
DI SONNO, RIPARTENZE E ABITUDINI
Riprendere le abitudini post vacanze e col cambio di stagione: perché cambiare abitudini a volte è difficile. Sfatiamo il mito di alzarsi alle 5.
Learn More
L’USO DEGLI INGLESISMI IN UFFICIO PER FARE CARRIERA
L’uso degli inglesismi per fare carriera in azienda: un articolo ironico
Learn More
RIUNIONI FIUME? COME GESTIRE IL TEMPO EFFICACEMENTE
Ciao e Benvenuto a Lavorarecolsorriso!
Oggi ti parlo della gestione del tempo per riunioni efficaci, per evitare meeting fiume dai quali esci con le idee confuse, stress a mille, senza sapere bene cosa devi fare e soprattutto dopo aver speso una bella fetta di tempo che avresti potuto dedicare ad altro accumulando arretrati su arretrati lavorativi, senza concludere qualcosa di concreto, sottraendo tempo prezioso agli 86.400 secondi di cui è composta la tua giornata.
Circola nel Web il detto ironico:
[Tweet ““Quando non hai niente da fare, organizza una riunione”– cit. Web”]
Ti succede? Oggi ti parlo quindi di come migliorare la gestione del tempo nell’organizzazione o partecipazione ad una riunione, usando un pò di ironia e partendo dalla descrizione di quello che è l’ esatto contrario di una riunione efficace… allo scopo di regalarti un sorriso!
Immagina con me questa situazione volutamente caricaturale e grottesca.
Qualcuno ha convocato una riunione ad una certa ora, facciamo le 14.30 presumibilmente per risolvere un problema o trovare un accordo su qualche cosa, o per avviare un nuovo progetto.
Alle 14.15 c’è qualcuno che prende seriamente l’impegno e si posiziona nella stanza in attesa che arrivino gli altri.
E normalmente è indaffarato con la testa dentro al PC intento a smaltire qualche altro lavoro, e non la alza mai, nemmeno per salutare chi entra nella sala dato che l’attrazione fatale che esiste fra la REM del suo cervello umano e la RAM del PC è simile a quella fra Glenn Close e Michael Douglas nell’omonimo film.
Gli altri partecipanti arrivano in serie e a singhiozzo come in processione.
C’è qualcuno invece che si affaccia nella stanza alle 14:32 precise, chiede “ci siamo tutti?” e se la riposta è no, ritiene di non poter attendere 5 minuti del suo preziosissimo tempo e si “smaterializza”, dicendo “chiamatemi quando ci siamo tutti che ho altro da fare” (si perché in 5 minuti in effetti fai in tempo a progettare le piramidi di Egitto) di modo che puntualmente, ripetendo questo ragionamento a cascata, si alternano per circa 45 minuti persone che arrivano e se ne vanno in attesa che tutti arrivino.
Più o meno alle 15 si riesce ad esser tutti intorno al tavolo…con quei 45 minuti medi di ritardo rispetto all’ora stabilita.
Naturalmente potrebbe esserci un collega capitano di turno che spontaneamente inizia a richiamare all’ordine uno a uno i partecipanti, e la cosa bella è che non sempre è colui che l’ha organizzata, ma magari solo un collega che passava di lì per caso, non aveva di meglio da fare, o comunque non avendo urgenze particolari, sentendosi attratto per qualche motivo dalla simpatia di qualcuno, ha scelto di dirigere il traffico nei corridoi.
La cosa ancora più bella è quando colui/colei che convoca la riunione, fagocitato dall’urgenza del’ultimo minuto, per il principio dell’ubi maior minor cessat, si presenta direttamente due ore dopo, se possibile anche a riunione conclusa, la quale si auto conduce da sola per un po’ con persone che fra il serio e il faceto, discutono.
Una volta che tutti gli invitati sono stati finalmente e faticosamente ricondotti al tavolo, si inizia a parlare: di qualcosa. Più o meno c’è un oggetto del contendere e qualcuno inizia ad esporre il suo punto di vista su quel documento di 50 pagine. Normalmente se i soggetti sono in numero superiore al 5, la riunione diventa fiume: meno di 4 ore non dura.
In queste 4 ore, in ordine spesso sparso e casuale, ognuno prende la parola ed espone il suo punto di vista sul presunto problema in discussione. In genere chi convoca una riunione (se è presente) può avere un amore smodato per quello di cui deve parlare, e allora le dissertazioni filosofiche relative alla quarta riga della prima pagina delle 50 da scorrere assorbono almeno 2 ore.
Inevitabilmente poi può succedere che per superati ragionevoli limiti di tempo, le successiva 45 pagine vengano passate in rassegna e con rassegnazione, in 45 minuti. 1 minuto per pagina.
Nel frattempo si verificano strani fenomeni: un collega si assenta per andare in bagno, e resta ingoiato dal WC, un altro collega è talmente insofferente a stare seduto per tanto tempo che tamburella il tavolo con le gambe come se avesse il morbo di tremens generando per vibrazione una scossa tellurica, un altro collega riceve telefonate, e si mette a parlare per 30 minuti creando l’effetto disturbo e chiedendo poi che venga ripetuto tutto quanto è stato detto mentre era al telefono, con annesso insorgere di istinti non sani da parte degli altri, o si mette d’accordo per farsi telefonare in modo da potersi assentare.
Magari accade anche che si creino sottogruppi che, prendendo “il là” da un argomento affrontato vi si agganciano, visto che sono finalmente seduti allo stesso tavolo, e tentano di risolvere altri problemi secondo le migliori regole del multitasking. Il brusio di fondo è fastidioso come le radio quando non funzionano.
Le stesse persone che si sono riunite, “a una certa”, iniziano a dissolversi per tornare ad altri doveri e la riunione in parte si chiude spontaneamente, oppure si chiude ufficialmente e formalmente con un “ci riaggiorniamo”.
Le leggi matematiche dicono che dopo l’entropia, subentra la sintropia. Bene, il “ci riaggiorniamo” non è sintropico, ma è solo un concetto vago che lascia presupporre che qualcosa di nuovo accadrà, poi, dopo, forse, un giorno. Ognuno se ne va con i suoi appunti, e le idee meno chiare della vista invernale in valpadana con la nebbia, un senso di scoramento e qualche istinto omicida represso.
Sto volutamente fantasticando ed esagerando. Ma vi accade mai di partecipare a delle riunioni e di avere la sensazione, a posteriori, di avere concluso poco o nulla?
Per quanto vorremmo tutti poter gestire 6 milioni di cose contemporaneamente, di fatto, arrendiamoci all’evidenza, è impossibile. Anche le CPU dei computer processano un input alla volta.
Se è vero che la capacità di concentrazione in media dicono possa durare al massimo 45 minuti, a maggior ragione potete immaginarvi cosa potrà mai essere affrontato o risolto da un gruppo di persone che sono riunite senza un motivo preciso, o comunque vago, e costrette a stare sedute per un tempo indefinito.
Una cosa alla volta. E’ così banale, ma così difficile da fare….
Mi direte, beh Federica, e quindi, veniamo al dunque cosa ci vuoi dire?
Voglio dire che una gestione del tempo efficace per l’organizzazione di riunioni (ossia che si prefigge di raggiungere un obiettivo senza sprecare tempo) ha i seguenti requisiti:
guarda un po’….un obiettivo da raggiungere, meglio se comunicato in anticipo (quando le condizioni lo consentono), in modo che ciascuno abbia il tempo di pre-digerire una serie di riflessioni da portare al tavolo evitando di farne la “digestione” in presa diretta real time con conseguente dispersione di tempo;
- un ordine del giorno con cui affrontare i vari temi necessari a confrontarsi su un problema;
- una ora di inizio e fine possibilmente prestabilita, affinchè ogni partecipante possa organizzarsi il resto della giornata;
- una discussione dei temi ordinata, dove l’organizzatore si prende anche la responsabilità di ricondurre “nei ranghi” le divagazioni non funzionali all’obiettivo dell’incontro;
- delle regole di funzionamento annunciate all’avvio dell’incontro: magari un ordine da rispettare nella sequenza degli argomenti e nel prendere la parola, e una distribuzione del tempo di parola equo, per assicurare che tutti parlino, soprattutto che abbiano diritto di parola anche coloro che, per natura sono più introversi, ma non per questo meno portatori di valide idee;
- un incaricato di prendere nota dei punti discussi, di divergenza e degli accordi presi in proposito e di condividerli successivamente magari con una mail;
- in teoria ogni partecipante sarebbe bene che aggiornasse altre persone della sua struttura organizzativa circa le “ricadute gestionali” legate alle tematiche affrontate, in modo da non generare asimmetrie informative;
- una call to action: ognuno dovrebbe uscire di li sapendo cosa deve fare, in che tempi, chi deve a sua volta coinvolgere, e quando è previsto un aggiornamento;
- sarebbe poi buona prassi chiedere che ogni partecipante identifichi una figura di “back up” che possa sostituirlo per dare continuità alle riunioni future sullo stesso progetto, per evitare le infinite procrastinazioni legate alla difficoltà di conciliare gli impegni nelle agende di tutti.
Sembrerebbe che io parli dell’acqua calda. In effetti è vero. Si tratta di buon senso e ovvietà. Ma applicare l’ovvio viene in media abbastanza complicato per noi umani.
Tutte le riunioni che organizzi o a cui partecipi seguono alcune o tutte le regole di buon senso elencate sopra? Se dovessi riflettere su quale elemento mancante di quelli elencati sopra sia la causa principale della dispersione di tempo delle riunioni, quali individueresti? Pensi di poter fare qualcosa per il futuro?
Quando è possibile gestire in questo modo le riunioni?
Solitamente se si tratta di riunioni per la gestione di progetti strutturati, di lunga durata, e con una composizione abbastanza stabile. In ogni caso, indipendentemente dai motivi per i quali è organizzata, una riunione che si prefigge di essere efficace dovrebbe: avere un obiettivo preciso dichiarato prima, avere una durata indicata e prevedere alla fine della sua esecuzione, una “call to action” chiara.
Quindi, qualora tu sia solitamente uno dei partecipanti ad una riunione convocata da altri, potresti scegliere se essere proattivo di fronte alla mancanza di qualcuno di questi elementi, e chiedere per tempo di conoscere quelli che vedi mancare, in modo da rendere la gestione del tuo tempo più efficace e regolarti di conseguenza. Qualora tu ne sia l’organizzatore, potresti cominciare (gradatamente, soprattutto se non è mai stato usuale nel tuo contesto) a fissare gli elementi principali per le riunioni future.
Hai trovato utile l’articolo?
Condividilo sui social se ti è piaciuto!
Condividi le tue riflessioni nel box in fondo alla pagina
Iscriviti alla Newsletter di Lavorare col Sorriso per continuare a leggere i miei articoli!
Grazie, a presto!
Federica Crudeli

CONFLITTI SUL POSTO DI LAVORO: LI RISOLVI O CERCHI COLPEVOLI?
Ciao e Benvenuto a Lavorare col Sorriso!
Che tu sia uomo o donna, sei solito risolvere i conflitti sul posto di lavoro efficacemente usando l’intelligenza emotiva per migliorare la tua leadership oppure vai accusando in cerca di colpevoli, o della ragione costi quel che costi? In questo articolo ti parlo di questi due diversi atteggiamenti nell’affrontare i conflitti sul posto di lavoro e ti parlo delle softskills utili anche per la vita, dato che i conflitti o le divergenze fra colleghi, uomini, donne e umani in generale sono assai frequenti.
[Tweet ““I più grandi conflitti non sono tra due persone ma tra una persona e se stessa.” – cit. T.G. Brooks”]
La gestione dei conflitti sul posto di lavoro, può avere una finalità utile o non utile.
La finalità utile della gestione dei conflitti sul lavoro è quella di capire, esprimersi, farsi rispettare, trovare punti di accordo.
La finalità non utile della gestione dei conflitti è quella di manipolare (spesso inconsapevolmente), cercare colpevoli, accusare, difendersi, avere ragione.
Per quali motivi discuti, di solito? E quanto sei consapevole di come il tuo modo di gestire i conflitti sul posto di lavoro impatta sulla buona riuscita dei rapporti tra colleghi?
Ipotizziamo che Alice e Marco, che rappresentano due unità aziendali differenti nell’ambito di un gruppo di lavoro composto da più impiegati, abbiano da consegnare un lavoro finito per una certa scadenza.
Ognuno di loro è portatore di interessi differenti e ovviamente, ha preferenze diverse sulle modalità con cui è possibile “risolvere” un dato “compito”o “task” per usare gli inglesismi che fanno molto moda.
Nel giorno della scadenza stabilita e per rispettare obiettivi sfidanti Alice, senza dire nulla a Marco che era impegnato in altre attività, presenta all’intero gruppo di lavoro il “task” finito e costruito, in parte, ma non del tutto, con il contributo anche di Marco, che viene a conoscenza della versione finale del lavoro a cose fatte.
Marco si sente salire un pò di rabbia, quando vede scritto su una mail quello che avrebbe dovuto essere frutto anche del suo lavoro: non solo vede i fatti compiuti, ma condivide solo in parte la soluzione proposta, e in ogni caso ci sono degli aspetti dati per decisi che lo mettono in difficoltà rispetto alla sua unità di business.
Marco è arrabbiato e dentro di lui si agitano questi pensieri: sono incavolato nero, non mi ha considerato, mi ha “scavalcato”, ha deciso una cosa che non condivido e in più l’ha fatto in mia assenza senza avvisarmi.
Non posso neanche arrabbiarmi apertamente, perché si sa che in azienda i conflitti sul posto di lavoro “aperti” sono malvisti e come uno manifesta un po’ di dissenso viene tacciato di essere un polemico rompiballe.
Come potrebbe comportarsi Marco?
Esempio di gestione del conflitto sul posto di lavoro con modalità comunicative finalizzate a manipolare, cercare colpevoli, accusare, difendere, avere ragione.
M – (con tono risentito e veemenza verbale, verso Alice) Ho visto la mail… bella sorpresa… siete proprio scorretti! Non solo avete deciso la versione finale senza di me, ma in più l’avete comunicata a tutto il gruppo e vi siete venduti una cosa che ora mi mette in difficoltà con altri miei colleghi!
Il tono “risentito” è umano, ci può anche stare…ma quello che segue si chiama accusa, prima ancora di capire se abbia affettivamente dei fondamenti o meno.
A – Marco, sei sempre assente, questa è la logica conseguenza del tuo modo di fare!
Alice si sente attaccata e di istinto, invece che smussare i toni, contro-accusa il collega.
M – Ma che assente e assente, non nasconderti dietro a delle scuse perchè hai torto e sei stata scorretta! Non è la prima volta che succede. Mancava poco alla versione finale. Hai il brutto vizio di non parlare!
A – Se non ti fai trovare!
M – Ma se ero in trasferta ieri!
A – …e comunque cosa vorresti insinuare con quel “non è la prima volta che succede?” vogliamo parlare di quando due mesi fa ti sei “venduto” la scadenza senza condividerla?
Ora….potete capire che gestire i conflitti sul posto di lavoro con questo rimbalzo di attacchi e accuse reciproche potrebbe durare più o meno all’infinito.
Per ironizzare, in tre nanosecondi ogni collega ha già piazzato nella sua mente come arma di difesa tutto il Consiglio Superiore della Magistratura, con tanto di primo, secondo e terzo grado di giudizio, Cassazione compresa!
Si chiama anche “escalation of commitment” per usare un gergo psicologicamente “tecnico”.
Risoluzione finale? Animo amaro da entrambe le parti, e soprattutto, nessuno dei due probabilmente otterrà nulla di quello che realmente avrebbe voluto.
Esempio di gestione del conflitto sul posto di lavoro con modalità comunicative finalizzate a capire, esprimersi, farsi capire, rispettare il prossimo e trovare punti di incontro.
M – (con tono un po’ risentito) Ciao Alice! Ho visto lo scambio di mail e che hai presentato la versione finale del lavoro a tutto il gruppo quando non c’ero. Mi sento parecchio infastidito! Mi puoi spiegare cosa è successo?
In questo modo Marco applica l’intelligenza emotiva in 3 modi:
1 – saluta come accade fra esseri umani,
2 –manifesta il suo stato d’animo irritato che fa sempre bene, visto che reprimere le emozioni, alla lunga, fa più danni dell’uragano katrina, e non lo dico io ma la scienza,
3 -senza tirare conclusioni si attiene ai fatti che ha visto e chiede spiegazioni, per capire, prima di scegliere se permettersi di essere alterato del tutto o meno e di biasimare la collega.
A – Ciao Marco. Mi spiace vederti arrabbiato. E’ successo che ieri il Direttore ci ha chiesto entro le 16 di presentargli il lavoro proprio mentre stavamo valutando di chiedere un posticipo della scadenza di altri 3 giorni. Sono mancati i tempi tecnici sia per avvisarti prima, visto che ci hanno detto che eri fuori, sia dopo, e nel dubbio piuttosto che lasciare la cosa incompleta abbiamo preso quella che ci sembrava la decisione migliore ricordandoci anche le tue indicazioni. I modi in effetti non sono stati dei migliori ma almeno nella scelta finale ti ritrovi oppure no?
M – Ah ecco… volevo ben sperare che ci fosse una ragione valida per quello che ho visto. Diversamente, e lo specifico nel caso accada di nuovo in futuro, vorrei condividere le scelte prima e sapere quando saranno ricondivise nel team. In questo caso in effetti la decisione che avete preso mi mette in difficoltà per diversi motivi che ora ti spiego (…) come possiamo venirne fuori? Mi aiutate?
A – Si si tranquillo, a parte che non è da me, in ogni caso certo che condividerò le scelte future prima di presentarle a tutti qualora non ci fossi. Tu però le prossime volte, se dovessi sapere che a ridosso di una scadenza ti mandano fuori per lavoro, ci avvisi prima?
M – Ok sarà fatto. Anche io preso dalla fretta proprio mi sono dimenticato.. scusami. Quindi come ne veniamo fuori? Io ho questo problema adesso (…)
A– Beh credo che ci siano tempi e margini per rivedere la cosa!
Alice utilizza l’intelligenza emotiva nella gestione del conflitto lavorativo in questi modi:
1 – saluta;
2 – esprime dispiacere per il collega che vede risentito, con empatia;
3 – chiede se la soluzione individuata è condivisibile;
4 – chiede al collega per il futuro, di avvisare qualora fosse assente, usando quindi la sua assertività.
Marco a sua volta: esprime chiaramente la sua difficoltà e la necessità di trovare una soluzione, si prende l’impegno di avvisare qualora debba assentarsi vicino ad una scadenza, ed esprime cosa vorrebbe per se in futuro.
Nella tua quotidianità quante volte la gestione dei conflitti sul posto di lavoro assomiglia al primo caso e quante volte al secondo?
Quante volte “prendi la tangente” di fronte ad una situazione mal digerita e quante volte invece ti prendi del tempo per capire, prima di scegliere la riposta più opportuna usando la tua assertività?
La possibilità di scegliere la risposta di fronte ad una situazione di conflitto, prende il nome di proattività, ed è un concetto introdotto da V. Frankl, che ha condotto molteplici studi sul senso di scopo delle persone.
Reagire significa non interporre alcuna consapevolezza fra uno stimolo esterno e il nostro comportamento, rispondere significa invece prendere consapevolezza di quello che accade al nostro interno ed indirizzarlo con assertività in modo utile rispetto all’obiettivo che ci poniamo.
Farlo significa rafforzare la propria leadership, ossia la consapevolezza e padronanza di sè stessi. Qualora l’obiettivo di una conversazione sia litigare con i colleghi in modo fine a se stesso allora la modalità n° 1 è quella giusta.
Qualora l’obiettivo invece sia trovare soluzioni condivise e ridefinire comportamenti accettabili per entrambe le parti in futuro, la modalità n° 2 è quella più adatta da seguire.
Qualora invece, dopo aver raccolto il punto di vista dell’altro ti trovi di fronte ad una vera e propria scorrettezza ingiustificabile ai tuoi occhi, considera che:
a – possono esserci colleghi che per differenti ragioni e motivi, vivono di bassezze. In questo caso intanto puoi avere una fortuna magari: non assomigliargli;
b – inoltre, quando hai a che fare con colleghi che deliberatamente fanno cose a danno altrui, o per metterti in cattiva luce, o per affermare se stessi, o per screditarti, tieni a mente che il problema è loro: quasi sempre soffrono di insicurezza cronica con un ego pari ad una mongolfiera, ed hanno bisogno di sminuire gli altri per emergere.
In questo senso, sempre a proposito di vivere per se stessi un tempo di qualità, prima di dare eccessiva importanza a questo tipo di colleghi e quello che fanno, ti ricordo che nell’articolo “Un giorno lo farò: il tempo ti è nemico? Parte I” ti ho parlato di investire il tempo in funzione del tuo scopo e dei tuoi principi.
Di conseguenza il tempo da dedicare a queste persone tossiche è bene che si riduca all’osso. Puoi sempre scegliere di averci a che fare per il tempo che è imposto dal contesto, ma nulla di più.
E poi lasciarti alle spalle la rabbia e il senso di sconfitta che a volte l’esito di questi conflitti sul posto di lavoro può generare.
Inoltre, se vivi in funzione dei tuoi principi guida, disponi di una bussola interna che ti conferisce sicurezza interiore e ti indirizza nelle scelte, ed è corretto che sia l’unico riferimento rispetto al quale misurarti, piuttosto che preoccuparti della figura da stupido che magari qualcuno ci tiene tanto a farti fare…la summa di questo pensiero è resa bene da questa celebre frase dei Beatles da tenere a mente di fronte a colleghi poco corretti:
[Tweet ““Live and let die”- cit. Beatles”]
In sintesi ti ho parlato di due modi di affrontare i conflitti sul posto di lavoro rispetto all’obiettivo di trovare punti di accordo: uno più utile ed uno non utile.
Ti ho quindi parlato della differenza fra la reattività e la capacità di risposta intesa come proattività: in questi casi le differenze fra uomini e donne non hanno alcuna relazione con la maggiore o minore padronanza di queste softskills!
Hai trovato utile l’articolo? Ti regala un sorriso?
Condividilo sui social se ti è piaciuto!
Iscriviti alla Newsletter di Lavorare col Sorriso per seguire i prossimi articoli sui questo e altri temi!
Iscriviti alla newsletter:
Nel frattempo lasciami un commento nel box in fondo alla pagina!
Grazie, a presto!
Federica Crudeli