
COLLEGHI DIFFICILI: DIFENDERSI DAI “TIRAPIEDI” PARTE II
Colleghi difficili: un articolo irriverente per capire come riconoscere e difendersi dai leccaculo risparmiando energie emotive preziose.
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YES MAN, YES WE CAN!
Ciao Bentornato a Lavorare col Sorriso!
Dicesi YES MAN persona dotata di spina dorsale elastica come il cordone per fare il Bungee Jumping, significativamente propensa a dire si a qualsivoglia proposta, soprattutto se proveniente da persona di rango gerarchico superiore in azienda, e propensa a prendere posizioni e/o decisioni tanto quanto Oblomov (notoriamente pigro) è incline ad alzarsi dal letto o divano.
Lo Yes Man sotto il tappeto non ci mette solo i batuffoli di polvere, ma facciamo pure anche tutti i granelli di sabbia del Sahara.
Lo Yes Man di fronte a conflitti manifesti per un oggetto del contendere spinoso e delicato, si defila trasparente come il plexigas e lascia decantare per anni i problemi come si fa con il vino: prima o poi qualcuno lo berrà, oppure evaporerà per auto-dissolvenza oppure resterà semplicemente a prendere aria.
Perché gli YES MAN sono tanto amati? E spesso fanno “carriera”? (Dimenticavo… vale anche per le YES WOMAN che dir si voglia, per par condicio … prima che si scateni una guerra sulla parità di genere che va tanto di moda … mi scuso per la divagazione…)
Dicevo …
I mondi aziendali tracimano di YES MAN, YES WE CAN. Perché?
Forse perchè per tanti YES MAN nel mondo ci sono altrettante persone il cui EGO bulimico ha bisogno di essere rimpinguato frequentemente attraverso continue conferme e rassicurazioni.
Esistono coloro che amano essere adulati come fossero divinità greche, talvolta però senza assomigliare neanche da lontano ai bronzi di Riace (ma magari più ai Bonzi del ROACE), e amano le genuflessioni mentali di chiunque.
Le persone che sanno attribuirsi un valore indipendentemente dal “successo esterno” che riscuotono, o dalle continue conferme che hanno bisogno di ricevere, probabilmente sono una minoranza.
Sentirsi dire sempre si è la riprova sociale che si ha ragione, che si sta facendo bene, e se si sta facendo bene significa che il posto/ruolo ricoperto, lo è a ragion veduta e meritato.
Poi forse è una questione di potere: avanzare richieste e sentirsi dire si, significa ottenere una riprova della propria capacità di influenzare il prossimo. Lusingante.
La domanda che pongo è: che valore ha un SI detto da una persona che lo direbbe a chiunque e che lo direbbe in qualunque circostanza?
E quanto l’ambizioso Deo (o Dea) greco avido di YES si ferma a riflettere sul valore di quel SI?
Le aziende, come le persone, per crescere realmente hanno bisogno di sfidarsi, di misurarsi con punti di vista diversi e la capacità di sviluppare e mantenere un pensiero critico.
La tendenza diffusa di volersi circondare di YES MAN invece è deleteria e sintomo di miopia manageriale: modi di pensare stereotipati non possono che contribuire ad affossare la creatività o lo sviluppo di nuove idee e, in ultima analisi sul lungo periodo, anche la sopravvivenza di una impresa.
E in questo mondo, in cui il cambiamento avviene alla velocità della luce, restare avvinghiati come mitili ignoti sugli scogli ai soliti modi di fare e pensare, rischia di minare la possibilità di gestire i cambiamenti per tempo.
Attenzione, con questo non penso neanche che sia sensato lasciare troppo spazio ai martelli pneumatici che hanno la residenza nella valle del lamento per definizione: quelli che al contrario, hanno sempre qualcosa da criticare compreso ad esempio che il 5° scalino della terza rampa delle scale di emergenza ha una fossa che rischia di mettere a serio repentaglio la loro vita …
Dipende dalle situazioni e, in funzione di quelle, hanno senso alcuni comportamenti e non altri.
Non sto dicendo che se mi chiedono di fare 20 fotocopie, siccome non svolgo un lavoro di segreteria, allora aizzo la ribellione dei fogli A4 contro gli A3 che si sentono trascurati, o che se mi viene richiesto di passare know how ad una persona nuova pretendo l’autorizzazione formale in carta bollata papale dal più titolato di turno per non sentirmi declassato, o se si rompe la macchinetta del caffè avvio una rivoluzione sindacale adunando tutti i chicchi di caffè partendo dal Brasile (perché esistono anche queste persone in realtà…)
E non sto neanche dicendo che tutti tutti i problemi debbano necessariamente esser canalizzati verso i capi di turno senza neanche fare il tentativo di risolverli, come ad esempio:
– lamentarsi che il collega di scrivania si taglia le unghie mentre lavora facendole schizzare in aria come proiettili
– o arriva la mattina alle 7 che sembra l’abbiano fritto nella pastella e questa cosa ti fa molto trattoria Rosetta,
– oppure del collega che pur sedendo a 4 scrivanie dalla tua, invece che parlarti ti scrive 100 mail al giorno neanche lavorasse per la CIA al punto che il tuo pc ormai in preda alla nausea le auto-cestina.
Queste sono situazioni spiacevoli risolvibili con un para-proiettili, un profumo, le parole (forse).
Sto dicendo invece che persone che, nell’ambito delle loro responsabilità, adempiono ai loro “doveri” prevalentemente dicendo SI a chiunque e qualunque situazione da affrontare, forse è il caso di smettere di considerarli come esempi positivi da seguire e aiutarli ad indirizzarci tutti quanti verso un modo di fare diverso.
E qui mi rivolgo in particolare a tutti coloro che danno spazio a queste persone perchè hanno un bisogno maniacale di sperimentare la gratificazione immediata che consegue al sentirsi dire SI.
Quali sono i motivi che inducono gli YES MAN a dire sempre SI?
-A volte semplicemente la “furbizia”, hanno capito che con qualcuno paga e lo fanno;
– altre volte sono persone che sopperiscono alla mancanza di coraggio nell’esprimere posizioni decise sostituendolo con la gentilezza profusa a volontà (che diventa stucchevole quanto un barattolo intero di miele mangiato in 4 minuti) e una specie di finta cura/interesse nei riguardi dell’altrui umanità che ha il solo fine di rendersi “amabili” in questo modo, peccando in tutto il resto;
– altre volte sono persone che hanno un bisogno talmente alto di accettazione e una fobia per i conflitti che proprio non gli riesce di dire NO a nessuno.
Ma quale “danno” possono fare questo tipo di persone, oltre che non contribuire fattivamente con un pensiero “critico” alle dinamiche aziendali? Rischiano di fomentare conflitti, demotivazione, inefficienze.
Un po’ come se tu dessi la disponibilità al tuo collega A per fare la tal cosa, e nello stesso tempo, ricevessi la richiesta di B per fare l’esatto contrario e dicessi si anche a lui.
Quantomeno A e B resterebbero spiazzati, magari discuterebbero pure, solo per la tua incapacità di scontentare l’uno o l’altro.
Se poi lo YES MAN è pure un capo a cui sono affidate le persone, immagina sulle lunghe distanze quanta stima potrà mai riscuotere uno che nella sua posizione non prende mai una decisione per non scontentare nessuno, finendo in conclusione per scontentare tutti.
Gli YES MAN sono pericolosi, sono quelle stesse persone che in preda alla mancanza di spirito critico o all’incapacità di metterlo in pratica, contribuiscono al dilagare della logica del quieto vivere e del pensare, si, ma solo come dicono gli altri che contano…
Chiudo immaginandomi un dialogo semi-serio fra uno YES MAN e poniamo un capo A che abbia voglia di divertirsi un po’ con questa dinamica …
YM – Ciao, ho letto l’articolo sugli YES MAN .. tu l’hai letto? Che te ne sembra?
A – Beh … mi sembra un pò esagerato quello che dice la tizia lì … Io tutti questi Yes Man in giro non li vedo.
YM – Eh si, anche per me … forse un po’ troppo estremizzato, vero?
A – Si, anche se tutto sommato mi sta simpatica.
YM _ Si, si quello si, sicuramente simpatica.
A – Penso dica anche cose vere in realtà eh …
YM – Si, si certamente, quello si, sono cose condivisibili …
A – Oddio, leggere questa cosa appena sveglio mi ha anche un po’ divertito.
YM – Un po’ anche me sai?
A – Eh si dai, usa delle metafore che sono buffe. Che poi, esagerato dai, direi che ha detto le cose come accadono spesso, no? Siamo circondati da Yes Man
YM – Si, si in effetti pensandoci bene, siamo invasi.
A – penso che andrò a bermi un caffè al curry. Buono sai? Vieni che te lo offro!
YM – Si si, ma davvero? Non sapevo che esistesse … mi fido, ma si può bere davvero?
A – Yes Man, Yes we can!
🙂 🙂 🙂
Fine di questa tragicomica storia.
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Federica

GESTIRE COLLEGHI DIFFICILI: L’INFERNO SONO GLI ALTRI?
Ciao Bentornato a Lavorare col Sorriso!
Oggi ti parlo di come gestire colleghi difficili con una riflessione guidata attraverso 8 domande.
[Tweet ““ L’inferno sono gli altri”– cit. J.P. Sartre”]Intanto, come possiamo qualificare i colleghi difficili?
I colleghi difficili sono quelli con i quali fai fatica a collaborare per traguardare un obiettivo – in teoria – comune: in generale sono coloro con cui lavorare in modo fluido e scorrevole è un’utopia.
Sembrano nati apposta per complicare le cose inutilmente, sono poco trasparenti, sono bravissimi a girare frittate al punto che potrebbero aprire un ristorante, cambiano le carte in tavola senza grossi problemi, ritorcono i fatti sempre a loro favore e tengono tanti altri ameni comportamenti.
Sono quelli che ti tolgono la pazienza, e che ti fanno urlare con te stesso dal nervoso!
Ossia lavorarci per traguardare un obiettivo comune ti costa la stessa fatica che faresti se pretendessi di scalare il Monte Bianco a mani e piedi nudi senza protezioni (esagero un po’ volutamente).
E’ piacevole avere a che fare con queste persone? No.
Mi rifaccio al commento di una lettrice che riferita al mio precedente articolo “Colleghi difficili: i melliflui” ha scritto: “in definitiva, come si può fare a gestire i colleghi difficili?”.
Allora colgo questo suggerimento e mi spiego meglio, consapevole che mentre lo scrivo in realtà faccio un esercizio mentale che servirà anche a me stessa, dato che non sono immune dall’avere a che fare con persone simili.
L’obiettivo di questo articolo non è spiegare come riuscire a cambiare un collega difficile, quello è impossibile e credo di averlo ribadito più volte, quanto piuttosto spiegare come potersi “immunizzare” dall’effetto negativo che hanno su di noi.
L’obiettivo è individuare dei modi per Lavorare col Sorriso, ossia lavorare senza buttare nel water energie psichiche, emotive (e anche fisiche) inutilmente facendo guerre sterili e che non portano da nessuna parte se non a danneggiare te stesso.
Domanda n° 1 – il collega in questione è difficile solo con te o con chiunque?
Già rispondere a questa domanda può alleviare la quantità di energie emotive che un collega difficile può “risucchiarti” o meno: mettere a fuoco se è solo un problema tuo o di molti altri rapportarsi con lui efficacemente, penso potrebbe “sollevarti” da un eventuale senso di inadeguatezza.
Se osservi il comportamento della persona in più occasioni e con più persone, avrai modo di dare una riposta a questa domanda.
Dove voglio arrivare? Se il collega difficile in questione è difficile solo con te, inizia a mettere in conto che forse non hai ancora esplorato modi differenti per rapportatici in modo efficace.
E quindi, è più semplice di come sembra: identifica quello che altri fanno per gestire il collega difficile, e ottenere da lui quello che vogliono e usa lo stesso modo.
Studialo, osservalo, chiedi opinioni ad altre persone per capire cosa funziona meglio con questa persona.
Domanda n° 2 – se è un collega difficile con tutti, allora, cosa fai?
Intanto, nel caso tu sia una di quelle persone per cui è molto importante andare d’accordo con tutti, comincia a mettere in conto che in questo specifico caso, probabilmente, a inseguire questa meta rischi di avvelenarti e basta.
Non sta scritto da nessuna parte che io, te, o chiunque altro dobbiamo per forza piacere a qualcuno o che qualcuno debba piacerci per forza, e che dobbiamo essere tutti amici o amichevoli.
Abbandona l’idea di volerci andare d’accordo per forza e comincia a pensare che siete colleghi e che i rapporti possono restare civili e nei limiti del rispetto ma nulla di più.
E poi, fai mente locale allo stato emotivo che ti pervade quando hai a che fare con questa persona: perdi la pazienza? Ti angoscia? Ti irrita il sistema nervoso? Ti fa salire la collera? Ti rende triste? Ti mette ansia o paura?
Che effetto ti fa di solito? Che pensieri ti si agitano in testa quando hai a che fare con questa persona?
Domanda n° 3 – per quale motivo lavorativo hai bisogno di questa persona?
Identifica bene le ragioni lavorative per le quali hai bisogno del collega difficile e circoscrivi i rapporti il più possibile a queste circostanze.
Magari potresti addirittura identificare, dopo una attenta analisi, che lo stesso bisogno lavorativo potresti serenamente soddisfarlo con l’aiuto di altri colleghi meno malmostosi.
Domanda n° 4 – capisci le sue leve motivazionali?
Voglio dire, osservalo. Per quanto possa esser un collega difficile, se ti prendi un po’ di tempo e scrivi su carta e penna come si muove solitamente, identificherai dei “pattern” ossia dei modelli ricorsivi di comportamento (verso di te così come di altre persone) che lo muovono a fare/non fare delle cose.
Domanda n° 5 – come puoi usare a tuo vantaggio queste modalità comportamentali?
Qualsiasi comportamento che avrai identificato, molto probabilmente avrà degli svantaggi per te, ma anche dei vantaggi.
Cioè, quale è il lato positivo di cui potresti beneficiare dal comportamento “negativo” del collega difficile?
So che potrebbe sembrare strano, ma qui si tratta di diventare un po’ una specie di “giratore di frittate”: anche quando ti sembra di rilevare solo elementi negativi dall’interazione con questa persona, se ti prendi il tempo di pensare e scrivere (e sottolineo scrivere) un elenco di tutti i comportamenti che non sopporti, intanto emotivamente ti scarichi, poi ne prendi anche un maggior distacco, e poi visti tutti nell’insieme ti suggeriranno degli aspetti che fino ad oggi non avevi considerato.
Domanda n° 6 – come ti prepari?
Adesso che hai davanti un elenco di comportamenti osservati disdicevoli ai tuoi occhi, che gli hai abbinato lo svantaggio che portano a te, e il lato positivo che ne può derivare, puoi anche scegliere da quali di tutti questi comportamenti vuoi “proteggerti” in particolare.
E sarai anche in grado di sapere ogni volta che avrai a che fare con questa persona, che cosa ti potrai aspettare. Questa aiuta ad abbassare la tua tensione interiore.
Fidati, la storia si ripete. Tutti siamo più prevedibili di quanto crediamo, agli occhi di un osservatore attento.
Adesso che hai il quadro completo davanti, e che hai messo a fuoco quello che mediamente puoi aspettarti da questa persona, potresti anche sentirti sollevato e magari intravedere anche cosa lo “muove” nel bene e nel male a fare o meno cose che ti interessano.
Fai pace con l’idea che ti ritroverai spesso di fronte a un set pre-definito di “carognate”, cambieranno le circostanze, cambieranno i momenti, ma in media, adesso, sai cosa aspettarti e anche pensare prima a come “parare i colpi” oppure volgere a tuo favore le circostanze avverse, oppure ignorare del tutto le cose che farà, senza farti scalfire più di tanto.
Domanda n° 7 – ridefinisci il tuo obiettivo lavorativo ed emotivo verso il collega difficile.
Posto che hai fatto quanto ti ho detto sopra, adesso, alla luce di quello che vedi, che obiettivo cognitivo, emotivo e lavorativo ti dai verso questa persona?
Come vorresti essere ogni volta che avrai a che fare con lui/lei?
Sereno, distaccato, freddo, ironico, indifferente?
Cosa vuoi che ti scivoli di dosso?
E di che risorse disponi (pazienza, diplomazia, ironia, allegria, entusiasmo) per ottenere questo risultato?
Quanta importanza vuoi che abbia in futuro? Tanta o poca?
Domanda n° 7 – respiri?
Avere a che fare con colleghi difficili, può essere sfibrante.
Magari la tentazione di mandarlo a fare un giro del mondo con uno schiaffo sono alte, ma per pacifica convivenza è bene che non si arrivi a questi punti.
Quindi, quando ti ci rapporti, respira profondamente. Respirare profondamente con il diaframma calma la mente e l’emotività.
Domanda n° 8 – cosa dice di te questo rapporto lavorativo?
Un modo per far fruttare questa situazione a tuo vantaggio è anche riflettere su quello che “ti smuive dentro” gestire il collega difficile.
Al di là del fatto che la situazione è quella che è, e che il collega difficile resta tale, e che valgono le riflessioni già fatte sopra, usa questa occasione per scendere più a fondo nella tua irritazione: potresti renderti conto che la tua insofferenza cela anche un conflitto irrisolto con te stesso e che tale conflitto “amplifica” ancora di più l’insofferenza che comunque normalmente avresti a gestire rapporti con il collega difficile in questione, per un qualche problema che hai perso di vista.
Vista in questo modo, potresti quindi anche mettere in luce una qualche fonte di insoddisfazione che magari involontariamente nascondi a te stesso, ma che si esaspera ogni volta che vieni a contatto con questo collega.
Se così è, adesso hai una occasione per guardare a questo tuo vissuto in modo più ampio e più costruttivo per rimettere a fuoco alcuni aspetti della tua vita lavorativa “celati” sotto questa irritabilità/insofferenza indotta dal collega difficile.
Considerazione finale: perché i colleghi difficili sono difficili?
In teoria nelle organizzazioni, sarebbe bene perseguire obiettivi win – win, ossia soluzioni che siano di vantaggio per te e per la persona con cui ti rapporti.
Questo presuppone apertura mentale, capacità di mettersi in discussione e di capire empaticamente il prossimo ed andare incontro anche ai punti di vista degli altri, senza che farlo sia vissuto come una minaccia.
Dico in teoria perché nella realtà – povero Nash – spesso alcune persone hanno il cervello che è rimasto sviluppato allo stadio rettile, cioè malgrado l’umanità si sia evoluta e il cervello sia arrivato a sviluppare la neo-corteccia, continuano a perseguire solo il loro interesse, spesso volontariamente o inconsapevolmente, a scapito altrui, o senza prendersi “la briga” di mettersi minimamente in discussione.
In altre parole, se magari stai dubitando di te stesso e ci resti male a cercare collaborazione senza trovarla, ti ricordo che il problema è loro, non tuo.
Voglio dire, prima di dare a te stesso/a dell’incapace o di arrivare a dubitare delle tua capacità e qualità (perché questo rischio esiste a forza di rapportarsi con persone simili), metti dei confini “mentali” che ti preservino dal cadere in questa tentazione.
E per evitare che al mondo proliferino persone così, è bene evitare di cadere al loro stesso livello.
Il mio invito è quindi di innalzarti al di sopra delle bassezze altrui e fare buon uso della tua intelligenza.
E ogni qualvolta cadrai nella tentazione di avvelenarti la giornata, perché magari sarai stato oggetto di qualche “bastardata”, pensa che tu hai una grande fortuna: sei diverso, e non hai bisogno di “mezzucci da 4 soldi” (che siano voluti o agiti inconsciamente) per guadagnarti stima, collaborazione, fiducia di altre persone e raggiungere i tuoi obiettivi.
Menti piccole, azioni piccole, menti grandi, azioni grandi!
E’ evidente che se una persona adotta comportamenti poco collaborativi con chiunque, ha dei limiti. Magari legati a motivazioni ragionevoli, magari no, sta di fatto che li ha.
Non farli diventare tuoi, puoi scegliere di fare la differenza in positivo!
L’inferno sono gli altri, per parafrasare J.P. Sartre, non vuole significare che la causa del nostro inferno sono gli altri davvero, ma che è il nostro modo di vivere gli altri che diventa un inferno, se permettiamo a persone “negative” di assumere troppo potere sulle nostre vite.
Non è facile neanche per me vederla così e agire di conseguenza, ma ognuno può scegliere che parte vuole avere nel mondo: abbassarsi, o elevarsi al di sopra delle fragilità (o meschinità) altrui.
Continuo a sognare un mondo fatto di persone che scelgano la seconda strada!
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Federica Crudeli
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VAMPIRI EMOTIVI IN UFFICIO: RICONOSCERLI E DIFENDERSI!
Ciao e Bentornato a Lavorare col Sorriso!
Oggi ti parlo di come riconoscere e difenderti senza sensi di colpa da una categoria di colleghi pericolosi per la tua salute mentale: i vampiri emotivi!
[Tweet ““Chi è causa del suo mal, pianga se stesso”– cit. popolare“].Che caratteristiche hanno i vampiri emotivi?
Possono manifestarsi in molti modi diversi, secondo differenti stili caratteriali, ma li accomuna il fatto che dopo esserti rapportato con loro e relativo set di lamenti, ti senti “sfatto” e privato delle tue energie, pieno di negatività, mentre loro fanno nulla per modificare la situazione di cui si lamentano, e sono normalmente vestiti da vittime predestinate di qualche accanimento che la vita ha avuto verso di loro.
Il meccanismo diabolico che attivano i colleghi vampiri emotivi è il seguente:
- il vampiro emotivo, che normalmente è l’artefice primo (o in derivata seconda per l’incapacità di reagire ad eventi negativi della vita) di tutte le sue sfighe, si lamenta di continuo in modo ossessivo e ripetitivo per qualsivoglia motivo lavorativo e non;
- “finge” (spesso inconsciamente) di volere aiuto da parte tua, sfogandosi, chiedendoti pareri e consigli e tu in buona fede gli fornisci aiuto/supporto/ascolto;
- lui frustra o demolisce in modo implacabile qualsiasi tuo tentativo di aiuto/supporto o di ampliargli il suo punto di vista, vanificandolo o facendo comunque di testa sua e instillandoti pure il senso di colpa in modo sottile e velato per una tua presunta incapacità di essergli di aiuto;
- Unitamente a ciò ti lusinga, a momenti, facendoti credere che lui a te ci tiene e si interessa della tua vita. In realtà lo fa solo in vista di un tornaconto prelibato: risucchiarti l’anima.
Spesso (non sempre) sono persone molto cognitive e intelligenti, e usano la dialettica per “intortarti” in modo manipolatorio.
Le riposte tipiche da parte di chi è affetto da vampirismo ai tuoi consigli/aiuti/punti di vista sono ad esempio:
“ eh no, ma nel mio caso è diverso, tu non mi capisci …”
“no tu la fai facile, quello che vale per te non può valere per tutti …”
“io non ce la farò mai …”
“il mondo è pieno di gente insensibile ed egoista, nessuno mi capisce”
“va beh, ho capito, per me non puoi fare nulla, lasciamo perdere …”
Vorrai mica togliergli il primato di vittima mondiale del lamento parassita? Almeno quello in cui è campione, lasciaglielo fare indisturbato!!!
Spesso sono persone che appaiono e si “vendono” come vittime, senza rendersi conto che la causa principale delle situazioni di cui si lamentano solo loro stesse, e che a loro volta diventano carnefici dei malcapitati di turno che in buona fede pensano anche di poterli aiutare.
Per capirci, un vampiro emotivo è uno che se hai avuto un lutto in famiglia, non perderà l’occasione di stare zitto lamentandosi di quanto sia difficile la sua vita per i 40 minuti di macchina che fa ogni mattina.
Per lui i suoi 40 minuti di macchina sono enormemente più importanti del tuo lutto.
Per lui tu hai tutte le fortune del mondo, tutte le capacità del mondo, tutto ti piove in testa “a gratis”.
Per lui invece no, lui che ha contro tutto l’Olimpo e gli Dei di qualsiasi religione inventata… si “ritrova” inspiegabilmente deluso da capi, colleghi, amici, dal lavoro in generale, dai parenti lontani e stretti, insomma è l’incompreso per antonomasia.
Nel mio precedente articolo ti ho parlato dei pensieri negativi, di quanto siano veleni e di come, in alcuni casi, siano sintomo di un disagio ben più profondo di un semplice momento di difficoltà o di un atteggiamento mentale negativo ma modificabile: il vampiro emotivo è immutabile. E’ attaccato alla sua negatività come una cozza sempiterna su uno scoglio.
Come riconoscere facilmente un collega vampiro emotivo prima che ti succhi tutte le energie che hai in circolazione?
Ascolta le parole che usa per lamentarsi e osserva nel tempo di cosa si lamenta: ogni pretesto è buono per lamentarsi di qualunque cosa o di qualunque aspetto di una singola cosa? Si lamenta del tempo (se è bello perché fa troppo caldo, se è brutto perché è brutto), dei colleghi che sono tutti antipatici e ce l’hanno con lui/lei, degli amici che sono deludenti, dell’unghia del mignolo scheggiata e altre amenità di ogni genere …
Tende a vedere sempre e solo il lato negativo di tutto ciò che lo circonda?
Demolisce qualsiasi punto di vista diverso che gli offri, nel tentativo altruista di ampliare la sua visione “ristretta” delle cose e fargli apprezzare gli aspetti positivi di cui potrebbe godere in una data situazione?
Argomenta con pretesti o scuse i motivi per i quali tutto quanto gli dici è inutile, per restare di fatto fermo nel suo status quo e giustificare il suo “immobilismo”?
Quando parla di se si auto-demolisce come calimero, cercando di suscitare compassione? (” ma io non sarò mai come te … , ma io non sono capace … , ma io non riesco/posso … etc etc etc?)
Cosa fa il vampiro a fronte delle cose di cui si lamenta e che è in suo potere cambiare? Se sono cose da lui gestibili, si adopera per cambiarle o lascia tutto andare alla deriva?
Chi sono i suoi amici? Ne ha? Da quanto tempo? Se li conosci cosa dicono di lui?
Che percezione ne hanno i colleghi che lo conoscono da più tempo?
Che rapporti ha con i famigliari?
Noti che si è fatto “terra bruciata” attorno?
Chi sono le vittime preferite dei vampiri emotivi?
Normalmente i vampiri emotivi si “attaccano” alla categoria di persone che più facilmente prestano il fianco a questi soggetti: chi è empatico,sensibile, altruista e volenteroso di supportare il prossimo (sanamente equilibrato) in difficoltà.
Dove sta la fregatura per te?
La fregatura sta nel fatto che queste persone non possono essere aiutate proprio da nessuno (eccetto che da uno psicoterapeuta di solito), perché loro per prime nè riconoscono di essere le artifici del lago di miseria in cui vivono, nè hanno alcuna intenzione di cambiare.
Aspettano solo, in modo molto infantile, che qualcuno si faccia interamente carico a livello affettivo/energetico/cognitivo/pratico della loro situazione, in un rapporto egoisticamente totalizzante, senza fare alcuno sforzo e ricorrendo al ricatto emotivo.
Ti fanno girare a vuoto come un criceto su una ruota. Tu spendi energie, parole, affetto, tempo. Loro restano immobili in attesa di non si sa quale miracolo.
I motivi alla base di comportamenti simili possono essere numerosi, sono spesso radicati nell’infanzia, e hanno la loro ragione di esistere.
Qui non entriamo nel merito delle possibili cause di un comportamento simile, quanto nella possibilità di riconoscere prima possibile queste persone e stabilire dei confini non superabili, o averci a che fare il minimo indispensabile, onde evitare che un rapporto di “vicinanza forzata” si trasformi in una specie di incubo a cielo aperto.
Perché è indispensabile evitare i vampiri emotivi in ufficio (e anche fuori)?
Perché ci passi molte ore e le tue energie mentali è giusto siano rivolte a spendere parole o fare cose “produttive” per te stesso e la tua organizzazione, non per tentare di “salvare” l’insalvabile.
Qualunque cosa dirai o farai, apparentemente sortirà un qualche effetto positivo, spesso del tutto effimero e temporaneo: il vampiro cambierà atteggiamento, o farà cose diverse, o prometterà di farle, per tornare poi esattamente come prima nel giro di poco.
Più spesso le energie spese per queste persone saranno del tutto buttate via. Evitale, stanne alla larga, difenditi, non dargli corda, non spendere parole per argomentare punti di visti diversi per aiutarli.
Dargli corda poi, oltre a “sfinire” te, non è utile neanche per loro, che, fin quando troveranno vittime a cui succhiare energie, si sentiranno legittimati o sollevati dal prendersi le responsabilità che ognuno di noi dovrebbe avere riguardo a se stesso, a quello che ha fatto, a quello che ha seminato e a quello che sceglie di fare della sua vita.
Spesso di fatti, queste persone hanno bisogno di un aiuto/sostegno/supporto psicologico ben diverso dalla semplice vicinanza amicale. Ma se loro per primi non intendono nè riconoscere a ste stessi, nè uscire dalla spirale malsana in cui sono “incastrati” adoperandosi fattivamente e concretamente chiedendo aiuto a qualcuno che lo faccia per mestiere, tanto meno avrai qualche potere tu, se non del tutto palliativo come potrebbe essere una borsa per il ghiaccio per una persona che si è frantumata un ginocchio.
Ognuno di noi è quello che sceglie di essere.
Una persona che vive un malessere profondo e che vuole davvero cambiare qualcosa e da sola non riesce, ammette di avere un problema e si fa aiutare da qualcuno competente, non pretende che altri sacrifichino energie e tempo per qualcosa di più grande di loro e fuori dalla loro portata.
E che è fuori dalla portata altrui è certo e risiede nel fatto che, se negli anni, fossero bastati l’ascolto e i consigli degli altri, amici/colleghi/parenti/famigliari oggi, un vampiro emotivo, non sarebbe più tale.
I vampiri emotivi sono pericolosi per te sia in ufficio che nella vita fuori.
Queste persone sono molto brave a “comprare” il prossimo a suon di lusinghe, premure, manifestazioni di interesse che accarezzano l’ego.
Sono come il suono delle sirene Scilla e Cariddi. Se poi magari tu stai a tua volta attraversando un momento di debolezza/difficoltà e hai bisogno di sentirti importante, ancora peggio…restare invischiati in queste “dinamiche malate” è un momento, e ritrovarsi portatori di croci di altri è un lampo.
Vero è che una via di uscita esiste sempre… ma per la propria salvaguardia sarebbe meglio non doverla mai cercare, perdendo tempo e sprecando energie inutilmente.
Sia chiaro: non sto nè giudicando, nè criticando i vampiri emotivi per quello che sono, nè mettendo in dubbio che la vita possa portare ad adottare atteggiamenti simili. Anzi, se per caso ti riconoscessi in questa descrizione, ti consiglio vivamente di accettarti e chiedere aiuto a qualcuno che possa farlo secondo un protocollo medico.
Certo, il percorso per uscire dal vampirismo comporta impegno, tempo e la voglia di mettersi in discussione. Che ti piaccia o no, nè hai messa tanta di energia e voglia per costruire una percezione del mondo attorno a te ostile nel tempo.
Altrettanto tempo ed energia li puoi investire per costruire per te stesso qualcosa di migliore!
Se invece ti senti “invischiato” in una dinamica simile, prendi le giuste precauzioni e tutele per te stesso!
Se hai un innato istinto a fare la “croce rossa” (più tipico delle donne) e a sentirti in colpa, ti invito a pensare a quello che sei, a quello che fai, alla fatica/impegno/energia che metti nella tua vita per essere una persona migliore. Neanche a te la vita regala nulla. E come lo fai tu, può farlo anche il vampiro emotivo!
Fra 2 settimane, nel prossimo articolo, proseguirò la riflessione su altre tipologie di pensieri negativi (o forse sarebbe meglio dire atteggiamenti mentali) che avvelenano la mente.
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Federica Crudeli
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4 DIFFERENZE FRA UOMINI E DONNE AL LAVORO!
Ciao e Bentornato a Lavorare col Sorriso!
Oggi ti parlo di almeno 4 differenze fra uomini e donne al lavoro che rendono la comunicazione fra i due sessi più difficoltosa.
Non è una novità che da secoli ci sia un tentativo reciproco di comprendersi, in ufficio come fuori, con scarsi risultati, a volte.
Gli scarsi risultati sono legati principalmente al fatto che le aspettative di un uomo sono diverse da quelle di una donna, e che entrambi filtrino il mondo con occhi molto diversi.
I significati attribuiti nel mondo maschile divergono da quelli attribuiti dal genere femminile, a parità di situazione, e questo genera infiniti fraintendimenti, delusioni e molto stress.
Nei miei precedenti articoli “Differenze fra uomini e donne: capirle ti aiuta” e “L’empatia è uomo o donna?” ho già iniziato a parlarti di quali siano alcune differenze fra uomini e donne sul lavoro, e quindi oggi continuo sempre ispirandomi liberamente al libro di Jhon Gray “How to get what you want in the workplace” (link affiliazione).
1 – Differenze fra uomini e donne al lavoro – potere vs. relazioni
Gli uomini danno importanza al potere, alla competenza, all’efficienza e ai risultati, elementi dai quali dipende la definizione del loro senso di sé stessi, incrementato attraverso il superamento di sfide e il raggiungimento di obiettivi.
La paura più recondita (e spesso inconscia) di un uomo è quella di non essere all’altezza e non sentirsi necessari.
Gli uomini sono più interessati a cose ed oggetti, meno a sentimenti e persone.
Le donne considerano importanti i rapporti interpersonali, l’armonia nelle relazioni e nella comunicazione.
Per tradizione culturale radicata nei secoli, le donne traggono il loro senso di sè in base a quanto riescono a sentirsi utili e contribuire al benessere altrui.
Atteggiamento questo, peraltro, che sconfina molto spesso nella famosa “sindrome della Croce rossa” con cui ancora oggi, molte donne, finiscono per annullare/avvilire/disintegrare completamente se stesse in campo lavorativo pur di compiacere il capo/collega di turno e in campo sentimentale per “salvare” l’uomo difficile di turno.
Non a caso, la paura recondita (spesso inconscia) delle donne è quella di non sentirsi apprezzate, riconosciute e di sentirsi rifiutate, anche quando sono donne affermatissime e di successo.
2 – Differenze fra uomini e donne al lavoro – autonomia vs. sostegno
Gli uomini incrementano il senso della loro efficacia nel fare le cose da soli e in autonomia senza chiedere consiglio.
Chiedere consiglio è inteso come segno di debolezza.
Le donne invece tendono a fornire consigli non richiesti per fornire supporto, che dagli uomini sono interpretati come “tu non mi ritieni capace di fare queste cose da solo”.
3 – Differenze fra uomini e donne al lavoro – soluzione vs. comprensione
Di fronte ai problemi, gli uomini cercano soluzioni rivolgendosi a persone che stimano, solo quando non riescono a trovarle da soli.
Partendo da questo presupposto, quando una donna esprime un suo problema, l’uomo tende a leggerlo (misurandosi con il suo metro) come una richiesta di aiuto/soluzione mentre per la donna la finalità è “sfogare le sue emozioni”, ottenere ascolto, comprensione e sostegno emotivo.
4 – Differenze fra uomini e donne al lavoro – status quo vs. miglioramento continuo
Le donne sono convinte che una cosa che funziona possa funzionare ancora meglio e si prodigano per questo.
Gli uomini al contrario, se una cosa funzione preferiscono non interessarsi a come migliorarla ulteriormente difendendo lo status quo.
Istintivamente preferiscono non interferire su ciò che già funziona.
Siamo nel 2017. Sono passati millenni da quando uomini e donne hanno iniziato a popolare la terra, ma , malgrado ciò, credo che facendo mente locale alle nostre cerchie di persone vicine, che si tratti di colleghi/e, amici/amiche, o partners, buona parte di queste differenze esista ancora e sia ancora molto radicata, sebbene ovviamente poi nello specifico, sia uomini che donne possano rispecchiare queste caratteristiche in modo più o meno spinto.
L’evoluzione culturale che è avvenuta negli anni, l’incremento del livello di istruzione, ancora non sono stati sufficienti ad abbattere queste barriere e a favorire uno scambio più fluido fra uomini e donne, sul lavoro come in altri settori della vita.
Da un lato la difficoltà maschile nello sviluppare un miglior rapporto con le emozioni, (lasciando vivere la loro parte più “femminile” che comunque esiste) senza per questo considerarsi deboli, uscendo dallo stereotipo dell’ uomo che non deve chiedere mai.
Dall’ altro la difficoltà femminile di concepire la propria realizzazione in se stesse più che nel bisogno di attribuirsi un valore in funzione di una qualche buona relazione che sia di lavoro, o affettiva, nella quale sentirsi indispensabile (lasciando vivere la loro parte più maschile).
Come incontrarsi a metà strada dunque? Con un pò di empatia …
Per le donne:
a) è bene evitare di dare consigli a capi e colleghi quando non sono espressamente richiesti, soprattutto davanti a più persone, in quanto questo atteggiamento mina il senso della loro auto-efficacia;
b) è bene lasciare che un capo/collega si “ritiri in se stesso” per trovare una soluzione ai suoi problemi, senza sentirsi per questo svilite e non ascoltate. Un uomo si ritira in se stesso per alleviare il suo stress, non perché rifiuta l’aiuto o il supporto di una donna.
c) è bene imparare a riconoscere ed esprimere un bisogno, senza entrare nel biasimo e nella critica: una cosa è dire al proprio capo/collega “tu non mi ascolti mai!” altra cosa e di ben diversa efficacia è dire “ho bisogno di parlarti/esporti una idea, quando mi dedichi un po’ del tuo tempo?”
Per gli uomini:
a) è bene capire l’importanza che ha la bontà delle relazioni in ufficio per una donna;
b) è bene saperla ascoltare quando una donna si lamenta di una situazione senza andare dritti al fornire una soluzione: la soluzione spesso una donna la sa ottenere da sola. Quello che le preme è sentirsi supportata emotivamente;
c) è bene capire che manifestare le proprie difficoltà nell’affrontare un problema non è vissuto da una donna come sintomo di debolezza o di “non essere all’altezza” ma anzi, di vicinanza emotiva;
d) è bene smetterla di interpretare i consigli non richiesti di una donna o le sue proposte di miglioramento nel fare alcune cose, come una forma di “svilimento” delle proprie capacità, ma come volontà di fornire supporto, comprensione e miglioramento continuo.
Riepilogando, oggi ti ho parlato di 4 differenze fra uomini e donne al lavoro che sono superabili da entrambe le parti sviluppando maggiore empatia nella comprensione delle reciproche differenze.
Se rifletti sui tuoi rapporti lavorativi quotidiani, rivedi qualcuna di queste dinamiche?
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Federica Crudeli

RAPPORTI TRA COLLEGHI: 7 MODI PER FARSI ODIARE. QUANTO CI METTI DEL TUO?
Ciao e Benvenuto a Lavorare col Sorriso!
Rapporti tra colleghi: ecco 7 modi per farsi odiare, se ci tieni a trasformare il tuo posto di lavoro nel set di un film di Quentin Tarantino! Come fare invece a costruire rapporti tra colleghi efficaci e funzionali tanto al tuo benessere quanto alla tua crescita professionale? Ti spiegherò quali sono i benefici dell’evitare spargimento di odio in ufficio e come l’uso e sviluppo dell’intelligenza emotiva ti vengono in aiuto!
[Tweet ““ L’amore spesso non è ricambiato. L’odio lo è sempre!” – cit. U. Bernasconi”]
1 – Mentire sempre e comunque.
In funzione dei tuoi obiettivi, menti sempre, non essere mai onesto sulle tue scadenze e non essere mai trasparente.
Occulta i problemi da superare le cui soluzioni andrebbero pianificate per tempo per avvantaggiare te stesso.
Nascondi le informazioni disponibili, o diffondile ma in modo parziale a chi ne sarebbe interessato così da rallentare il tuo lavoro e a cascata compromettere quello altrui.
Sorridi fintamente, sempre. Tu sei Dio. Non sbagli mai. Non hai mai crolli di nervi. Sei immune da qualsiasi sentimento umano.
2 – Esiste un problema? Creane altri 100.
Se c’è un problema da risolvere, passa tutto il tempo che hai a lamentarti del problema con chiunque.
Sparla di chi l’ha creato, di come tu l’avresti affrontato meglio (ovviamente col senno di poi), e, possibilmente, portane sul piatto altri 100 e butta benzina sul fuoco.
3 – Hai sbagliato? Non ammetterlo mai.
Se ti accorgi di avere sbagliato qualcosa e aver causato un problema a qualche collega, non chiedere scusa e non ammettere i tuoi errori.
Chiedere scusa non è da persone educate, ma deboli. Tu mica lavori in un ufficio con persone civili? Sei in trincea, e l’imperativo è vincere.
4 – Non dare alcuna importanza allo sviluppo delle capacità necessarie a gestire i rapporti tra colleghi
Comportati con tutti i colleghi, indipendentemente dal tipo di carattere, dal ruolo e dal momento, sempre nello stesso modo. Nasconditi dietro alla più bella delle scuse “io sono fatto così”!
Un ottimo modo per farsi odiare è relazionarsi agli altri senza considerare che esistono delle differenze “emotive” fra esseri umani, di cui sarebbe bene tenere conto.
Un altro ottimo modo per relazionarsi ai colleghi è pensare che tu sei il solo detentore della verità assoluta e che il tuo modo di vedere le cose è il più giusto di tutti, e l’unico ammissibile.
Urla ad un timido introverso, oppure critica di continuo una persona permalosa, parla male di Dio al tuo capo credente prima di esporgli una idea. Biasima un collega in riunione davanti a tutti.
Dì sempre la parola meno opportuna nel momento meno opportuno.
5 – Prendere sul personale qualsiasi cosa.
Voi non siete pagati per risolvere problemi e trovare soluzioni efficaci, ma per prendere sul personale qualsiasi problema, offendervi e fomentare liti e discussioni alla caccia di colpevoli da esporre alla pubblica gogna.
Oppure per cogliere qualsiasi occasione per screditare qualcuno che vi ha mosso una critica al vostro lavoro.
6 – Invadere lo spazio vitale di tutti.
Occupati dei fatti altrui di continuo, spettegola, deridi, carpisci informazioni della vita privata dei colleghi e diffondila sotto banco.
Invadi anche lo spazio altrui, prendi a prestito cose senza chiedere permesso. Usa la prepotenza.
7 – Non essere mai nè gentile, nè cortese, nè rispettoso.
Parla sempre con tono astioso, evita di ringraziare se qualcuno fa qualcosa di gradito, tu devi dare tutto per scontato come se fossi Giulio Cesare.
Calpesta volutamente il prossimo facendo esattamente le cose che sai bene possono infastidire i tuoi capi o colleghi.
Ridi poco o solo alle battute dei capi. Ridere ti conferisce quell’aria da essere umano che è bene in ufficio sia occultata.
Adesso che ti ho dato 7 ingredienti per la ricetta dell’odio in ufficio, come fare a gestire efficacemente i rapporti tra colleghi costruendo un ambiente sano?
Beh è palese che per creare un clima di benessere lavorativo occorre fare l’esatto contrario di quanto elencato prima.
Può accadere sia che tu abbia a volte, anche involontariamente, agito comportamenti come quelli sopra.
Può accadere che tu li subisca.
In entrambi i casi parliamo sempre di modalità di rapportarsi fra persone diverse.
Il costo di atteggiamenti simili è alto in termini di stress lavoro correlato, energie sprecate, tempo mal riposto, inefficienza e inefficacia lavorativa, negatività sparsa a “ quantine”.
L’ufficio rischia di diventare l’equivalente di un incubo ad occhi aperti.
Chi mai vorrebbe lavorare in un posto con colleghi che si comportano così?
Come gestire efficacemente quindi i rapporti tra colleghi? Sviluppando l’intelligenza emotiva!
Cosa è l’intelligenza emotiva e perché è un pilastro fondamentale per una gestione efficace e costruttiva dei rapporti tra colleghi.
Il concetto di intelligenza emotiva, è stato trattato per la prima volta intorno agli anni ’90 ed è “sbarcato” in Italia nel 1995 con l’omonimo testo di Daniel Goleman “Emotional Intelligence”.
Senza entrare troppo nei costrutti teorici, sintetizzo il concetto con parole mie dicendo che la competenza emotiva è l’insieme di abilità pratiche volte alla consapevolezza e padronanza di sè per essere efficaci nelle interazioni sociali e quindi, lavorative, con conseguenti ripercussioni positive anche in termini di carriera o percorsi professionali di crescita.
I modelli organizzativi aziendali passati, più orientati ad una elevata gerarchizzazione dei ruoli, stanno via via cambiando, anche a seguito dell’avvento di internet, delle nuove tecnologie, e alla velocità di riposta che è imposta dalle regole di mercato.
Per usare una metafora oserei dire che un elefante difficilmente potrà partecipare ad una competizione di iron man.
Il modello in base al quale una sola persone decide e tutte le altre devono eseguire si sta dimostrando desueto, motivo per il quale per affrontare le sfide della modernità anche le organizzazioni hanno iniziato a prestare più attenzione alle softskill delle quali l’intelligenza emotiva fa parte.
Inesorabilmente tu sei inserito in un contesto le cui dinamiche relazionali costituiscono la fetta più significativa da dover gestire, tant’è che in qualsiasi contesto, lo sviluppo professionale e quindi a possibilità di fare carriera passa attraverso 4 fasi:
1 – il sapere legato al percorso di studi e all’ingresso nel mondo lavorativo;
2 – il saper fare ossia sapere applicare in ambito professionale le conoscenze acquisite;
3 – sapere saper fare ossia applicare in modo efficace le competenze migliori per una determinata attività discriminandole fra mille altre;
4 – il saper essere ossia essere consapevoli di te, del tuo modo di porti, dell’effetto che susciti negli altri, e capaci di gestire con “intelligenza emotiva” i rapporti tra colleghi in modo costruttivo per se stessi e l’organizzazione di cui fai parte.
Quest’ultima fase è, alla fine dei conti, la più “energivora” di tutte, soprattutto se ti interessa una “scalata al potere”, e quella che può differenziarti nel tuo percorso lavorativo avvantaggiandoti rispetto ad altri colleghi che ancora non hanno acquisito una maturità tale da saper essere, in modo costruttivo, la persona adatta a determinati ruoli, in un certo momento professionale.
Il saper essere è a sua volta strettamente legato allo sviluppo dell’intelligenza emotiva, come soft skills chiave.
A scanso di ipocrisie, vero è anche che talvolta, pur con l’acquisizione di una migliore consapevolezza dei nostri vissuti istintivi, emotivi e cognitivi, in rapporto con capi, colleghi, collaboratori, fornitori, clienti etc.. l’unica via per migliorare la propria qualità della vita si rivela necessariamente quella di cambiare, o mansione, o lavoro, o azienda, o vita. Ma se questo fosse il tuo caso, ti darò gli strumenti per scoprirlo.
Nei miei articoli di questa categoria ti darò strumenti utili per usare l’intelligenza emotiva per comunicare efficacemente, per gestire i conflitti sul lavoro, per gestire i rapporti con i colleghi e/o capi difficili e imparare a difendertene, per abbattere lo stress legato alla gestione di questi rapporti, per affrontare discorsi in pubblico qualora ne avessi la necessità per il ruolo che svolgi.
Elemento costitutivo n° 1 dell’intelligenza emotiva: la consapevolezza di te stesso.
La capacità di utilizzare l’intelligenza emotiva per gestire i rapporti tra colleghi di lavoro, è strettamente connessa con il grado di consapevolezza e padronanza che hai di te stesso, a cui dedico una intera sezione di questo blog con i miei articoli.
Hai sempre ottenuto quello che volevi sul lavoro? Si? No? A che prezzo?
Hai mai pensato che tu stesso per primo potresti generare certi tipi di comportamenti “antipatici” nei tuoi riguardi dagli altri?
O hai mai pensato che è possibile cambiare il tuo atteggiamento per prendere le distanze dai comportamenti di colleghi difficili che di norma ti danneggiano, demotivano ed irritano?
Difficilmente potrai essere sul luogo di lavoro persona totalmente avulsa da quello che sei “là fuori nel mondo” , in quanto portatore di dinamiche, vissuti e tratti caratteriali che sono sempre e comunque frutto delle tue esperienze di vita.
Fatta questa doverosa premessa, quanto: rabbia, stress, nervoso, ansia, senso di inadeguatezza, irritazione o qualsivoglia stato negativo, sono non solo, e sottolineo non solo, determinata dalle persone con cui devi rapportarti, ma anche determinati in parte dalle tue modalità apprese di risposta ai contesti?
Acquisire una migliore consapevolezza e padronanza di te stesso e delle tue risposte ai contesti, consente un notevole risparmio di energie mentali, una migliorata capacità di rapportarti anche con le persone più difficili e di conseguenza anche di aumentare le tue probabilità di crescita professionale esercitando un maggior distacco da quello che rischia di nuocere al tuo benessere.
Negli articoli dedicati alla consapevolezza di te stesso ti fornisco un sacco di spunti utili per venirne a capo qualora tu stesso per primo voglia “smussare” alcuni tuoi tratti caratteriali, o rompere schemi di comportamento ripetitivi e che tu vivi come disfunzionali (cioè che ti allontanano da quello che vuoi davvero) che ti hanno portato più grane che soddisfazioni, per gestire al meglio i tuoi rapporti tra colleghi e con i capi.
INIZIA DA QUI a rafforzare la consapevolezza di te stesso leggendo questi articoli :
Nell’articolo “Manager o Leader: quale tipo sei?” ti parlo di 9 tratti caratteriali con cui è possibile muoversi nel mondo. Ogni tratto caratteriale è un modo differente di vivere le emozioni, di pensare, di relazionarsi agli altri, con tutti i pro e contro del caso. Questo è un primo articolo introduttivo ai 9 caratteri. In futuro tratterò molto più approfonditamente tutti i pro e contro di ogni carattere per aiutarti a disporre di molte più energie a tuo vantaggio.
“Ripeti sempre gli stessi errori? Come trasformarli in successo”. In questo articolo ti illustro 11 passi per trasformare a tuo vantaggio i tuoi errori “ripetitivi”, cioè quelle abitudini comportamentali radicate che riconosci essere aspetti di te “detestabili” senza riuscire a modificarli e che ti suscitano un senso di fallimento.
“Vuoi diventare capo? 6 segreti per riuscirci”. In questo articolo ti svelo 6 segreti se ambisci ad un percorso di crescita professionale. Avrai modo di valutare quanto il tuo attuale modo di fare ti sta agevolando o meno verso gli obiettivi di carriera che ti sei prefissato, e in caso contrario a regolarti di conseguenza.
Elemento costitutivo n° 2 dell’intelligenza emotiva: la capacità di gestire i rapporti tra colleghi e con i capi.
L’utilizzo dell’intelligenza emotiva è anche strettamente connesso con la capacità di osservare e riconoscere gli altri, e modulare la comunicazione con empatia in modo da instaurare buoni rapporti tra colleghi .
Tutti i giorni hai da rapportarti con persone differenti e, diciamolo pure, alcune volte, magari anche spesso, con colleghi difficili che hanno atteggiamenti esasperati in termini di arrivismo a discapito di altri, prepotenza, scarsa empatia e capacità di collaborare, eccessivamente serie, manipolatorie, voltagabbana, o tirapiedi.
Comunicare, farti capire, ottenere quello che vuoi, a volte, diventa difficile, soprattutto se non sai bene come fare. Oppure, anche nell’ipotesi che sia semplice, è comunque una attività che richiede un grande impiego di energie per tutto il tempo di permanenza in ufficio e probabilmente, te le sottrae per il tempo rimanente.
Se invece ti senti costretto dalle circostanze a “dover accettare” atteggiamenti poco gradevoli da parte di colleghi o capi difficili, allora sempre in questa categoria troverai il modo per difenderti imparando ad entrare in relazione con colleghi difficili solo per quanto ti è utile con il giusto distacco emotivo. Potresti anche scoprire che il tuo peggior nemico potrebbe rivelarsi il tuo migliore alleato.
INIZIA DA QUESTI ARTICOLI a rafforzare la tua intelligenza emotiva nella gestione dei rapporti tra colleghi e con i capi:
“L’empatia è uomo o donna? Scoprilo e usala!”. Un pilastro fondamentale dell’intelligenza emotiva per una comunicazione efficace fra colleghi è l’uso dell’empatia, ossia la capacità di guardare le cose anche dal punto di vista degli altri. In questo articolo ti parlo delle differenze esistenti nella comunicazione fra uomini e donne sul lavoro e di come la comprensione dei reciproci mondi aiuti a sviluppare un ponte comunicativo realistico e consapevole.
“Conflitti sul lavoro: li risolvi o cerchi colpevoli?” Come entrare in relazione efficacemente con i colleghi, soprattutto quando le cose si fanno difficili e ci sono momenti di conflitto da gestire? Esistono 2 modi di affrontare i conflitti: uno più costruttivo, proiettato alla ricerca di soluzioni, usando l’empatia, e l’altro non costruttivo, rivolto alla sola ricerca di colpevoli, senza risolvere nulla. Tu quale sei solito adoperare? Nel mio articolo ti guido a capire quale dei due sei solito usare e come porre rimedio per un migliorato benessere in ufficio.
“Colleghi difficili: i melliflui. Cosa fare?”. Come ti comporti con colleghi difficili, in particolare i voltafaccia melliflui? Li gestisci, li subisci? Hanno il potere di inquinare le tue giornate? In questo articoli ti faccio guardare a questa tipologia di colleghi in modo differente per neutralizzare l’effetto negativo che hanno su di te. Se poi ad essere mellifluo e voltafaccia non è un collega ma il tuo capo, nell’articolo “Capo difficile: il voltafaccia. 2 strade possibili” ti guido ad esplorare 2 strade per ritrovare il tuo benessere in ufficio.
In questo articolo “Capo accentratore? Conquista autonomia in 6 passi” ti spiego che caratteristiche ha un capo accentratore, cosa può nascondersi dietro a questo comportamento che non ha nulla a che vedere con la sfiducia nelle tue capacità e nell’affidarti attività, e come conquistare autonomia in 6 passi.
“Informazioni nascoste. A volte ti sembra di lavorare per i servizi segreti?” : come rapportarsi con una particolare e diffusa categoria di colleghi difficili che insabbiano le informazioni a loro vantaggio. Una riflessione in 8 passi per imparare a gestirli.
Ti ho parlato di come l’uso dell‘intelligenza emotiva per gestire i rapporti tra colleghi e con i capi possa incidere sulla tua crescita professionale e sulla qualità del tuo tempo lavorativo e di vita in generale.
Ti ho anche detto che nei miei articoli troverai spunti utili a capire se ti trovi davvero nel posto di lavoro giusto per te anche in relazione ai colleghi con cui “co-abiti”.
Hai capito cosa hai da fare per non farti odiare, cos’è l’intelligenza emotiva e perchè svilupparla migliora la tua capacità di gestire efficamente i rapporti tra colleghi e con i capi.
Sapere che ti parlerò di rapporti tra colleghi e con i capi a lungo e diffusamente per regalarti benessere, ti regala un “sorriso di sollievo?”
Fammi conoscere le tue riflessioni lasciandomi un commento.
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A presto!
Federica Crudeli

BENESSERE IN UFFICIO: QUESTO SCONOSCIUTO? 5 RISPOSTE!
Ciao e Benvenuto a Lavorare col Sorriso!
Il benessere in ufficio … questo sconosciuto? L’ l’80% delle malattie è fortemente influenzato dallo stress lavorativo secondo alcune recenti ricerche su stress e malattia! Come puoi abbattere lo stress? Imparare ad ascoltare il corpo, gestire le emozioni, zittire la mente, comunicare efficacemente con capi e colleghi, capire chi sei e dove sei davvero aiutano a sviluppare la consapevolezza del buono o cattivo uso che fai del tuo corpo, della tua mente, delle tue emozioni, delle tue capacità e risorse. Perché dovresti occupartene? Ti do 5 ottimi motivi per iniziare a farlo!
[Tweet ” La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non semplicemente l’assenza di malattia o infermità.” – Organizzazione Mondiale della Sanità “]
Metaforicamente, quanto sei consapevole del fatto che spesso guidi la tua macchina con la testa girata verso il finestrino sinistro e rischi di schiantarti da solo? Perché lo fai senza accorgertene?
Se sei solito pensare: se solo potessi eliminare quel capo, vaporizzare i colleghi odiosi, se solo avessi più soldi, se solo avessi più tempo, se solo avessi quel ruolo, se solo, se solo, se solo … preoccupati!
Bene, ogni volta che parli come sopra, di fatto, stai facendo quello: porti l’attenzione dalla parte sbagliata e rischi lo schianto!
Ti darò 5 ottime ragioni per le quali è fondamentale avere un assetto della tua macchina perfetto per guidare qualsiasi strada guardando dalla parte giusta e concedendoti gli sguardi al panorama, senza però che il panorama diventi la tua ossessione energivora.
Ecco 5 motivi per i quali è importante per il tuo benessere in ufficio essere consapevole e fare un buon uso del tuo corpo, dei tuoi pensieri e delle tue emozioni, sviluppando quindi un’ottima consapevolezza di te stesso, a cui dedico una intera categoria di articoli del blog.
Motivo n° 1 – Il tuo corpo, mente? Sviluppare la capacità di ascoltarlo.
Sai che alcuni disturbi potrebbero essere somatizzazioni psichiche o disagi emotivi che il corpo ti segnala con il suo personale motto di “ribellione” per ottenere l’attenzione laddove sei solito non prestarla?
Li ignori, li ascolti, o proprio non ci fai mai caso e soprassiedi per l’urgenza di turno?
Hai un corpo o sei un corpo?
Ti consideri immortale: dai per scontato che avrai sempre il corpo a tua completa disposizione?
Quale è il tuo livello generale di energia, in media? Ti senti energico?
O più spesso ti senti spossato?
Quali emozioni provi più frequentemente?
Noti una connessione fra il tuo livello di energia e i tuoi stati d’animo?
Soffri di disturbi fisici cronici?
In quali parti del corpo?
Da quanto tempo convivi o ignori questi sintomi?
Hai mai considerato che continuare ad ignorarli, un giorno, potrebbe costarti un conto ben più salato delle tante ore che passi a lavorare?
La vita di un impiegato in azienda è mediamente sedentaria, costretto alla scrivania per buona parte della giornata, o saltare pranzi/cene per rispettare le scadenze o gli orari stabiliti dai contratti di lavoro.
Ciò incide sul nostro sistema energetico, sul metabolismo, e in ultima analisi anche sulla struttura muscolare, che spesso manifesta cronicizzazioni fisiche (emicranie, cervicali, lombalgie, gastriti, coliti, ulcere, solo per citarne alcune).
Accade di sentirsi stanchi, spossati, come se ci avessero messo dentro ad una lavatrice, eppure, normalmente nè spostiamo carichi pesanti, o facciamo lavori di fatica fisica così pesanti, da giustificare questo senso di stanchezza.
In aggiunta… Non sono io a dirlo, ma esistono molteplici studi che dimostrano innanzitutto l’impossibilità per qualsiasi umano di sostenere uno stress elevato per periodi prolungati, salvo crolli fisici e psicologici di varia entità e natura, così come il calo del rendimento o produttività con conseguenti ripercussioni anche per tutti coloro che ci ruotano attorno.
In ultima analisi un peggioramento per tutto il sistema di cui facciamo parte. Lo stress ha difatti impatti sulle manifestazioni emotive, cognitive, comportamentali, talvolta uscendo dalla qualificazione di quanto è fisiologico, per sfociare nel patologico.
Tant’è che il D. Lgs. 81/2008 – Testo Unico per la Salute e Sicurezza dei Lavoratori – definisce la condizione di salute di un lavoratore all’articolo 2 comma 1 come “lo stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, che non consistente solo in un’assenza di malattia o infermità” .
L’articolo n° 3, nella descrizione dello stress lavoro correlato recita che “lo stress lavoro correlato può essere causato da fattori diversi come il contenuto del lavoro, l’eventuale inadeguatezza nella gestione dell’organizzazione del lavoro e dell’ambiente di lavoro, carenze nella comunicazione etc.”
Il fatto che sia una legge a definire che cosa sia il benessere, è qualcosa di sufficiente per motivare perché dovrebbe starti a cuore la consapevolezza di come tu disponi delle tue risorse fisiche, mentali, ed emotive? Oppure non sei convinto abbastanza?
A sostenere la causa, ti ricordo che misuriamo il nostro dispendio energetico in termini di metabolismo e calorie accumulate e bruciate: siamo dunque produttori e consumatori di energia , anche se per questa attività per fortuna ancora non paghiamo tasse o “bollette”.
Non diciamolo troppo forte, sia mai che qualche governante illuminato ci metta una tassa sul metabolismo o sulle calorie…
Io stessa per anni mi sono considerata solo “una mente” contenuta in un corpo che mi porta a spasso.
Solo molto più tardi, ho realizzato di “essere un corpo” e non “di avere un corpo”.
L’eccesso di intellettualizzazione tipico del nostro mondo occidentale, porta spesso ad identificarci solo con uno dei nostri elementi costitutivi, la mente, dimenticandoci che siamo un tutt’uno e che il corpo ha un suo linguaggio e una sua saggezza e che l’imparare a osservarlo, scoprirlo, o riscoprirlo, leggerne i segnali e rispettarlo, invece che usarlo come mezzo saltuario per fare sport, ci dà un enorme potere sulla possibilità di mantenere il benessere in ufficio e nella vita in generale.
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“Il qui e ora per uscire da giornate no” . Comincia a scoprire che rapporto hai con le tue emozioni: ti gestiscono o sei tu a gestirle? Nel mio articolo ti spiego in 5 fasi come, paradossalmente, il modo più efficace per superare momenti no è proprio quello di imparare ad accettarli. In questo modo, l’emotività negativa, invece che soffocarti o dominarti, fluirà liberamente e più velocemente, lasciando spazio ad una rinnovata carica ed energia!
Se il primo motivo non ti è bastato, passiamo al secondo!
Motivo n° 2 – La tua mente straparla a sproposito? Imparare a zittirla!
A discapito del tuo benessere in ufficio, quanti pensieri spendi rimuginando sul passato, sui tuoi errori, e quanto ne spendi preoccupandoti per le scadenze, la carriera, il futuro? A cascata quanto senso di colpa, inadeguatezza e ansia ti somministri quotidianamente?
Hai presente quella vocina che ti parla in testa spesso? Cosa ti dice? Parla di continuo?
Quante delle cose che ti sono richieste giornalmente le fai realmente utilizzando quella parte di pensiero utile e funzionale al da farsi, e quanto invece con una produzione eccessiva di pensieri collaterali a quello che realmente sarebbero richiesti dal “qui e ora” di quello che stai facendo?
Avere consapevolezza anche di questo tuo aspetto, imparare a gestire meglio i tuoi pensieri, è fonte di una liberazione infinita.
Lo sai che i pensieri incidono sulla produzione di sostanze chimiche nell’organismo?
Le neuroscienze hanno fatto enormi progressi in tal senso con scoperte strabilianti.
Lo sai che potenzialmente ogni volta che fai cattivo uso della tua mente fra ansie e sensi di colpa, collera, bisogno di approvazione, istanze di giustizia, ti stai intossicando da solo, e somministrando al tuo corpo dosi di tensioni di ogni genere?
INIZIA DA QUESTI ARTICOLI
“Ripeti sempre gli stessi errori? Come trasformarli in successo” Vuoi un esempio di cattivo uso della tua mente? Ogni volta che di fronte ad un errore, ti demoralizzi, colpevolizzi e magari ti senti anche un fallimento totale, stai usando male la tua testa! In questo articolo ti illustro 11 passi per trasformare a tuo vantaggio i tuoi errori “ripetitivi”, cioè quelle abitudini comportamentali radicate che riconosci essere aspetti di te “detestabili” senza riuscire a modificarli.
“L’ansia da prestazione lavorativa ti divora? divorala tu in 5 bocconi”. Un altro pessimo modo di usare la tua mente sul lavoro è quello di vivere divorato dall’ansia di prestazione: perennemente in tensione nel tentativo di fare ogni cosa perfetta, di farti apprezzare, di essere impeccabile. Nel mio articolo attraverso 5 modi diversi di guardare alle cose, metterai fuori gioco questa fastidiosa nemica del tuo benessere in ufficio per vivere più serenamente e con molto molto meno stress di prima.
Non sei ancora convinto che ascoltare il corpo, gestire le emozioni, e zittire la mente sia importante per il tuo benessere in ufficio? Allora dal prossimo motivo non puoi scappare, perchè a che vedere con la tua capacità di gestire i rapporti con capi e colleghi!
Motivo n° 3 – L’ingresso dell’ Intelligenza Emotiva in azienda. Imparare a gestire i rapporti fra colleghi in modo efficace!
Il mondo si sta muovendo ad una velocità vorticosa su tutti i piani. Il contesto esterno è caratterizzato da cambiamenti repentini, innovazione tecnologica spinta, elevata incertezza. Se qualcosa, ora, sta funzionando, non è detto funzioni in eterno e neanche fra qualche settimana.
Le vecchie gerarchie aziendali, con il concetto di capo e sottoposto fantozziano, che forse potevano condurre a risultati in un contesto socio-economico stabile, sono desuete e stanno perdendo la loro ragione di esistere.
Non è più sufficiente una persona a comandare e tante ad eseguire, ma che ciascun individuo contribuisca apportando idee, innovazioni per restare competitivi sul mercato.
Si lavora più frequentemente in gruppo, per aree interfunzionali e trasversali alla propria area di business. Tutto questo necessita in media lo sviluppo di una maggiore flessibilità comportamentale, e lo sviluppo di più competenze rispetto a quelle che erano necessarie un tempo.
L’intelligenza emotiva si è fatta strada nelle aziende con l’introduzione di giochi di ruolo, formazione dedicata al Team Building, Problem Solving, alla Comunicazione Efficace, al Business Coaching e affini.
L’obiettivo di questo tipo di formazione normalmente è appunto lavorare sulle due dimensioni costitutive e interdipendenti dell’intelligenza emotiva: in primis la consapevolezza e padronanza di sè e poi la capacità di gestire, di conseguenza ed efficacemente, i rapporti tra colleghi sviluppando l’empatia.
È anche vero che a causa di molteplici fattori di profittabilità aziendale, non tutte le aziende possono investire nella formazione.
Questo blog vuole essere una risposta anche a chi, per ragioni di sopravvivenza economica, non può beneficiare in azienda di questo tipo di investimento e non ha denaro da spendere in privato per formare competenze che sono ormai indispensabili per farsi largo in questo caotico e sempre più complesso mondo (nel bene e nel male).
Ti aiuterò a sviluppare rispettivamente la consapevolezza di te stesso e la capacità di entrare in relazione con capi e colleghi in modo efficace e volto ad accrescere il tuo benessere in ufficio.
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“L’empatia è uomo o donna? Scoprilo e usala!”. Un pilastro fondamentale dell’intelligenza emotiva per una comunicazione efficace fra colleghi è l’uso dell’empatia, ossia la capacità di guardare le cose anche dal punto di vista degli altri. In questo articolo ti parlo delle differenze esistenti nella comunicazione fra uomini e donne sul lavoro e di come la comprensione dei reciproci mondi aiuti a sviluppare un ponte comunicativo realistico e consapevole.
“Conflitti sul lavoro: li risolvi o cerchi colpevoli?” Come entrare in relazione efficacemente con i colleghi, soprattutto quando le cose si fanno difficili e ci sono momenti di conflitto da gestire? Esistono 2 modi di affrontare i conflitti: uno più costruttivo, proiettato alla ricerca di soluzioni, usando l’empatia, e l’altro non costruttivo, rivolto alla sola ricerca di colpevoli, senza risolvere nulla. Tu quale sei solito adoperare? Nel mio articolo ti guido a capire quale dei due sei solito usare e come porre rimedio per un migliorato benessere in ufficio.
“Colleghi difficili: i melliflui. Cosa fare?”. Come ti comporti con colleghi difficili, in particolare i voltafaccia melliflui? Li gestisci, li subisci? Hanno il potere di inquinare le tue giornate? In questo articoli ti faccio guardare a questa tipologia di colleghi in modo differente per neutralizzare l’effetto negativo che hanno su di te. Se poi ad essere mellifluo e voltafaccia non è un collega ma il tuo capo, nell’articolo “Capo difficile: il voltafaccia. 2 strade possibili” ti guido ad esplorare 2 strade per ritrovare il tuo benessere in ufficio.
“Informazioni nascoste. A volte ti sembra di lavorare per i servizi segreti?” Come rapportarsi con una particolare e diffusa categoria di colleghi difficili che insabbiano le informazioni a loro vantaggio. Una riflessione in 8 passi per imparare a gestirli.
Se anche questa motivazioni ad occuparti di te stesso a tutto tondo per il tuo benessere in ufficio, non ti è sufficiente, te ne fornisco un’altra!
Motivo n° 4 – Obiettivi di carriera – imparare a capire dove sei davvero!
Ipotizziamo tu abbia degli obiettivi di crescita professionali. E’ probabile che quindi tu debba avere ben chiaro in testa quali sono, come li vuoi raggiungere, in quanto tempo…. E già stabilire efficacemente questo non è cosa facile!
Conoscere poi il punto di arrivo senza conoscere quello di partenza, o avendone una consapevolezza limitata, credi ti aiuti ad avere aspirazioni realmente concrete e realizzabili? Credi che contribuisca ad incrementare davvero il tuo benessere in ufficio?
Converrai con me che è difficile puntare ad una meta senza avere presente quale sia il punto di partenza, o avendone una consapevolezza limitata, o peggio ancora, essendo convinti di essere in un punto quando magari è evidente al resto del mondo che ti trovi da un’altra parte.
Per esperienza diretta posso dirti che a volte, la nostra percezione di chi siamo non è proprio allineata perfettamente a come agiamo nel mondo. E a volte, nemmeno i risultati che otteniamo sono quelli che ci aspettiamo.
Tendenzialmente quando le cose non vanno come vorremmo , siamo, in quanto esseri umani, abbastanza inclini a distribuire colpe e responsabilità al di fuori di noi stessi.
“Il capo non ci ha capito, il collega è insopportabile, fuori pioveva ed ero stanco (…)” solo per fare alcuni esempi. In effetti può anche essere così. Ma, c’è un ma…è anche vero che a volte a malapena ci rendiamo conto che il nostro modo di fare e l’immagine che diamo di noi stessi nel mondo, se solo ci concedessimo il lusso di domandare, non è proprio uguale all’ idea immaginifica, o terribile, che abbiamo di noi stessi.
In realtà, qualunque situazione tu debba affrontare nella vita, voluta, o forzata che sia, quello che costituisce un discrimine sull’esito finale delle esperienze sei sempre e solo tu, il tuo modo di essere, porti, e guardare alle cose.
A prescindere dal fatto che le tue ambizioni personali e professionali siano “basse” o “sconfinatamente alte”, nel vivere la quotidianità e nella gestione dei rapporti lavorativi con i colleghi, capi, collaboratori, il livello di consapevolezza che tu hai di te stesso fa una enorme differenza in termini di capacità di conseguire gli obiettivi desiderati in azienda e anche fuori, primo fra tutti la qualità del tuo tempo e il tuo benessere in ufficio.
Senza contare poi che una maggiore consapevolezza di te stesso è sinonimo anche di maggiore benessere e di una immensa libertà, ovunque con chiunque in qualsiasi situazione.
Inoltre, normalmente, la crescita professionale si accompagna poi all’assunzione di responsabilità crescenti e anche alla gestione di altre persone.
Tu ti affideresti per fare un viaggio di gruppo ad una guida turistica che è nota nell’ambiente per non essere capace ad organizzare nemmeno 8 ore della sua giornata?
Volgendo la domanda a te, se tu per primo non hai la minima contezza di come gestire te stesso a tutto tondo, o ti sai gestire male, come pensi di poter “guidare” agevolmente ed efficacemente (ossia senza dissanguarti di energie con risultati appena sufficienti) un team fatto di tante persone?
Vuoi iniziare a fare pratica con lo sviluppo della tua consapevolezza, anche sui tuoi obiettivi?
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“Vuoi diventare capo? 6 segreti per riuscirci”. In questo articolo ti svelo 6 segreti se ambisci ad un percorso di crescita professionale. Avrai modo di valutare quanto il tuo attuale modo di fare ti sta agevolando o meno verso gli obiettivi di carriera che ti sei prefissato, e in caso contrario a regolarti di conseguenza.
“Motivazione sotto ai piedi appena sveglio? Riportala su!”. Il tuo lavoro attuale quanto è fatto di motivazione intrinseca e quanto di motivazione estrinseca? Non sai quale differenza ci sia? Scoprilo! Capirlo è la base fondamentale per orientare al meglio i tuoi obiettivi di carriera risparmiando tempo ed energie e guadagnare benessere in ufficio.
“Carriera lavorativa: il potere è piacere? Come capirlo”. Spesso ambiamo tutti ad ottenere successo nella accezione più comune del termine: soldi e potere. Ma quanto realmente sei disposto a pagare il prezzo del successo? E che relazione esiste fra il potere e il piacere? Individua il mix di potere – piacere che è in sintonia con la tua natura. Ne guadagnerai in benessere in ufficio.
Un’ultima motivazione, ma non in ordine di importanza, qualora le 4 precedenti ancora non siano sufficienti a convincerti che la consapevolezza del buono o cattivo uso che fai delle tue risorse costituiscano il discrimine fra il benessere in ufficio e il malessere…
Perché n° 5 – Dentro l’ufficio/fuori l’ufficio – imparare a conoscere il tuo carattere e le tue capacità
La qualità della vita in ufficio influisce pesantemente sulla qualità della tua vita fuori, così come vale il viceversa.
Uno squilibrio, legato a qualsiasi motivo in una area della vita, si ripercuote immancabilmente su tutte le altre, seppure in maniera differente e con diverse gradazioni di pervasività.
In questo blog di fatti mi occupo nello specifico di tutto quanto ha a che vedere con la capacità di conquistare, (se non lo hai), mantenere o migliorare equilibrio interiore, benessere e serenità integrando efficacemente l’uso di corpo-mente ed emozioni, durante la giornata lavorativa in ufficio.
Tu sei una persona che si manifesta nel mondo con un carattere. Difficilmente sarai là fuori nel mondo qualcosa di profondamente diverso da quello che sei in ufficio.
Se invece sei solito attuare una spaccatura marcata tra il tuo modo di manifestarti sul lavoro e quello di manifestarti fuori, a maggior ragione dovrebbe interessarti la tua auto-consapevolezza: è fuori di dubbio che un simile comportamento conduce a consumare energie e spegnerti fino a quando ti sentirai una pila usata ed esaurita. Altro che benessere in ufficio!
Con i miei articoli di questa categoria ti guiderò in riflessioni che ti saranno utili a: mettere a fuoco come ti muovi nel mondo, quali pensieri, schemi comportamentali stati emotivi ti caratterizzano, a che punto sei della tua crescita professionale o a capire quale tipo di crescita professionale faccia la caso tuo anche in base al binomio potere – piacere, a valutare il tuo livello di energia e ad aumentare la tua autostima per farla fruttare al meglio nel tuo contesto lavorativo.
Se potessi guardati con gli occhi di una persona esterna, cosa scopriresti di te?
Che effetti susciti negli altri con il tuo modo di relazionarti?
Ogni “carattere” è connotato da caratteristiche affettive (il tuo rapporto con le emozioni e sentimenti), energetiche (quanta energia senti di avere per affrontare le tue giornate), somatiche (che struttura fisica hai), cognitive (quali sono i tuoi tipici modi di pensare) e relazionali (come ti poni rispetto agli altri) ben distinte e legate ai bisogni primari che hai percepito come negati o limitati: diritto di esistere, di avere bisogno di accudimento, di possedere te stesso, di importi, di essere autonomo e di amare sessualmente.
Nei miei articoli ti guiderò ad esplorare quali manifestazioni esteriori oggi ti caratterizzano per prendere coscienza di quali sono gli schemi ripetitivi che metti in atto nel lavoro e nella tua vita e che, qualora disfunzionali per il tuo benessere, ti allontanano piuttosto che avvicinarti, a quello che realmente vuoi.
Aumentare la propria consapevolezza quali vantaggi dà? La libertà. Sebbene talvolta possa sembrare una “fatica” investire del tempo per fermarsi a riflettere su alcuni aspetti di se stessi, e sebbene questa fatica l’abbia avvertita io stessa, con il tempo invece ho imparato a raccoglierne i frutti in termini di maggior benessere in ufficio e fuori.
Ti aiuterò a fare tutto questo da molteplici punti di vista, che sono certa saranno per te un enorme arricchimento, una grande sorpresa e scoperta che ti accompagneranno a lungo!
Vuoi iniziare a capire quale tratto caratteriale ti distingue e cosa ne consegue?
Nell’articolo “Manager o Leader: quale tipo sei?” ti parlo di 9 tratti caratteriali con cui è possibile muoversi nel mondo. Ogni tratto caratteriale è un modo differente di vivere le emozioni, di pensare, di relazionarsi agli altri, con tutti i pro e contro del caso. Questo è un primo articolo introduttivo ai 9 caratteri. In futuro tratterò molto più approfonditamente tutti i pro e contro di ogni carattere per aiutarti a disporre di molte più energie a tuo vantaggio.
Nell’articolo “Che capacità ho? Conoscerle ti aiuta” ti guido a valutare quali capacità senti più tue fra quelle cognitive, realizzative e relazionali. Conoscerle ti aiuta a verificare quali servono maggiormente per il tuo lavoro e per i tuoi obiettivi di carriera e ti consentono di risparmiare tempo focalizzandoti su quelle che pensi di dover migliorare.
Ti ho motivato a sufficienza perchè è bene, per il tuo benessere in ufficio, che tu impari ad ascoltare il corpo, gestire le emozioni, zittire la mente quando parla a sproposito, comunicare efficacemente, capire che carattere, capacità, risorse hai, in funzione dei tuoi obiettivi lavorativi?
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Federica Crudeli
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COLLEGHI DIFFICILI: I “MELLIFLUI”? COSA FARE!
Ciao e Bentornato a Lavorare col sorriso!
Dopo la pausa estiva che sono sicura ti abbia “rigenerato” riparto subito a “bomba” parlando di come gestire i rapporti con una particolare tipologia di colleghi difficili: i melliflui o adulatori, voltafaccia, voltagabbana, o lingua felpata che dir si voglia. Chi sono? Come puoi gestirli?[Tweet ““ Meglio i corvi che gli adulatori: gli uni divorano i cadaveri, gli altri i vivi” – cit. Antistene“]
Molti lettori del blog, al rientro dalle ferie, hanno ripreso la vita d’ufficio quotidiana avvertendo subito un potente contrasto fra la serenità legata al godere della compagnia di persone che si sono scelti durante le ferie e l’obbligo di rapportarsi, una volta rientrati in ufficio, con alcune tipologie di colleghi difficili. Un po’ come passare dal fare un bagno nell’acqua mite del Mar Mediterraneo all’acqua ghiacciata dell’oceano Pacifico.
Beh… intanto chi sono i capi/colleghi uomini/donne difficili e melliflui (o voltafaccia)?
Da dizionario il mellifluo è colui che “esprime gentilezza affettata, manierata, falsamente dolce e cortese”.
Volendone descrivere le peculiarità con una buona dose immaginaria di ironia caricaturale e a tratti grottesca, ecco una possibile caratterizzazione di questa tipologia di colleghi difficili:[list-ul type=”arrow”][li-row] sorridono sempre quando ti incontrano e sono sempre gentili a parole, in media, anche dopo che ti hanno fatto una carognata. Il loro sorriso è spontaneo come potrebbe esserlo il sorriso di un mezzo busto della TV che in diretta tenta di fare l’indifferente mentre qualcuno gli pesta i piedi con un martello;[/li-row][li-row]se sbagliano (magari a danno tuo o altrui), non ammettono mai di aver fatto un errore, quanto piuttosto fanno completamente finta di nulla e bypassano in pieno l’argomento durante le conversazioni. Se possono non solo non ammettono l’errore ma dissimulano argomentando l’accaduto in modo tale che quasi quasi sia colpa altrui;[/li-row][li-row]generalmente affrontano le dissidie o i disaccordi fisiologici nei rapporti lavorativi in modo scivoloso come le saponette: è difficile metterli alle strette ad affrontare una questione “di petto” e con franchezza. Altrettanto difficile è risolverla girandoci a lungo ed intorno: tentano sempre di ricondurre i confronti a miti consigli e difficilmente manifestano apertamente la loro intera posizione/pensiero. Piuttosto di fronte a te fingono di capire, accettare, confrontarsi, mettersi in discussione poi tornano a fare esattamente come prima. Magari attraverso comportamenti reiterati ti boicottano in modo sottile, apparentemente distratto e casuale. In questo modo tu non ti senti mai nella posizione di poter dire che hai subito “uno sgarbo”;[/li-row][li-row]si sentono anche, generalmente, intellettualmente superiori agli altri e quindi dall’alto della loro posizione scrutano i colleghi come se fossero esseri inferiori, trattandoli con aria di sufficienza. Magari fanno la stessa attività da molti anni e pertanto si sentono i detentori della verità assoluta su una materia. Magari mancano di umiltà nel non rendersi conto di quanto poco padroneggino molte altre competenze;[/li-row][li-row]sentendosi superiori, in genere hanno quindi la preferenza a relazionarsi con colleghi di livello gerarchicamente superiore. Se una cosa la dici tu ti snobbano, se la stessa cosa la dice “un capo” allora si sciolgono in un brodo di giuggiole;[/li-row][li-row]hanno un senso di riverenza e rispetto per le posizioni gerarchiche superiori che è quasi demodè e rasenta la sudditanza. Questa riverenza talvolta assume le vesti della vera e propria paura paralizzante di chi non muove un foglio se non ha la certezza che quello che sta per fare è gradito al suo re;[/li-row][li-row]anche quando esistono tutti i presupposti per relazionarsi con te, in base alle competenze lavorative, il voltafaccia mellifluo ti “scavalca” o bypassa e si rivolge ad altri. In qualche modo tenta di destituire il tuo ruolo, che sia di responsabilità o meno;[/li-row][li-row]se in media ti evita, prevarica e non ti considera, tipicamente invece ti cerca quando deve scaricare per questioni urgenti delle colpe su qualcuno o attribuire qualche responsabilità spinosa e sconveniente a danno delle tue stesse competenze che in altre circostanze, non ti vuole riconoscere;[/li-row][li-row]di solito ha un rapporto morboso anche con le informazioni, che custodisce gelosamente come fossero il 4° segreto di Fatima, e ne centellina la divulgazione, in modo frammentato e a persone diverse, di modo che nessuno abbia mai un quadro completo della situazione che sarebbe opportuno conoscere per lavorare efficacemente;[/li-row][li-row]qualora poi fosse anche capo di qualche unità di business, maltratta con fare tiranno i suoi collaboratori mentre di fronte ad altri si mostra come la persona più affabile della terra[/li-row][/list-ul][distance1]
Terminata la descrizione, hai colleghi simili?
Prima di capire come comportarsi con colleghi difficili melliflui/voltafaccia che attuano questi comportamenti, è opportuno riflettere qualche minuto sull’effetto che ti fanno. Perchè, ti starai domandando?
Perché ne sarai ripagato in tutte le future occasioni con piccolo investimento delle tue energie mentali.
Perché ti svelo un segreto: nessun essere umano, me compresa, possiamo nulla, ma proprio nulla, per modificare o controllare i comportamenti altrui.
Tu puoi solo migliorare la consapevolezza e gestione di te stesso in relazione a qualsivoglia variabile esterna.
Sebbene siamo tutti quanti abituati a vivere in un mondo che educa in modo sottile al controllo esterno, di fatto, tentare di controllare tutto quanto è “fuori” dalla nostra persona, cercando di piegare “il mondo” al nostro volere, conduce, in ultima analisi, alla schiavitù: fisica, emotiva, razionale.
E questo ragionamento vale con chiunque, che si tratti di colleghi difficili, capi difficili, mogli, mariti, amici e così via. Vuoi sentirti libero? Comincia ad esserlo tu per primo liberandoti dagli effetti negativi che tali colleghi difficili ti innescano e che ti aiuto ad osservare, senza giudicarti.
Quale sfumatura emotiva si genera in te nel lavorare con questi colleghi difficili? Ci hai mai fatto caso?
Ti suscitano rabbia, collera, ira, aggressività verbale, voglia di prendere a pugni le scrivanie, paura della loro reazione, paura di non sentirti considerato/riconosciuto, nervoso, ansia, istinto di rivalsa, tristezza o cos’altro?
Dove avverti queste sensazioni? In quale parte del corpo? Nello stomaco, nella parte alta del petto, nel respiro che resta sospeso, o trattenuto per non sbottare mai, o affannato solo per fare degli esempi?
Quali pensieri ti nascono in testa quando devi gestire colleghi difficili voltafaccia?
Nello specifico quali pensieri fai rispetto a te stesso, alla tua autostima e al senso del valore che hai di te stesso? Ti senti invisibile, sminuito, impotente, preso in giro o cos’altro?
Quali pensieri fai rispetto a questo modo mellifluo di comportarsi? Come lo vedi, valuti, rispetto ai tuoi valori personali, alle modalità di comportamento in cui credi e che reputi di valore per te?
Prenditi qualche minuto e riflettici a tutto tondo: cosa ti accade dentro, in testa, nel corpo, a livello emotivo?
Fatto questo, e regalato a te stesso il tempo di ragionare e sentire che ti consente di aumentare la tua consapevolezza, passiamo al passo successivo.
Come comportarsi con i colleghi difficili e “voltafaccia”?
Dipende.
Da cosa? Dagli obiettivi che hai in relazione a quello che solitamente devi fare, ai risultati che è tua competenza assicurare e alla durata del rapporto dettato dalle circostanze.
Il collega mellifluo è di passaggio, è un consulente, è una persona che pensi non rivedrai mai più? Puoi permetterti di fare buon viso a cattivo gioco così come di manifestargli apertamente il “dissenso” (connotao in qualsivoglia modo) che ti sgorga dentro sempre nel rispetto e nei limiti dell’educazione (anche se, fuori da ipocrisie, qualche pensiero impuro su regolazione di conti alla Far West è normale… non preoccuparti).
Se invece il collega difficile e mellifluo è e resterà a lungo una persona con cui dovrai rapportarti, ti conviene abbandonare l’investimento delle tue energie negative e trasformarlo a tuo favore.
Come? La prima cosa che hai da tenere a mente e che ha senso sia il motivo principale che guidi le tue azioni è solo uno:il tuo obiettivo.
Cosa vuoi ottenere nel lavorare con il collega difficile? Diventarci amico, entrare nelle sue grazie a tutti i costi? Oppure vuoi semplicemente collaborare quel tanto che serve per portare avanti delle attività in parte legate a lui, e quindi rapportarti con lui quel tanto che basta ed è necessario per svolgere al meglio la tua attività?
Credo che già acquisire consapevolezza di questa distinzione contribuisca a diminuire l’investimento di energie che è il caso di spendere.
Mettiamo tu abbia concluso che puoi benissimo rapportarti a lui solo quanto basta per le circostanze che lo richiedono, cosa puoi fare tutte le volte che ti scavalcherà, tenterà di affermare la sua superiorità a parole, disconoscerà i suoi errori a tuo discapito, ti dirà le cose a metà,negherà l’evidenza etc etc…?
Adesso che hai consapevolezza di cosa ti innesca questo tuo modo di fare, hai libertà di scegliere, se continuare a farti il sangue amaro , o indossare un abito diverso.
Non ci credi?
Così come hai sempre scelto di “negativizzarti”, puoi anche scegliere che le prossime volte il suo modo di fare ti provocherà un sorriso di ironia, o una battuta ironica, o una totale indifferenza.
Perché tu, che sei intelligente e hai capito che non puoi piegare i colleghi difficili la tuo volere, quelle stesse energie che prima spendevi a reagire d’istinto e in automatico in modo negativo, adesso le spenderai per fare dell’altro, lasciando il mellifluo ad affogare nel suo brodo primordiale.
E’ un po’ la stessa differenza che ci passa fra il vestirsi al buio e lo scegliere un abito con la luce accesa: se non hai consapevolezza dei tuoi “moti” interiori, è come se appena sveglio prendessi un vestito a caso nell’armadio e lo indossassi, al buio.
Quando invece sai cosa ti accade dentro, è come avere acceso la luce, aprire il guardaroba, vedere quanti abiti puoi indossare, e scegliere quello che ti fa sentire meglio, invece che prendere quello che d’istinto ti capita fra le mani.
Lo puoi fare con gli abiti, puoi farlo anche con i tuoi stati d’animo. Più ti eserciti a farlo, meno tempo ci metterai a scegliere fra tanti abiti quale indossare.
Questo ha anche un altro vantaggio: i colleghi difficili e voltafaccia, solitamente, si nutrono (spesso incosciamente) della negatività che ti suscitano. Forse, sotto, sotto ci godono anche un po’.
Quali siano i motivi che inducono un collega o capo a comportarsi così, è un problema loro, non tuo. Pertanto, che cambino o meno il loro modo di fare è frutto di una loro libera scelta, così come adesso può essere una tua libera scelta scegliere un atteggiamento che fa stare bene te, a prescindere da cosa faccia lui.
Tu adesso hai messo a fuoco e sentito cosa ti accade dentro. Quello che ti accade dentro, nel momento in cui lo sai riconoscere, lo sai anche gestire.
Se tu rompi gli schemi del loro giochino, non è escluso poi che in qualche modo cambi anche il loro modo di porsi.
Se il tuo modo di rapportarti non ti ha mai condotto ai risultati lavorativi che perseguivi, cambiali. Cambiandoli magari scopri che questo collega, a sua volta, cambia. Se non cambia, resta comunque un problema suo.
Se i tuoi risultati li raggiungi comunque, e ti è riconosciuta una professionalità da chi è giusto che te la riconosca (esempio il tuo capo) cosa ti interessa di devolvere emozioni, stati d’animo e pensieri negativi a te stesso per questo collega?
Se invece il mellifluo è il tuo capo, posto che magari non sopporti questo suo modo di fare, ti riconosce quanto pensi di meritarti? Se si, vale quanto sopra, vai avanti per la tua strada e scegli di guardare a lui in modo diverso.
Se no, allora hai un problema. Essendo il tuo capo e quindi colui che magari decide della tua crescita professionale ed economica, hai da trovare un modo per entrarci in relazione e non per diventarci amico, (che te ne frega? Anche se capisco bene che in quanto animali sociali per senso di appartenenza ci piacerebbe piacere a tutti e stare bene con tutti), ma per il tuo interesse.
Come? Studialo bene. Posto che se lo hai riconosciuto nei comportamenti descritti significa che lo hai osservato, adesso osservalo senza giudizio non con l’occhio di chi ha di fronte a se un nemico da combattere che attua comportamenti poco digeribili, ma con l’occhio di chi osserva un potenziale alleato.
E’ umano come te. Cosa gradisce? Cosa non gradisce?
Quali modi di porre le questioni apprezza e quali no?
Come vuole sentirsi dire le cose? Da chi? Quando?
Quali argomenti extra lavorativi potete avere in comune? Potrebbero essere un terreno neutro per appianare le ostilità, e dalle quali costruire un passo alla volta un altro genere di rapporto lavorativo.
Attenzione, non ti sto dicendo di snaturarti. No.
Ti sto dicendo che tu puoi consapevolmente e restando te stesso identificare le modalità di entrare in relazione più vicine a lui, anche se magari più distanti dalle tue o da quelle che normalmente ti vengono più naturali e spontanee.
Qui non si tratta di snaturarti, ma di sviluppare quella flessibilità comportamentale che ti consente di parlare la sua lingua in modo che tu possa guadagnare a piccoli passi la sua fiducia e farti riconoscere quello che pensi di meritare.
Costa impegno? Si, ma se è il tuo capo, a differenza di un qualsiasi collega, ha più potere di influire sulla tua vita lavorativa.
Pertanto a maggior ragione il tuo impegno è giustificato. Inoltre lui attua i suoi comportamenti a te poco graditi per le sue ragioni (per quanto possano risultarti incomprensibili), è mosso da pensieri suoi e da convinzioni sue, non tue, esattamente come tu sei mosso ad agire per interessi, motivi e convinzioni tue.
Non hai voglia di identificare modalità diverse da quelle che hai usato finora per entrarci in relazione?
Anche questa è una tua libera scelta, l’importante è che tu sia consapevole delle conseguenze a cui vai incontro e sia disposto a farne le spese, esattamente come sei disposto a non impiegare energie per rendere più flessibile i tuoi comportamenti.
Ti faccio presente che questo stesso ragionamento fondato sull’osservazione senza giudizio di comportamenti che non tolleri, l’osservazione senza auto-giudizio di cosa ti accade dentro, e l’identificazione per libera scelta consapevole di come vuoi gestirti in relazione ai tuoi obiettivi, è riproducibile su vasta scala con chiunque.
Pensi ancora che i benefici di un investimento di energie e tempo in tal senso siano cosa da poco?
Siamo tutti in media affascinati dal “successo” altrui e vediamo spesso solo la punta dell’iceberg.
Pensi che le persone che ottengono “cose” nella vita le ottengano “a gratis”?
O piuttosto, accecati dalla visione superficiale delle cose facciamo tutti poca attenzione all’impegno “sottostante” al raggiungimento di obiettivi desiderati?
Hai intenzione di subire ancora i colleghi difficili e voltafaccia?
Qualora difficile e voltafaccia non sia un collega ma il capo, ti rimando al mio articolo “Capo difficile: il voltafaccia. 2 strade possibili”.
Ti ho regalato un sorriso di libertà con questo l’articolo?
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Federica Crudeli

RIPETI SEMPRE GLI STESSI ERRORI? COME TRASFORMARLI IN SUCCESSO
Ciao e Benvenuto a Lavorare col Sorriso!
Ripeti sempre gli stessi errori nella gestione dei rapporti lavorativi e vorresti trasformarli in successo uscendo da schemi di comportamento ripetitivi, che vivi come poco utili e fastidiosi per te nella vita lavorativa, quasi fossi una creatura inerme intrappolata nella morsa di un serpente velenoso? Leggimi!
[Tweet “”Fare errori è naturale, andarsene senza averli compresi vanifica il senso di una vita” – cit. S.Tamaro “]
In quali casi ripeti gli stessi errori? Quando, a titolo di esempio (non esaustivo), in modo sistematico e automatico:[list-ul type=”arrow”][li-row] attacchi un collega con collera di fronte ad una critica, salvo pentirti della tua istintività;[/li-row][li-row]subisci qualche angheria sempre con lo stesso senso di impotenza covando rabbia repressa per i successivi 6 mesi;[/li-row][li-row] non sei capace di affermare con assertività una tua convinzione;[/li-row][li-row] ti dai per vinto in partenza di fronte ad una situazione che vivi come troppo complessa da gestire malgrado una parte di te vorrebbe “buttarsi”;[/li-row][li-row] fatichi a far rispettare il tuo ruolo in azienda quando hai rapporti troppo amichevoli con alcuni colleghi;[/li-row][li-row]quando in una negoziazione o conflitto tendi al ritiro o a mediare eccessivamente e rinunci a difendere i tuoi interessi purchè tutte le facce dei colleghi siano sorridenti, tranne la tua. [/li-row][/list-ul]
Inutile dire che questi errori si riferiscono a situazioni che presuppongono uno cambio fra te e altre persone, e quindi il tema, oltre ad avere a che fare con la consapevolezza che hai di te stesso, si inquadra nell’ambito dei rapporti tra colleghi.
Ci tengo poi a fare una premessa: TU NON SEI I TUOI ERRORI!
Oppure fai parte di quelle persone che si identificano con i propri errori e li personalizzano al punto da avvertire un senso pervasivo di fallimento ogni volta che ne commettono uno?
Scrivo questo articolo perché di recente ho commesso un errore le cui conseguenze sulla mia pelle sono state paragonabili a un bagno ghiacciato nel Mar Glaciale Artico in pieno inverno (si, dai, esagero volutamente anche per farti sorridere un po’).
Il fatto “grave” è che ho commesso ancora una volta lo stesso errore in una determinata circostanza, simile a tutte quelle precedenti, in cui il risultato finale se non era stato il bagno ghiacciato nel Mar Glaciale Artico era pur sempre stato fastidioso come la sabbia negli occhi.
Accade di affezionarsi così tanto agli stessi errori che Dante, se fosse vivo, probabilmente indirebbe un concorso a premi per la diabolicità da coazione a ripetere. Il fastidio che ho avvertito è stato talmente acuto però, che mi sono detta BASTA! E se BASTA l’ho detto io, lo può dire chiunque, a patto che lo voglia davvero!
Come ti ho spiegato nel mio articolo “Manager o Leader: quale tipo sei” ognuno di noi si manifesta con un carattere che talvolta ci porta ad attuare meccanismi inconsci che attivano il famoso pilota automatico o coazione a ripetere.
Si ripetono le circostanze esterne e si commettono gli stessi errori, si fanno le stesse cose, con annesso senso di frustrazione e di impotenza e talvolta con conseguenze progressivamente nefaste che vanno da piccole scottature, a urti, a ustioni di 3° grado. Eppure ci sarebbe tanto una parte di noi che non vorrebbe fare così, ma lo fa comunque.
Come puoi uscire dai tuoi errori?
Parto dal presupposto che per te sia importante sradicare questa abitudine a commettere sempre gli stessi errori in una o più circostanze similari, e che quindi tu abbia voglia di apprendere un modo per cambiare strada.
Cosa fare in concreto con i tuoi errori:
[list-ul type=”arrow”][li-row] intanto comincia con pensare che cambiare è possibile. Hai imparato a guidare e fare tante altre cose nella vita. Puoi impararne altre. Certe abitudini così come le hai apprese, le puoi anche sostituire con altre più utili per te; [/li-row][li-row]ripensa a, e scrivi, tutte le situazioni in cui hai attivato il pilota automatico, quello che ti porta allo schianto o conseguenza indesiderata (perchè se ti porta positività e benessere non è il caso in esame); [/li-row][li-row] analizza cosa accomuna tutte queste situazioni per le circostanze esterne alla tua persona, ossia quale è “lo stimolo” esterno che ti fa “partire per la tangente”;[/li-row][li-row] analizza cosa accomuna tutte queste situazioni per gli aspetti interni alla tua persona, più in particolare quali sentimenti, emozioni, pensieri hanno causato l’inserimento del pilota automatico?[/li-row][li-row]ora che li hai messi a fuoco, quali benefici/vantaggi speravi di ottenere con il tuo comportamento? Quali bisogni cerchi di soddisfare con il tipo di comportamento che adotti in automatico? [/li-row][li-row] ricordi se in passato, anche da piccolo, usavi questo stesso schema o lo hai visto usare da qualcuno? [/li-row][li-row]quali reali benefici hai ottenuto rispetto alle circostanze esterne e rispetto a te stesso? [/li-row][li-row] quali benefici e quali obiettivi vorresti che agisse il te stesso futuro che vorresti libero da questo fastidioso pilota automatico?[/li-row][li-row] cosa devi/vuoi fare per ottenere questo nuovo obiettivo/comportamento? Immaginalo nei minimi particolari a livello emotivo (emozioni che vorresti provare, pensieri che vorresti avere), e ripercorrilo nella testa e con il corpo passo dopo passo…magari anche camminando nello spazio. Solitamente, se è vero che il tuo vecchio schema era disfunzionale, il nuovo che hai identificato molto probabilmente assomiglierà al suo esatto contrario;[/li-row][li-row] identifica la prima circostanza utile in cui potresti dare prova a te stesso di essere capace di disinserire il pilota automatico, magari anche fuori dal contesto lavorativo;[/li-row][li-row] agisci nel nuovo modo con tutto te stesso, corpo, mente ed emozioni appena ti trovi nella circostanza che ti attiva il comportamento disfunzionale. [/li-row][/list-ul][distance1]
Ora, non ti sto dicendo che sia una cosa immediata cessare di commettere gli stessi errori, ma sicuramente prima comincerai a fare esercizio, prima diventerai il nuovo te stesso che ti prefiggi di essere e prima otterrai quello che vuoi dalla circostanza che normalmente ti causa problemi.
All’inizio ci sarà una parte di te talmente simbiotica con il tuo vecchio errore, che farà di tutto per impedirti di uscire dalla tua zona di comfort. Ci sguazzi tanto bene lì dentro che ormai ti sei scavato la Fossa delle Marianne ed uscirne fuori assomiglia ad una impresa estrema.
Ti faccio presente che è così per tutti, tutti viviamo questa difficoltà, ma con uno sforzo di volontà cosciente, puoi pilotare i tuoi pensieri, comportamenti, azioni, abitudini, verso una meta nuova, perché di fondo, la Fossa delle Marianne esiste solo nella tua mente, non nella realtà.
È un po’ come fare gli addominali per la prima volta. All’inizio senti dolore e fatica e ti sembra uno sforzo immane, ma piano piano, un piccolo passo alla volta, la nuova modalità comportamentale ti entrerà nei muscoli fino a quando la avrai interiorizzata: è questione di esercizio e abitudine, e tutte le abitudini possono essere cambiare con un uno sforzo di volontà cosciente.
Ti renderai conto che se anche per un po’ di tempo continuerai a commettere lo stesso errore, il tuo tempo di “ripresa” si farà sempre più breve, riuscirai a sfumare gradatamente quel comportamento e sentirai sempre meno lo sforzo dettato dal voler cambiare abitudine.
Se sono qui a scrivertelo è perché l’ho fatto e ha funzionato. E ha funzionato solo nel momento in cui ho smesso di procrastinare il momento in cui farlo sul serio. E ha funzionato con un atto di volontà vero e proprio di forzatura alla mia parte più “distruttiva”.
Fatto sta che, a differenza delle volte precedenti in cui avevo commesso lo stesso errore, questa volta in un lasso di tempo molto più breve, ho voltato pagina, orientato mente e cuore in qualcosa di utile che ho scelto consapevolmente, mi sono trattenuta dal fare le stesse cose che avrei fatto in quelle circostanze e ho ritrovato l’amore per me stessa. Perché preservarsi dal commettere sempre gli stessi errori è, di fatto, un atto di amore verso se stessi.
Commettere sempre gli stessi errori, piccoli o grandi che siano, con conseguenze che tu valuti più o meno “gravi”, col tempo, demolisce l’autostima, ti rende incapace ai tuoi stessi occhi e rischia di portarti ad identificarti con essi fino al punto di dirti “sono un disastro”. Non è così.
Tutti commettiamo errori: l’importante è farne qualcosa di buono e impararne una lezione per trasformarli in un successo. Se questo non avviene, se dopo l’ennesimo errore ci passiamo sopra senza rifletterci come ti ho indicato sopra, è matematico, lo commetteremo di nuovo.
Nel condividere questa mia “caduta” ti sto anche dando un esempio di come un evento spiacevole e negativo, possa essere trasformato in qualcosa di utile per te che stai leggendo, invece che crogiolarmi sul “ho sbagliato anche questa volta”.
Il tempo è prezioso, ed essere proattivi rispetto alle circostanze invece che reattivi come ti ho spiegato sia nel mio articolo “I conflitti: li risolvi o cerchi colpevoli?” , così come il focalizzarsi sulla propria centratura come ti ho spiegato sia nel mio articolo “Un giorno lo farò: il tempo ti è nemico – Parte II”, e’ SALVIFICO!
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Federica Crudeli Learn More

UN GIORNO LO FARÒ: IL TEMPO TI È NEMICO ? Parte II
Ciao e Benvenuto a Lavorare col Sorriso!
Sei convinto che la gestione del tempo e dello stress abbiano nulla a che fare con la tua sicurezza interiore (o centratura)? Sbagli, e anche tanto! Scopri invece come la tua sicurezza interiore o centratura impatta significativamente sulla possibilità di ridurre lo stress investendo energie e tempo in attività e rapporti lavorativi in modo coerente con te stesso, i tuoi principi, valori e il tuo scopo nella vita.
[Tweet ““Ciò che abbiamo dietro e davanti a noi è irrilevante rispetto a ciò che abbiamo dentro” – cit. O.W. Holmes”]
Ti parlo della gestione del tempo e dello stress da questa particolare angolatura perché credo che possa essere un presupposto indispensabile per trattare poi questi argomenti con delle vere e proprie tecniche.
Di fatti questo articolo è la prosecuzione del precedente “Un giorno lo farò: il tempo ti è nemico? – Parte I” , che ti consiglio di leggere prima di questo se ancora non lo hai fatto, nel quale ti ho guidato in una riflessione potentissima sul tuo senso di scopo nella vita.
Di conseguenza adesso sai come vale la pena investire il tuo tempo, giornata lavorativa compresa, ed anche i rapporti lavorativi secondo un ordine di importanza, che immagino adesso sia diverso o più chiaro di prima.
Nel primo articolo ho infatti posto le basi per una gestione del tempo e dello stress davvero efficaci!
Proseguo con la metafora della macchina (che ho appreso da uno psicoterapeuta): se nel precedente articolo ti ho guidato a scoprire dove vuoi andare con la tua macchina (scopo, direzione, mission) in questo invece ti faccio riflettere sulle dotazioni necessarie e sufficienti che è bene abbia il motore della tua macchina per affrontare il viaggio verso la tua meta senza sottoporlo a continue sollecitazioni inutili, fonti di perdite di tempo e aumento dello stress.
Quando il tuo motore (cioè TU) va in sovraccarico?
Ad esempio ogni volta che hai la tendenza al controllo del mondo esterno ovvero quando prima di partire per il tuo viaggio pretendi di affittare tutte le betoniere e asfaltatrici presenti in commercio e andate a tappare tutte le buche delle strade dissestate fino al traguardo, a rifare i cordoli, la segnaletica, a riposizionare i semafori oppure quando guidi guardando solo fuori dal finestrino quasi a garantirti lo schianto.
Tradotto fuori di metafora?
Pensa a tutte le volte che le tue azioni sono eccessivamente condizionate dal temere cosa pensano il capo, il collega, il collaboratore, dal timore del rifiuto o di non piacere, dall’ansia di apparire perfetti, dalla paura di ammettere o commettere gli errori, dalla rabbia o vergogna per aver sbagliato, tristezza o paura se qualcuno non asseconda le tue aspettative.
Agire con questi condizionamenti pensi equivalga ad una buona gestione del tempo e dello stress?
In tutti questi casi involontariamente molto probabilmente manipoli il mondo esterno al fine di controllarlo: armato di asfaltatrice e cemento sei lì che tenti di rendere lisce lisce tutte le strade che ti trovi di fronte.
Come? Ad esempio tutte le volte che di fronte a parole/comportamenti che non gradisci di un collega ti esprimi con un “tu mi fai arrabbiare” invece che con un “io mi sento arrabbiato per come ti sei comportato”.
Ti sembra sottile la differenza fra il guardare a te stesso e il guardare fuori?
Peccato. Perché è abissale. Ogni volta che accusi un collega di essere la causa di un tuo stato d’animo non solo eviti di pensare alla responsabilità/capacità che hai di scegliere una risposta ad un comportamento esterno altrui, (magari anche l’ indifferenza), non solo gli stai dando un enorme potere su di te, ma, in fondo stai anche avanzando la pretesa che quel collega debba comportarsi diversamente, per evitare che sia la causa della tua rabbia.
Manipoli e pretendi di controllare il prossimo, spesso, per indurlo ad essere così come fa piacere a te senza crearti alcun disturbo.
Questa è una gestione del tempo e dello stress pessima!
C’è solo un piccolo problema. Che nessuno di noi può alcun tipo di controllo su alcuna cosa vivente al di fuori di se stesso.
E’ di una banalità sconcertante il concetto, ma, se è così, ti chiedo di essere onesto con te stesso e di riflettere su quanta parte del tuo tempo lo spendi a “ripensare” a fatti spiacevoli accaduti, o nel tentativo di controllare, manipolare, cambiare qualcosa che è esterno alla tua persona: quel collega che vorresti più affabile, simpatico, silenzioso, il capo più disponibile … etc.
Insomma in media quanto tempo spendi ad accettare cose e persone per come sono e regolarti di conseguenza e quanto invece ne spendi nella fissazione di voler piegare la realtà esterna al tuo volere o a rivivere nella tua testa episodi lavorativi spiacevoli?
Bene. A cosa ti serve disperdere il tempo in questo senso? La riposta è solo una. Niente.
La differenza fra un atteggiamento e l’altro, di cui ti ho parlato anche nell’articolo “Conflitti sul lavoro: li risolvi o cerchi colpevoli?’” è la stessa che c’è fra l’essere persone proattive o reattive: [list-ul type=”arrow”][li-row]I PROATTIVI si concentrano sulla loro SFERA di INFLUENZA ossia su fattori che possono essere da loro trasformati;[/li-row][li-row] I REATTIVI si focalizzano sulla SFERA DEL COINVOLGIMENTO ossia su debolezze altrui, problemi ambientali e circostanze sulle quali non hanno il loro controllo.[/li-row][/list-ul]
Quand’è quindi che la gestione del tempo e dello stress avviene efficacemente?
Quando, ogni volta che sei in difficoltà in una situazione, se invece che volgere lo sguardo fuori, lo rivolgi al tuo interno, verso i tuoi principi guida, i valori che sono per te importanti e che ti aiutano a ridimensionare subito situazioni e problemi e a trovare la forza per affrontarli, abbattendo di conseguenza anche lo stress.
Fritz Perls nel suo libro “La terapia Gestaltica parola per parola” spiega bene nelle sue prime 80 pagine questo concetto dello sguardo rivolto al proprio interno e all’avere fiducia in se stessi, che in Bioenergetica è assimilabile ai concetti di centratura e “grounding”.
Tu dirai…beh ma come si fa ad avere così tanta fiducia in se stessi?
Occorre che tu abbia presenti i tuoi valori, le cose che ritieni importanti realizzare e il come vuoi realizzarle, avere ben presenti i tuoi criteri rispetto ai quali “misurarti”e identificare la tua centratura, il tuo nucleo immutabile, i fattori che sostengono la tua vita: ascoltati, accettati e poi seguiti!
Agendo in questo modo non avrai più la necessità di dover disperdere tempo ed energie per incasellare le situazioni e le persone in qualche categoria precostituita che ti dia un falso senso di sicurezza e protezione vivendo l’illusione della prevedibilità altrui, e non avrai più la necessità di stressarti in questa lotta ai mulini a vento, persa in partenza.
Adottare questo atteggiamento mentale non significa passare il resto della vita in uno stato ebetale di felicità perenne. Sarebbe ipocrita affermarlo.
Ma avendo una meta ben precisa in testa, ed una propria centratura il tempo così investito avrà più valore di un tempo investito cercando continue rassicurazioni, certezze, prevedibilità nel mondo esterno.
Ripensa al tempo che hai speso a torturarti per discussioni o situazioni spiacevoli, con colleghi, capi, amici.
Inquadrandolo adesso, riperderesti il solito tempo o lo useresti, insieme alle tue energie, per uscire da “situazioni di empasse” restando focalizzato sulle cose per te davvero importanti e sulle possibili soluzioni?
E ti dà una idea dell’ordine di priorità che vuoi che alcune situazioni/persone abbiano nella tua vita lavorativa o no?
Tu quanto ti valuti proattivo o reattivo rispetto alle situazioni che affronti? Ci sono circostanze in cui adotti approcci diversi? Se si, in quali circostanze, in che modo e per quali motivi sei reattivo o proattivo?
Hai messo a fuoco i tuoi principi, valori e fattori che pensi ti sostengano nella vita? Hai trovato la tua centratura? Cosa aspetti a farlo?
Pensi di voler trasferire un po’ della tua proattività dalle circostanze in cui la agisci più agevolmente alle circostanze in cui ti viene più difficile praticarla?
In metafora ti ho parlato di quale sia il nucleo che serve a far funzionare bene il tuo motore e ti ho spiegato la differenza che esiste fra le persone che, in viaggio verso una meta, perdono tempo ed energie ad asfaltare tutte le buche lungo il percorso, da quelle che invece li investono ad aggiustare l’assetto della propria macchina per affrontare qualsiasi viaggio.
Questo è il presupposto indispensabile da conoscere per una gestione del tempo e dello stress intelligente!
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Federica Crudeli
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