglie che la tua frustrazione resti, ma quantomeno potrebbe assumere dei connotati diversi, e magari al momento giusto, con le circostanze “buone”, quanto ti aspetti potrebbe esserti riconosciuto (sempre che tu lo abbia espresso a chi di dovere).
Se invece hai verificato che per tempi, spazi e politiche retributive quanto ti aspetti è più che ragionevole, allora la cosa si mette diversamente.
Ipotizziamo quindi che esistano le condizioni di contesto “giuste” e che tu abbia espresso le tue esigenze a chi di dovere e nulla si sia mosso.
Hai ricevuto come risposta, magari più e più volte, quelle promesse di carriera vaghe stile nebbia in Val Padana: lei è una persona seria, affidabile, puntiamo su di lei, la stimiamo, crediamo nelle sue potenzialità, continui così che arriverà il suo momento, il suo impegno sarà premiato. O qualcosa di simile.
Poniamo anche il caso che tu sia una persona abbastanza intelligente da sapere che una promessa vaga di carriera, senza una scadenza e senza una minima indicazione di contenuto plausibile, è una presa in giro.
E ipotizziamo pure che tu per mantenere certi equilibri, per educazione etc. abbia finto di credere a queste promesse, certo però del fatto che se anche sono vaghe, però in te ci credono sul serio e ti daranno davvero quello che vuoi appena possibile.
Sorge un problema: che questo “appena possibile” potrebbe anche non arrivare mai per “n” motivi. O magari la congiuntura aziendale potrebbe restarti avversa per un periodo non definibile. Questa parte da bastardo senza gloria ti piace tanto?
Invertiamo i “panni”: cosa faresti se fossi tu l’ imprenditore con risorse limitate e problemi di budget da gestire, a godere di lavoratori indefessi, meritevoli, preparati, competenti che risolvono problemi, sgobbano a man bassa senza fiatare, che magari fanno straordinari senza neppure farseli pagare, al costo lavoro fermo da anni?
Intuisci vero cosa intendo dire ? 🙂
Quindi … quali altre domande puoi farti, a parte “ingrugnirti” passivamente, per ritrovare il sorriso?
4 – Voglio continuare così?
Per quanto? A cosa sto rinunciando oggi? Penso ne valga la pena? E’ comunque un piacere oppure sono solo soffocato dal senso del dovere? Quanto è importante per me la carriera?
Se adesso ti senti un bastardo senza gloria, secondo te andando avanti nel tempo il tuo livello di frustrazione potrà diminuire o pensi di saperlo accettare serenamente?
A parte chiamarmi per tagliare il nastro di inaugurazione quando ti dedicheranno la statua in onore al/la più grande martire del lavoro, l’importante è che tu sappia bene a cosa vai incontro e che tu lo scelga consapevolmente.
Fare una scelta consapevole e ponderata in questo senso, proprio perchè è una scelta, in teoria dovrebbe regalarti un sorriso di serenità. Non ha senso vivere male se sei tu a sceglierlo!
A questo proposito ti invito a testare il tuo livello di motivazione leggendo l’articolo “Motivazione sotto ai piedi appena sveglio? Riportala su!”
2 – voglio richiedere espressamente al mio capo o chi di competenza uno scatto di carriera/promozione/stipendio , stavolta strappando una indicazione di data certa, e percorso di crescita descritta non dico nei minimi dettagli, ma almeno che abbia un fondamento di realtà? (se ti promettono di farti responsabile all’ufficio marchi e brevetti industriali in una banca… ecco…serve che vado oltre? …).
Se vuoi muoverti in questo senso, per “rivendicare” quanto desideri è opportuno che ti prepari il tavolo delle trattative.
Anche questo può sembrare banale ma non lo è affatto! Se non hai una idea chiara, precisa, specifica, di cosa vorresti e quando lo vorresti e di tutti i fatti che supportano e sostanziano la validità della tua richiesta, sei fuori strada!
Preparati quindi un elenco di fatti, obiettivi raggiunti, attività che pensi di aver fatto oltre alla tua stretta competenza con buoni risultati, problemi che hai risolto efficacemente non solo a tuo parere ma anche di altri.
Fai mente locale a tutte le cose positive che hai fatto e che possono giustificare la tua richiesta. Non lasciare nulla al caso!
Preparati anche a gestire eventuali obiezioni, prevedendo in anticipo possibili risposte sensate alle possibili contro argomentazioni che pensi di poter ricevere.
2 – ho voglia di mandare il mio CV ad altre aziende?
Si è vero che c’è la crisi. Ma non escluderei altre strade a priori. Valutare quanto è apprezzata la tua professionalità sul mercato del lavoro pensi che sia inutile, anche per la tua autostima? Anche solo per misurarti in altro contesto?
Cosa ti trattiene dal farlo?
3 – se tentando le strade 1 e 2 nulla si muove… posso/voglio considerare l’ipotesi di “rallentare” il ritmo?
Smetterla di dare oltre misura energie e tempo che ti rendono frustrato, ti fa così paura? Ti fa sentire in colpa?
Lo sai che il senso di colpa ha ragione di esistere solo se una persona non può dire a se stessa di aver dato il massimo per le circostanze (e abbiamo visto non essere il tuo caso) e che in caso contrario è solo un fardello inutile?
Cosa ti impedisce di rallentare, se è questo che intendi fare? Sei spaventato dalle conseguenze?
Lo hai già iniziato a fare? Cosa è successo? Che effetti si producono? cataclismi? Crolli di palazzi? Utili ribassati in 3 giorni di milioni di dollari per colpa tua?
In quale altro modo potresti investire tempo ed energie per ritrovare il sorriso e anche la carica per lavorare a cuore più leggero, prendendoti una pausa dall’avvelenamento quotidiano?
Ce le hai delle passioni? No??? Cercatele! E’ grave! La vita è una sola. Passarla lamentandoti senza cambiare una virgola, ti sembra costruttivo per te stesso? Pensi che possa magicamente renderti felice?
Se però hai dato talmente tanto te stesso sul lavoro negli ultimi tempi o anni al punto che non riesci ad uscire da questo loop, ma non perché non vorresti, ma perché non hai idea di cosa altro fare fuori dall’ufficio, tu hai un problema serio del quale è bene che ti occupi quanto prima.
Lo stress esagerato protratto nel tempo libera quantità di cortisolo nel sangue che fanno solo male. Senza contare quanto la negatività sparsa sia contagiosa e deleteria per te e tutti coloro che ti sono affianco, sul lavoro e fuori.
Hai valutato sino ad oggi quanto il tuo avvelenamento si ripercuota su altri settori della vita? Sei irritabile anche con i tuoi affetti? Con gli amici? Ti stai isolando? Cosa rischi di perdere su altri fronti?
Esistono gli amici, lo sport, gli hobby, i teatri, i cinema, le partite, i concerti, gli affetti, o più in generale quella cosa che si chiama vita. Ti fa così tanto schifo?
Ti identifichi al punto con il tuo lavoro che non riesci a connotarti se non come “futuro manager di x“?
Se così è, hai valutato che il lavoro è uno dei mezzi di realizzazione per sperimentare gli stati d’animo che più frequentemente desideriamo?
E gli stati d’animo che più frequentemente desideriamo vivere, non sono perseguibili solo tramite il lavoro?
Certo, per ognuno di noi il lavoro è una parte molto importante della vita. Nessuno intende negarlo. Ma proprio per questo, a maggior ragione, ha senso continuare a “dare” in un lavoro che ti spreme come un limone e ti fa sperimentare quantità di frustrazione su scala industriale crescenti?
Abbiamo visto assieme 6 domande a cui puoi dare riposta: hai intenzione di fare nulla e continuare così?
Bene! Allora smettila di lamentarti e sentirti frustrato.
Sei tu che lo scegli! Appendi gli abiti del bastardo senza gloria e sgobba in silenzio senza inquinare l’acustica di tutti con le tue lagne rabbiose.
Se non vuoi lavorare col sorriso tu, lascia almeno che gli altri vivano sereni senza doversi sopportare le tue frustrazioni!
Sono stata un po’ indigesta oggi? Mi spiace! 🙂
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Federica Crudeli
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DIVENTARE CAPO: 7 PASSI PER NON REMARE LA BARCA DA SOLO/A!
Ciao e Bentornato a Lavorare col Sorriso!
Diventare capo di fresca nomina: ecco 7 passi per assicurarti che tutti i membri dell’equipaggio che guiderai remeranno con te! Ti spiego come essere un buon manager, e guadagnarti la fiducia del tuo management di riferimento e dei collaboratori, gestendo efficacemente (ossia risparmiando tempo e stress) il cambiamento nell’ assumere un ruolo di maggiore responsabilità, magari anche in un nuovo tipo di lavoro e/o unità di business, e/o azienda, per farti apprezzare e stimare senza cadere nell’ ansia divorante da prestazione lavorativa, di cui ti ho già parlato nel mio precedente articolo!
[Tweet ““ Prima capisci, poi agisci” – cit. mia”]
Diventare capo, diciamolo, mette sempre un misto di euforia per il traguardo raggiunto e le nuove sfide in vista, e anche un po’ di ansia per la paura di non essere all’ altezza delle aspettative, o per come ti vedranno i capi, colleghi e collaboratori.
Il primo errore da evitare è quello di voler strafare da subito. I processi di cambiamento, come ti ho spiegato anche nel mio articolo “Cambiamenti lavorativi: battere l’effetto Trump in 2 mosse” spaventano, non tanto per il cambiamento in se stesso, quanto per gli effetti che produce.
Il cambiamento necessita di tempo per essere metabolizzato: da te che ti appresti ad indossare un nuovo vestito, e da chi avrà a che fare con te, che come ogni essere umano potrebbe rivestire speranze in un cambiamento in positivo, o essere diffidente nei tuoi confronti.
Per lavorare bene cosa devi avere a cuore? La fiducia del tuo nuovo capo (se ancora non la hai) e dei tuoi collaboratori. O remerai la barca da solo.
Va da se che il diventare capo a seguito di un promozione all’interno della stessa unità di business in cui sei già collocato e in cui conosci i colleghi, il contesto e il tuo superiore quello che segue sarà notevolmente semplificato, sebbene ti consiglio di leggerlo ugualmente, dal momento che il cambio di ruolo comporta sempre una ridefinizione di precedenti equilibri.
Diventare capo – Passo n° 1 – informati!
Per diventare capo e muoverti al meglio nella nuova realtà, è bene che tu raccolga più informazioni possibile sull’ambiente lavorativo in cui stai per calarti.
Ormai le aziende hanno tutte o quasi un sito internet dal quale è possibile evincere tantissime informazioni di contesto: mercato di riferimento, attività di business, clienti e fornitori, livello di organizzazione e strutturazione dell’azienda, dati economico – finanziari.
In particolare cerca nelle fonti esterne e pubbliche tutto quello che ha a che fare e caratterizza il tuo nuovo ruolo e ne costituisce una variabile chiave che ti troverai a gestire.
Diventare capo significa gestire problemi e trovare soluzioni. Prima capisci quali sono i tipici problemi caratteristici del tuo ruolo, prima diventi efficace nel padroneggiare le responsabilità che ti competono.
Diventare capo in un’area commerciale capisci bene che ha implicazioni diverse dal diventare capo in area amministrazione finanzia e controllo, dal diventarlo nell’area logistica e approvvigionamenti etc.
I principali temi e problemi da affrontare differiscono da area ad area e presuppongono delle caratteristiche tipiche di quel determinato ruolo: preparati!
Ipotizziamo adesso sia nella tua nuova realtà con il tuo nuovo ruolo: cosa fare?
Diventare capo – Passo n° 2 – Capisci il tuo capo: ti serve una bussola!
Diventare capo significa avere delle responsabilità su determinate attività.
Di norma avrai a tua volta un capo a cui riferire che ti aiuterà (si spera) ad inserirti nel nuovo contesto.
Le sue aspettative su di te è giusto che siano la tua bussola: tu renderai di conto a lui, quindi è bene che ti occupi immediatamente di capire quali risultati vuole assicurati, nel modo più specifico possibile.
La prima domanda a cui devi dare riposta è: cosa si attende da te? Se tu sei subentrato a qualcun altro, si aspetta cose diverse? Quali?
Quali miglioramenti si attende, per cosa, in che tempi?
Quali sono le cose per lui più importanti/prioritarie che ti chiede siano assicurate?
Se invece assumi un ruolo in una nuova attività precedentemente non formalizzata come unità di business, comunque, quali aspettative ha? Quali sfide ti aspettano? Quali sono le più importanti e le più urgenti per le quali è richiesto il tuo contributo?
Diventare capo – Passo n° 3 – Capisci il tuo ruolo efficacemente
Attraverso colloqui con il tuo capo/supervisore, letture di mansionari, procedure, o altri strumenti organizzativi che in base al contesto possono essere più o meno formalizzati, il puzzle che devi arrivare a comporre risponde alle seguenti domande:
Cosa devo fare? Preoccupati di censire tutte le macro-attività che competono alla tua responsabilità.
Con che frequenza? Ogni attività avrà una sua programmazione. Distinguere da subito le attività routinarie (che sono quindi da eseguire con cadenza giornaliera, mensile, trimestrale, semestrale e così via ) da progetti speciali o attività ad hoc (che di norma hanno una data di inizio e fine prevista) ti consente di disporre da subito di criteri per organizzarle al meglio partendo dalla prima che necessita di essere portata a termine dopo il tuo arrivo.
Con quale obiettivo? Ogni attività si prefigge di raggiungere un determinato obiettivo. Chiedi da subito quale sia.
Come si fanno le attività? Altra cosa che hai da capire subito sono i riferimenti procedurali esistenti per lo svolgimento delle attività. Se non ne esistono attraverso i colloqui con i collaboratori fatti descrivere come vengono usualmente svolte le attività che ti sono state assegnate.
Chi sono i miei fornitori interni? Mappa subito chi sono gli interlocutori principali che forniscono gli input ad ognuna delle tue attività.
Chi sono i miei clienti interni? Mappa subito chi sono gli interlocutori principali che beneficeranno degli output delle tue attività.
Se lo valuti opportuno, in un secondo momento, puoi pianificare incontri con i clienti/fornitori interni per ascoltare anche il loro punto di vista allo scopo di identificare punti di miglioramento.
Esistono criteri strutturati di misurazione delle performance per ogni attività?
Se si, è bene che tu sappia da subito quali siano.
Diventare capo – Passo n° 4 – Parla con i collaboratori!
Dato che hai dei collaboratori, e che sei nuovo nella veste di capo, è bene che ti prenda il tempo di parlare singolarmente con ognuno di loro.
Si lo so cosa stai pensando, è impegnativo. Ti espone. Ma se sei sicuro di te stesso, dove è il problema? Ti spaventa eventualmente sentire “qualche lamento?”
L’obiettivo di questi colloqui è: conoscerli come esseri umani, capire le loro aspettative e il loro grado di motivazione, cosa li gratifica e cosa no, stato delle politiche retributive a loro attribuite, storia lavorativa pregressa, compreso il rapporto con il precedente capo.
Queste informazioni saranno utili a comprendere le loro leve motivazionali e a valorizzarli al meglio nella gestione delle tue attività. Sarà produttivo ed efficace per te, saranno contenti loro.
Questo atteggiamento è di per sé motivante per i tuoi futuri collaboratori: significa che gli dai attenzione e che sei disposto ad ascoltarli (sempre che poi tu dia seguito a quanto hai raccolto).
Interessati di capire cosa facevano fino a prima del tuo arrivo: ti servirà per acquisire informazioni e poter valutare una eventuale re-distribuzione delle attività e dei carichi di lavoro, anche in funzione delle loro risorse e del loro potenziale, ed a capire il loro punto di vista su cosa funziona bene e cosa meno.
Interessati di capire il loro punto di vista sullo stato dei rapporti con i vostri clienti e fornitori interni, cosa funziona bene e cosa no nella gestione di questi rapporti.
Diventare capo – Passo n° 5 – comprendi bene la cultura aziendale
Questo passo, acquisisce maggiore importanza se “vieni da fuori”, e in ogni caso, anche qualora la tua nomina a capo sia avvenuta all’interno dell’azienda in cui già lavori, il cambio di ruolo presuppone comunque una redistribuzione di vecchi equilibri.
Qui si tratta di investire del tempo per capire come muoverti all’interno delle regole non scritte della tua azienda ma che sono determinanti per la tua buona riuscita come capo.
Quindi cerca di capire (e puoi farlo prevalentemente osservando le dinamiche relazionali e chiedendo con discrezione) come è opportuno muoverti nella gestione dei rapporti con i colleghi. In parte lo avrai già capito raccogliendo le informazioni dei punti precedenti, ma, qualora il puzzle non ti sia ancora chiaro è bene che ti adoperi per completarlo.
In sostanza devi darti una riposta a questa domanda: cosa è opportuno che io faccia e cosa no, in funzione dei miei obiettivi, per non urtare troppo la suscettibilità di chi mi circonda?
Questo non perché necessariamente nulla debba essere cambiato, ma semplicemente perché, se hai dei cambiamenti da attuare, è bene che siano nei limiti del possibile, graduali, in modo da essere digeriti da chi ha da farci i conti.
Ti ricordo che il tuo obiettivo guida è guadagnarti la fiducia di chi ha il potere di incidere sulla buona riuscita del tuo incarico: guidare una barca con n persone sopra che non remano o che remano contro capisci bene che è uno sforzo immane e poco intelligente.
Se cominci facendoti tabula rasa intorno, va da se che ti stai scavando la fossa con le tue mani.
Magari resterei capo di nomina, ma non nei fatti, perché tutti ti remeranno contro.
Diventare capo – Passo n° 6 – Tira le somme e osserva!
Dopo aver compiuto i 5 precedenti passi (non necessariamente in ordine sequenziale) hai: acquisito informazioni su cosa si aspetta il tuo capo da te, quali attività devi gestire, con che obiettivi, con che frequenza, con quali risorse.
Hai compreso aspettative, motivazione, risorse e potenziale dei tuoi collaboratori.
Hai mappato i tuoi interlocutori interni, e le principali criticità nella gestione delle relative attività e rapporti.
Adesso prenditi un po’ di tempo per valutare tutti questi elementi nell’insieme e farti una idea circa l’opportunità che le cose possano o meno proseguire in armonia con la gestione precedente.
Inizia a pensare quali attività possono essere fatte meglio, quali possono essere eliminate, quali possono essere fatte in modo più efficace e chi può farle: andava bene la precedente distribuzione delle attività fra collaboratori oppure è pensabile una re-distribuzione che valorizzi meglio le loro risorse e vada incontro maggiormente alle loro aspettative in modo da motivarli?
Diventare capo – Passo n° 7 – Agisci
Con il quadro della situazione sotto mano, e passato un minimo di tempo ad osservare come funzionano le cose, puoi stendere un piano di azione funzionale all’assolvimento delle tue responsabilità e al contempo, a soddisfare le aspettative del tuo management di riferimento.
Individua le attività che a tuo parere necessitano di essere ripensate.
E’ bene che tu inizi da quelle più importanti: quali sono? Quel 20% di attività che assicurano l’80% dei risultati , usando il criterio di Pareto.
Come individui quelle più importanti? In termini di conseguenze/effetti che avrebbero sull’obiettivo finale se tu non le affrontassi per prime.
Come metti in pratica le tue valutazioni sulle cose da cambiare? Coinvolgendo nei cambiamenti più impattanti i collaboratori e tutti coloro che ne sono impattati. Condividi con loro le tue proposte, ascolta i loro parari, sii disponibile a rivedere le tue posizioni con apertura mentale.
Ci vuole tempo per muoversi in questo modo? Si.
Ma se pensi di risparmiare tempo agendo cambiamenti con totale noncuranza di chi ne farà le spese, o in teoria di chi dovrebbe assicurarti la sua collaborazione, quello che spenderai in futuro e a lungo per rimediare a questo errore ti costerà molto stress, energie buttate e malumore diffuso.
In sintesi, se stai per diventare capo, acquisire informazioni sul contesto in cui andrai ad operare, capire la cultura aziendale, capire le aspettative di capi e collaboratori, clienti e fornitori interni ti consente di agire e gestire le tue responsabilità guadagnandoti la fiducia di tutti coloro che dovranno remare la barca con te!
Non lasciare a terra nessuno prima di partire!
Pronto a salpare adesso?
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Federica Crudeli
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INFORMAZIONI NASCOSTE. A VOLTE TI SEMBRA DI LAVORARE PER I SERVIZI SEGRETI?
Ciao e Benvenuto a Lavorare col Sorriso!
Oggi ti parlo di come difendersi da colleghi difficili che adottano un atteggiamento lavorativo poco collaborativo quale l’occultamento/distorsione/divulgazione tardiva dell’informazione come modo per: avvantaggiarsi nelle negoziazioni, acquisire potere/mantenerlo, difendere i propri interessi, a discapito, voluto, degli altri colleghi.
Nelle aziende possono esistere delle asimmetrie informative verticali (dai capi verso i collaboratori) ed orizzontali/interfunzionali ossia fra funzioni organizzative diverse.
Il fatto che possano esistere, di per se non ha nulla di strano, nel senso che non necessariamente tutti devono sapere tutto su ciascun argomento.
Inoltre è fisiologico che all’interno delle organizzazioni, nell’ambito della contrapposizione di interessi tipica di ogni funzione aziendale, esistano delle asimmetrie informative: fa parte del gioco, ed è anche un elemento attorno al quale ruotano le negoziazioni.
La “gelosia” in tema di informazioni esiste invece quando una persona, in qualità di manager, collaboratore o collega, volutamente e sistematicamente (cioè in tutte le circostanze) tiene per se informazioni o le rende note troppo tardi, quando invece, se note, avrebbero orientato le scelte, decisioni, comportamenti di qualche altro collega, in modo differente, o, semplicemente, gli avrebbero evitato una pessima figura in particolari circostanze.
Questa tipologia di colleghi difficili ti è sconosciuta?
Ora, personalmente, e usando un pò di ironia, sono a favore dell’evoluzione della razza umana, non di quella rettiliana, che è rimasta ferma all’utilizzo del primo stadio primitivo di sviluppo del cervello, cioè quello rettile, e come tale governata solo da meccanismi di attacco/fuga, e caratterizzata dal solo uso di pulsioni e automatismi appresi.
In realtà sono molte le tipologie di colleghi difficili che appartengono alla razza rettiliana a causa dei comportamenti che adottano, ma oggi mi soffermo su questa. A titolo informativo, dico che il più recente stadio di sviluppo del cervello è il “neo-pallio”associabile allo sviluppo dei lobi frontali, alla reazioni volontarie, a comportamenti “consci”.
Che un po’ di soldi, un bel vestito, una bella borsa, studi sofisticati e qualche titolo facciano di un umano, uomo o una donna che sia, un soggetto sviluppato ed evoluto, è tutto da vedere. Anzi. Le nostre cronache sono la testimonianza quotidiana dell’esatto contrario. …
Quindi qualora tu faccia parte della categoria di colleghi difficili che è solito usare mezzi generalmente percepiti come sgradevoli, quali quello di occultare/distorcere/fornire tardi l’informazione volutamente, per essere “vincente” credo che potresti trovare interessante leggere l’articolo per prendere coscienza degli effetti del tuo comportamento sugli altri e in ultima analisi, anche sull’organizzazione del lavoro (che spesso ne risulta deteriorata), e magari avere un punto di vista esterno diverso.
Qualora invece fossi uno di coloro che è costretto a subire questo comportamento e le sue conseguenze da parte di colleghi difficili, continua a leggere, perché potresti guadagnare una prospettiva diversa da cui guardare le cose e difendere il tuo benessere.
Quali potrebbero essere i vantaggi ottenuti dai colleghi difficili che occultano le informazioni a danno di altri colleghi, guadagnandosi probabilmente a lungo andare, la loro malevolenza, e generando inefficienze lavorative?
[list-ul type=”arrow”][li-row]primo fra tutti forse aprirsi le strade per fare carriera, in un contesto dove esiste l’esempio fattivo e concreto che questo modo di fare paghi;[/li-row][li-row]difendersi dalla paura di ritorsioni del proprio capo qualora fosse un soggetto che crea un clima di diffuso “terrore” per qualsiasi cosa sfugga al suo vaglio;[/li-row][li-row]conservare il proprio potere (o percepito come tale) con la convinzione che nascondere certe informazioni o un certo sapere costituisca un modo per creare/mantenere distanze rispetto ad altri nell’organizzazione;[/li-row][li-row]sentirsi importante e indispensabile agli occhi di chi, necessariamente, per poter lavorare, dipende da un certo tipo di informazione/sapere/conoscenza;[/li-row][li-row]godere dell’avere molti più margini di manovra di altri nel gestire alcune attività, dati dalla posizione di vantaggio di cui beneficia chi conosce informazioni utili ad altri ma non divulgate. Tanto cosa importa se un collega magari non raggiunge un obiettivo, o fa le cose sbagliate, o duplicate, o in ritardo?[/li-row][li-row]sentirsi più bravi, godere della prepotenza agita sugli altri;[/li-row][li-row]proteggere il proprio senso di sicurezza o la propria “posizione”. [/li-row][/list-ul][distance1]
Ti riconosci in una di queste situazioni? Rifletti su quali sono i motivi che ti spingono a tenere questo comportamento. (Può aiutarti anche l’articolo “Manager Leader: quale tipo sei?” anche per conoscere il tema dei tuoi tratti caratteriali distintivi e degli automatismi appresi).
Insomma, anche per ridere un po’, chi si atteggia in questo modo “strutturalmente” quasi quasi sembra un membro infiltrato dei servizi segreti.
In effetti vivere la quotidianità come se si fosse l’agente segreto di un film di spionaggio internazionale rende le giornate molto più movimentate e colorite.
Quali sono le possibili conseguenze negative di questo atteggiamento, nel lungo termine (e spesso anche nel brevissimo termine?)
Rallentamento se non duplicazione di attività e, conseguentemente, inefficienze gestionali, negoziazioni il cui esito è un compromesso piuttosto che una soluzione win-win, generazione di malcontento, diffusione di un pessimo clima lavorativo e demotivazione.
Questa sindrome “patologica” da occultamento di informazione, non ti sembra un filo datata?
Poi ci lamentiamo se viviamo in un mondo che fa pena, quando già nel nostro piccolo non siamo capaci di elevarci un pochino al di sopra della media dei comportamenti puramente “rettiliani” per il progresso della civiltà!
E cosa puoi fare tu, se sei vittima di colleghi difficili che vivono come fossero infiltrati dei servizi speciali, per preservare le tue energie e il tuo benessere mentale, emotivo e, a volte, anche fisico?
Faccio presente che più è frequente e lunga l’esposizione forzata a questi colleghi difficili, più è probabile che il fisico somatizzi in qualche modo tutto quello che non esprime a parole…[list-ul type=”arrow”][li-row]riconosci a te stesso il fastidio che senti, di rabbia, collera, paura, tristezza o qualsivoglia altra sfumatura emotiva. Uno degli atteggiamenti più auto-punitivi che esista difatti è quello di reprimere il proprio stato d’animo giudicandolo “da stupidi/perdenti/sconfitti” magari attaccandosi addosso un sorriso di circostanza a denti stretti;[/li-row][li-row]esprimi il fastidio all’interessato con garbo per cercare un dialogo finalizzato ad instaurare un rapporto di maggiore apertura. Difatti le persone ti trattano così come tu le abitui a trattarti. Se taci sempre il tuo fastidio, certamente chi è solito comportarsi così, lo rifarà. Hai paura che esprimendoti fai la figura del “deficiente?” Se si, ti domando per quale motivo dovrebbe interessarti tanto l’opinione di un collega che agisce secondo una dubbia capacità collaborativa;[/li-row][li-row]se l’aver espresso il fastidio, magari anche più volte, non sortisce alcun effetto – e per colleghi difficili con personalità particolarmente ostiche e resistenti è probabile – considera l’idea che non è un problema tuo ma di chi lo pone in essere. Se un soggetto decide di essere scientemente non collaborativo o di voler proseguire così per il resto dei suoi giorni, tu non potrai mai fare nulla per difenderti dalle conseguenze di questo atteggiamento, semplicemente perché non sei nella sua testa. E mai potrai prevedere quale sarà la prossima volta che mancherà di dirti delle cose che ti riguardano, o se lo farà quando sarà troppo tardi, o quale altra diavoleria escogiterà pur di fare il suo interesse. Tutte le energie mentali che spendi nel tentativo di contrastare, prevedere la prossima “scorrettezza” sono inutilmente buttate alle ortiche. Sapere questo non ti mette in una posizione di debolezza ma di forza, semplicemente perché a pugnalata ricevuta, sarai carico di energia e pronto a scegliere come rispondere (e dico rispondere – non reagire) , senza esserti sfinito prima e solo nella tua testa nel tentativo di pensare tutte le possibili difese ad un comportamento imprevedibile;[/li-row][li-row]pensa se sei il solo a percepire così questo collega difficile o se sei in allegra compagnia. Se così fosse, a maggior ragione, di cosa ti preoccupi? Di fondo, quando un collega lavora per i servizi segreti e sono in molti ad accorgersene, alla lunga, si screditerà da solo;[/li-row][li-row]il fatto che tu disponga dell’intelligenza per riconoscere questo comportamento come inopportuno, di per se, non è già una vittoria? E se disponi di questa intelligenza, perchè rivolgertela contro con malumori, rabbia, nervoso, etc? Piuttosto usala per prendere il giusto distacco emotivo dalle situazioni che probabilmente rivivrai a contatto col collega difficile;[/li-row][li-row]considera l’ipotesi che il giochetto di avvantaggiarsi dei gap informativi a spese di altri poi è un bel gioco che dura poco: le persone meno rettiliane inizieranno, in base ad altri rapporti di reciproca fiducia e trasparenza esistenti, ad intessere una rete collaborativa all’interno della quale scambiare le informazioni mancanti o verificare la veridicità di quelle ricevute dall’agente segreto;[/li-row][li-row]il collega difficile, col tempo, è destinato ad essere credibile come i soldi del monopoli. Nessuno gli crederà più. Anche se continuerà, molto probabilmente, ad essere convinto di essere un figo pazzesco e furbissmo. In realtà è miope, vede poco lontano e continua pure a muoversi senza occhiali da vista;[/li-row][li-row]qualora il collega difficile abbia fatto carriera, prima di invidiarlo, domandatevi: a che prezzo? E’ una scelta individuale. Si può scegliere di morire blasonati e isolati, oppure con meno medaglie ma ben voluti stimati e apprezzati, quanto meno come esseri umani. [/li-row][/list-ul][distance1]
Fare dell’insabbiamento delle informazioni sistematicamente un “vantaggio” è tipico, spesso, si di colleghi difficili, e anche profondamente insicuri, o altamente manipolatori, competitivi nel senso più distruttivo del termine, e poco collaborativi.
Se è vero che nei contesti negoziali fa parte del gioco delle parti, entro certi limiti, scoprire le carte un poco alla volta, oltre certi limiti è una scelta perdente per tutti che obbliga a trovare compromessi piuttosto che soluzioni win-win come vorrebbe la letteratura economica più evoluta.
In ultima analisi, le conseguenze di questo atteggiamento si ripercuotono in senso negativo sulla produttività lavorativa generale, sia per i costi “emotivi” legata alla demotivazione di chi è a contatto con queste persone, sia per la necessità di fare male, tardi o più volte, le stesse cose per porre rimedio alla finta furbizia altrui.
Fammi conoscere le tue riflessioni e la tua esperienza sul tema lasciandomi un commento nel box in fondo alla pagina.
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A presto!
Federica Crudeli
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MOTIVAZIONE SOTTO AI PIEDI APPENA SVEGLIO? RIPORTALA SU!
Ciao e Benvenuto a Lavorare col Sorriso!
Oggi ti parlo di due tipi di motivazione al lavoro: intrinseca ed estrinseca. Cosa sono, da chi e da cosa dipendono? Ti aiuterò a capire in quali circostanze la motivazione al lavoro può essere aumentata e in che modo, in quali circostanze è possibile recuperarla se l’hai persa, e cosa fare di conseguenza. Attenzione perché è un articolo per stomaci forti e parecchio diretto.
[Tweet ““Fai della tua passione il tuo lavoro, e non lavorerai nemmeno un giorno della tua vita”– cit. Web”]
Se ti senti avere poca motivazione al lavoro potresti essere in una di queste situazioni: [list-ul type=”arrow”][li-row]non hai ricevuto l’aumento di stipendio che desideravi/aspettavi;[/li-row][li-row]non hai ricevuto la promozione al ruolo di responsabilità a cui ambivi;[/li-row][li-row] non hai ricevuto alcun riconoscimento/apprezzamento dal tuo capo per un lavoro che ritieni di avere svolto bene, con dose di frustrazione rincarata dall’ aver assistito alla promozione di qualcuno che a detta tua (e non solo) non lo meritava; [/li-row][li-row] ti senti poco considerato o mortificato dal tuo capo; [/li-row][li-row] ti vedi impiegato a fare una attività energivora che trovi poco stimolante nemmeno lavorassi in miniera, con poche ricompense e soddisfazioni. [/li-row][/list-ul][distance1] In linea generale, ti senti demotivato e l’idea di andare in ufficio la mattina ti genera quasi quasi anche un po’ di nausea a forma di “ma chi me lo fa fare?”
Come dice la parola stessa, motiv-azione è quel qualcosa che spinge una persona verso una certa meta, ossia l’insieme di fattori, i motivi, che inducono le persone a fare determinate cose.
Il problema, o la fortuna, (dipende dai punti di vista) è che esistono due tipi di motivazione al lavoro: quella intrinseca e quella estrinseca.
La motivazione al lavoro intrinseca, tradotta in parole coincise, equivale al buyer che stipula contratti di appalto per la gioia di farlo, al commerciale che vende prodotti e servizi e gioisce nel farlo, al legale che nell’occuparsi di pratiche e assistenza al business gode nel farlo, all’amministrativo che prova gioia sublime nell’emettere fatture e fare bilanci, al giornalista che scrive per il piacere di scrivere, al fiscalista che gode nello studiare i nuovi tributi per capire come gestire l’azienda, all’analista finanziario che studia i mercati per il piacere di conoscere l’andamento dei mercati, all’informatico che sviluppa software per il piacere di sviluppare nuovi codici sorgenti, e così a seguire …
La motivazione al lavoro intrinseca si basa sul piacere e la si sperimenta quando in generale ci si impegna in un’attività che è gratificante di per se stessa, e si sente una spinta naturale a voler soddisfare il bisogno di sentirsi sempre più competenti nel farla.
Fare quella determinata attività, indipendentemente dalle circostanze esterne, è fonte di piacere, che ci siano un collega, capo, amico, o chicchessia a gratificarti o montagne di soldi a ricoprirti.
A questo punto pongo la prima domanda: l’attività che svolgi tutti i giorni in azienda, è fonte per te di motivazione al lavoro fatta di piacere intrinseco?
Per aiutarti nella riposta, è qualcosa che adori al punto che lo faresti anche gratuitamente?
Se la riposta è SI fai parte di quelle persone che fondamentalmente ha fatto di una passione il suo lavoro e molto probabilmente, indipendentemente dalle circostanze a contorno, avrai sempre una spinta interiore ad andare avanti con la giusta tensione per raggiungere i tuoi obiettivi monetari e di carriera.
Semplicemente, se pensi di non essere valorizzato abbastanza nella tua azienda in termini monetari o di riconoscimento professionale, con una giusta dose di pazienza e fiducia in te stesso, ti metterai a cercare sul mercato del lavoro la situazione che desideri e che sicuramente otterrai. E’ solo questione di tempo. E tornerai ad alzarti la mattina con lo spirito giusto e la giusta dose di motivazione al lavoro.
Qualora invece la riposta fosse NO penso tu abbia da riflettere su quanta coerenza esiste fra il fare un lavoro che non ti regala piacere intrinseco, e l’arrabbiarti nel contempo, per scatti di remunerazione e di carriera mancati.
Gli scatti di remunerazione e carriera normalmente premiano (o dovrebbero premiare) chi si impegna sul lavoro, produce risultati con entusiasmo, ed ha capacità e competenze distintive che gli consentono di ricoprire ruoli manageriali o comunque professionali in generale crescenti.
Gli scatti di remunerazione e carriera invece difficilmente possono rappresentare una equa ricompensa per una persona che non essendo appassionata del suo lavoro, cerca in essi una qualche forma di compensazione, soddisfazione, senso di pienezza.
Soldi e ruolo, assieme alle gratificazioni, lodi, buone valutazioni delle performance, costituiscono la cosiddetta motivazione al lavoro estrinseca, ossia quella che si ha quando l’impegno in una attività avviene per scopi che sono esterni all’attività stessa.
Con questo non sto dicendo che se fai un lavoro che non ti appassiona e con poca motivazione, non hai diritto a ricompense monetarie o di ruolo, se pensi di meritarle e ti impegni comunque a fondo.
Ti sto dicendo che se anche le avessi, e ti ricoprissero d’oro, complimenti, gratificazioni, scatti di carriera fino al gradone più alto della piramide del potere, di fondo, contribuirebbero solo in modo superficiale, temporaneo, ed effimero alla motivazione al lavoro che ti farà alzare la mattina contento di farlo.
Cosa fare in questo secondo caso? Nei miei articoli: “Potere è Piacere? Come capirlo” e “Un giorno lo farò: il tempo ti è nemico?” – Parte I e Parte II ti guido a riflettere da un lato sul mix di potere e piacere che contribuiscono a costruire un senso di benessere duraturo per la tua vita, dall’altro a scoprire quali possono essere i principi guida, valori e priorità che sarebbe bene orientassero il tuo impiego del tempo.
Ti stai rendendo conto che fai un lavoro che ti piace poco? Cosa puoi fare?
Cercarne uno che rispecchi al meglio le tue inclinazioni naturali, qualità e risorse di cui disponi, che fluiscono in te e da te in modo spontaneo. In questo modo non lavorerai più nemmeno un giorno della tua vita, perché tutto quanto si inquadrerà in una prospettiva molto diversa.
Non puoi farne a meno al momento, o magari fino alla pensione, di fare quel lavoro che ti piace poco perché hai bisogno dei soldi per vivere?
Quantomeno sii onesto con te stesso: vale la pena rincorrere soldi e carriera a tutti i costi, o spendere energie in confronti estenuanti e frustranti con gli avanzamenti di carriera altrui, o piuttosto pensare di ricavare più tempo per fare quelle cose che ti regalano piacere e gioia, lasciando perdere il livore per le vite lavorative altrui?
Tornerai a svegliarti con un piede diverso ogni giorno. In fin dei conti, il vecchio detto si lavora per vivere e non si vive per lavorare, ha un suo perché.
Pensi che ti stia dicendo delle stupidate?
Ho notato che molte persone poste di fronte alla domanda: “cosa ti dà veramente piacere fare nella vita” o non sa rispondere, o esita parecchio prima di farlo, oppure sciorina il set stereotipato standard di quello che è normale aspettarsi da chi ha fatto un certo percorso di vita, studi e lavoro (tipicamente la palestra, il calcio, le uscite).
Da qui a capire cosa ti regala veramente piacere ci passa un grande differenza.
Fai fatica a capire cosa ti dà piacere nella vita?
Ripensa a tutte le circostanze da quando sei nato ad oggi , in cui “ti sei perso” nel fare qualcosa. Noterai che la ricerca di queste esperienze metterà in evidenza delle caratteristiche comuni: un determinato contesto ambientale, azioni che stavi compiendo, stato emotivo e pensieri di un certo tipo.
E sarebbe bene che quel qualcosa che ha accomunato tutti i momenti di autentico benessere personale, sia il più possibile ripetibile e presente nella tua vita. Non siamo nati per soffrire!
Fai mente locale ai manager della tua azienda. Quanti di loro, dotati di stipendi cospicui e posizioni manageriali di tutto rispetto guadagnati uno scatto di carriera dopo l’altro trasmettono autentica (e dico autentica, non finta) passione, gioia, entusiasmo, e sono a loro volta ottimi trascinatori e motivatori ed esempi di benessere da seguire?
Quanti di loro ti fanno pensare: ma che bell’esempio da seguire, che bel clima che crea il mio capo!
Quanti di loro hanno una fisicità sana, invidiabile, che trasmette forza, vigore, energia, sguardo vivido? Quanti hanno una vitalità contagiosa?
Quanti invece nel progredire della loro carriera li percepisci come progressivamente intristiti, e con una fisicità che trasmette tutto tranne che un senso di sano benessere?
O quanti di loro hanno un carattere affabile come se fossero stati punti dalla nascita da una tarantola velenosa? Per quale motivo una persona realmente appagata, serena e contenta dei suoi successi, dovrebbe vivere in un costante stato di competizione, o disseminando un’aria pesante, di tensione se non di terrore psicologico, nella quale stare non è affatto piacevole per alcun collega?
Forse che la differenza fra le due tipologie di persone, possa risiedere, oltrechè in connotati caratteriali talvolta “nevrotici”(e questi meritano una trattazione a parte che non mancherò di fare), anche, (e non solo) nel fatto che alcuni manager hanno fatto di un passione un lavoro, mentre altri no?
Può essere che altri abbiano magari inseguito “di default”, affetti da sindrome sociale di omologazione, quella rincorsa ai soldi, potere e carriera, che nell’immaginario comune li avrebbe resi felici?
Per poi trovarsi, una volta raggiunta una meta, con un senso di piacere e appagamento duraturi come il battito d’ali di una farfalla?
Quanti di questi, a quel punto, piuttosto che ripensare alla loro vita o priorità, magari hanno trovato naturale perseverare la rincorsa al successo, per come è comunemente inteso, attribuendo la mancanza di autentico benessere e appagamento, al fatto che il traguardo raggiunto non fosse ancora abbastanza… e quindi giù con la testa diretti verso il successivo da raggiungere, in una corsa senza fine, che magari difficilmente realizzerà quella tanto attesa felicità esplosiva?
Tu sei ancora in tempo per fermarti e capirlo, se stai leggendo questo articolo.
Vuoi svegliarti motivato al lavoro la mattina?
Pensa al lavoro che fai, pensa a quanto è fatto di motivazione intrinseca e di motivazione estrinseca e regolati di conseguenza tenendo a mente quanto ho scritto negli articoli “Un giorno lo farò: Il tempo ti è nemico? Parte I e Parte II, magari smettendo di pretendere da te stesso una cosa e il suo esatto contrario, senza rendertene conto.
Saperti regolare, secondo un ordine di priorità delle cose per te importanti, aumenterà sicuramente anche la tua produttività in ufficio e renderà il tuo tempo così impiegato un tempo di qualità!
Prenditi la responsabilità e il coraggio di scegliere per quale motivo, la mattina, vorresti sentirti contento di affrontare la giornata! E identifica il mix giusto per il tuo benessere di lavoro, potere e piacere!
Se pensi che la risposta a questa domanda stia al di fuori della tua persona, o solo nelle circostanze esterne che scegli di vivere (o subire), sei destinato a svegliarti “con l’umore storto” per il resto dei tuoi giorni, anche se ricoperto d’oro e con 10.000 titoli e medaglie al valore!
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CARRIERA LAVORATIVA: IL POTERE È PIACERE? COME CAPIRLO
[distance1]Ciao e Benvenuto a Lavorare col Sorriso!
Rincorrere il potere nella carriera lavorativa è davvero fonte di piacere? In questo articolo ti guido a valutare il potere in modo provocatorio: sul suo significato, sulle sue implicazioni, su come lo vivi, gestisci, ambisci o subisci, e sulla quantità di PIACERE che vuoi per la tua vita.
[Tweet “”Il potere logora chi non ce l’ha. ” cit. Giulio Andreotti”]
Il concetto di potere nella carriera lavorativa è sempre andato di pari passo con il genere maschile, mentre negli ultimi 50 anni l’avvento del femminismo ha insinuato una grossa crepa nel potere concepito in modo patriarcale, in tutti i settori lavorativi.
Oggi la rincorsa al potere nella carriera lavorativa non è più una prerogativa solo degli uomini, ma anche delle donne, e questa modificazione culturale ha condotto, probabilmente, anche ad una modificazione del rapporto di potere fra i due generi, ad oggi, ancora non ben digerita e metabolizzata, a leggere quanto ci offrono le cronache quotidiane.
Ma andiamo per gradi, in questo articolo voglio restare focalizzata sul rapporto di uomini e donne verso il potere e il piacere nella carriera lavorativa, per trattare separatamente, vista l’importanza del tema, delle conseguenze anche lavorative del cambiamento del rapporto di potere fra i generi maschile e femminile.
Immaginati vestito/a di tutto punto, al meglio della tua forma fisica, che contempli il tramonto che si dispiega di fronte a te dalla stanza del tuo ufficio personale situato all’ ultimo piano di un fantastico grattacielo mentre stai per prendere una qualche decisione che impatterà pesantemente sulle sorti della tua azienda. Hai la fortuna di sentire i rumori di sottofondo come un vago ricordo, perché da lassù, puoi permetterti di guardare il mondo dall’alto perso nei suoni ovattati. Hai una limousine che ti aspetta in strada con tanto di autista, e uno stuolo di uomini/donne pronti a scattare ad ogni tua richiesta. Sei instancabile, gestisci problemi e difficoltà di ogni genere e tipo senza battere ciglio, senza perderti mai d’animo, con una energia infinita, sempre pronto, brillante, con la battuta pronta. Sei distaccato quanto serve a non farti sopraffare dai mille impegni e responsabilità che hai. Hai persino una scrivania Skin Touch – quelle che a seconda del tocco con cui ti appoggi si trasformano in esecutori seriali (o Geishe o Gigolò ☺️) – normalmente di districhi fra eventi VIP e personaggi noti e famosi e la tua presenza di per se stessa in qualche luogo, genera l’evento dell’anno. A colazione mangi fette di pane con spalmati sopra gli indici Standar & Poor o Moody’s.
Cosa dici, ironia a parte, pensi che possa essere una descrizione “calzante” di uomo/donna di potere nella carriera lavorativa?
Scendendo da Hollywood alla realtà, in media, accanto alla parola potere spesso le cronache accostano immagini di faccendieri di vario ordine e grado che già ricchi o arricchitisi dopo, già seduti su alte cariche continuano ad avere una smania infinita di soldi, e imprese da compiere, non sempre degne di ammirazione… E magari alle spalle di poveri disgraziati. Così come, sempre le cronache, possono regalarci esempi di esercizio del potere degni di ammirazione.
Sei d’accordo con la celebre affermazione che il potere logora chi non ce l’ha?
Il concetto di potere nella carriera lavorativa solitamente ruota intorno ad altri due concetti: denaro e posizione sociale di “rango/establishment elevato”nonché autorità.
Allora sono andata a rispolverarmi la definizione della parola potere il cui significato è “capacità di influenzare”.
E sono stata quindi costretta a domandarmi: a me piace influenzare o no le persone e le circostanze?
La riposta è stata si. Quindi a me piace il potere.
Tutto sta a vedere che tipo di potere, da esercitare in quali contesti, e a quale fine.
Ed è una valutazione del tutto soggettiva.
Che ti piaccia o meno, tutti noi, nelle nostre relazioni di lavoro, amicali, affettive, in qualche modo esercitiamo un potere.
Di per se, il concetto di influenzare l’ambiente che ci circonda è un dato di fatto. Né positivo, né negativo. Condizioniamo, plasmiamo, influenziamo in qualsiasi interazione della nostra vita.
Ma la riflessione che ti invito a fare è: mettiamo che tu abbia il legittimo diritto di vedere e vivere il tuo lavoro come un mezzo per ottenere una carriera lavorativa di potere.
E il potere, come si sposa con il concetto di piacere che penso sia una condizione nella quale noi tutti ambiamo a vivere, uomini e donne, indistintamente? (se invece amiamo il dolore, abbiamo più che qualche riflessione da fare e anche molto seriamente…)
Alexander Lowen (prima avvocato, poi medico chirurgo specializzato in psicologia…giusto per dirti che di vite rampanti pur qualcosa ne conosceva), nel suo libro “Il piacere” sostiene che “il lavoro può essere piacere quando le richieste che implica impegnano in maniera equa e libera le energie di un individuo”.
Dice anche che “il piacere è la forza creativa della vita. E’ l’unica forza abbastanza possente da opporsi alla potenziale distruttività del potere”.
Questo implica che il potere possa essere potenzialmente anche distruttivo e quindi, in ultima analisi, allontanare dal piacere. Sei caduto dalla sedia? Aspetta, continua a leggermi.
Nell’ambiziosa corsa verso il denaro e il riconoscimento sociale, sopportiamo una tensione, o la rinuncia ad un piacere immediato (legata spesso per alcuni alle 12 ore al giorno lavorative), in cambio di un successo, una promessa di piacere maggiore e futura.
Quando avrò lo yacht di 16 metri, quando avrò i soldi per fare tutte le vacanza nei resort di lusso, quando potrò iscrivermi ai più esclusivi club di golf, lancio del nano, (come nel film “The wolf of Wall Street”) quando avrò ai miei piedi tutte le donne strafighe che vorranno salire sulla mia Ferrari, quando avrò i soldi per rifarmi il naso, la bocca, le tette e andare in giro con le Manolo Blanich di ultima generazione senza fare troppe rinunce come faccio ora, quando …, quando …, quando…. Appunto. Quando?
Ti dico un’altra cosa … toccando ferro nel dirla …hai mai considerato l’idea che a quel famoso quando potresti anche non arrivarci mai?
E che l’unica cosa di cui puoi essere sicuro è che sei vivo QUI e ORA? Scommetto di no.
Scommetto che, schiacciato dalla routine quotidiana, ti ricordi di non essere eterno/a solo se e quando la vita ti dà degli scossoni talmente forti che non puoi non fermarti per un attimo a pensare.
Poi la vita ricomincia. E passi le tue giornate procrastinando magari all’infinito qualcos’altro a cui tieni oltre al lavoro, nella tua convinzione che un giorno potrai fare la tal cosa, dato che sei eterno un pò come gli Dei della Grecia Antica.
Beh Federica, allora mi stai dicendo che nessuno deve più ambire ad una carriera lavorativa di potere? No.
Ti sto solo invitando a fare una riflessione sul significato del successo per come è comunemente inteso, e le implicazioni che il successo può avere sulla tua vita e farti riflettere su quanta dose di potere e quanta di piacere vuoi che siano presenti nella tua vita OGGI che è l’unico dato certo di cui disponi (almeno se stai leggendo adesso questo articolo).
Che rapporto hai con il potere e che influenza ha su di te il potere esercitato dagli altri?
Sei una di quelle persone talmente affascinate dal potere che faresti qualunque cosa in cambio di una carriera lavorativa fatta di denaro e successo?
Sei una di quelle persone che vive di luce riflessa del potere di altri, ossia provi piacere nel potere annoverare la tal persona di successo fra le tue frequentazioni?
Oppure ti piace relazionarti in ambito lavorativo preferibilmente (o solo) con chi ha raggiunto alti gradi nella carriera lavorativa e ricopre posizioni “alte” nell’organizzazione, altrimenti ti senti sminuito ad interloquire con i comuni mortali?
Se si, i colleghi con cui ambisci a relazionarti sono anche persone di valore? Ossia si distinguono per qualità personali, valori, conoscenze e competenze, oltre al fatto di aver fatto una gran carriera lavorativa?
Sotto sotto consideri inferiori le altre persone che non possono fregiarsi di qualche titolo, a prescindere dal valore che hanno come esseri umani?
Oppure ti senti succube del potere nel senso più negativo: o perché talvolta ti trasformi in una brutta copia in miniatura del potente di turno, da emulare, per poterne poi prendere il posto o guadagnarsi la scalata ai piani superiori.
Oppure perché lo subisci del tutto mettendoti in una posizione di sudditanza psicologica al punto che a volte dubiti della tua dignità?
Oppure, ancora, il concetto di potere ti lascia indifferente?
A te quanto piace poter influire sul tuo contesto lavorativo e sulle persone? Con quale finalità? In che modo?
Spostando ora il focus sul concetto di piacere, cosa significa provare piacere per te?
Ho detto piacere, non felicità, non divertimento, non intrattenimento, che sono concetti affini ma non identici…(di cui avrò occasione di parlare in futuro).
Il piacere innanzi tutto è “uno stato percepibile a livello fisico, è un modo di essere, è un fluire libero, creativo di energia, uno stato di eccitazione, un sentirsi pienamente vivi”, come lo definisce Alexander Lowen nel suo omonimo libro (-link di affiliazione).
Per capirci meglio…pensa a quando sei impegnato a fare la tua attività preferita… che quasi quasi il tempo passa senza che tu te ne accorga mentre provi “piacere” intrinseco da quello che stai facendo, e non esistono interruzioni di sorta, pensieri disturbanti.
Sei completamente e piacevolmente assorto in uno stato di “tranche” e leggerezza di spirito che avverti anche nel corpo. Caschi il mondo tu sei preso nella tua passione preferita. Ecco, quello si chiama piacere.
Questo piacere lo provi anche nell’ambito della tua corsa verso le vette della carriera lavorativa? Se si, sei a cavallo. Ti aspetta una vita meravigliosa.
Ipotizziamo che tu desideri il potere e l’autorità che ne consegue.
Hai mai pensato a come la necessità di mantenere una “posizione autorevole” possa entrare in conflitto con i tuoi sentimenti ed emozioni?
Perchè saprai meglio di me che arrivare a ricoprire nella carriera lavorativa ruoli di potere necessita un impiego di diplomaticità, ed equilibrio, come minimo, che poco hanno a che vedere con la spontaneità.
Se si, quanto ti costa? Ti viene agevole o fai una fatica immane?
Insegui il successo per poterti distinguere dalla “folla”?
Se si, hai mai considerato che in questo caso avrai sempre bisogno proprio di questa folla da cui vuoi distinguerti per poter mantenere il consenso che ti conferisce il “successo” che hai ottenuto o vuoi ottenere?
Perchè ti è utile rifletterci?
Perchè guardarti dentro e capire cosa fa al caso tuo o meno, capire quanto piacere intrinseco sperimenti seguendo una strada piuttosto che un’altra, influisce sensibilmente sulla qualità della tua vita lavorativa e non solo.
E tu, che genere di potere insegui? In quale ambito della tua vita? Verso chi lo vuoi esercitare? Come lo vuoi esercitare? Quali rinunce sei disposto/a a fare? Quali benefici ti attendi?
Quanto piacere vivi nel tuo presente, o speri di vivere nel tuo futuro?
Quale “mix” di potere e piacere pensi sia più consona al tuo benessere?
Pensi che ambire a ruoli di potere nella carriera lavorativa sia una prerogativa per entrambi i generi oppure pensi che sia più una prerogativa da uomo che da donna?
Ti ho parlato di potere e piacere, di cosa siano e che conseguenze possono avere sulla tua vita; nei prossimi articoli ti darò strumenti utili a capire meglio quale percorso di crescita professionale faccia al caso tuo, e a capire meglio quale mix di potere/piacere sia consona al tuo benessere.
Ti anticipo che questa valutazione ha molto a che fare anche con il tempo , con la consapevolezza che hai di te stesso, e con i tuoi valori ed ha poco a che vedere con le distinzioni di sesso.
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Federica Crudeli

MANAGER O LEADER? QUALE TIPO SEI?
[distance1]Ciao e Benvenuto a Lavorare col Sorriso!
La consapevolezza di sè: manager, leader, perfezionista, diplomatico, creativo, altruista, pensatore, scettico, avventuriero, mediatore … che carattere hai? Quali schemi ripeti? Come ti vedono gli altri? Perchè è importante saperlo? Oggi ti parlo di 9 tratti caratteriali, frutto di una sapienza antica, con cui è possibile “andare nel mondo” che ti guideranno a riconoscerti!
Utilizzando provocatoriamente il concetto di un filosofo esistenzialista , che suona come un po’ ironico:
[Tweet “”Ognuno è condannato ad essere se stesso…” cit. J.P. Sartre”]
Quando è che essere se stessi diventa una condanna? Quando sia ha una scarsa consapevolezza di sè.
Schemi di comportamento ripetitivi e disfunzionali
Ripensa a tutte le volte che sul lavoro hai reagito come un mitra a qualche atteggiamento di altri senza darti il tempo di riflettere per poi pentirtene … la tua consapevolezza dove era?
Ripensa magari a quando hai mancato, per l’ennesima volta, di asserire quello che pensavi scegliendo in automatico di abdicare alle tua capacità relazionali e rimuginando su quel non detto per le successive tre ore o magari giorni…
Ripensa a tutte le volte che ti sei ritrovato solo con te stesso a dire che proprio non potevi fare a meno di comportarti in un certo modo, anche se avresti voluto fare diversamente, ma c’è sempre quel qualcosa più grande e forte di te che ti spinge in una direzione e non riesci a controllarti, un po’ come se avessi inserito un pilota automatico che ti guida in una direzione mentre tu resti a fare i conti con il tuo senso di impotenza di fronte a te stesso.
Ognuno di noi, nessuno escluso (se può consolarti) in alcune occasioni attiva questo pilota automatico anche quando la direzione è un burrone, ovvero può manifestare schemi comportamentali disfunzionali (e inconsci, noti anche con il termine “coazione a ripetere”) talmente radicati a causa di “introiezioni” pregresse che, sebbene in ultima analisi allontanino da un obiettivo, non c’è nulla da fare, ti portano dalla parte sbagliata.
Non averne la consapevolezza significa esserne schiavi.
Se ti stai domandando cosa significhi “introiezione”, ti dico che l’introiezione è un meccanismo di “assimilazione” di alcuni comportamenti che è avvenuto quando ancora non disponevi degli strumenti “adulti” per poter distinguere cosa fosse il caso di fare tuo da cosa non lo era. Più introietti hai, meno sei consapevole.
Continuo con il proposito di guidarti verso una maggiore consapevolezza di te stesso da un altro punto di vista: con l’articolo di oggi ti parlerò di Enneagramma, una chiave di lettura del carattere (ne seguiranno altri sul tema) che ti sarà utile:
[list-ul type=”arrow”][li-row]per aumentare la consapevolezza di te stesso, con conseguenti ripercussioni positive anche in termini di crescita professionale, ad esempio per disporre di qualche elemento in più per valutare la coerenza fra il tipo di lavoro che svolgi e i tuoi tratti caratteriali[/li-row][li-row]per divertirti a “riconoscere” il tuo carattere e quello delle persone che ti circondano e ad osservarne meglio i comportamenti in modo più distaccato e oggettivo al fine di entrarci in relazione se ti interessa o se le circostanze lavorative “ti obbligano” a farlo[/li-row][/list-ul][distance1]
Cos’è l’Enneagramma?
L’Enneagramma è una delle mappe esistenti per la comprensione della personalità umana ossia una chiave di lettura del comportamento umano la cui conoscenza aumenta la consapevolezza. Può essere utilizzato anche dalle risorse umane in ambito organizzativo nella valutazione dei candidati.
L’Enneagramma è stato introdotto in occidente all’inizio del ‘900 da Georges I. Gurdjieff, dopo averlo riscoperto in Asia centrale, in quanto frutto di una tradizione che si è tramandata per via orale partendo da una sapienza antichissima (ennea dal greco 9 e gramma segno).
E’ stato poi sistematizzato da Oscar Ichazo e da Claudio Naranjo in chiave psicologica in tempi recenti.
In sintesi, possiamo distinguere 3 famiglie caratteriali: gli istintivi (tipi 1-8-9), gli emotivi (tipi 2-3-4), i razionali (tipi 5-6-7), che tendono a mettere in campo nel vissuto della realtà rispettivamente: rabbia, tristezza e paura come principale sentimento di riposta al contesto ambientale, per un totale di 9 tratti caratteriali o “enneatipi”. Ogni singolo tratto è poi dominato da una “passione dominante”e da una “fissazione” specifica.
Specifico che parlo di tratti caratteriali proprio perché ogni essere umano è unico e non etichettabile e queste sono solo chiavi di lettura e comprensione che sono convinta tu ritroverai nel tuo quotidiano …
Ad esempio… fai mente locale alle persone che conosci. Ti è mai successo di notare che alcune persone sono accomunate/simili nella loro fisicità, nelle parole che usano, nel modo di affrontare la vita, nella carica vitale che hanno? Sono tutte diverse e uniche, ma accomunate da “tratti” distintivi.
Oppure di avere nella cerchia di amici e colleghi, persone che sono “etichettate” per una loro caratteristica particolarmente visibile e genericamente riconosciuta non solo da te ma anche dagli altri? Scommetto di si.
Come scommetto che anche tu puoi contare su una serie di nomignoli e soprannomi che nascono da una tua qualche predisposizione caratteriale.
Divertiti un po’ adesso. Guarda a te stesso e pensa ai tuoi colleghi e vedi se riesci a ricondurli a quello che leggerai sotto.
Intanto vediamo un assaggio…
Come si legge l’Enneagramma?
[list-ul type=”arrow”][li-row]Le ali –sono le porzioni di cerchio a destra e sinistra di ogni tipo e stanno ad indicare le sfumature caratteriali rilevabili in un individuo. Di norma un enneatipo assume anche i connotati caratteriali di uno e uno solo dei due enneatipi attigui.[/li-row][li-row]Le direzioni – sono le linee che partono da ogni “carattere base” puntando ad altri due ed indicano le modalità comportamentali caratteristiche di un altro enneatipo, che un “carattere base” può attivare in condizione di stress o in condizioni di serenità.[/li-row][/list-ul]
In alcuni tipi, inoltre, è possibile rintracciare in modo più significativo un bisogno nucleare dell’infanzia che è stato percepito come negato e di cui ho iniziato a parlarti nel mio articolo “Il corpo, non mente?Riflettici” : parlo dei tipi 1, 2,5,8 e 9.
[button url=”http://lavorarecolsorriso.it/wp-content/uploads/2016/04/leggi-lEnneagramma.pdf” target=”_blank” color=”jade” size=”medium” border=”true” icon=””]Leggi l’Enneagramma[/button]
Torno a dire … a cosa ti serve conoscere l’Enneagramma?
Beh… ogni persona filtra il suo sguardo sul mondo in modo completamente diverso. Se nella tua vita lavorativa hai provato spesso la sensazione di parlare e non essere capito, forse è perché ti manca la chiave di lettura giusta per entrare in relazione con una determinata persona (e magari anche per guardare a te stesso con un occhio diverso dal solito e più consapevole).
Parliamo tutti la stessa lingua eppure, spesso, non ci capiamo proprio, con annesso dispendio di tempo ed energie mentali per tentare di raggiungere obiettivi comunicativi puntualmente mancati.
Nei miei articoli ti condurrò alla scoperta di come sia possibile entrare in relazione, se le circostanze te lo richiedono, anche con i colleghi che vivi come molto distanti da te, così come ad aumentare la consapevolezza che hai di te stesso. E scoprirai come questo ti tornerà utile non solo sul lavoro, ma ovunque e con chiunque.
Quali conseguenze ha avere un certo carattere, ovvero essere un certo enneatipo?
A questo proposito ritorno alla frase iniziale “ognuno è condannato ad essere se stesso” e al concetto del pilota automatico. Ogni enneatipo ha una tipologia di pilota automatico differente ma normalmente attivato in certe circostanze.
Capire quali siano queste circostanze e cosa lo fa scattare, significa disporre di uno strumento in più per disinserire il proprio pilota automatico ed evitare il burrone, e neutralizzare gli effetti subiti dall’inserimento del pilota automatico “altrui”.
Ti sei riconosciuto in una di queste descrizioni sintetiche?
Si? continua a seguirmi nei miei articoli.. scoprirai cose ancora più interessanti su di te.. e come l’essere caratterizzati da alcuni tratti influenzi il tuo modo di manifestarti del mondo in termini di pensieri, emozioni, energia, gestione dei rapporti con gli altri …e come sia possibile disinserire il pilota automatico “smussando” alcuni tratti non funzionali alla tua crescita personale e professionale.
No. Fai fatica a riconoscerti? O ti sembra di riconoscere alcune tue caratteristiche in più enneatipi diversi? Nulla di strano, crescendo ognuno di noi puoi “mixare” i suoi tratti base con altri tratti.
In questo caso ti invito intanto a fare mente locale alla tua infanzia, dove le reazioni primarie nel mondo erano ancora incontaminate, istintive e poco filtrate da dettami educativi,scolastici e religiosi.
Ripercorri mentalmente i tuoi primi anni di vita. Quale sentimento pensi di aver sperimentato più spesso, in modo istintivo, o ti veniva più naturale “sentire” nei momenti che hai vissuto come brutti o di difficoltà? La paura, la rabbia, o la tristezza?
Ripensarci ti avvicina adesso un po’ di più all’identificazione con uno di questi tipi?
Seguimi nei miei articoli.. approfondirò anche il tema dei bisogni negati e di come fare a capire bene come si sono formati, se ce ne sono stati nel tuo caso e se il fatto che tu ancora oggi, inserisci il pilota automatico, abbia qualcosa a che fare con il tentativo perpetuo di soddisfare un bisogno che vivi come una mancanza senza accorgertene.
Riconosci immediatamente questi tratti caratteriali nel tuo capo o nei tuoi colleghi e collaboratori, o altre persone con cui hai normalmente a che fare?
Quali riflessioni ti suscita leggere queste cose?
Fammi sapere cosa ne pensi lasciandomi i tuoi commenti.
Continua a seguirmi, ho intenzione di entrare nel dettaglio dei singoli enneatipi nei futuri articoli, per mostrarti in che modo ognuno di essi può superare le “resistenze” tipiche del proprio carattere disinserendo il pilota automatico per instaurare relazioni lavorative più proficue ed imparare a Lavorare col Sorriso!
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Federica Crudeli
Qualora tu sia interessato ad approfondire da solo questo tema, ecco un riferimento (link di affiliazione).
A scanso di equivoci … è una lettura “impegnativa”…
L’enneagramma. La geometria dell’anima che vi rivela il vostro carattere
2 feb. 1996 di Helen Palmer e G. Fiorentini
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