
PENSIERI NEGATIVI SUL LAVORO: LIBERATI DAL LORO VELENO – Parte III
Ciao Bentornato a Lavorare col Sorriso!
Oggi continuo a parlarti di come liberarti da altri 3 tipi di pensieri negativi velenosi, dopo averne trattati altri 6 nei miei 2 articoli precedenti articolI: la tendenza a drammatizzare le situazioni, a prevedere solo disastri, a personalizzare qualsiasi fatto (Pensieri negativi sul lavoro: liberati dal loro veleno– parte I) e la tendenza a confondere le emozioni con la ragione, a generalizzare gli eventi negativi, e la “tolleranza zero” (Pensieri negativi sul lavoro: liberati dal loro veleno– parte II).
Se non lo hai ancora letto, cosa sono i pensieri negativi velenosi? Sono quei pensieri che nascono automaticamente al di fuori del tuo controllo, a fonte di stimoli esterni, generano sentimenti ed emozioni negative, e sono del tutto inutili e disfunzionali rispetto all’obiettivo che ti prefiggi.
Come la “gramigna”, pianta normalmente associata ad un effetto invadente e fastidioso, questi pensieri occupano la tua mente sottraendoti una enorme quantità di energie psichiche, senza che tu riesca ad opporti, proprio come un veleno paralizzante.
Vediamo quali altri tipi di gramigne esistono e come potertene liberare.
7 – La gramigna della paranoia
Accade a tutti noi di “proiettare” sugli altri quelle che sono le nostre paure e i nostri più grandi timori, attribuendo a colleghi e capi pensieri negativi rispetto a quello che diciamo e/o facciamo.
Ci sentiamo arrabbiati o offesi? Tendiamo a vedere questo tipo di comportamento negli altri verso di noi.
Abbiamo il terrore di essere stati sgarbati? O poco accurati? Ecco subito a immaginare che il capo e collega, nel dirci una cosa stiano pensando “ma quanto è sgarbato/ ma che lavoro fatto male”.
Quante volte ti accade di immaginarti brutte opinioni, pensieri che gli altri possono fare verso di te? Sei così convinto di poter leggere la mente altrui? E se la leggi, quando lo fai, leggi sempre pensieri negativi nei tuoi confronti?
Oppure ogni tanto leggi anche cose buone per te?
A cosa ti serve pensare che altri pensino male di te a tutti i costi?
8 –La gramigna etichettatrice
Viviamo in un modo intriso di giudizio: qualsiasi cosa accada, tendiamo a volerla etichettare come buona/cattiva, bella/brutta, bianca/nera, perdendo di vista “i fatti”.
Il giudizio, o pre-giudizio che abbiamo soprattutto rispetto alle persone, quando si parla di lavoro, può condurre molto spesso a “deformare” i fatti in base ai preconcetti che abbiamo e a influenzare il modo con cui si ascoltano gli altri.
Quanto spesso invece ti limiti ad osservare quello che accade, senza necessariamente attribuirgli una qualche connotazione per forza totalmente o positiva o negativa? Quante volte qualifichi con aggettivi fatti, parole, persone invece che limitarti a descriverli?
9 –La gramigna della ricerca di conferma
Normalmente tendiamo tutti quanti a cercare fatti che confermino le nostre convinzioni. Questo modo di fare esclude a priori dal campo dell’esperienza tutta una serie di altri fatti, invece, che se osservati meglio smentirebbero le nostre convinzioni.
Sei convinto che il tuo collega sia scorretto? Ecco che, alla prima cosa che fa, vai a cercare le prove della sua scorrettezza. Ma magari osservando il fatto in sè, scevro dal giudizio, ti accorgi che quello stesso fatto potrebbe non essere carico dell’accezione negativa che tu gli associ.
Su cosa normalmente poni l’attenzione? E nel farlo, cosa stai evitando di prendere in considerazione? Per quale motivo lo fai? E in che modo il motivo per cui lo fai, condiziona quello che vedi?
Questi 9 atteggiamenti nell’uso del pensiero, (uniti quindi ai 6 degli articoli precedenti) diffusi fra noi esseri umani, in taluni casi, soprattutto se adottati molto frequentemente, proprio perché sono tutti pensieri negativi, non fanno altro che innescare meccanismi di difesa spesso del tutto inutili, e che contribuiscono ad aumentare il livello di stress, con ripercussioni anche sul corpo, che secerne sostanze chimiche nocive, indebolendo l’organismo.
Per rompere questi schemi di pensiero disfunzionali hai da: identificare le situazioni in cui “reagisci” così somministrandoti negatività, riflettere sul perché e quando lo fai, capire come lo fai, fermarti a ragionare ogni volta che ti trovi in queste circostanze ampliando il tuo punto di vista con le domande che ti ho suggerito sopra e ripetere ripetere ripetere fino ad educarti in modo differente e più salutare per te stesso.
Piano piano rimpiazzerai i pensieri negativi automatici e “reattivi” , con la capacità di essere “proattivo” cioè di scegliere una risposta più funzionale agli stimoli esterni, senza cadere nella negatività e nel pessimismo cosmico.
Costa impegno farlo? Si. Hai da scegliere fra un meccanismo appreso e gratuito che ti innesca stress e negatività senza fatica alcuna, ad uno più impegnativo che però è fonte di benessere, che una volta conquistato, resterà con te.
Leggere nella “testa altrui” solo cose negative, etichettare qualsiasi cosa, o cercare conferme dei nostri pensieri, drammatizzare le situazioni, prevedere solo disastri, personalizzare qualsiasi fatto, confondere i fatti con le emozioni, generalizzare gli eventi spiacevoli, e considerare insopportabili le situazioni sono tutti filtri cognitivi che quando applicati automaticamente e diffusamente, limitano l’accesso alle tue risorse personali, limitando anche il tipo di “risposte” che sarai in grado di utilizzare a tuo vantaggio nei differenti contesti, magari allontanandoti dall’obiettivo che ti eri prefissato.
Al prossimo articolo fra 2 settimane!
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Federica Crudeli
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PENSIERI NEGATIVI SUL LAVORO: LIBERATI DAL LORO VELENO – Parte II
Ciao Bentornato a Lavorare col Sorriso!
Oggi continuo a parlarti di come liberarti da altri 3 tipi di pensieri negativi velenosi, dopo averne trattati altri 3 nel mio precedente articolo: la tendenza a drammatizzare le situazioni, a prevedere solo disastri, a personalizzare qualsiasi fatto.
Se non lo hai ancora letto, cosa sono i pensieri negativi velenosi?
Sono quei pensieri che nascono automaticamente al di fuori del tuo controllo, a fonte di stimoli esterni, generano sentimenti ed emozioni negative, e sono del tutto inutili e disfunzionali rispetto all’obiettivo che ti prefiggi.
Come la “gramigna”, pianta normalmente associata ad un effetto invadente e fastidioso, questi pensieri occupano la tua mente sottraendoti una enorme quantità di energie psichiche, senza che tu riesca ad opporti, proprio come un veleno paralizzante.
Vediamo quali altri tipi di gramigne (pensieri negativi e disfunzionali) esistono e come potertene liberare.
4 – La gramigna della confusione emozione/ragione
Un collega/capo ti parla, tu ti senti offeso/umiliato/deriso/criticato e confondi la tua emozione con i fatti arrivando a pensare che l’altro ti ha offeso/umiliato/deriso/criticato.
Ossia il capo ti dice “questo lavoro va rifatto, così non mi va bene” e tu associ a queste parole, in automatico, una offesa diretta alla tua persona, perché quel modo di dire ti fa sentire offeso, perdendo di vista che il fatto realmente accaduto è che ti è stato fatto notare che hai da rifare una determinata cosa, senza che questo implichi necessariamente la volontà della controparte di ferirti/offenderti/umiliarti.
A questo proposito una cosa è dire “hai fatto male un lavoro” altra cosa è sentirsi dire “tu sei un incapace”.
Nel primo caso la critica è rivolta ad una cosa, nel secondo in effetti, toccando l’identità di un altro essere umano, è una offesa! Se però ogni critica che viene mossa alle tue attività tu la trasformi dentro di te in un “sono un incapace/tu sei incapace” stai traducendo emotivamente un fatto in modo improprio.
Ti accade spesso di provare sensazioni/emozioni negative? Cosa le scatena? Adotti questo filtro cognitivo che ti porta a fare confusione fra la tua reazione emotiva e il fatto che accade?
5 –La gramigna generalizzatrice
Hai la tendenza a generalizzare eventi specifici e negativi e magari particolarizzare quelli positivi?
Ad esempio rispondi male ad un collega una volta e quindi ti etichetti come “ scorbutico” perdendo di vista quante volte magari in altre circostanze hai saputo mantenere la calma?
Oppure hai una vocina interiore che dice a te stesso “ecco..sei il solito ritardatario/ poco preciso/ collerico/rabbioso/ impaziente perché alcune volte arrivi non puntuale/ti arrabbi/perdi la pazienza?
Ossia tendi a connotarti negativamente e perennemente generalizzando uno specifico comportamento?
E magari quando ricevi un apprezzamento, la consideri “solo una fortuna”?
Quando generalizzi? In quali circostanze? Positive o negative? Cosa ci guadagni?
Come cambierebbe il tuo umore se in automatico, invece che condannarti con qualche appellativo infausto, avessi la prontezza di “particolarizzare”, anziché generalizzare, gli eventi negativi?
6 –la gramigna della tolleranza zero
Quando ti convinci che alcune situazioni sono insopportabili, intollerabili, inaccettabili, stai somministrando negatività alla tua mente (e di conseguenza anche al tuo corpo) dato che ti predisponi ad affrontarle con un livello di fiducia via via più basso.
Tendiamo un po’ tutti ad etichettare come “insopportabili” situazioni che in realtà sono “poco sopportabili” o “difficili da sopportare” caricandole anche di una “esasperazione emotiva” fuori luogo.
Il senso di “impotenza” di fronte ad un evento “insopportabile” infatti porta a focalizzarsi proprio sul disagio, più che sulla nostra capacità di saperlo gestire.
Inoltre questo atteggiamento mentale porta nel tempo ad abbassare la soglia di quello che riteniamo sopportabile o tollerabile.
Quante delle situazioni che vivi sono davvero insopportabili, inaccettabili, intollerabili?
E quando si sono verificate, sono state davvero così insopportabili? Come hai fatto a sopportarle? E come puoi utilizzare lo stesso modo in altre circostanze?
Per rompere questi schemi di pensiero disfunzionali hai da: identificare le situazioni in cui “reagisci” così somministrandoti negatività, riflettere sul perché e quando lo fai, capire come lo fai, fermarti a ragionare ogni volta che ti trovi in queste circostanze ampliando il tuo punto di vista con le domande che ti ho suggerito sopra e ripetere ripetere ripetere fino ad educarti in modo differente e più salutare per te stesso.
Piano piano rimpiazzerai i pensieri negativi automatici e “reattivi” , con la capacità di essere “proattivo” cioè di scegliere una risposta più funzionale agli stimoli esterni, senza cadere nella negatività e nel pessimismo cosmico.
Costa impegno farlo? Si. Hai da scegliere fra un meccanismo appreso e gratuito che ti innesca stress e negatività senza fatica alcuna, ad uno più impegnativo che però è fonte di benessere, che una volta conquistato, resterà con te.
Drammatizzare le situazioni, prevedere solo disastri, personalizzare qualsiasi fatto, confondere i fatti con le emozioni, generalizzare gli eventi spiacevoli, e considerare insopportabili le situazioni sono tutti filtri cognitivi che quando applicati automaticamente, limitano l’accesso alle tue risorse personali, limitando anche il tipo di “risposte” che sarai in grado di utilizzare a tuo vantaggio nei differenti contesti, magari allontanandoti dall’obiettivo che ti eri prefissato.
Nel prossimo articolo, fra 2 settimane, tratterò delle ultime tre tipologie di pensieri negativi legate all’uso dei nostri filtri cognitivi in modo parziale! Seguimi quindi!
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PENSIERI NEGATIVI SUL LAVORO: LIBERATI DAL LORO VELENO – Parte I
Ciao Bentornato a Lavorare col Sorriso!
Oggi ti parlo di come liberarti da 3 tipi di pensieri negativi velenosi. Intanto, cosa sono i pensieri negativi velenosi? Sono quei pensieri che nascono automaticamente al di fuori del tuo controllo, a fronte di stimoli esterni, generano sentimenti ed emozioni negative, e sono del tutto inutili e disfunzionali rispetto all’obiettivo che ti prefiggi.
Come la “gramigna”, pianta normalmente associata ad un effetto invadente e fastidioso, questi pensieri occupano la tua mente sottraendoti una enorme quantità di energie psichiche, senza che tu riesca ad opporti, proprio come un veleno paralizzante.
Vediamo quali tipi di gramigne esistono e come potertene liberare.
1 – La gramigna “napoletana”
Senza che me ne vogliano i lettori napoletani, uso questa dicitura per intendere la tendenza che abbiamo a drammatizzare un evento parzialmente negativo trasformandolo in una tragedia con tutte le possibili e infauste conseguenze del caso, come se stessimo vivendo la famosa “tragedia napoletana” (rifacendomi alla teatralità nota dei nostri concittadini che fra l’altro amo).
Ad esempio, il tuo capo con tono rabbioso e risentito ti manifesta la sua scontentezza per un lavoro che hai fatto?
Tu in automatico in 3 nanosecondi ti stai già immaginando in mezzo agli scatoloni di scartoffie da portare via per il tuo licenziamento. In sostanza ingoi ciuffi di gramigna di pensieri negativi e ansia da solo, senza neanche rendertene conto.
Ti riconosci questa tendenza? Intanto comincia a notare quali situazioni innescano questi pensieri negativi: critiche di colleghi? Imprevisti? Litigi? Discussioni? Si assomigliano queste circostanze che attivano i pensieri negativi in automatico? Rilevi elementi comuni?
Perché lo fai? A che fine? Quali altre conseguenze potresti trarre da quell’evento parzialmente negativo, oltre che quelle peggiori? Manifesti poi anche all’esterno questi pensieri, incupendo il tuo umore o il tuo atteggiamento verso gli altri?
2 –La gramigna veggente
Un’altra auto-flagellazione di pensieri negativi, questa volta slegata da un evento esterno parzialmente negativo a scatenarli, è quella di farsi film mentali sul futuro, e sempre negativi come se in te si fossero reincarnati tutti i registi più catastrofici e lugubri del cinema.
Questa tendenza a farti dei film futuri negativi, riguarda una qualche area specifica della tua vita? O qualche azione specifica? Ti sei mai fermato a ragionare su quanti dei tanti film negativi che ti sei fatto, realmente sono stati tali e quanti no? E pensare così in negativo a cosa ti è servito? A dirti “ se mi preparo al peggio almeno poi non rimarrò male?”. Oppure, ancora, fai pensieri negativi sul futuro perché “estrapoli” da eventi negativi del passato la convinzione che sarà così anche nel domani?
Lo sai che questo atteggiamento mentale è causa delle cosiddette “profezie auto-avveranti”? Siccome la nostra mente va cercando nel mondo conferma di ciò che crede, tu stesso potresti, con queste convinzioni negative, creare i presupposti affinchè poi le cose vadano davvero male per poi poterti dire “beh, avevo ragione!”
3 –La gramigna con l’ego a mongolfiera
Questa tipologia di pensieri negativi è molta diffusa nelle aziende, ed è la tendenza a personalizzare qualsiasi fatto come se tutto l’universo cospirasse a tuo danno.
Un collega che ti sta particolarmente simpatico risponde male? Subito a pensare “oddio cosa gli avrò fatto” senza pensare che magari è semplicemente incazzato per motivi suoi.
Oppure se qualcuno fa una critica al tuo lavoro ti senti intaccato nella tua identità, perdendo di vista che hai ricevuto una critica da un collega (dei tanti) ad una attività (e non alla tua persona) 1 volta su 220 giorni lavorativi.
Per evitare di cadere in questa trappola, occorre che identifichi, di volta in volta, tutti gli elementi del mondo circostante che potrebbero essere cause altrettanto valide di quanto vedi e attribuisci a te stesso. E, se proprio proprio vuoi sentirti al centro del mondo sempre, almeno scegli di esserlo come causa/effetto di qualcosa di positivo.
Riepilogando ti ho parlato per questa volta di 3 gramigne, o atteggiamenti mentali, che causano pensieri negativi:la tendenza a esagerare e generalizzare eventi negativi, la tendenza a farsi film negativi sul futuro a prescindere da inneschi esterni, la tendenza a personalizzare gli eventi esterni come se l’unica causa possibile fossi tu.
Per rompere questi schemi di pensiero disfunzionali hai da: identificare le situazioni in cui “reagisci” così, riflettere sul perché lo fai, fermarti a ragionare ogni volta che ti trovi in queste circostanze ampliando il tuo punto di vista con le domande che ti ho suggerito sopra ed educarti a farlo tutte le volte.
Rimpiazzerai progressivamente i pensieri negativi automatici e “reattivi” , con la capacità di essere “proattivo” cioè di scegliere una riposta più funzionale agli stimoli esterni, senza cadere nella negatività e nel pessimismo cosmico.
Costa impegno farlo, prima di sostituire l’automatismo negativo con quello positivo? Si.
Hai da scegliere fra un meccanismo appreso e gratuito che ti innesca stress, negatività e ansia senza fatica alcuna, ad uno più impegnativo che però è fonte di benessere.
(A proposito di ansia, ecco un mio precedente articolo che parla di come gestirla!)
Ti parla una persona che ha sperimentato sulla sua pelle, o meglio, nella sua testa, questo approccio. Progressivamente ho messo a tacere quel coacervo di pensieri negativi che un tempo mi nascevano spontanei su una serie di inneschi esterni. Vivo molto meglio, con la testa più libera e leggera.
Sottolineo però che, qualora notassi che questi pensieri negativi siano per te diffusi a TUTTE le aree e situazioni della vita, tu abbia la convinzione che le cose stavano così in passato e staranno così per SEMPRE, e ritieni di essere TU LA CAUSA di tutti i mali del mondo con un enorme senso di impotenza, ti consiglio di rivolgerti ad uno psicoterapeuta: questi sono campanelli di allarme di un disagio che esula dalle “nevrosi” tipiche del nostro vivere e sono piuttosto sintomatici di problemi caratteriali ben più radicati e profondi.
Nei prossimi articoli, fra 2 settimane, continuerò a parlarti di altre tipologie di pensieri negativi! Segui quindi anche la Parte II e la Parte III!
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IL QUI E ORA PER USCIRE DA GIORNATE NO: COME SI FA?
Ciao e Benvenuto a Lavorare col Sorriso!
Ti accade di vivere giornate NO ? Vuoi sapere come uscirne usando la capacità di stare nel qui e ora per ritrovare il tuo benessere?
Parlo di quelle giornate in cui basta una cosa da poco per scatenarti l’inferno emotivo, in cui ti senti col morale a terra, vedi tutto negativo, o va tutto storto, ma proprio tutto, e un piccolo evento cumulato con altri spiacevoli eventi negativi pregressi, crea l’effetto valanga e ti percepisci solo come una somma di errori.
Ti accade mai di sentirti così? Non è piacevole, soprattutto se hai da lavorare … Seguimi….
Oggi ti parlo di questo perchè oggi per me è stata una giornata decisamente NO, e voglio approfittarne per irrobustire la mia capacità di risollevarmi sfruttando tutto quello che si presenta nel mio qui e ora.
Infatti, se noti, questo articolo risulta pubblicato di martedì sera anziché di martedì mattina come faccio di solito.
Usando da qui in avanti un po’ di ironia, (che considero la mia salvezza), malgrado la giornata NO, non ho alcuna intenzione di arredarmi un tunnel di negatività, anche se l’effetto valanga è stato molto più forte di qualsiasi altra cosa, anche piacevole, che ha popolato la mia giornata.
Come ne sono uscita, allora? E come puoi uscirne tu, quando vivi giornate di questo genere?
I guru del pensiero positivo che vanno tanto di moda, per i quali l’imperativo presente è essere positivi, brillanti, e felici anche quando ti arrivano sassate in faccia dalla vita, ti direbbero, appunto, di pensare positivo, di ridimensionare quello che ti è successo, di cambiare punto di vista e pensare che non è proprio “marrone” quello che vivi nel qui e ora, e che le disgrazie vanno benedette e che esiste sempre un lato positivo in qualsiasi situazione.
Per carità, può anche essere vero. Anzi, diciamo che lo è, ma solo dopo, quando la valanga è passata, e non mentre ci sei nel mezzo. Quando ci sei nel mezzo l’aria che respiri nel qui e ora non è né di rosa né di gelsomino. E’ putrida. Punto.
Ecco, io non sono d’accordo con il pensiero positivo a tutti i costi per un semplice motivo: perché se sei incavolato nero, o in preda a un momento di tristezza, sei nero o in un momento di tristezza. Punto.
Inutile negarselo, si disperdono il quadruplo delle energie nel tentativo di contrastare o reprimere i propri stato d’animo che si presentano nel qui e ora del momento.
Anche se è molto umano voler sfuggire al qui e ora di negatività, in ultima analisi, la fuga come soluzione a questi momenti, alla lunga, è soltanto controproducente.
I momenti NO, di rabbia, tristezza, sfiducia, paura o di sentimenti negativi connotabili con mille altre sfumature, fanno parte della vita. Non raccontiamoci le favole.
La moda dilagante del mostrarsi sempre felici a tutti i costi è una moda a mio avviso superficiale che serve solo a fomentare l’industria del benessere a basso costo, per me. Anzi, credo che questo atteggiamento, unito alla convinzione di dover essere sempre Top, sia proprio la principale causa di infelicità dei tempi moderni.
Il volersi obbligare a mostrarsi diversi da quel che si è e da quel che si vive nel qui e ora di un dato momento specifico. Assecondare le attese e le aspettative convenzionali. Tutti modi di essere dei prigionieri a cielo aperto.
Attenzione, con questo lungi da me affermare che un momento NO debba diventare un pretesto per sguazzarci dentro e vivere di lagnanza ad oltranza!
Bene, cosa ho fatto per superare la mia valanga piena di No?
Niente. Ci sono rimasta sotto e ho vissuto, attraversando, il mio qui ed ora con tutto quello che mi ha portato. E ho fatto anche una cosa, udite, udite, che non va molto di moda dire: ho pianto. Si ho pianto a intermittenza tutte le lacrime che avevo da tirare fuori.
In ufficio, per la strada, a casa fino a quando, vedendo che i barattoli di sale e zucchero della cucina cominciavano a galleggiare…i miei occhi hanno pensato fosse il caso di smetterla di far uscir fuori lacrime se non volevo rischiare una denuncia condominiale. Sono soggetti responsabili i miei occhi … e anche le mie lacrime!!! (Ps – esagero volutamente!).
Già perché in questo mondo spesso e volentieri patinato e pettinato, dove l’obbligo latente è essere dei vincitori sempre, mostrarsi forti, sorridere a 56 denti , il fatto di piangere o essere tristi, o arrabbiati è diventato una piaga sociale da curare.
Come conseguenza forse, a forza di reprimere tutto quanto è naturale, per assurdo, è aumentata la prescrizione di antidepressivi. Forse ci siamo dimenticati di essere umani, e come tali, per dirla con le parole di Marco Giallini nel film “Perfetti sconosciuti”, siamo tutti “frangibili”. Già … siamo frangibili, ma nessuno vuole fare i conti con questa “frangibilità”e fa di tutto per di evitare il presente, il qui e ora, soprattutto quando è noioso, doloroso, o spiacevole.
A nessuno piace essere triste, o vivere emozioni negative. A nessuno. Un peccato però che capita di provarle. Un peccato che pensare di spendere una vita come se si fosse nati nel “Wallalla” è da idioti, e non è realistico.
Ed è la principale causa di infelicità…quella di pretendere che la vita sia come un giro sulle giostre, sempre divertente, sempre Up.
La convinzione che la vita debba sempre essere un luna park, conduce a misurarsi costantemente fra quel che è realmente, e quello che dovrebbe essere.
La frustrazione da gap esistenziale, aumenta a livelli esponenziali. Invece fa parte della vita cadere e farsi male. Fa parte della vita affrontare dispiaceri e sofferenze, grandi o piccoli che siano.
Fa parte della vita incappare nelle difficoltà. E tutto questo comporta a volte, anche sperimentare emozioni negative, attraversarle e superarle proprio lasciandole vivere nel qui e ora, senza reprimerle.
Inoltre accettare il qui e ora dei vissuti negativi aiuta a lasciarli defluire più facilmente.
Saper accettare il qui e ora di una giornata NO, senza contrastarla, con tutte le gradazioni di nero, marrone e grigio che porta, penso sia saggio e intelligente e apre la porta alla trasformazione delle esperienze.
Molto più saggio che sforzarsi di mascherare, o dissimulare. L’ho sempre pensato e diciamo che ho conferito al mio pensiero più autorevolezza quando l’ho trovato condiviso nella sostanza nei testi di quelli che considero mostri sacri: J. Hillmann e A. Jodorowsky.
L’anima ha la sua saggezza e un suo codice per parlare, che non ha nulla a che vedere con il buon senso, l’educazione di maniera, le pose e le parole buone. E segue le sue strade.
Mettetevi contro il libero fluire della vostra anima, o rinnegate la vostra autenticità sempre e sistematicamente, e avrete assicurata una vita di inferno.
Bene quindi per tornare al “come ho superato il momento no”, mi sono concessa di piangere nel qui e ora che ho viussuto, cosa che in passato non avrei fatto perché il mio giudice interiore (n.d.r. quella vocina rognosa che mi parla in testa e che credo anche tu abbia) avrebbe detto “…che brutta figura piangere davanti ai colleghi, o per strada… se la gente ti vede…”
A dire il vero mi sono chiusa nel bagno dell’ufficio per piangere e ho lasciato scorrere le lacrime che volevano uscire a fare due passi.
Forse erano rinchiuse là dentro da troppo tempo, stavano strette, litigavano fra di loro per avere il posto in prima fila per guardare il mondo e hanno causato una ressa sul bordo del bulbo oculare che le ha spinte ad uscire…un po’ come i tifosi che si riversano sul campo di gioco travalicando le sbarre dello stadio. Sta di fatto, che volevano uscire e anche con prepotenza, a vedere bene da quante erano.
Ho provato un sollievo notevole, dopo essermi concessa la libertà di piangere, e un senso di liberazione immenso.
Anche scientificamente le lacrime hanno un potere “purificatore”. Reprimere invece le emozioni è uno dei modi per fare in modo che uno stato d’animo negativo si radichi come l’erba gramigna e reclami attenzioni in futuro, reiteratamente, e a sproposito.
Diffida di chi consiglia sempre di “appiccicarti” un sorriso addosso, risulteresti finto. E il rischio è che, da una giornata NO, te ne auto – fomenti altre 500 reprimendo tutto quello che invece scalpita per uscire fuori e che vuole esprimersi.
Per piangere di gusto ho anche messo a tacere il mio giudice interiore, ma non ho alcun capo di accusa per omicidio preterintenzionale o sequestro. Ogni tanto, in particolare quando ti rema contro, il giudice interno va ucciso. L’anima lo sa e non ti ascrive carichi penali pendenti.
Perché va taciuto in queste circostanze il giudice interiore?
Perché reprime, vuole sminuire quello che senti, dirti che sei stupido se piangi, ti arrabbi o sei triste, in ufficio come fuori, e se lo fai per quei motivi.
Zittirlo ti consente di legittimare di fronte a te stesso il tuo sacrosanto diritto di piangere, o di essere arrabbiato, o triste, e di farlo per qualsiasi motivo, se è così che vuole la tua anima.
Puoi permetterti di lavorare anche essendo triste, spaventato, arrabbiato e senza necessità di nasconderlo: basta dire qualcosa che suoni simile a questo “oggi mi sento triste/arrabbiato/spaventato, farò del mio meglio compatibilmente con il basso livello di energia che mi sento addosso”.
Non serve entrare nei dettagli. I colleghi che hai intorno, umani fino a prova contraria come te, se sono persone di buon senso, capiranno e rispetteranno questo tuo stato d’animo prendendoti così come ti vedono.
Non solo, questo conferisce a te stesso, di conseguenza e per risonanza, la possibilità di creare un clima lavorativo di maggiore libertà emotiva e leggerezza (ovviamente nei limiti del rispetto altrui).
Passata la fase emotivo- depurativa, è affiorata verso sera, da sola, la fase razional – costruttiva a testimonianza di quanto ti ho detto sopra. Ossia spontaneamente, senza forzatura, la mia anima ha detto:
“Ok ho pianto, ok ho avuto motivi sensati per farlo, ok accetto che le cose stanno così come stanno per questa circostanza specifica: da schifo. Resta un piano di realtà con cui fare i conti. Una serie di cose che non mi piacciono, da cambiare. Come ne esco? Intanto scrivo” , cioè uso un mezzo che mi regala piacere perché voglio trasformare la mia “melma” in qualcosa di costruttivo che dia un senso alle cose.
Nel fare una cosa che mi piace mi sono regalata sollievo e piacere. Il qui e ora si è quindi trasformato da negativo e momento di sollievo spontaneo.
E poi mi sono detta “..accetto di convivere con una sorta di “fastidio” legato ad una situazione poco piacevole, e che mi svela un bisogno emergente che vuole trovare la strada per essere soddisfatto, e mi adopero per tenere la testa focalizzata ad agire una soluzione per trarre il meglio dalle giornate che verranno, verso quello che ho identificato essere un obiettivo”.
In sintesi, se vivi una giornata NO, esercita la tua capacità di restare nel qui e ora dell’esperienza:
- accetta il tuo stato d’animo negativo nel qui e ora come si presenta;[/li-row][li-row]lascia fluire in te il mare di sensazioni emotive che ne derivano;
- esprimi e riconosci a te stesso, ricavandoti un momento tutto tuo, il disagio che senti;
- se il contesto te lo consente, è di fiducia, ed è funzionale alla buona riuscita di quello che devi fare magari in un gruppo, puoi esprimere il tuo disagio anche agli altri colleghi, di modo che comprendano il tuo calo temporaneo di energie e umore (ovvio che se vivi in mezzo agli squali è più saggio tacere per preservarti, che fare il kamikaze);
- lascia che affiori spontaneamente “la luce in fondo al tunnel”. Se ti dai tempo, spontaneamente, ricomincerai a vedere le cose in modo diverso. E spesso ti accorgerai che quello stato emotivo negativo aveva bisogno di venire allo scoperto per metterti in luce qualcosa a cui non hai più prestato attenzione ma che reclama la sua “realizzazione”;
- gratificati con qualcosa che ti piace fare;
- affiorerà alla superficie, con i suoi tempi e altrettanto spontaneamente, una soluzione a quella che è stata la causa della tua giornata NO, e vedrai che le tue risorse saranno quindi mobilitate e rinvigorite perchè orientate a fare qualcosa di diverso per uscire dalla situazione di stallo e muoverti verso quel qualcosa di nuovo che, molto probabilmente, avrai identificato;
- se poi sei un pò “dissacrante” come me, fai una pernacchia alla vita e brindaci su con il motto liberatorio che preferisci.
Questo processo, che si lascia fare da sè, se gliene dai modo, esattamente come il fiume che scorre, ha molto a che fare con il rafforzamento della capacità di far fronte agli eventi negativi riorganizzando le esperienze in modo positivo.
Inoltre, nell’apparente passività del lasciar seguire alle emozioni il loro corso, proprio come i fiumi, questo atteggiamento ha molto a che vedere anche con la proattività, ossia la capacità di prendere attivamente in mano la propria vita, vissuti emotivi compresi.
Quante volte sei solito permetterti di sentire, convivere e attraversare le tue emozioni negative?
Quante volte fai si che il tuo giudice interiore abbia la meglio su di te censurando le più naturali manifestazioni del tuo essere?
Quante volte ti dai il tempo di vederle scorrere via e lasciare affiorare uno spazio nuovo dentro di te per superare le difficoltà?
Fammi sapere cosa ne pensi nel box dei commenti a fondo pagina.
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Federica Crudeli

CONFLITTI SUL POSTO DI LAVORO: LI RISOLVI O CERCHI COLPEVOLI?
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Che tu sia uomo o donna, sei solito risolvere i conflitti sul posto di lavoro efficacemente usando l’intelligenza emotiva per migliorare la tua leadership oppure vai accusando in cerca di colpevoli, o della ragione costi quel che costi? In questo articolo ti parlo di questi due diversi atteggiamenti nell’affrontare i conflitti sul posto di lavoro e ti parlo delle softskills utili anche per la vita, dato che i conflitti o le divergenze fra colleghi, uomini, donne e umani in generale sono assai frequenti.
[Tweet ““I più grandi conflitti non sono tra due persone ma tra una persona e se stessa.” – cit. T.G. Brooks”]
La gestione dei conflitti sul posto di lavoro, può avere una finalità utile o non utile.
La finalità utile della gestione dei conflitti sul lavoro è quella di capire, esprimersi, farsi rispettare, trovare punti di accordo.
La finalità non utile della gestione dei conflitti è quella di manipolare (spesso inconsapevolmente), cercare colpevoli, accusare, difendersi, avere ragione.
Per quali motivi discuti, di solito? E quanto sei consapevole di come il tuo modo di gestire i conflitti sul posto di lavoro impatta sulla buona riuscita dei rapporti tra colleghi?
Ipotizziamo che Alice e Marco, che rappresentano due unità aziendali differenti nell’ambito di un gruppo di lavoro composto da più impiegati, abbiano da consegnare un lavoro finito per una certa scadenza.
Ognuno di loro è portatore di interessi differenti e ovviamente, ha preferenze diverse sulle modalità con cui è possibile “risolvere” un dato “compito”o “task” per usare gli inglesismi che fanno molto moda.
Nel giorno della scadenza stabilita e per rispettare obiettivi sfidanti Alice, senza dire nulla a Marco che era impegnato in altre attività, presenta all’intero gruppo di lavoro il “task” finito e costruito, in parte, ma non del tutto, con il contributo anche di Marco, che viene a conoscenza della versione finale del lavoro a cose fatte.
Marco si sente salire un pò di rabbia, quando vede scritto su una mail quello che avrebbe dovuto essere frutto anche del suo lavoro: non solo vede i fatti compiuti, ma condivide solo in parte la soluzione proposta, e in ogni caso ci sono degli aspetti dati per decisi che lo mettono in difficoltà rispetto alla sua unità di business.
Marco è arrabbiato e dentro di lui si agitano questi pensieri: sono incavolato nero, non mi ha considerato, mi ha “scavalcato”, ha deciso una cosa che non condivido e in più l’ha fatto in mia assenza senza avvisarmi.
Non posso neanche arrabbiarmi apertamente, perché si sa che in azienda i conflitti sul posto di lavoro “aperti” sono malvisti e come uno manifesta un po’ di dissenso viene tacciato di essere un polemico rompiballe.
Come potrebbe comportarsi Marco?
Esempio di gestione del conflitto sul posto di lavoro con modalità comunicative finalizzate a manipolare, cercare colpevoli, accusare, difendere, avere ragione.
M – (con tono risentito e veemenza verbale, verso Alice) Ho visto la mail… bella sorpresa… siete proprio scorretti! Non solo avete deciso la versione finale senza di me, ma in più l’avete comunicata a tutto il gruppo e vi siete venduti una cosa che ora mi mette in difficoltà con altri miei colleghi!
Il tono “risentito” è umano, ci può anche stare…ma quello che segue si chiama accusa, prima ancora di capire se abbia affettivamente dei fondamenti o meno.
A – Marco, sei sempre assente, questa è la logica conseguenza del tuo modo di fare!
Alice si sente attaccata e di istinto, invece che smussare i toni, contro-accusa il collega.
M – Ma che assente e assente, non nasconderti dietro a delle scuse perchè hai torto e sei stata scorretta! Non è la prima volta che succede. Mancava poco alla versione finale. Hai il brutto vizio di non parlare!
A – Se non ti fai trovare!
M – Ma se ero in trasferta ieri!
A – …e comunque cosa vorresti insinuare con quel “non è la prima volta che succede?” vogliamo parlare di quando due mesi fa ti sei “venduto” la scadenza senza condividerla?
Ora….potete capire che gestire i conflitti sul posto di lavoro con questo rimbalzo di attacchi e accuse reciproche potrebbe durare più o meno all’infinito.
Per ironizzare, in tre nanosecondi ogni collega ha già piazzato nella sua mente come arma di difesa tutto il Consiglio Superiore della Magistratura, con tanto di primo, secondo e terzo grado di giudizio, Cassazione compresa!
Si chiama anche “escalation of commitment” per usare un gergo psicologicamente “tecnico”.
Risoluzione finale? Animo amaro da entrambe le parti, e soprattutto, nessuno dei due probabilmente otterrà nulla di quello che realmente avrebbe voluto.
Esempio di gestione del conflitto sul posto di lavoro con modalità comunicative finalizzate a capire, esprimersi, farsi capire, rispettare il prossimo e trovare punti di incontro.
M – (con tono un po’ risentito) Ciao Alice! Ho visto lo scambio di mail e che hai presentato la versione finale del lavoro a tutto il gruppo quando non c’ero. Mi sento parecchio infastidito! Mi puoi spiegare cosa è successo?
In questo modo Marco applica l’intelligenza emotiva in 3 modi:
1 – saluta come accade fra esseri umani,
2 –manifesta il suo stato d’animo irritato che fa sempre bene, visto che reprimere le emozioni, alla lunga, fa più danni dell’uragano katrina, e non lo dico io ma la scienza,
3 -senza tirare conclusioni si attiene ai fatti che ha visto e chiede spiegazioni, per capire, prima di scegliere se permettersi di essere alterato del tutto o meno e di biasimare la collega.
A – Ciao Marco. Mi spiace vederti arrabbiato. E’ successo che ieri il Direttore ci ha chiesto entro le 16 di presentargli il lavoro proprio mentre stavamo valutando di chiedere un posticipo della scadenza di altri 3 giorni. Sono mancati i tempi tecnici sia per avvisarti prima, visto che ci hanno detto che eri fuori, sia dopo, e nel dubbio piuttosto che lasciare la cosa incompleta abbiamo preso quella che ci sembrava la decisione migliore ricordandoci anche le tue indicazioni. I modi in effetti non sono stati dei migliori ma almeno nella scelta finale ti ritrovi oppure no?
M – Ah ecco… volevo ben sperare che ci fosse una ragione valida per quello che ho visto. Diversamente, e lo specifico nel caso accada di nuovo in futuro, vorrei condividere le scelte prima e sapere quando saranno ricondivise nel team. In questo caso in effetti la decisione che avete preso mi mette in difficoltà per diversi motivi che ora ti spiego (…) come possiamo venirne fuori? Mi aiutate?
A – Si si tranquillo, a parte che non è da me, in ogni caso certo che condividerò le scelte future prima di presentarle a tutti qualora non ci fossi. Tu però le prossime volte, se dovessi sapere che a ridosso di una scadenza ti mandano fuori per lavoro, ci avvisi prima?
M – Ok sarà fatto. Anche io preso dalla fretta proprio mi sono dimenticato.. scusami. Quindi come ne veniamo fuori? Io ho questo problema adesso (…)
A– Beh credo che ci siano tempi e margini per rivedere la cosa!
Alice utilizza l’intelligenza emotiva nella gestione del conflitto lavorativo in questi modi:
1 – saluta;
2 – esprime dispiacere per il collega che vede risentito, con empatia;
3 – chiede se la soluzione individuata è condivisibile;
4 – chiede al collega per il futuro, di avvisare qualora fosse assente, usando quindi la sua assertività.
Marco a sua volta: esprime chiaramente la sua difficoltà e la necessità di trovare una soluzione, si prende l’impegno di avvisare qualora debba assentarsi vicino ad una scadenza, ed esprime cosa vorrebbe per se in futuro.
Nella tua quotidianità quante volte la gestione dei conflitti sul posto di lavoro assomiglia al primo caso e quante volte al secondo?
Quante volte “prendi la tangente” di fronte ad una situazione mal digerita e quante volte invece ti prendi del tempo per capire, prima di scegliere la riposta più opportuna usando la tua assertività?
La possibilità di scegliere la risposta di fronte ad una situazione di conflitto, prende il nome di proattività, ed è un concetto introdotto da V. Frankl, che ha condotto molteplici studi sul senso di scopo delle persone.
Reagire significa non interporre alcuna consapevolezza fra uno stimolo esterno e il nostro comportamento, rispondere significa invece prendere consapevolezza di quello che accade al nostro interno ed indirizzarlo con assertività in modo utile rispetto all’obiettivo che ci poniamo.
Farlo significa rafforzare la propria leadership, ossia la consapevolezza e padronanza di sè stessi. Qualora l’obiettivo di una conversazione sia litigare con i colleghi in modo fine a se stesso allora la modalità n° 1 è quella giusta.
Qualora l’obiettivo invece sia trovare soluzioni condivise e ridefinire comportamenti accettabili per entrambe le parti in futuro, la modalità n° 2 è quella più adatta da seguire.
Qualora invece, dopo aver raccolto il punto di vista dell’altro ti trovi di fronte ad una vera e propria scorrettezza ingiustificabile ai tuoi occhi, considera che:
a – possono esserci colleghi che per differenti ragioni e motivi, vivono di bassezze. In questo caso intanto puoi avere una fortuna magari: non assomigliargli;
b – inoltre, quando hai a che fare con colleghi che deliberatamente fanno cose a danno altrui, o per metterti in cattiva luce, o per affermare se stessi, o per screditarti, tieni a mente che il problema è loro: quasi sempre soffrono di insicurezza cronica con un ego pari ad una mongolfiera, ed hanno bisogno di sminuire gli altri per emergere.
In questo senso, sempre a proposito di vivere per se stessi un tempo di qualità, prima di dare eccessiva importanza a questo tipo di colleghi e quello che fanno, ti ricordo che nell’articolo “Un giorno lo farò: il tempo ti è nemico? Parte I” ti ho parlato di investire il tempo in funzione del tuo scopo e dei tuoi principi.
Di conseguenza il tempo da dedicare a queste persone tossiche è bene che si riduca all’osso. Puoi sempre scegliere di averci a che fare per il tempo che è imposto dal contesto, ma nulla di più.
E poi lasciarti alle spalle la rabbia e il senso di sconfitta che a volte l’esito di questi conflitti sul posto di lavoro può generare.
Inoltre, se vivi in funzione dei tuoi principi guida, disponi di una bussola interna che ti conferisce sicurezza interiore e ti indirizza nelle scelte, ed è corretto che sia l’unico riferimento rispetto al quale misurarti, piuttosto che preoccuparti della figura da stupido che magari qualcuno ci tiene tanto a farti fare…la summa di questo pensiero è resa bene da questa celebre frase dei Beatles da tenere a mente di fronte a colleghi poco corretti:
[Tweet ““Live and let die”- cit. Beatles”]
In sintesi ti ho parlato di due modi di affrontare i conflitti sul posto di lavoro rispetto all’obiettivo di trovare punti di accordo: uno più utile ed uno non utile.
Ti ho quindi parlato della differenza fra la reattività e la capacità di risposta intesa come proattività: in questi casi le differenze fra uomini e donne non hanno alcuna relazione con la maggiore o minore padronanza di queste softskills!
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Federica Crudeli