
YES MAN, YES WE CAN!
Ciao Bentornato a Lavorare col Sorriso!
Dicesi YES MAN persona dotata di spina dorsale elastica come il cordone per fare il Bungee Jumping, significativamente propensa a dire si a qualsivoglia proposta, soprattutto se proveniente da persona di rango gerarchico superiore in azienda, e propensa a prendere posizioni e/o decisioni tanto quanto Oblomov (notoriamente pigro) è incline ad alzarsi dal letto o divano.
Lo Yes Man sotto il tappeto non ci mette solo i batuffoli di polvere, ma facciamo pure anche tutti i granelli di sabbia del Sahara.
Lo Yes Man di fronte a conflitti manifesti per un oggetto del contendere spinoso e delicato, si defila trasparente come il plexigas e lascia decantare per anni i problemi come si fa con il vino: prima o poi qualcuno lo berrà, oppure evaporerà per auto-dissolvenza oppure resterà semplicemente a prendere aria.
Perché gli YES MAN sono tanto amati? E spesso fanno “carriera”? (Dimenticavo… vale anche per le YES WOMAN che dir si voglia, per par condicio … prima che si scateni una guerra sulla parità di genere che va tanto di moda … mi scuso per la divagazione…)
Dicevo …
I mondi aziendali tracimano di YES MAN, YES WE CAN. Perché?
Forse perchè per tanti YES MAN nel mondo ci sono altrettante persone il cui EGO bulimico ha bisogno di essere rimpinguato frequentemente attraverso continue conferme e rassicurazioni.
Esistono coloro che amano essere adulati come fossero divinità greche, talvolta però senza assomigliare neanche da lontano ai bronzi di Riace (ma magari più ai Bonzi del ROACE), e amano le genuflessioni mentali di chiunque.
Le persone che sanno attribuirsi un valore indipendentemente dal “successo esterno” che riscuotono, o dalle continue conferme che hanno bisogno di ricevere, probabilmente sono una minoranza.
Sentirsi dire sempre si è la riprova sociale che si ha ragione, che si sta facendo bene, e se si sta facendo bene significa che il posto/ruolo ricoperto, lo è a ragion veduta e meritato.
Poi forse è una questione di potere: avanzare richieste e sentirsi dire si, significa ottenere una riprova della propria capacità di influenzare il prossimo. Lusingante.
La domanda che pongo è: che valore ha un SI detto da una persona che lo direbbe a chiunque e che lo direbbe in qualunque circostanza?
E quanto l’ambizioso Deo (o Dea) greco avido di YES si ferma a riflettere sul valore di quel SI?
Le aziende, come le persone, per crescere realmente hanno bisogno di sfidarsi, di misurarsi con punti di vista diversi e la capacità di sviluppare e mantenere un pensiero critico.
La tendenza diffusa di volersi circondare di YES MAN invece è deleteria e sintomo di miopia manageriale: modi di pensare stereotipati non possono che contribuire ad affossare la creatività o lo sviluppo di nuove idee e, in ultima analisi sul lungo periodo, anche la sopravvivenza di una impresa.
E in questo mondo, in cui il cambiamento avviene alla velocità della luce, restare avvinghiati come mitili ignoti sugli scogli ai soliti modi di fare e pensare, rischia di minare la possibilità di gestire i cambiamenti per tempo.
Attenzione, con questo non penso neanche che sia sensato lasciare troppo spazio ai martelli pneumatici che hanno la residenza nella valle del lamento per definizione: quelli che al contrario, hanno sempre qualcosa da criticare compreso ad esempio che il 5° scalino della terza rampa delle scale di emergenza ha una fossa che rischia di mettere a serio repentaglio la loro vita …
Dipende dalle situazioni e, in funzione di quelle, hanno senso alcuni comportamenti e non altri.
Non sto dicendo che se mi chiedono di fare 20 fotocopie, siccome non svolgo un lavoro di segreteria, allora aizzo la ribellione dei fogli A4 contro gli A3 che si sentono trascurati, o che se mi viene richiesto di passare know how ad una persona nuova pretendo l’autorizzazione formale in carta bollata papale dal più titolato di turno per non sentirmi declassato, o se si rompe la macchinetta del caffè avvio una rivoluzione sindacale adunando tutti i chicchi di caffè partendo dal Brasile (perché esistono anche queste persone in realtà…)
E non sto neanche dicendo che tutti tutti i problemi debbano necessariamente esser canalizzati verso i capi di turno senza neanche fare il tentativo di risolverli, come ad esempio:
– lamentarsi che il collega di scrivania si taglia le unghie mentre lavora facendole schizzare in aria come proiettili
– o arriva la mattina alle 7 che sembra l’abbiano fritto nella pastella e questa cosa ti fa molto trattoria Rosetta,
– oppure del collega che pur sedendo a 4 scrivanie dalla tua, invece che parlarti ti scrive 100 mail al giorno neanche lavorasse per la CIA al punto che il tuo pc ormai in preda alla nausea le auto-cestina.
Queste sono situazioni spiacevoli risolvibili con un para-proiettili, un profumo, le parole (forse).
Sto dicendo invece che persone che, nell’ambito delle loro responsabilità, adempiono ai loro “doveri” prevalentemente dicendo SI a chiunque e qualunque situazione da affrontare, forse è il caso di smettere di considerarli come esempi positivi da seguire e aiutarli ad indirizzarci tutti quanti verso un modo di fare diverso.
E qui mi rivolgo in particolare a tutti coloro che danno spazio a queste persone perchè hanno un bisogno maniacale di sperimentare la gratificazione immediata che consegue al sentirsi dire SI.
Quali sono i motivi che inducono gli YES MAN a dire sempre SI?
-A volte semplicemente la “furbizia”, hanno capito che con qualcuno paga e lo fanno;
– altre volte sono persone che sopperiscono alla mancanza di coraggio nell’esprimere posizioni decise sostituendolo con la gentilezza profusa a volontà (che diventa stucchevole quanto un barattolo intero di miele mangiato in 4 minuti) e una specie di finta cura/interesse nei riguardi dell’altrui umanità che ha il solo fine di rendersi “amabili” in questo modo, peccando in tutto il resto;
– altre volte sono persone che hanno un bisogno talmente alto di accettazione e una fobia per i conflitti che proprio non gli riesce di dire NO a nessuno.
Ma quale “danno” possono fare questo tipo di persone, oltre che non contribuire fattivamente con un pensiero “critico” alle dinamiche aziendali? Rischiano di fomentare conflitti, demotivazione, inefficienze.
Un po’ come se tu dessi la disponibilità al tuo collega A per fare la tal cosa, e nello stesso tempo, ricevessi la richiesta di B per fare l’esatto contrario e dicessi si anche a lui.
Quantomeno A e B resterebbero spiazzati, magari discuterebbero pure, solo per la tua incapacità di scontentare l’uno o l’altro.
Se poi lo YES MAN è pure un capo a cui sono affidate le persone, immagina sulle lunghe distanze quanta stima potrà mai riscuotere uno che nella sua posizione non prende mai una decisione per non scontentare nessuno, finendo in conclusione per scontentare tutti.
Gli YES MAN sono pericolosi, sono quelle stesse persone che in preda alla mancanza di spirito critico o all’incapacità di metterlo in pratica, contribuiscono al dilagare della logica del quieto vivere e del pensare, si, ma solo come dicono gli altri che contano…
Chiudo immaginandomi un dialogo semi-serio fra uno YES MAN e poniamo un capo A che abbia voglia di divertirsi un po’ con questa dinamica …
YM – Ciao, ho letto l’articolo sugli YES MAN .. tu l’hai letto? Che te ne sembra?
A – Beh … mi sembra un pò esagerato quello che dice la tizia lì … Io tutti questi Yes Man in giro non li vedo.
YM – Eh si, anche per me … forse un po’ troppo estremizzato, vero?
A – Si, anche se tutto sommato mi sta simpatica.
YM _ Si, si quello si, sicuramente simpatica.
A – Penso dica anche cose vere in realtà eh …
YM – Si, si certamente, quello si, sono cose condivisibili …
A – Oddio, leggere questa cosa appena sveglio mi ha anche un po’ divertito.
YM – Un po’ anche me sai?
A – Eh si dai, usa delle metafore che sono buffe. Che poi, esagerato dai, direi che ha detto le cose come accadono spesso, no? Siamo circondati da Yes Man
YM – Si, si in effetti pensandoci bene, siamo invasi.
A – penso che andrò a bermi un caffè al curry. Buono sai? Vieni che te lo offro!
YM – Si si, ma davvero? Non sapevo che esistesse … mi fido, ma si può bere davvero?
A – Yes Man, Yes we can!
🙂 🙂 🙂
Fine di questa tragicomica storia.
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Federica

LA GUERRA DEI POVERI: UNA RIFLESSIONE!
Ciao Bentornato a Lavorare col Sorriso!
La guerra dei poveri: oggi faccio una riflessione provocatoria per sorridere con te di tutti i prevaricatori sociali sul posto di lavoro (e anche fuori) a patto che tu sia disposto un attimo ad aprire la tua mente senza stare attaccato alle singole parole ma cercando di cogliere il senso di quanto sto per dire …
[Tweet ““ Se puoi ridere di una cosa puoi anche cambiarla”– cit. R. Bandler”]Oggi sento la necessità di manifestare la vena ironico-sarcastica che mi contraddistingue, anche se non ho una ragione precisa, quanto piuttosto l’esigenza di esprimere le mie opinioni, sia per dare uno scossone a tutti coloro che “subiscono” psicologicamente gli abusi/soprusi di potere da parte di qualche soggetto che si sente illuminato solo perché ricopre una qualche carica sul lavoro o in qualunque altro contesto, e magari ne soffrono pure piuttosto che riderci sopra. Anche fragorosamente direi…
Il mondo è pieno di prevaricatori sociali, di persone che sgomitano per arrivare primi, per farsi belli, per questioni di prestigio, per denaro, per una posizione.
Per me lo “sgomitare”, in questa accezione, fa parte della così detta “guerra dei poveri”. E vorrei invitare tutti i lettori a riflettere in questo senso.
Dal momento in cui ognuno di noi si muove in un certo ambiente lavorativo, va da se che normalmente sarà inserito in un contesto più ampio, fatto di molte persone, che a diverso titolo sono coinvolte in teoria, a giocare su uno stesso campo la stessa partita, e in teoria, per un obiettivo comune.
Poi dalla teoria si passa alla realtà: gli obiettivi comuni diventano obiettivi di singoli che vogliono “prevaricare” il prossimo pur di ottenere o soldi, o cariche, o visibilità, o riconoscimenti in generale. Per farne cosa, poi di preciso? Eccetto gonfiare il proprio ego?
Il fatto è che se questa corsa verso una presunta porta avversaria fa una strage di morti e feriti, a pochi importa. L’importante è arrivare.
Spesso si perde però di vista che nel tentativo di arrivare primi, in realtà si sta solo sprecando una quantità immane di energia, impiegabile più nobilmente per altri fini, a danno di altre persone, che guarda caso, sono altrettanto umani.
Tradotto in “economichese”, questa è la logica del WIN – LOSE, ben distante dal ben più costruttivo cercare soluzioni WIN – WIN teorizzato dal Premio Nobel Nash.
Le persone che in azienda si muovono nella logica WIN – LOSE per me assomigliano più ai primati che altro. Cioè sono la manifestazione più bassa e becera dell’umanità.
Venderebbero pure la madre, la sorella, il fratello, la moglie, il marito, la dignità e così via pur di ARRIVARE.
Ecco. Intanto, arrivare si ma dove? (zan zan?)Perché, dopo essere arrivati la loro vita quale sensibile miglioramento potrà avere, a parte, forse (e non è detto) quello economico?
E a che prezzo si è disposti ad arrivare? Quello di guadagnarsi la disistima di chiunque?
E’ mai possibile che in un’era così presumibilmente avanzata, il mondo sia pervaso da persone che non riescono a guardare oltre il loro orticello e non riescono ad inquadrare la loro situazione in una cornice più ampia e di lungo periodo?
Si, è possibile.
E’ possibile che in questo mondo così civilizzato esistano così tante persone che sono disposte a seminare zizzanie, a prostituirsi mentalmente pur di stare sempre sulla breccia, a cambiare opinione in funzione della sola e pura convenienza personale?
E’ possibile che preferiscano omettere, celare, insabbiare, nascondere, deviare, pur di mantenere un vantaggio sul capo di gioco?
Si.
Ecco, io credo che questo modo piccolo e ristretto di pensare sia la causa della stragrande maggioranza dei problemi in cui versa l’intero paese. Anzi, esagero, l’intero mondo.
In metafora, mi sembra la traslazione in chiave moderna di quello che avrebbero potuto vivere due schiavi impiegati sui campi di cotone che legati mani e piedi su un barcone da trasporto, si mettono a litigare e si scannano per chi fa per primo la spia di quello che ha preso 40 grammi di pane in più perché stava morendo di fame.
Sempre schiavo resti, sempre sulla barca in alto mare sei, sempre a servizio di un padrone rimani, anche se prendi il comando della barca e anche se ti guadagni qualche simpatia facendo la spia…
A buon intenditor poche parole! 🙂
E adesso non vengano fuori le associazioni a difesa di non so cosa perché ho usato una metafora per traslare nel tempo un concetto … chi ha elasticità mentale la usi… per favore… chi non la ha smetta pure di leggere!!!
Cosa si può fare di costruttivo? Di sicuro non si possono eliminare le persone così, in fin dei conti ognuno è libero di scegliere quale parte vuole fare nel mondo.
Quanto meno si può cercare di non farne parte, o di prendere le distanze da taluni modi di fare. E poi riderci sopra.
Si può osservare questo buffo dimenarsi con una discreta dose di distacco, e vedere come nel Circo Barnum dell’umanità, forse, se non esistessero queste persone, esisterebbero meno caricature di cui ridere.
Certo, se ce ne fossero meno in giro di queste caricature, stare più larghi schifo non farebbe, ma tant’è …
Prendo in prestito una frase di Pasolini che ho trovato girando su internet e che in realtà è quella che mi ha ispirato questo post, invitandovi a sorridere!
“Penso che sia necessario educare le nuove generazioni al valore della sconfitta. Alla sua gestione. All’umanità che ne scaturisce. A costruire una identità capace di avvertire una comunanza di destino, dove si può fallire, ricominciare senza che il valore e la dignità ne siano intaccati. A non diventare uno sgomitatore sociale, a non passare sul corpo degli altri per arrivare primo. In questo mondo di vincitori volgari e disonesti, di prevaricatori falsi e opportunisti, della gente che conta, che occupa il potere, che scippa il presente, figuriamoci il futuro, a tutti i nevrotici del successo, dell’apparire, del diventare. A questa antropologia del vincente preferisco di gran lunga chi perde. E’ un esercizio che mi riesce bene. E mi riconcilia con il mio sacro poco”.
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Federica Crudeli

FARE CARRIERA = VALERE? LIBERA NOS A MALOS!
Non fare carriera è sinonimo di valere nulla? Liberati da questa prigione mentale che diminuisce la tua autostima e impara a valorizzarti.
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INFORMAZIONI NASCOSTE. A VOLTE TI SEMBRA DI LAVORARE PER I SERVIZI SEGRETI?
Ciao e Benvenuto a Lavorare col Sorriso!
Oggi ti parlo di come difendersi da colleghi difficili che adottano un atteggiamento lavorativo poco collaborativo quale l’occultamento/distorsione/divulgazione tardiva dell’informazione come modo per: avvantaggiarsi nelle negoziazioni, acquisire potere/mantenerlo, difendere i propri interessi, a discapito, voluto, degli altri colleghi.
Nelle aziende possono esistere delle asimmetrie informative verticali (dai capi verso i collaboratori) ed orizzontali/interfunzionali ossia fra funzioni organizzative diverse.
Il fatto che possano esistere, di per se non ha nulla di strano, nel senso che non necessariamente tutti devono sapere tutto su ciascun argomento.
Inoltre è fisiologico che all’interno delle organizzazioni, nell’ambito della contrapposizione di interessi tipica di ogni funzione aziendale, esistano delle asimmetrie informative: fa parte del gioco, ed è anche un elemento attorno al quale ruotano le negoziazioni.
La “gelosia” in tema di informazioni esiste invece quando una persona, in qualità di manager, collaboratore o collega, volutamente e sistematicamente (cioè in tutte le circostanze) tiene per se informazioni o le rende note troppo tardi, quando invece, se note, avrebbero orientato le scelte, decisioni, comportamenti di qualche altro collega, in modo differente, o, semplicemente, gli avrebbero evitato una pessima figura in particolari circostanze.
Questa tipologia di colleghi difficili ti è sconosciuta?
Ora, personalmente, e usando un pò di ironia, sono a favore dell’evoluzione della razza umana, non di quella rettiliana, che è rimasta ferma all’utilizzo del primo stadio primitivo di sviluppo del cervello, cioè quello rettile, e come tale governata solo da meccanismi di attacco/fuga, e caratterizzata dal solo uso di pulsioni e automatismi appresi.
In realtà sono molte le tipologie di colleghi difficili che appartengono alla razza rettiliana a causa dei comportamenti che adottano, ma oggi mi soffermo su questa. A titolo informativo, dico che il più recente stadio di sviluppo del cervello è il “neo-pallio”associabile allo sviluppo dei lobi frontali, alla reazioni volontarie, a comportamenti “consci”.
Che un po’ di soldi, un bel vestito, una bella borsa, studi sofisticati e qualche titolo facciano di un umano, uomo o una donna che sia, un soggetto sviluppato ed evoluto, è tutto da vedere. Anzi. Le nostre cronache sono la testimonianza quotidiana dell’esatto contrario. …
Quindi qualora tu faccia parte della categoria di colleghi difficili che è solito usare mezzi generalmente percepiti come sgradevoli, quali quello di occultare/distorcere/fornire tardi l’informazione volutamente, per essere “vincente” credo che potresti trovare interessante leggere l’articolo per prendere coscienza degli effetti del tuo comportamento sugli altri e in ultima analisi, anche sull’organizzazione del lavoro (che spesso ne risulta deteriorata), e magari avere un punto di vista esterno diverso.
Qualora invece fossi uno di coloro che è costretto a subire questo comportamento e le sue conseguenze da parte di colleghi difficili, continua a leggere, perché potresti guadagnare una prospettiva diversa da cui guardare le cose e difendere il tuo benessere.
Quali potrebbero essere i vantaggi ottenuti dai colleghi difficili che occultano le informazioni a danno di altri colleghi, guadagnandosi probabilmente a lungo andare, la loro malevolenza, e generando inefficienze lavorative?
primo fra tutti forse aprirsi le strade per fare carriera, in un contesto dove esiste l’esempio fattivo e concreto che questo modo di fare paghi;
- difendersi dalla paura di ritorsioni del proprio capo qualora fosse un soggetto che crea un clima di diffuso “terrore” per qualsiasi cosa sfugga al suo vaglio;
- conservare il proprio potere (o percepito come tale) con la convinzione che nascondere certe informazioni o un certo sapere costituisca un modo per creare/mantenere distanze rispetto ad altri nell’organizzazione;
- sentirsi importante e indispensabile agli occhi di chi, necessariamente, per poter lavorare, dipende da un certo tipo di informazione/sapere/conoscenza;
- godere dell’avere molti più margini di manovra di altri nel gestire alcune attività, dati dalla posizione di vantaggio di cui beneficia chi conosce informazioni utili ad altri ma non divulgate. Tanto cosa importa se un collega magari non raggiunge un obiettivo, o fa le cose sbagliate, o duplicate, o in ritardo?
- sentirsi più bravi, godere della prepotenza agita sugli altri;[/li-row][li-row]proteggere il proprio senso di sicurezza o la propria “posizione”.
Ti riconosci in una di queste situazioni? Rifletti su quali sono i motivi che ti spingono a tenere questo comportamento. (Può aiutarti anche l’articolo “Manager Leader: quale tipo sei?” anche per conoscere il tema dei tuoi tratti caratteriali distintivi e degli automatismi appresi).
Insomma, anche per ridere un po’, chi si atteggia in questo modo “strutturalmente” quasi quasi sembra un membro infiltrato dei servizi segreti.
In effetti vivere la quotidianità come se si fosse l’agente segreto di un film di spionaggio internazionale rende le giornate molto più movimentate e colorite.
Quali sono le possibili conseguenze negative di questo atteggiamento, nel lungo termine (e spesso anche nel brevissimo termine?)
Rallentamento se non duplicazione di attività e, conseguentemente, inefficienze gestionali, negoziazioni il cui esito è un compromesso piuttosto che una soluzione win-win, generazione di malcontento, diffusione di un pessimo clima lavorativo e demotivazione.
Questa sindrome “patologica” da occultamento di informazione, non ti sembra un filo datata?
Poi ci lamentiamo se viviamo in un mondo che fa pena, quando già nel nostro piccolo non siamo capaci di elevarci un pochino al di sopra della media dei comportamenti puramente “rettiliani” per il progresso della civiltà!
E cosa puoi fare tu, se sei vittima di colleghi difficili che vivono come fossero infiltrati dei servizi speciali, per preservare le tue energie e il tuo benessere mentale, emotivo e, a volte, anche fisico?
Faccio presente che più è frequente e lunga l’esposizione forzata a questi colleghi difficili, più è probabile che il fisico somatizzi in qualche modo tutto quello che non esprime a parole…
- riconosci a te stesso il fastidio che senti, di rabbia, collera, paura, tristezza o qualsivoglia altra sfumatura emotiva. Uno degli atteggiamenti più auto-punitivi che esista difatti è quello di reprimere il proprio stato d’animo giudicandolo “da stupidi/perdenti/sconfitti” magari attaccandosi addosso un sorriso di circostanza a denti stretti;
- esprimi il fastidio all’interessato con garbo per cercare un dialogo finalizzato ad instaurare un rapporto di maggiore apertura. Difatti le persone ti trattano così come tu le abitui a trattarti. Se taci sempre il tuo fastidio, certamente chi è solito comportarsi così, lo rifarà. Hai paura che esprimendoti fai la figura del “deficiente?” Se si, ti domando per quale motivo dovrebbe interessarti tanto l’opinione di un collega che agisce secondo una dubbia capacità collaborativa;
- se l’aver espresso il fastidio, magari anche più volte, non sortisce alcun effetto – e per colleghi difficili con personalità particolarmente ostiche e resistenti è probabile – considera l’idea che non è un problema tuo ma di chi lo pone in essere.
- Se un soggetto decide di essere scientemente non collaborativo o di voler proseguire così per il resto dei suoi giorni, tu non potrai mai fare nulla per difenderti dalle conseguenze di questo atteggiamento, semplicemente perché non sei nella sua testa. E mai potrai prevedere quale sarà la prossima volta che mancherà di dirti delle cose che ti riguardano, o se lo farà quando sarà troppo tardi, o quale altra diavoleria escogiterà pur di fare il suo interesse. Tutte le energie mentali che spendi nel tentativo di contrastare, prevedere la prossima “scorrettezza” sono inutilmente buttate alle ortiche. Sapere questo non ti mette in una posizione di debolezza ma di forza, semplicemente perché a pugnalata ricevuta, sarai carico di energia e pronto a scegliere come rispondere (e dico rispondere – non reagire) , senza esserti sfinito prima e solo nella tua testa nel tentativo di pensare tutte le possibili difese ad un comportamento imprevedibile;
- pensa se sei il solo a percepire così questo collega difficile o se sei in allegra compagnia. Se così fosse, a maggior ragione, di cosa ti preoccupi? Di fondo, quando un collega lavora per i servizi segreti e sono in molti ad accorgersene, alla lunga, si screditerà da solo;
- il fatto che tu disponga dell’intelligenza per riconoscere questo comportamento come inopportuno, di per se, non è già una vittoria? E se disponi di questa intelligenza, perchè rivolgertela contro con malumori, rabbia, nervoso, etc? Piuttosto usala per prendere il giusto distacco emotivo dalle situazioni che probabilmente rivivrai a contatto col collega difficile;
- considera l’ipotesi che il giochetto di avvantaggiarsi dei gap informativi a spese di altri poi è un bel gioco che dura poco: le persone meno rettiliane inizieranno, in base ad altri rapporti di reciproca fiducia e trasparenza esistenti, ad intessere una rete collaborativa all’interno della quale scambiare le informazioni mancanti o verificare la veridicità di quelle ricevute dall’agente segreto;
- il collega difficile, col tempo, è destinato ad essere credibile come i soldi del monopoli. Nessuno gli crederà più. Anche se continuerà, molto probabilmente, ad essere convinto di essere un figo pazzesco e furbissmo. In realtà è miope, vede poco lontano e continua pure a muoversi senza occhiali da vista;
- qualora il collega difficile abbia fatto carriera, prima di invidiarlo, domandatevi: a che prezzo? E’ una scelta individuale. Si può scegliere di morire blasonati e isolati, oppure con meno medaglie ma ben voluti stimati e apprezzati, quanto meno come esseri umani.
Fare dell’insabbiamento delle informazioni sistematicamente un “vantaggio” è tipico, spesso, si di colleghi difficili, e anche profondamente insicuri, o altamente manipolatori, competitivi nel senso più distruttivo del termine, e poco collaborativi.
Se è vero che nei contesti negoziali fa parte del gioco delle parti, entro certi limiti, scoprire le carte un poco alla volta, oltre certi limiti è una scelta perdente per tutti che obbliga a trovare compromessi piuttosto che soluzioni win-win come vorrebbe la letteratura economica più evoluta.
In ultima analisi, le conseguenze di questo atteggiamento si ripercuotono in senso negativo sulla produttività lavorativa generale, sia per i costi “emotivi” legata alla demotivazione di chi è a contatto con queste persone, sia per la necessità di fare male, tardi o più volte, le stesse cose per porre rimedio alla finta furbizia altrui.
Fammi conoscere le tue riflessioni e la tua esperienza sul tema lasciandomi un commento nel box in fondo alla pagina.
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A presto!
Federica Crudeli
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MOTIVAZIONE SOTTO AI PIEDI APPENA SVEGLIO? RIPORTALA SU!
Ciao e Benvenuto a Lavorare col Sorriso!
Oggi ti parlo di due tipi di motivazione al lavoro: intrinseca ed estrinseca. Cosa sono, da chi e da cosa dipendono?
Ti aiuterò a capire in quali circostanze la motivazione al lavoro può essere aumentata e in che modo, in quali circostanze è possibile recuperarla se l’hai persa, e cosa fare di conseguenza. Attenzione perché è un articolo per stomaci forti e parecchio diretto.
[Tweet ““Fai della tua passione il tuo lavoro, e non lavorerai nemmeno un giorno della tua vita”– cit. Web”]
Se ti senti avere poca motivazione al lavoro potresti essere in una di queste situazioni:
- non hai ricevuto l’aumento di stipendio che desideravi/aspettavi;
- non hai ricevuto la promozione al ruolo di responsabilità a cui ambivi;
- non hai ricevuto alcun riconoscimento/apprezzamento dal tuo capo per un lavoro che ritieni di avere svolto bene, con dose di frustrazione rincarata dall’aver assistito alla promozione di qualcuno che a detta tua (e non solo) non lo meritava;
- ti senti poco considerato o mortificato dal tuo capo;
- ti vedi impiegato a fare una attività energivora che trovi poco stimolante nemmeno lavorassi in miniera, con poche ricompense e soddisfazioni.
- In linea generale, ti senti demotivato e l’idea di andare in ufficio la mattina ti genera quasi quasi anche un po’ di nausea a forma di “ma chi me lo fa fare?”
Come dice la parola stessa, motiv-azione è quel qualcosa che spinge una persona verso una certa meta, ossia l’insieme di fattori, i motivi, che inducono le persone a fare determinate cose.
Il problema, o la fortuna, (dipende dai punti di vista) è che esistono due tipi di motivazione al lavoro: quella intrinseca e quella estrinseca.
La motivazione al lavoro intrinseca, tradotta in parole coincise, equivale al buyer che stipula contratti di appalto per la gioia di farlo, al commerciale che vende prodotti e servizi e gioisce nel farlo, al legale che nell’occuparsi di pratiche e assistenza al business gode nel farlo, all’amministrativo che prova gioia sublime nell’emettere fatture e fare bilanci, al giornalista che scrive per il piacere di scrivere, al fiscalista che gode nello studiare i nuovi tributi per capire come gestire l’azienda, all’analista finanziario che studia i mercati per il piacere di conoscere l’andamento dei mercati, all’informatico che sviluppa software per il piacere di sviluppare nuovi codici sorgenti, e così a seguire …
La motivazione al lavoro intrinseca si basa sul piacere e la si sperimenta quando in generale ci si impegna in un’attività che è gratificante di per se stessa, e si sente una spinta naturale a voler soddisfare il bisogno di sentirsi sempre più competenti nel farla.
Fare quella determinata attività, indipendentemente dalle circostanze esterne, è fonte di piacere, che ci siano un collega, capo, amico, o chicchessia a gratificarti o montagne di soldi a ricoprirti.
A questo punto pongo la prima domanda: l’attività che svolgi tutti i giorni in azienda, è fonte per te di motivazione al lavoro fatta di piacere intrinseco?
Per aiutarti nella riposta, è qualcosa che adori al punto che lo faresti anche gratuitamente?
Se la riposta è SI fai parte di quelle persone che fondamentalmente ha fatto di una passione il suo lavoro e molto probabilmente, indipendentemente dalle circostanze a contorno, avrai sempre una spinta interiore ad andare avanti con la giusta tensione per raggiungere i tuoi obiettivi monetari e di carriera.
Semplicemente, se pensi di non essere valorizzato abbastanza nella tua azienda in termini monetari o di riconoscimento professionale, con una giusta dose di pazienza e fiducia in te stesso, ti metterai a cercare sul mercato del lavoro la situazione che desideri e che sicuramente otterrai. E’ solo questione di tempo. E tornerai ad alzarti la mattina con lo spirito giusto e la giusta dose di motivazione al lavoro.
Qualora invece la riposta fosse NO penso tu abbia da riflettere su quanta coerenza esiste fra il fare un lavoro che non ti regala piacere intrinseco, e l’arrabbiarti nel contempo, per scatti di remunerazione e di carriera mancati.
Gli scatti di remunerazione e carriera normalmente premiano (o dovrebbero premiare) chi si impegna sul lavoro, produce risultati con entusiasmo, ed ha capacità e competenze distintive che gli consentono di ricoprire ruoli manageriali o comunque professionali in generale crescenti.
Gli scatti di remunerazione e carriera invece difficilmente possono rappresentare una equa ricompensa per una persona che non essendo appassionata del suo lavoro, cerca in essi una qualche forma di compensazione, soddisfazione, senso di pienezza. Che per carità, sono comunque graditi e apprezzati, ma non risolveranno mai l’insoddisfazione alla base del malcontento.
Soldi e ruolo, assieme alle gratificazioni, lodi, buone valutazioni delle performance, costituiscono la cosiddetta motivazione al lavoro estrinseca, ossia quella che si ha quando l’impegno in una attività avviene per scopi che sono esterni all’attività stessa.
Con questo non sto dicendo che se fai un lavoro che non ti appassiona e con poca motivazione, non hai diritto a ricompense monetarie o di ruolo, se pensi di meritarle e ti impegni comunque a fondo.
Ti sto dicendo che se anche le avessi, e ti ricoprissero d’oro, complimenti, gratificazioni, scatti di carriera fino al gradone più alto della piramide del potere, di fondo, contribuirebbero solo in modo superficiale, temporaneo, ed effimero alla motivazione al lavoro che ti farà alzare la mattina contento di farlo.
Cosa fare in questo secondo caso? Nei miei articoli: “Potere è Piacere? Come capirlo” e “Un giorno lo farò: il tempo ti è nemico?” – Parte I e Parte II ti guido a riflettere da un lato sul mix di potere e piacere che contribuiscono a costruire un senso di benessere duraturo per la tua vita, dall’altro a scoprire quali possono essere i principi guida, valori e priorità che sarebbe bene orientassero il tuo impiego del tempo.
Ti stai rendendo conto che fai un lavoro che ti piace poco? Cosa puoi fare?
Cercarne uno che rispecchi al meglio le tue inclinazioni naturali, qualità e risorse di cui disponi, che fluiscono in te e da te in modo spontaneo. In questo modo non lavorerai più nemmeno un giorno della tua vita, perché tutto quanto si inquadrerà in una prospettiva molto diversa.
Non puoi farne a meno al momento, o magari fino alla pensione, di fare quel lavoro che ti piace poco perché hai bisogno dei soldi per vivere?
Quantomeno sii onesto con te stesso: vale la pena rincorrere soldi e carriera a tutti i costi, o spendere energie in confronti estenuanti e frustranti con gli avanzamenti di carriera altrui, o piuttosto pensare di ricavare più tempo per fare quelle cose che ti regalano piacere e gioia, lasciando perdere il livore per le vite lavorative altrui?
Tornerai a svegliarti con un piede diverso ogni giorno. In fin dei conti, il vecchio detto si lavora per vivere e non si vive per lavorare, ha un suo perché.
Pensi che ti stia dicendo delle stupidate?
Ho notato che molte persone poste di fronte alla domanda: “cosa ti dà veramente piacere fare nella vita” o non sa rispondere, o esita parecchio prima di farlo, oppure sciorina il set stereotipato standard di quello che è normale aspettarsi da chi ha fatto un certo percorso di vita, studi e lavoro (tipicamente la palestra, il calcio, le uscite).
Da qui a capire cosa ti regala veramente piacere ci passa un grande differenza.
Fai fatica a capire cosa ti dà piacere nella vita?
Ripensa a tutte le circostanze da quando sei nato ad oggi, in cui “ti sei perso” nel fare qualcosa. Noterai che la ricerca di queste esperienze metterà in evidenza delle caratteristiche comuni: un determinato contesto ambientale, azioni che stavi compiendo, stato emotivo e pensieri di un certo tipo.
E sarebbe bene che quel qualcosa che ha accomunato tutti i momenti di autentico benessere personale, sia il più possibile ripetibile e presente nella tua vita. Non siamo nati per soffrire!
Fai mente locale ai manager della tua azienda. Quanti di loro, dotati di stipendi cospicui e posizioni manageriali di tutto rispetto guadagnati uno scatto di carriera dopo l’altro trasmettono autentica (e dico autentica, non finta) passione, gioia, entusiasmo, e sono a loro volta ottimi trascinatori e motivatori ed esempi di benessere da seguire?
Quanti di loro ti fanno pensare: ma che bell’esempio da seguire, che bel clima che crea il mio capo!
Quanti di loro hanno una fisicità sana, invidiabile, che trasmette forza, vigore, energia, sguardo vivido? Quanti hanno una vitalità contagiosa?
Quanti invece nel progredire della loro carriera li percepisci come progressivamente intristiti, e con una fisicità che trasmette tutto tranne che un senso di sano benessere?
O quanti di loro hanno un carattere affabile come se fossero stati punti dalla nascita da una tarantola velenosa? Per quale motivo una persona realmente appagata, serena e contenta dei suoi successi, dovrebbe vivere in un costante stato di competizione, o disseminando un’aria pesante, di tensione se non di terrore psicologico, nella quale stare non è affatto piacevole per alcun collega?
Forse che la differenza fra le due tipologie di persone, possa risiedere, oltrechè in connotati caratteriali talvolta “nevrotici”(e questi meritano una trattazione a parte che non mancherò di fare), anche, (e non solo) nel fatto che alcuni manager hanno fatto di un passione un lavoro, mentre altri no?
Può essere che altri abbiano magari inseguito “di default”, affetti da sindrome sociale di omologazione, quella rincorsa ai soldi, potere e carriera, che nell’immaginario comune li avrebbe resi felici?
Per poi trovarsi, una volta raggiunta una meta, con un senso di piacere e appagamento duraturi come il battito d’ali di una farfalla?
Quanti di questi, a quel punto, piuttosto che ripensare alla loro vita o priorità, magari hanno trovato naturale perseverare la rincorsa al successo, per come è comunemente inteso, attribuendo la mancanza di autentico benessere e appagamento, al fatto che il traguardo raggiunto non fosse ancora abbastanza… e quindi giù con la testa diretti verso il successivo da raggiungere, in una corsa senza fine, che magari difficilmente realizzerà quella tanto attesa felicità esplosiva?
Tu sei ancora in tempo per fermarti e capirlo, se stai leggendo questo articolo.
Vuoi svegliarti motivato al lavoro la mattina?
Pensa al lavoro che fai, pensa a quanto è fatto di motivazione intrinseca e di motivazione estrinseca e regolati di conseguenza tenendo a mente quanto ho scritto negli articoli “Un giorno lo farò: Il tempo ti è nemico? Parte I e Parte II, magari smettendo di pretendere da te stesso una cosa e il suo esatto contrario, senza rendertene conto.
Saperti regolare, secondo un ordine di priorità delle cose per te importanti, aumenterà sicuramente anche la tua produttività in ufficio e renderà il tuo tempo così impiegato un tempo di qualità!
Prenditi la responsabilità e il coraggio di scegliere per quale motivo, la mattina, vorresti sentirti contento di affrontare la giornata! E identifica il mix giusto per il tuo benessere di lavoro, potere e piacere!
Se pensi che la risposta a questa domanda stia al di fuori della tua persona, o solo nelle circostanze esterne che scegli di vivere (o subire), sei destinato a svegliarti “con l’umore storto” per il resto dei tuoi giorni, anche se ricoperto d’oro e con 10.000 titoli e medaglie al valore!
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Federica Crudeli Learn More

CARRIERA LAVORATIVA: IL POTERE È PIACERE? COME CAPIRLO
Ciao e Benvenuto a Lavorare col Sorriso!
Rincorrere il potere nella carriera lavorativa è davvero fonte di piacere? In questo articolo ti guido a valutare il potere in modo provocatorio: sul suo significato, sulle sue implicazioni, su come lo vivi, gestisci, ambisci o subisci, e sulla quantità di PIACERE che vuoi per la tua vita.
[Tweet “”Il potere logora chi non ce l’ha. ” cit. Giulio Andreotti”]Il concetto di potere nella carriera lavorativa è sempre andato di pari passo con il genere maschile, mentre negli ultimi 50 anni le rivendicazioni di parità delle donne hanno insinuato una grossa crepa nel potere concepito in modo patriarcale, in tutti i settori lavorativi.
Oggi la rincorsa al potere nella carriera lavorativa non è più una prerogativa solo degli uomini, ma anche delle donne, e questa modificazione culturale ha condotto, probabilmente, anche ad una modificazione del rapporto di potere fra i due generi, ad oggi, ancora non ben digerita e metabolizzata, a leggere quanto ci offrono le cronache.
Ma andiamo per gradi, in questo articolo voglio restare focalizzata sul rapporto che i lavoratori in genere, uomini e donne, hanno con il potere e sul rapportoi che esiste fra potere e piacere.
Immaginati vestito/a di tutto punto, al meglio della tua forma fisica, che contempli il tramonto che si dispiega di fronte a te dalla stanza del tuo ufficio personale situato all’ ultimo piano di un fantastico grattacielo mentre stai per prendere una qualche decisione che impatterà pesantemente sulle sorti della tua azienda.
Hai la fortuna di sentire i rumori di sottofondo come un vago ricordo, perché da lassù, puoi permetterti di guardare il mondo dall’alto perso nei suoni ovattati. Hai una limousine che ti aspetta in strada con tanto di autista, e uno stuolo di uomini/donne pronti a scattare ad ogni tua richiesta.
Sei instancabile, gestisci problemi e difficoltà di ogni genere senza battere ciglio, senza perderti mai d’animo, con una energia infinita, sempre pronto, brillante, con la battuta pronta.
Sei distaccato quanto serve a non farti sopraffare dai mille impegni e responsabilità che hai. Hai persino una scrivania Skin Touch – quelle che a seconda del tocco con cui ti appoggi si trasformano in esecutori seriali .
Normalmente di districhi fra eventi VIP e personaggi noti e famosi e la tua presenza di per se stessa in qualche luogo, genera l’evento dell’anno.
A colazione mangi fette di pane con spalmati sopra gli indici Standar & Poor o Moody’s.
Cosa dici, ironia a parte, pensi che possa essere una descrizione “calzante” di uomo/donna di potere nella carriera lavorativa?
Tornando da Hollywood alla realtà, in media, accanto alla parola potere spesso le cronache accostano immagini di faccendieri di vario ordine e grado che già ricchi o arricchitisi dopo, già seduti su alte cariche continuano ad avere una smania infinita di soldi, titoli e imprese da compiere, non sempre degne di ammirazione… E magari alle spalle di poveri disgraziati.
Così come, sempre le cronache, possono regalarci esempi di esercizio del potere degni di ammirazione.
Sei d’accordo con la celebre affermazione che il potere logora chi non ce l’ha?
Il concetto di potere nella carriera lavorativa solitamente ruota intorno ad altri due concetti: denaro e posizione sociale di “rango/establishment elevato”nonché autorità.
Allora sono andata a rispolverarmi la definizione della parola potere il cui significato è “capacità di influenzare”.
E sono stata quindi costretta a domandarmi: a me piace influenzare o no le persone e le circostanze?
La riposta è stata si. Quindi a me piace il potere.
Tutto sta a vedere che tipo di potere, da esercitare in quali contesti, e a quale fine.
Ed è una valutazione del tutto soggettiva.
Che ti piaccia o meno, tutti noi, nelle nostre relazioni di lavoro, amicali, affettive, in qualche modo esercitiamo un potere.
Di per se, il concetto di influenzare l’ambiente che ci circonda è un dato di fatto. Né positivo, né negativo. Condizioniamo, plasmiamo, influenziamo in qualsiasi interazione della nostra vita.
Ma la riflessione che ti invito a fare è: mettiamo che tu abbia il legittimo diritto di vedere e vivere il tuo lavoro come un mezzo per ottenere una carriera lavorativa di potere.
E il potere, come si sposa con il concetto di piacere che penso sia una condizione nella quale noi tutti ambiamo a vivere, uomini e donne, indistintamente? (se invece amiamo il dolore, abbiamo più che qualche riflessione da fare e anche molto seriamente…)
Alexander Lowen (prima avvocato, poi medico chirurgo specializzato in psicologia…giusto per dirti che di vite rampanti pur qualcosa ne conosceva), nel suo libro “Il piacere” sostiene che “il lavoro può essere piacere quando le richieste che implica impegnano in maniera equa e libera le energie di un individuo”.
Dice anche che “il piacere è la forza creativa della vita. E’ l’unica forza abbastanza possente da opporsi alla potenziale distruttività del potere”.
Questo concetto implica che il potere possa essere potenzialmente anche distruttivo e quindi, in ultima analisi, allontanare dal piacere.
Sei caduto dalla sedia? Aspetta, continua a leggermi.
Nell’ambiziosa corsa verso il potere normalmente strettamente connesso con l’ottenere ruoli prestigiosi (ottenendo spesso a cascata anche denaro e un visibile riconoscimento sociale), implica anche il saper convivere armoniosamente con la tensione legata ai carichi di stress e responsabilità da gestire, e le decisioni da prendere.
Decidere fra l’altro è una delle attività più stressanti per un umano (penso sia abbastanza nota la storia di Zuckerberg che ha un armadio con x maglie tutte uguali dello stesso colore per evitare di dover spendere tempo a scegliere quale indossare, preservando le sue energie mentali per decisioni più impegnative).
Spesso darsi da fare per rincorrere il potere è ppunto una corsa verso il futuro.
Quando avrò lo yacht di 16 metri, quando avrò i soldi per fare tutte le vacanza nei resort di lusso, quando potrò iscrivermi ai più esclusivi club di golf, lancio del nano, (come nel film “The wolf of Wall Street”) quando avrò ai miei piedi tutte le donne che vorranno salire sulla mia Ferrari, quando avrò i soldi per comprare le Manolo Blanich di ultima generazione senza fare troppe rinunce come faccio ora, quando …, quando …, quando…. Appunto. Quando?
Ti dico un’altra cosa … toccando ferro nel dirla …hai mai considerato l’idea che a quel famoso quando potresti anche non arrivarci mai?
E che l’unica cosa di cui puoi essere sicuro è che sei vivo QUI e ORA? Scommetto di no.
Scommetto che, schiacciato dalla routine quotidiana, ti ricordi di non essere eterno/a solo se e quando la vita ti dà degli scossoni talmente forti che non puoi non fermarti per un attimo a pensare.
Poi la vita ricomincia. E passi le tue giornate procrastinando magari all’infinito qualcos’altro a cui tieni oltre al lavoro, nella tua convinzione che un giorno potrai fare la tal cosa, dato che sei eterno un pò come gli Dei della Grecia Antica.
Beh Federica, allora mi stai dicendo che nessuno deve più ambire ad una carriera lavorativa di potere? No.
Ti sto solo invitando a fare una riflessione sul significato del successo per come è comunemente inteso, e le implicazioni che il successo può avere sulla tua vita e farti riflettere su quanta dose di potere e quanta di piacere vuoi che siano presenti nella tua vita OGGI che è l’unico dato certo di cui disponi (almeno se stai leggendo adesso questo articolo).
Che rapporto hai con il potere e che influenza ha su di te il potere esercitato dagli altri?
Sei una di quelle persone talmente affascinate dal potere che faresti qualunque cosa in cambio di una carriera lavorativa fatta di denaro e successo?
Sei una di quelle persone che vive di luce riflessa del potere di altri, ossia provi piacere nel potere annoverare la tal persona di successo fra le tue frequentazioni?
Oppure ti piace relazionarti in ambito lavorativo preferibilmente (o solo) con chi ha raggiunto alti gradi nella carriera lavorativa e ricopre posizioni “alte” nell’organizzazione, altrimenti ti senti sminuito ad interloquire con i comuni mortali?
Se si, i colleghi con cui ambisci a relazionarti sono anche persone di valore? Ossia si distinguono per qualità personali, valori, conoscenze e competenze, oltre al fatto di aver fatto una gran carriera lavorativa?
Sotto sotto consideri inferiori le altre persone che non possono fregiarsi di qualche titolo, a prescindere dal valore che hanno come esseri umani?
Oppure ti senti succube del potere nel senso più negativo: o perché talvolta ti trasformi in una brutta copia in miniatura del potente di turno, da emulare, per poterne poi prendere il posto o guadagnarsi la scalata ai piani superiori.
Oppure perché lo subisci del tutto mettendoti in una posizione di sudditanza psicologica al punto che a volte dubiti della tua dignità?
Oppure, ancora, il concetto di potere ti lascia indifferente?
A te quanto piace poter influire sul tuo contesto lavorativo e sulle persone? Con quale finalità? In che modo?
Spostando ora il focus sul concetto di piacere, cosa significa provare piacere per te?
Ho detto piacere, non felicità, non divertimento, non intrattenimento, che sono concetti affini ma non identici…(di cui avrò occasione di parlare in futuro).
Il piacere innanzi tutto è “uno stato percepibile a livello fisico, è un modo di essere, è un fluire libero, creativo di energia, uno stato di eccitazione, un sentirsi pienamente vivi”, come lo definisce Alexander Lowen nel suo omonimo libro (-link di affiliazione).
Per capirci meglio…pensa a quando sei impegnato a fare la tua attività preferita… che quasi quasi il tempo passa senza che tu te ne accorga mentre provi “piacere” intrinseco da quello che stai facendo, e non esistono interruzioni di sorta, pensieri disturbanti.
Sei completamente e piacevolmente assorto in uno stato di “tranche” e leggerezza di spirito che avverti anche nel corpo. Caschi il mondo tu sei preso nella tua passione preferita. Ecco, quello si chiama piacere.
Questo piacere lo provi anche nell’ambito della tua corsa verso le vette della carriera lavorativa? Se si, sei a cavallo. Ti aspetta una vita meravigliosa.
Ipotizziamo che tu desideri il potere e l’autorità che ne consegue.
Hai mai pensato a come la necessità di mantenere una “posizione autorevole” possa entrare in conflitto con i tuoi sentimenti ed emozioni?
Perchè saprai meglio di me che arrivare a ricoprire nella carriera lavorativa ruoli di potere necessita un impiego di diplomaticità, ed equilibrio, come minimo, che poco hanno a che vedere con la spontaneità. Implica anche prendere decisioni, magari scomode e convivere sereni con il fatto di avere magari deluso qualcuno.
Se si, quanto ti costa? Ti viene agevole o fai una fatica immane?
Insegui il successo per poterti distinguere dalla “folla”?
Se si, hai mai considerato che in questo caso avrai sempre bisogno proprio di questa folla da cui vuoi distinguerti per poter mantenere il consenso che ti conferisce il “successo” che hai ottenuto o vuoi ottenere?
Perchè ti è utile rifletterci?
Perchè guardarti dentro e capire cosa fa al caso tuo o meno, capire quanto piacere intrinseco sperimenti seguendo una strada piuttosto che un’altra, influisce sensibilmente sulla qualità della tua vita lavorativa e non solo.
E tu, che genere di potere insegui? In quale ambito della tua vita? Verso chi lo vuoi esercitare? Come lo vuoi esercitare? Quali rinunce sei disposto/a a fare? Quali benefici ti attendi?
Quanto piacere vivi nel tuo presente, o speri di vivere nel tuo futuro?
Quale “mix” di potere e piacere pensi sia più consona al tuo benessere?
Pensi che ambire a ruoli di potere nella carriera lavorativa sia una prerogativa per entrambi i generi oppure sotto sotto, se sei donna, pensi di non potercela fare mai? Oppure se sei uomo ritieni che le posizioni di potere non siano adatte alle donne?
Ti ho parlato di potere e piacere, di cosa siano e che conseguenze possono avere sulla tua vita; nei prossimi articoli ti darò strumenti utili a capire meglio quale percorso di crescita professionale faccia al caso tuo, e a capire meglio quale mix di potere/piacere sia consona al tuo benessere.
Ti anticipo che questa valutazione ha molto a che fare anche con il tempo , con la consapevolezza che hai di te stesso, e con i tuoi valori ed ha poco a che vedere con le distinzioni di sesso.
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Federica Crudeli