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Learn MoreLA VERA DISABILITÀ È FISICA O MENTALE? UNA LEZIONE DI VITA E 5 RISPOSTE – PARTE II
Ciao Bentornata/o a Lavorare col Sorriso!
Proseguo questa settimana l’articolo “La vera disabilità è fisica o mentale? Una lezione di vita e 2 riposte – Parte I” iniziato la scorsa settimana per indurre un riflessione sulla vita lavorativa e non, e su come valorizzare al meglio il nostro tempo.
Oggi ospito le successive 5 domande che ho posto a Nicola Codega, 46 anni, un mio ex compagno di università, ex atleta, che dal 1998 è paralizzato su una sedia a rotelle dopo un brutto incidente procuratogli da un guidatore distratto.
[Tweet ““ Se io posso volare con la mia sedia, voi potere volare con la mente”– cit. Nicola Codega “]La scorsa volta ci hai parlato di come affronti oggi le sue difficoltà e dell’importanza che ha avuto per te lo sport prima dell’incidente e che ha ancora adesso.
Mi colpisce molto il fatto che tu abbia provato più sport da poter praticare da seduto: sei andato per tentativi fino a trovare quello che, come dici tu, rispecchia meglio l’istintività del tuo carattere. Insomma, ti sei buttato e hai agito!
Una bella lezione rispetto alla colpevolizzazione che possiamo attuare verso noi stessi quando pensiamo di “arrivare troppo tardi” a capire delle cose di noi, dimenticandoci che la vita è un percorso che procede per tentativi ed errori attraverso lo sperimentare concreto delle esperienze.
Uno dei problemi che più frequentemente mi riportano i lettori è l’ansia: ossia la paura di non essere all’altezza di attività o incarichi, o la paura di sbagliare, o il timore del giudizio altrui. Insomma una “paralisi” mentale a fronte di una qualche necessità di “buttarsi”.
Paure che limitano, bloccano e inibiscono il fare concreto con una certa serenità.
Oltre ad aver sperimentato il teatro e nuove sfide sportive, hai tenuto molti discorsi in pubblico e quindi ti sei esposto anche alla paura di non dire le cose giuste, al timore di cosa avrebbero pensato gli altri di te …
F – Domanda 3
Che rapporto hai con la paura nel fare cose nuove e come ti rapporti al “giudizio altrui” oggi?
N – Risposta 3
L’ansia fa parte di me, fa parte di voi, fa parte di tutti.
Quelli che dicono che non ne soffrono magari ne soffrono più di noi ma non lo vogliono ammettere.
Quando viviamo l’ attesa di un appuntamento importante che sia di lavoro che sia sentimentale che sia di qualsivoglia natura è normalissimo che ci sia l’ansia perché se non ci fosse significherebbe che in realtà quello che aspettiamo non è per noi così rilevante.
L’ ansia, il timore di non farcela, l’ho provato tantissime volte: prima di una gara importante, di una partita, prima di salire sul palco per recitare e prima di parlare ad un evento.
Il l timore c’è sempre ma poi riesco a trasformare l’ emozione in adrenalina e in energia che esterno dando il meglio di me.
È questo che dovete fare: buttarvi, lanciarvi, come dicevo prima, altrimenti mai e poi mai saprete come sarebbe andata a finire.
Se ci provate potete anche sbagliare ma almeno l’avete fatto e vedrete che la prossima volta andrà sicuramente meglio, soprattutto per i nuovi incarichi.
Se rimanete al vostro posticino, la vostra sedia sarà sempre quella, i colleghi sempre quelli: la scrivania al solito posto, il cestino al solito posto, il pc nella stessa posizione.
L’incarico nuovo è tutto nuovo, ufficio nuovo, scrivania nuova: voi potreste essere migliori, potreste trovarvi meglio coi colleghi, soprattutto potreste trovare nuovi stimoli e mettervi in gioco perché la vita è fatta di sfide sia nel lavoro che nel privato e se non vi mettete in gioco non saprete mai in fondo chi siete voi, chi siete realmente e cosa volete e difficilmente riuscirete a dare tutto ciò che volete sia nel lavoro che a un vostro partner e non avrete successo nella vita … rimarrete a coltivare il vostro piccolo orticello senza aver scoperto in realtà quanto valete e quanto avete da dare come persona.
F – Domanda 4
Condivido questo punto di vista. Siamo abituati a pensare che l’ansia sia uno stato d’animo di cui liberarsi, senza renderci conto che intanto la proviamo in quanto vivi, e poi che anche quella può essere un motore positivo, una spinta e non qualcosa da debellare, se trasformata in adrenalina anzichè in terrore.
Ho una curiosità … a proposito di adrenalina. Quando devi fare una scelta, cosa ti guida?
N – Risposta 4
Quando devo fare una scelta cerco di essere il più possibile razionale, perché il mio carattere istintivo mi porterebbe a decidere in fretta: da ragazzo, essendo una persona impulsiva, ho preso molto fregature.
Poi, un po’ per l’incidente, un po’ per l’avanzare dell’età, sono diventato molto più riflessivo sia nella vita privata che al lavoro.
Quando mi trovo davanti ad un bivio, prima cerco di prendere più tempo possibile per rimandare la decisione e pensarci bene, nel frattempo pondero i pro e i contro di entrambe le strade che mi si prospettano davanti.
Alla fine cerco sempre di metterci un pochino di razionalità, ma non troppa, perché qualsiasi cosa tu faccia se non ci metti un minimo di passione è molto difficile che tu ottenga dei buoni risultati.
Paradossalmente la mia nuova condizione fisica mi ha aiutato ad usare più la testa soprattutto nel quotidiano, a esser più ordinato e attento: non muovendo più le gambe e non controllando più intestino e vescica prima di uscire di casa, prima di spostarmi dalla sedia al divano, al letto o alla macchina devo prestare molta attenzione perché le conseguenze possono significare interventi e mesi e mesi di ospedale.
La “sedia “ tanto mi ha tolto ma tanto mi ha dato: mi ha dato più maturità (sono sempre stato un eterno bambinone sia nei momenti di gioia che nei momenti difficili), mi ha fatto vincere molte paure, mi ha fatto vincere tante nuove sfide perché l’aver passato tanto tempo in camere di ospedale, in sale operatorie e in centri di riabilitazione, paradossalmente fortifica.
Ti senti grande perché ce l’hai fatta a inventarti una nuova vita, certamente diversa da quella di prima ma non per questo avara di soddisfazioni.
Quando riesci a ottenere qualcosa per il quale hai lottato tanto, da seduto c’è molta più gratifica che da normodotato: non scorderò mai le emozioni quando mi sono laureato, quando ho vinto le prime partite a tennis, i primi tornei, le prime volte che ho calcato il palco, che ho volato col mago e i tanti complimenti ricevuti dopo aver letto i miei libri o dopo avermi sentito parlare.
Ricordatevi sempre che le barriere più alte da superare, da scalvalcare, da abbattere non sono quelle che esistono, non sono quelle reali, ma sono quelle che la nostra mente crea.
F – Domanda 5
Insomma capisco che oggi di fronte ad una scelta usi un Mix fra cuore e ragione!
Ho letto i tuoi due libri: li ho trovati autentici, scritti col cuore, e che rispecchiano tutto il fermento mentale che ti caratterizza da sempre come persona, anche prima dell’incidente.
Nel tuo libro dici che la forza di andare avanti l’hai trovata in te stesso. Ci spieghi meglio cosa intendi dire?
N – Risposta 5
Se prima dell’ incidente mi aveste detto che sarei rimasto in carrozzina vi avrei riposto che non ce l’avrei fatta, invece mi è venuta fuori la forza, una forza che non immaginavo neanche di avere, ma l’ho trovata grazie ai miei genitori, grazie allo sport, grazie ai miei amici e grazie a me stesso …
Mi sono guardato dentro, ho scavato e ho trovato la forza per reagire e ora paradossalmente sono più forte di prima.
La forza mi è venuta anche guardando gli altri: vedevo che le altre persone reagivano, vedevo ragazzi più giovani di me , vedevo anziani che sorridevano anche se erano sulla sedia, pensavo a quelli che non ce l’avevano fatta mentre io ero ancora vivo e mi domandavo: “perché anch’io non ce la dovrei fare ?”
Lo stesso per le nuove “sfide” come tornare sugli sci o sott’acqua: all’inizio avevo paura, poi vedevo altri che ce la facevano così mi facevo forza, mi son buttato ed è stato più facile del previsto.
Come mi è capitato col libro: ho letto delle pubblicazioni di persone che hanno subito un trauma e mi son chiesto “Lo fanno loro perché non provarci anch’io?”.
Così è stato! Poi mi è andata bene e non ho scoperto solo le mie doti nascoste di scrittore, ma anche quelle di oratore.
Ho raccontato la mia storia ad eventi istituzionali, sportivi, negli ospedali e nelle scuole: notavo che la gente mi stava ad ascoltare interessata e coinvolta.
È bellissimo quando vengono da te e ti ringraziano perché dalla tue parole riescono a tirarsi su, a capire che quelli che loro chiamano problemi in realtà sono solo bazzecole in confronto ai miei.
Ti si riempie il cuore quando fai ritrovare il sorriso alle persone che soffrono per qualsiasi cosa. Il dolore è soggettivo: se subìto in prima persona è amplificato, io posso star male per un raffreddore, mentre un’altra persona non sta male neanche per una polmonite.
Io ho cambiato la mia vita dopo un trauma: mi sono reinventato trovando nuovi stimoli e nuove motivazioni ma altre persone con disabilità hanno cambiato il mondo.
Recentemente è venuto a mancare Stephen Hawking: cosmologo, matematico, astrofisico che con la teoria dei buchi neri ha rivoluzionato la fisica nonostante avesse la Sla.
Gli fu diagnostica a soli 13 anni , i medici gli diedero 2 anni di vita, ma visse fino a 76 anni e dall’età di 20 parlò tramite un pc installato sulla sua sedia a rotelle.
Nonostante tutto ciò dicevano che avesse lo stesso QI di Einstein e la sua immagine divenne un’icona: partecipò a film, documentari e pubblicità. Si sposò due volte ed ebbe 3 figli.
Altro genio fu Alan Turing: avete presente la mela della Apple?
Dicono che si siano ispirati a lui .
Fu colui che inventò il pc e fece vincere la seconda guerra mondiale all’inghilterra leggendo i messaggi criptati dei nazisti tramite “Enigma” ( macchina da lui inventata) .
Lui era omosessuale, condizione ritenuta al tempo illegale dagli inglesi, così, dopo aver finito la sua missione di spionaggio, fece outing e fu messo davanti a un bivio: o la galera o gli psicofarmaci.
Scelse la seconda opzione così andò fuori di testa e si suicidò mordendo una mela avvelenata (vedi film “ Imitation game” ).
Oppure pensate al premio Nobel Nash nel film “Beautiful Mind”: era schizofrenico, eppure ha inventato la Teoria dei Giochi che è rimasta nella storia.
Quindi, io mi son ripreso in mano la mia vita dopo un grave trauma, queste persone, nonostante una condizione svantaggiosa hanno rivoluzionato il mondo, e voi non riuscite a vincere le vostre paure?
Non vi dico di cambiare l’universo ma solo di migliorare la vostra vita!
F – Domanda 6
Bisognerebbe sempre tenere a mente tutti questi esempi! E proprio seguendo la grinta di questi esempi, ti domando quali progetti hai per il tuo futuro? Quali sfide ti sei posto?
N – Risposta 6
I miei progetti per il futuro sono di continuare a diffondere il mio “ Sempre in piedi “ a più persone possibili, come ho fatto fin ora (nelle scuole, negli ospedali, negli eventi sportivi e istituzionali ) continuare ad aiutare le persone che non ce la fanno o meglio che credono, che pensano di non farcela a raggiungere i loro obiettivi, i loro traguardi per migliorare la loro qualità di vita.
Vorrei trovare nuove sfide, perché se non mi pongo nuovi obiettivi mi sento piatto e mi annoio: quando ho finito di organizzare un evento non ho neanche il tempo di riposarmi perché penso subito al prossimo perché non mi piace fermarmi .
Vorrei conseguire risultati di prestigio nel tennis che ormai è il mio sport, il mio modo per sfogarmi, per sentirmi sempre vivo e in competizione.
Vorrei organizzare altri spettacoli col mio amico mago Erix Logan: lo scorso anno sono stato il primo uomo al mondo a “volare “ su una carrozzina.
Lo show si chiudeva col messaggio: “Se io posso “ volare “ con la sedia voi potete farlo con la testa”.
È stata una grandissima emozione sia per me, sia per le persone che hanno assistito agli eventi.
F – Domanda 7
Direi di si … direi che se tu hai potuto volare sulla tua carozzina, noi “normodotati” possiamo volare con la mente ovunque e andarci a prendere dalla vita quello che vogliamo senza scuse. Quale messaggio vorresti lasciare a chi sta leggendo, sulla vita in generale?
N – Risposta 7
Il messaggio che vorrei lanciare è tutto nel titolo dei miei libri “ Sempre in piedi”.
La vita è come un palcoscenico: voi, e solo voi, dovete decidere se essere attori protagonisti o semplici comparse, se indirizzare la vostra vita o se lasciarvi trasportare dagli eventi.
Dovete guardare voi stessi, solo voi, non rincorrete miti o presunti tali ….pensate che le persone famose siano tutte felici perché possono avere ciò che vogliono quando e come vogliono ?
Spesso sono le persone più tristi, basta vedere in quante si son tolte la vita, perché sono circondate da gente, gente e ancora gente, hanno 10.000.000 di followers sui social ma in realtà sono le più sole perché quelli che gli stanno intorno lo fanno solo per la loro notorietà e non per come sono dentro. Perché quando ottengono una cosa non sono soddisfatti ma ne vogliono subito un’altra.
Trovano un partner al minuto ma difficilmente troveranno quello per tutta la vita, quello/a che li ama per come sono.
Vorrebbero vedere il sorriso sincero e gli occhi lucidi della vostra lei /lui quando vi dicono ti amo.
Possono comprarsi ciò che vogliono ma che soddisfazione hanno ad avere tutto ciò che desiderano?
Volete paragonare tutto ciò alla gioia che provate voi a comprarvi la vostra macchina coi soldi che vi siete guadagnati col vostro lavoro o quando estinguerete il mutuo e finalmente la casa sarà vostra?
In queste persone ci potrebbe essere anche il vostro capo: cercato e ricercato in continuazione in azienda ma solo per il ruolo che occupa. Magari quando torna a casa la sera è sempre solo o ha pochi amici, mentre voi che vi contattano sempre e solo i soliti colleghi, fuori dal lavoro siete pieni di interessi e di amicizie.
Ènormale che ci sia dell’ invidia per il collega più bravo o per il capo per la posizione che occupa ma non deve essere un limite o un muro, dovete esser bravi voi a trasformare l’invidia in ammirazione e in stimolo per fare sempre meglio e diventare migliori di loro.
Anche perché in tutte le aziende se non si è in pace con se stessi non si può esserlo con gli altri, le altre persone percepiscono subito il vostro malessere e si finisce col rovinare l’atmosfera, l’aria si fa sempre più pesante e tutto l’ufficio ne risente.
Vi lascio con la mia frase: cercate di stare SEMPRE IN PIEDI non tanto con le gambe ma anche e soprattutto con la vostra testa perché solo così riuscirete ad avere una vita migliore.
Ringrazio Nicola per avermi dato la possibilità di lasciare nel mio sito la sua testimonianza su temi quali la gestione di rapporti difficili, lo sport, le scelte, le sfide future, le paure, la forza interiore. Sono onorata e commossa, anche se dalla tastiera non si può vedere.
Auguro a Nicola di continuare così, con questa forza che ai miei occhi appare sovraumana, con questa voglia di porsi sempre nuove sfide, con questo desiderio di tratte il meglio dalla situazione che vive, con questo suo essere di esempio per tutti.
E a te lettore, alle prese con le tue difficoltà, domando: quali scuse decidi di accantonare oggi, per brillare davvero quanto potresti?
Quando pensi di non farcela, o ti senti stanco, torna a rileggerti questo articolo e chiediti se la tua disabilità è reale, o solo frutto dei brutti pensieri che fai in merito alle esperienze che vivi.
Se vuoi acquistare i libri scritti da Nicola puoi contattarlo all’indirizzo mail:
nicola150672@gmail.com
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A presto e grazie!
Federica Crudeli
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LA VERA DISABILITÀ È FISICA O MENTALE? UNA LEZIONE DI VITA E 2 RISPOSTE – PARTE I
Ciao Bentornata/o a Lavorare col Sorriso!
Dopo la pausa estiva, ecco un articolo dal titolo volutamente provocatorio che cambierà in meglio la tua giornata e spero anche i giorni a venire soprattutto per contrastare stress nocivi.
Oggi ospito una intervista a Nicola Codega, 46 anni, un mio ex compagno di università ex atleta, che dal 1998 è paralizzato su una sedia a rotelle dopo un brutto incidente procuratogli da un guidatore distratto.
[Tweet ““ Se io posso volare con la mia sedia, voi potere volare con la mente”– cit. Nicola Codega “]Durante le ferie mi sono incontrata con Nicola per prendere un caffè, dopo anni che non lo vedevo di persona.
Da quella chiaccherata è nato il desiderio di parlare di lui e farlo parlare in questo blog.
Perché?
Perché in un’ora di conversazione con lui ho trovato più autenticità, vitalità, voglia di vivere, curiosità verso il mondo, coraggio ed energia mentale di quella che trovo mediamente nella stragrande maggioranza di persone “normodotate” di cui faccio parte ma profondamente limitate nel loro vivere quotidiano da ansie, paure e problemi che esistono spesso solo nelle nostre teste.
Sono tornata a casa e ho pensato che raccontare la sua storia e lasciarlo parlare possa essere un grande esempio per tutti per affrontare le sfide quotidiane.
Da qui il titolo del post: a volte, molti “normodotati” come me, si auto-creano gabbie mentali inutili mentre altre persone, che hanno limitazioni fisiche reali, affrontano sfide impensabili tutti i giorni col sorriso, e le superano. Quindi fra le due categorie, chi è veramente “disabile”?
Nicola è assimilabile a personaggi quali Bebe Vio o Alex Zanardi. Solo che Bebe Vio e Alex Zanardi non li conosco, anche se li seguo sui social, mentre Nicola lo conosco in carne ed ossa.
Questo articolo vuole essere un “pungolo”, al rientro dalle ferie, a fare buon uso delle nostre energie mentali e ad allenarsi a relativizzare i problemi.
Tante volte, nei momenti di difficoltà, il mio pensiero va alla mia migliore amica Francesca, morta nel 2009 a 27 anni stroncata da una terribile leucemia dopo 3 anni di “agonia”.
Quando mi sento “giù” rivedo lei che, già malata, con un enorme sorriso mi ripeteva “Fede, vai tranquilla, non c’è niente di cui preoccuparsi”.
Non sono mai riuscita a spiegarmi dove prendesse quella serenità in un momento così difficile.
La sua morte mi ha cambiato la vita. Il dolore della perdita non è mai scomparso: eravamo come sorelle; ho imparato a conviverci.
Ma paradossalmente quell’evento ha segnato un grosso “discrimine” nella decisione di voler capire a fondo cosa poteva dare veramente un senso alla mia vita e cosa no, cosa era per me veramente importante e cosa no.
Anche essere obbligata a stare ferma a letto per un mese per un mio problema fisico nel 2015 mi ha fatto riflettere tanto. “Bazzecole” confronto all’esperienza di Nicola.
Ricordo quanto sono stata felice il primo giorno che ho rimesso il naso fuori dalla porta di casa. Il cielo non lo avevo mai visto così bello, immenso e celeste. E avevo tante farfalle nello stomaco come se fossi innamorata – mi rivolgo soprattutto alle donne in mezzo a tempeste sentimentali convinte che solo l’amore possa regalare emozioni … non è vero 🙂 – dicevo, mi sentivo irrequieta e desiderosa di fare mille cose.
Mi impegno a tenere a mente quella sensazione ogni volta che rischio di cadere nelle mie trappole mentali.
Penso che una sensazione simile l’abbiate provata tutti voi nel corso della vita. Un evento che vi abbia improvvisamente fatto relativizzare problemi che sembravano insormontabili e scomparire ansie inutili.
Noi umani siamo strani: tante volte abbiamo bisogno di toccare con mano la “perdita” di qualcuno o qualcosa, per renderci conto delle fortune che abbiamo e che sappiamo apprezzare meno di quanto potremmo, e di quante cose potremmo fare, se sapessimo sfruttare al meglio le nostre potenzialità.
Poi però si rientra nella routine. Si dimentica. E le piccole “rotture quotidiane” tornano ad essere “giganti insuperabili”.
Ultimamente, mentre riflettevo su una scelta da fare, mi sono “imbattuta” in un post su Facebook di Nicola che parlava di una delle tante “sfide” sportive che ha affrontato.
Mi sono detta “se riesce lui a fare tutte queste cose, io non ho scuse”.
Da lì a pochi giorni abbiamo preso quel famoso caffè.
Nicola, dopo quell’incidente e 13 operazioni, ha reagito. Ha pubblicato 2 libri che ironicamente ha intitolato “Sempre in piedi” e “Sempre in piedi – diario di viaggio” ed è tornato ad essere un atleta facendo vela e tennis.
Si è “buttato” anche nell’improvvisazione teatrale.
Inoltre ha portato la sua esperienza di vita nelle scuole, nelle carceri, negli ospedali.
Nicola organizza un evento No –Profit a difesa dei diritti dei disabili che si chiama “carrozzABILE”. (www.carrozzabile.it)
Addirittura è stato il primo uomo al mondo a partecipare ad uno spettacolo del mago Erix Logan e a levitare in aria con la sua carrozzina.
Ho chiesto quindi a Nicola se aveva voglia di partecipare a questa intervista dato che ama scrivere, e lui generosamente mi ha detto “si”.
L’ho fatto per dare spazio a una straordinaria storia di umanità positiva in un mondo che ci tartassa in continuo di schifezze: omicidi, guerre, violenze, razzismo, odio diffuso e tante altre manifestazioni pessime e basse.
N.d.r – Tutti drammi diffusi ad arte: la gente così rincitrullisce, diventa passiva e convinta di vivere in un mondo terribile e minaccioso nel quale non vale la pena impegnarsi in nessuna causa, tanto fa tutto schifo.
In realtà non è così: esistono anche tanti esempi di vita positivi.
Ecco quindi le 6 domande che ho posto a Nicola e le sue risposte.
In questo articolo potrete leggere le prime 2 domande e nel prossimo le altre 4.
F – Domanda 1
Nicola, questo blog è rivolto a dipendenti di aziende piccole/medie/grandi italiane impiegati a qualsiasi livello organizzativo che quotidianamente dividono tempo e spazio con capi e colleghi.
Per me, come per tutti i lettori, la vita d’azienda a volte può essere molto stressante e snervante, oltrechè per le scadenze, soprattutto per la gestione dei rapporti umani.
C’è pieno di diversamente simpatici con cui lavorare, “sgomitatori sociali”, persone che più o meno consapevolmente e più o meno in buona fede, complicano la vita agli altri.
Cosa diresti alle persone che quotidianamente si stressano e avvelenano le giornate a causa di queste persone o di problemi simili?
Nel tuo libro ho letto che anche tu in modo diverso ti rapporti ogni giorno con molte manifestazioni di ignoranza umana, mancanza di rispetto, bassezze.
Con che spirito oggi affronti le tue difficoltà?
N – Risposta 1
Ciao a tutti e grazie a Fede per avermi ospitato.
Spero che la mia testimonianza possa farvi amare la vita almeno la metà di quanto la amo io.
Ora la risposta alla prima domanda:
Quando si è a contatto con persone antipatiche, inutili, arriviste o che ci stanno sull’anima il comportamento migliore ma anche il più difficile da mettere in atto è l’indifferenza.
Ricordatevi sempre che è la cosa che fa più male a qualsiasi persona: fate vedere (anche se non e’ così) che quel tizio/a che ci sia o non ci sia per voi è la stessa cosa, non dategli peso.
Non vale la pena rovinarsi l’umore per una persona che ci sta anche sull’anima.
Bisogna prendersela quando a farci un torto e’ un’amico/a al/alla quale teniamo in particolar modo, allora si che dobbiamo farci delle domande.
L’indifferenza è l’ atteggiamento migliore anche nei rapporti sentimentali: è la cosa che fa più male ed è la soluzione migliore per testare se e quanto una persona tiene ancora a voi .
Come affronto io le difficoltà?
Dopo 13 interventi, 2 anni di ospedale e 20 anni di sedia affronto la vita sempre col sorriso: i problemi che mi trovo ad affrontare ora in confronto a ciò che ho passato sono bazzecole.
Me la prendo al momento e poi mi passa … tanto è inutile incazzarsi per le cose da poco, stiamo male solo noi e le cose non cambiano.
Intendiamoci non sono un super uomo, non ho ancora il mantello e, come ha fatto Fede con la sua amica, non ho superato ma convivo col mio trauma perché un episodio tragico come può essere il mio, come può essere la mancanza di una persona cara o di un grande amore non si supera ma bisogna imparare a conviverci.
Qualcuno mi ha chiesto dove si trova la forza dopo tutto quello che ho passato.Un grave trauma o ti ammazza dentro o paradossalmente ti rende invulnerabile: io ho fatto e faccio cose “da seduto” che mai avrei pensato di fare ” in piedi” .
Secondo me ognuno di noi dentro se stesso ha la forza per reagire ad una tragedia.
La difficoltà sta nel riuscire a tirarla fuori: c’è chi ci riesce da solo, c’è chi ha bisogno di un’aiuto (e se è così non ha da vergognarsi a chiderlo), c’è chi ci mette dei mesi, chi degli anni e chi non ne viene fuori … noi e solo noi ci conosciamo davvero, sappiamo cosa vogliamo e di cosa abbiamo bisogno.
F – Domanda 2
So che lo sport, in quanto ex atleta, ti ha aiutato molto. Che ruolo pensi abbia lo sport per abbattere lo stress lavorativo, soprattutto per persone come me e tanti “dipendenti” che passano la maggior parte del loro tempo seduti? E cosa ti ha insegnato lo sport che metti in pratica ancora oggi?
N – Risposta 2
Secondo me lo sport ha un ruolo fondamentale non solo nel lavoro ma nella vita di tutti noi, perché ci fa bene sia fiscalmente che mentalmente, ci fa distrarre, ci fa divertire, ci fa sfogare ci insegna a non mollare mai, insomma ci insegna a vivere meglio.
Consiglio vivamente a tutte le persone di praticare attività fisica anche se non a livello agonistico, in pausa pranzo o a fine giornata.
Ci fa uscire dalla solita noiosa routine dell’ufficio, dalle solite facce, dai diversamente simpatici come li chiama Fede, dai soliti orari e dal solito stress.
Posso capire che sia difficile iniziare soprattutto per chi non è abituato a far movimento. Allora cercate un amico/a con cui andare così tra una chiacchiera e l’altra l’ora vi passerà e vi sarete fatti la vostra “sudata”.
Avrete rassodato o tonificato il vostro fisico e staccato la spina: sarete stanchi, rientrerete a casa, vi rilasserete e vedrete che vi libererete la testa e dormirete anche più facilmente.
Le prime volte vi sembrerà più faticoso ma pian piano, come tutti, prenderete i vostri ritmi: non scoraggiatevi mai perché anche i grandi campioni hanno iniziato da zero e come diceva Totò “nessuno nasce imparato”.
Di volta in volta aumenterete le serie in quantità , in peso o in minuti a seconda dello sport che praticate.
È proprio questo l’aspetto più importante, perché vi serve da stimolo aumentare e riuscire sempre a migliorarsi fino a raggiungere il vostro obiettivo settimanale mensile o annuale.
Non serve diventare campioni basta migliorarsi secondo le nostre possibilità e capacità e vedrete che sarete orgogliosi quando avrete raggiunto i vostri traguardi.
Questa mentalità da atleta in erba vi servirà da stimolo nella vita di tutti i giorni per affrontare i vostri problemi e soprattutto nel lavoro: quando vi daranno un obiettivo da raggiungere sarete già pronti mentalmente a conseguirlo o perlomeno a provarci perché nella vita bisogna sempre buttarsi altrimenti non saprete mai come andrà a finire.
Vi continuerete a chiedere come sarebbe andata se aveste detto quella cosa se aveste compiuto quell’azione o tenuto quel comportamento.
Se ci provate e conseguite il vostro obiettivo sarete orgogliosi di voi stessi , se non lo raggiungerete almeno ci avete provato e non rimarrete mai col dubbio. Il fatto di averci provato la prima volta vi porterà a buttarvi le volte successive: il ghiaccio l’avete rotto e andrete avanti più determinati e sicuri di voi stessi.
Cos’è per me lo sport ?
Lo sport per me è come una droga: vengo da una famiglia di sportivi , i miei genitori sono stati dei maratoneti.
Mi hanno avviato all’ atletica leggera fin da bambino: partito dalle gare lunghe di tanti km, per poi passare all’attività agonistica in pista a 15 anni e fino a 22. Facevo i 1500 mt, 800, 400 e la staffetta 4×400.
L’atletica è uno sport individuale che ti rafforza tanto il carattere: se vinci una gara l’hai vinta te e solo te , se la perdi la perdi te e nessun altro.
Lo sport mi ha insegnato a non mollare mai, a capire cosa vuol dire sudare, lottare e faticare per raggiungere un obiettivo che nel mio caso era un tempo minimo o un piazzamento a seconda della gara.
Questa filosofia l’ho riportata nella vita di tutti i giorni e mi fa convivere col mio trauma.
Mentalmente mi ha aiutato nel recupero: da un giorno all’altro le gambe, che fino a quel momento mi avevano regalato tante soddisfazioni, non si muovevano più e dal petto in giù ho perso la sensibilità e la motilità (ho una lesione alla quarta vertebra dorsale).
Il mondo sembra cascarti addosso, come se si spegnesse improvvisamente la luce.
Poi, grazie alla mentalità da sportivo ho iniziato non a pensare che era meglio se non mi fosse successo niente, ma a pensare che avrei potuto non essere qui ora a raccontare a voiquello che è successo.
Non a pensare a quello che non ho più ma a cercare di fare il meglio con quello che mi è rimasto, come dovete fare voi: cercate di apprezzare ciò che avete e fatene buon uso, non pensate a ciò che non potete avere.
Lo sport mi ha salvato la vita anche fisicamente: subito dopo il primo intervento, nel quale ho rischiato la vita, ho passato quasi 2 mesi con la febbre tra 39 e 42. I medici mi hanno detto che se non avessi avuto il fisico da atleta agonista non avrei mai sopportato fisicamente tutto quel tempo immobilizzato su un letto ad una temperatura così alta.
Anche nel dopo incidente non poteva mancare lo sport: ho provato con lo sci ma è troppo pericoloso, ho provato con la vela e con la scherma ma sono sport troppo mentali per un tipo istintivo come me.
Avevo bisogno di uno sport che rispecchiasse il mio carattere: ho trovato tutto ciò nel tennis.
Ormai da 5 anni praticato attività agonistica a livello nazionale e internazionale: ho raggiunto la quarta posizione nel ranking italiano e la 57 esima in quello mondiale.
L’avrete capito che la mia vita è fatta di sfide: questa è l’ultima in ordine cronologico.
Rispetto alla “ mia” atletica nella quale dovevo dare tutto in 1 o 2 minuti, nel tennis ho a disposizione molto più tempo da un minimo di un’ora ad un massimo di circa 3 ore per una partita.
Quindi ho più tempo per rimediare ad un errore a due anche a tre, ma non devo mai mollare perché la partita non è finita finché non stringi la mano all’avversario.
In atletica dovevo concentrarmi solo per uno o due minuti quindi era più facile tenere alta l’attenzione.
Il tennis mi ha ridato la fame di competizione e di sfida che mi mancava da troppo tempo: non avrei mai pensato di poter praticare sport agonistico da “seduto”.
Ti ringrazio Nicola per la spontaneità con cui hai risposto … e vorrei tenere a mente queste tue parole per vincere la pigrizia fisica che a volte prende il sopravvento!
Lo sport soprattutto per chi fa un lavoro sedentario come “noi dipendenti” è importantissimo e soprattutto come dici tu , è altrettanto importante imparare a traslare gli insegnamenti che ci derivano dallo sport anche nelle altre sfere della vita.
Dove per insegnamenti, personalmente, non mi riferisco a competizioni o desiderio smodato di vincere, ma la perseveranza negli allenamenti e nel volersi “migliorare”, così come la capacità di trovare lo sport o situazione di vita/lavorativa che meglio si adatta alle nostre peculiarità valorizzandole.
Interromperei qui questa intervista che proseguirà con altre 4 domande e risposte da parte di Nicola nel prossimo articolo relative: a come affronta oggi le paure, come si muove per fare delle scelte, come trova la forza per affrontare le difficoltà che vive e ad un messaggio sulla vita in generale.
Intanto grazie a Nicola per essersi prestato a questa intervista!
Mi auguro che per te lettore, questa intervista possa essere un pungolo a fare qualche riflessione.
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Federica Crudeli
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GESTIRE COLLEGHI DIFFICILI: L’INFERNO SONO GLI ALTRI?
Ciao Bentornato a Lavorare col Sorriso!
Oggi ti parlo di come gestire colleghi difficili con una riflessione guidata attraverso 8 domande.
[Tweet ““ L’inferno sono gli altri”– cit. J.P. Sartre”]Intanto, come possiamo qualificare i colleghi difficili?
I colleghi difficili sono quelli con i quali fai fatica a collaborare per traguardare un obiettivo – in teoria – comune: in generale sono coloro con cui lavorare in modo fluido e scorrevole è un’utopia.
Sembrano nati apposta per complicare le cose inutilmente, sono poco trasparenti, sono bravissimi a girare frittate al punto che potrebbero aprire un ristorante, cambiano le carte in tavola senza grossi problemi, ritorcono i fatti sempre a loro favore e tengono tanti altri ameni comportamenti.
Sono quelli che ti tolgono la pazienza, e che ti fanno urlare con te stesso dal nervoso!
Ossia lavorarci per traguardare un obiettivo comune ti costa la stessa fatica che faresti se pretendessi di scalare il Monte Bianco a mani e piedi nudi senza protezioni (esagero un po’ volutamente).
E’ piacevole avere a che fare con queste persone? No.
Mi rifaccio al commento di una lettrice che riferita al mio precedente articolo “Colleghi difficili: i melliflui” ha scritto: “in definitiva, come si può fare a gestire i colleghi difficili?”.
Allora colgo questo suggerimento e mi spiego meglio, consapevole che mentre lo scrivo in realtà faccio un esercizio mentale che servirà anche a me stessa, dato che non sono immune dall’avere a che fare con persone simili.
L’obiettivo di questo articolo non è spiegare come riuscire a cambiare un collega difficile, quello è impossibile e credo di averlo ribadito più volte, quanto piuttosto spiegare come potersi “immunizzare” dall’effetto negativo che hanno su di noi.
L’obiettivo è individuare dei modi per Lavorare col Sorriso, ossia lavorare senza buttare nel water energie psichiche, emotive (e anche fisiche) inutilmente facendo guerre sterili e che non portano da nessuna parte se non a danneggiare te stesso.
Domanda n° 1 – il collega in questione è difficile solo con te o con chiunque?
Già rispondere a questa domanda può alleviare la quantità di energie emotive che un collega difficile può “risucchiarti” o meno: mettere a fuoco se è solo un problema tuo o di molti altri rapportarsi con lui efficacemente, penso potrebbe “sollevarti” da un eventuale senso di inadeguatezza.
Se osservi il comportamento della persona in più occasioni e con più persone, avrai modo di dare una riposta a questa domanda.
Dove voglio arrivare? Se il collega difficile in questione è difficile solo con te, inizia a mettere in conto che forse non hai ancora esplorato modi differenti per rapportatici in modo efficace.
E quindi, è più semplice di come sembra: identifica quello che altri fanno per gestire il collega difficile, e ottenere da lui quello che vogliono e usa lo stesso modo.
Studialo, osservalo, chiedi opinioni ad altre persone per capire cosa funziona meglio con questa persona.
Domanda n° 2 – se è un collega difficile con tutti, allora, cosa fai?
Intanto, nel caso tu sia una di quelle persone per cui è molto importante andare d’accordo con tutti, comincia a mettere in conto che in questo specifico caso, probabilmente, a inseguire questa meta rischi di avvelenarti e basta.
Non sta scritto da nessuna parte che io, te, o chiunque altro dobbiamo per forza piacere a qualcuno o che qualcuno debba piacerci per forza, e che dobbiamo essere tutti amici o amichevoli.
Abbandona l’idea di volerci andare d’accordo per forza e comincia a pensare che siete colleghi e che i rapporti possono restare civili e nei limiti del rispetto ma nulla di più.
E poi, fai mente locale allo stato emotivo che ti pervade quando hai a che fare con questa persona: perdi la pazienza? Ti angoscia? Ti irrita il sistema nervoso? Ti fa salire la collera? Ti rende triste? Ti mette ansia o paura?
Che effetto ti fa di solito? Che pensieri ti si agitano in testa quando hai a che fare con questa persona?
Domanda n° 3 – per quale motivo lavorativo hai bisogno di questa persona?
Identifica bene le ragioni lavorative per le quali hai bisogno del collega difficile e circoscrivi i rapporti il più possibile a queste circostanze.
Magari potresti addirittura identificare, dopo una attenta analisi, che lo stesso bisogno lavorativo potresti serenamente soddisfarlo con l’aiuto di altri colleghi meno malmostosi.
Domanda n° 4 – capisci le sue leve motivazionali?
Voglio dire, osservalo. Per quanto possa esser un collega difficile, se ti prendi un po’ di tempo e scrivi su carta e penna come si muove solitamente, identificherai dei “pattern” ossia dei modelli ricorsivi di comportamento (verso di te così come di altre persone) che lo muovono a fare/non fare delle cose.
Domanda n° 5 – come puoi usare a tuo vantaggio queste modalità comportamentali?
Qualsiasi comportamento che avrai identificato, molto probabilmente avrà degli svantaggi per te, ma anche dei vantaggi.
Cioè, quale è il lato positivo di cui potresti beneficiare dal comportamento “negativo” del collega difficile?
So che potrebbe sembrare strano, ma qui si tratta di diventare un po’ una specie di “giratore di frittate”: anche quando ti sembra di rilevare solo elementi negativi dall’interazione con questa persona, se ti prendi il tempo di pensare e scrivere (e sottolineo scrivere) un elenco di tutti i comportamenti che non sopporti, intanto emotivamente ti scarichi, poi ne prendi anche un maggior distacco, e poi visti tutti nell’insieme ti suggeriranno degli aspetti che fino ad oggi non avevi considerato.
Domanda n° 6 – come ti prepari?
Adesso che hai davanti un elenco di comportamenti osservati disdicevoli ai tuoi occhi, che gli hai abbinato lo svantaggio che portano a te, e il lato positivo che ne può derivare, puoi anche scegliere da quali di tutti questi comportamenti vuoi “proteggerti” in particolare.
E sarai anche in grado di sapere ogni volta che avrai a che fare con questa persona, che cosa ti potrai aspettare. Questa aiuta ad abbassare la tua tensione interiore.
Fidati, la storia si ripete. Tutti siamo più prevedibili di quanto crediamo, agli occhi di un osservatore attento.
Adesso che hai il quadro completo davanti, e che hai messo a fuoco quello che mediamente puoi aspettarti da questa persona, potresti anche sentirti sollevato e magari intravedere anche cosa lo “muove” nel bene e nel male a fare o meno cose che ti interessano.
Fai pace con l’idea che ti ritroverai spesso di fronte a un set pre-definito di “carognate”, cambieranno le circostanze, cambieranno i momenti, ma in media, adesso, sai cosa aspettarti e anche pensare prima a come “parare i colpi” oppure volgere a tuo favore le circostanze avverse, oppure ignorare del tutto le cose che farà, senza farti scalfire più di tanto.
Domanda n° 7 – ridefinisci il tuo obiettivo lavorativo ed emotivo verso il collega difficile.
Posto che hai fatto quanto ti ho detto sopra, adesso, alla luce di quello che vedi, che obiettivo cognitivo, emotivo e lavorativo ti dai verso questa persona?
Come vorresti essere ogni volta che avrai a che fare con lui/lei?
Sereno, distaccato, freddo, ironico, indifferente?
Cosa vuoi che ti scivoli di dosso?
E di che risorse disponi (pazienza, diplomazia, ironia, allegria, entusiasmo) per ottenere questo risultato?
Quanta importanza vuoi che abbia in futuro? Tanta o poca?
Domanda n° 7 – respiri?
Avere a che fare con colleghi difficili, può essere sfibrante.
Magari la tentazione di mandarlo a fare un giro del mondo con uno schiaffo sono alte, ma per pacifica convivenza è bene che non si arrivi a questi punti.
Quindi, quando ti ci rapporti, respira profondamente. Respirare profondamente con il diaframma calma la mente e l’emotività.
Domanda n° 8 – cosa dice di te questo rapporto lavorativo?
Un modo per far fruttare questa situazione a tuo vantaggio è anche riflettere su quello che “ti smuive dentro” gestire il collega difficile.
Al di là del fatto che la situazione è quella che è, e che il collega difficile resta tale, e che valgono le riflessioni già fatte sopra, usa questa occasione per scendere più a fondo nella tua irritazione: potresti renderti conto che la tua insofferenza cela anche un conflitto irrisolto con te stesso e che tale conflitto “amplifica” ancora di più l’insofferenza che comunque normalmente avresti a gestire rapporti con il collega difficile in questione, per un qualche problema che hai perso di vista.
Vista in questo modo, potresti quindi anche mettere in luce una qualche fonte di insoddisfazione che magari involontariamente nascondi a te stesso, ma che si esaspera ogni volta che vieni a contatto con questo collega.
Se così è, adesso hai una occasione per guardare a questo tuo vissuto in modo più ampio e più costruttivo per rimettere a fuoco alcuni aspetti della tua vita lavorativa “celati” sotto questa irritabilità/insofferenza indotta dal collega difficile.
Considerazione finale: perché i colleghi difficili sono difficili?
In teoria nelle organizzazioni, sarebbe bene perseguire obiettivi win – win, ossia soluzioni che siano di vantaggio per te e per la persona con cui ti rapporti.
Questo presuppone apertura mentale, capacità di mettersi in discussione e di capire empaticamente il prossimo ed andare incontro anche ai punti di vista degli altri, senza che farlo sia vissuto come una minaccia.
Dico in teoria perché nella realtà – povero Nash – spesso alcune persone hanno il cervello che è rimasto sviluppato allo stadio rettile, cioè malgrado l’umanità si sia evoluta e il cervello sia arrivato a sviluppare la neo-corteccia, continuano a perseguire solo il loro interesse, spesso volontariamente o inconsapevolmente, a scapito altrui, o senza prendersi “la briga” di mettersi minimamente in discussione.
In altre parole, se magari stai dubitando di te stesso e ci resti male a cercare collaborazione senza trovarla, ti ricordo che il problema è loro, non tuo.
Voglio dire, prima di dare a te stesso/a dell’incapace o di arrivare a dubitare delle tua capacità e qualità (perché questo rischio esiste a forza di rapportarsi con persone simili), metti dei confini “mentali” che ti preservino dal cadere in questa tentazione.
E per evitare che al mondo proliferino persone così, è bene evitare di cadere al loro stesso livello.
Il mio invito è quindi di innalzarti al di sopra delle bassezze altrui e fare buon uso della tua intelligenza.
E ogni qualvolta cadrai nella tentazione di avvelenarti la giornata, perché magari sarai stato oggetto di qualche “bastardata”, pensa che tu hai una grande fortuna: sei diverso, e non hai bisogno di “mezzucci da 4 soldi” (che siano voluti o agiti inconsciamente) per guadagnarti stima, collaborazione, fiducia di altre persone e raggiungere i tuoi obiettivi.
Menti piccole, azioni piccole, menti grandi, azioni grandi!
E’ evidente che se una persona adotta comportamenti poco collaborativi con chiunque, ha dei limiti. Magari legati a motivazioni ragionevoli, magari no, sta di fatto che li ha.
Non farli diventare tuoi, puoi scegliere di fare la differenza in positivo!
L’inferno sono gli altri, per parafrasare J.P. Sartre, non vuole significare che la causa del nostro inferno sono gli altri davvero, ma che è il nostro modo di vivere gli altri che diventa un inferno, se permettiamo a persone “negative” di assumere troppo potere sulle nostre vite.
Non è facile neanche per me vederla così e agire di conseguenza, ma ognuno può scegliere che parte vuole avere nel mondo: abbassarsi, o elevarsi al di sopra delle fragilità (o meschinità) altrui.
Continuo a sognare un mondo fatto di persone che scelgano la seconda strada!
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Federica Crudeli
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FARE CARRIERA = VALERE? LIBERA NOS A MALOS!
Ciao Bentornato a Lavorare col Sorriso!
Oggi ti parlo di fare carriera e di una prigione mentale comunemente diffusa, e fonte di grandi mal di pancia, per chi lavora in una azienda: quella di sentirsi nullità/falliti qualora le aspettative di diventare manager/capo/quadro/dirigente fossero disattese. Voglio liberarti da questo male con una riflessione coraggiosa. Seguimi!
Questo articolo nasce dall’ osservazione di molte persone che vivono male e con grande senso di sconfitta il fatto di non aver fatto carriera o averla fatta parzialmente rispetto ad obiettivi più ambiziosi.
Attenzione: ho usato volutamente la parola FARE carriera, ossia il manager/capo/quadro/dirigente ma non sono sicura che sia scontato coglierne la sottile differenza.
Tu sei. Punto. Poi il tuo essere si manifesta nel mondo attraverso tanti ruoli: impiegato (a qualsiasi livello), madre/padre, moglie/marito, partner, sorella/fratello, amico/amica e così via.
Ha mai pensato alla questione in questi termini? Se no, è bene che cominci a farlo.
La convinzione diffusa che fare carriera in automatico significhi godere di un riconoscimento di valore che è appannaggio esclusivo di chi ha conseguito un qualche titolo durante la sua vita lavorativa e di sentirsi in automatico persona “da poco” in caso contrario è una grande stupidata.
L’equazione presente nella mente di molte persone è appunto fare carriera = valere/avere la certificazione “sono in gamba”. Le implicazioni negative di questa convinzione spesso sono di non poco conto.
Intanto allora ti lancio subito una provocazione: se la tua mente è abituata a pensare così, il tuo istinto e il tuo cuore, cosa ti dicono?
Quale sarebbe un modello di uomo/donna in carriera ideale?
Sposo il punti di vista di Marco Montemagno : un “vero leader” è una persona animata da passione per il suo lavoro, consistenza (ossia persona che produce risultati fattivi e concreti persistenti), che è capace di emozionare e coinvolgere le persone in un “noi”, che è imperfetto come tutti gli umani e non ha bisogno di nasconderlo.
Chi può fare carriera in azienda?
Potenzialmente chiunque.
In concreto una cerchia ristretta di persone.
Per quali motivi alcune persone fanno carriera ed altre no?
I motivi possono essere molteplici. Alcuni possono essere:
a) una persona ha costruito nel tempo i presupposti per fare carriera producendo risultati consistenti e durevoli. A questo proposito ti rimando al mio articolo sulle differenze fra un buon manager e un fuffa manager.
b) una persona ha venduto la sua dignità (tipicamente facendo lo zerbino, il lacchè, lo spione nel riguardo dei potenti di turno, o prostituendosi mentalmente e/o fisicamente) per un lungo periodo ottenendo in cambio la sua promozione, che poco potrebbe avere a che vedere con le sue qualità, capacità e doti manageriali.
c) una persona si è trovata al posto giusto, nel momento giusto, con il capo giusto rispetto alle dinamiche aziendali, ossia ha avuto le circostanze ambientali “a favore”.
Aver avuto le circostanze a favore non necessariamente è sinonimo che quella persona avesse, come sopra, capacità e qualità manageriali. Potrebbe essere si come no.
Cosa voglio dire?
Voglio dire che fare carriera non necessariamente è sintomatico di una persona “che vale”. Potrebbero esistere molti manager che semplicemente, hanno fatto ricorso ad altri mezzi per fare carriera.
Mentre essere persone di valore è sicuramente un plus, un “vantaggio competitivo” per fare carriera, non vale il viceversa.
Fare il manager non è condizione sufficiente per potere asserire con certezza che una persona, automaticamente, possa anche considerarsi di valore, con buone qualità e capacità professionali ed umane che ad altri non sono accessibili o riconosciute.
Ora, se sei una di quelle persone che “vive male” il suo “non avere fatto carriera” o che vive male le carriere altrui, ti invito a domandarti: a che prezzo queste persone hanno fatto carriera? Se sei disposto a pagarlo anche tu, fallo. Altrimenti, perché ti incazzi?
Oppure sei sicuro che gli altri ottengano risultati sempre senza faticare, senza metterci del loro?
Se invece hai esempi positivi di carriera, perché quello che pensi di meritare non lo vai a cercare altrove, se nel tuo contesto attuale non ti viene riconosciuto? Non dirmi “ehhh ma c’è la crisi”.
Fai prima ad ammettere che non hai voglia di alzare il sedere e metterti in discussione. Chi cerca, prima o poi, trova. Te ne parlo anche nel mio articolo Bastardi senza gloria.
Diversamente, perché pensi a te stesso/a in modo così impietoso come se tutto il tuo valore umano possa essere riducibile ad un titolo?
Il lavoro è un mezzo. Per vivere, per realizzarsi.
Ma se tu ti identifichi tutto intero con il tuo lavoro, le possibili o concrete mancate soddisfazioni lavorative andranno ad intaccare tutta la tua identità di persona.
Dimenticandoti che tu hai molti altri mezzi, ed eventualmente anche posti, per viverti come una persona di valore, ed usare le tue risorse e qualità.
Molto spesso noi umani tendiamo a darci un valore in funzione di qualcosa di “esterno” alla nostra persona che ci restituisca una immagine socialmente accettata e riconosciuta come di successo.
Molto spesso rischiamo di pensare che ammirazione, stima, amore da parte di famigliari e amici sia strettamente connessa e ottenibile solo a condizione di “essere qualcuno”.
Non sto tentando di promuovere una società cosparsa di Grandi Lebowsky (personaggio peraltro che mi suscita una enorme simpatia), ma neanche di persone ossessionate dalla carriera al punto da vivere troppo male il mancato raggiungimento di un certo traguardo di carriera sperimentando frustrazione e auto-denigrazione oltre il dovuto.
Questa prigione mentale causa: disagi emotivi, nevrosi, disturbi psicosomatici, squilibri in altri settori della vita, senso perenne di inadeguatezza.
In preda a queste forma malsane di competizione/invidia è possibile assistere nelle aziende alle più alte manifestazioni di bruttura umana e, talvolta, anche di fantozziana maniera.
Puoi leggerti a questo proposito anche il mio articolo “Potere è piacere?”
Quindi, tornando a noi, se fai parte di queste persone ti invito a domandarti: ma questa carriera quanto è importante per te? Cosa significa carriera per te?
Ed è importante per te, o per le persone che ti circondano? Stai cercando da una vita di soddisfare aspettative tue o di altri?
Fare carriera che vantaggi insostituibili ti porterà? Potresti ottenerli in altro modo?
E il fatto che questa carriera non sia come tu la vuoi, che conseguenze ha su di te? Che pensieri fai verso te stesso?
Perché fai dipendere interamente il tuo valore dalla carriera?
Perché tu pensi di poter esser “qualcuno” solo in funzione di una qualifica che qualcuno può scegliere come no (e per mille motivi indipendenti da te) di non riconoscerti?
Tutte le persone in carriera che conosci sono esempi di doti morali, qualità manageriali, capacità del tutto esclusive e non replicabili?
E se ti paragoni ad altri, a che scopo lo fai? In che modo un risultato eventualmente ottenuto da un’altra persona, può condizionare la stima che hai di te stesso?
E soprattutto, quando ti paragoni ai successi di altri, lo fai considerando questi altri nella loro interezza, o solo relativamente ad alcuni aspetti?
Sei incline a paragonare sempre i lati negativi della tua persona o situazione lavorativa con quelli positivi degli altri?
Non pensi che sia un modo parziale di guardare le cose? Perché allora non paragonarti agli altri comparando sia i lati positivi che quelli negativi di te e della tua situazione lavorativa, rispetto a quelli positivi e negativi degli altri?
Spero che questa riflessione ti sia servita a fare un po’ di chiarezza dentro te stesso e magari a liberarti di qualche fardello mentale inutile.
Qualora poi tu voglia esercitarti a guardare in modo diverso altre tipologie di pensiero che avvelenano la mente ti consiglio di leggere i miei articoli Pensieri negativi sul lavoro: liberati dal loro veleno Parte I – Parte II e Parte III.
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COLLEGHI DIFFICILI E SOPRUSI IN UFFICIO: LI GESTISCI O LI SUBISCI?
Ciao e Bentornato a Lavorare col Sorriso!
Oggi ti parlo di colleghi difficili che compiono angherie e prepotenze in ufficio e ti guido in una riflessione per capire come “salvarsi” dai loro soprusi.
Prendo spunto da un commento che ho ricevuto da una lettrice (che ringrazio) per affrontare il tema delle relazioni spinose con colleghi difficili a vantaggio di tutti coloro che in questo momento hanno un sentire simile a quello della persona che gentilmente sta dando a me e tutti coloro che leggono, l’opportunità di guardare alle cose in modo diverso.
La lettrice scrive “vorrei lasciare il lavoro perché la moglie del mio titolare , mi rovina l’ esistenza, ho il terrore di questa persona , sono disperata perché mi sento una fallita e sottomessa da una persona che non ha neanche 1 centesimo delle mie competenze ….usa toni altezzosi e minacciosi e io me la faccio sotto”.
E’ bene fare una riflessione, indipendentemente dalla posizione in azienda dei colleghi difficili uomo/donna che agiscono un comportamento simile ed indipendentemente da chi sia il soggetto uomo/donna che “subisce”.
La farò in un modo singolare, ossia analizzando le parole usate da questa persona, partendo con una considerazione che è: le parole sono solo la punta di un iceberg di ciò che noi viviamo più nel profondo.
Le parole che usiamo per comunicare in superficie dicono molto di noi, e di come viviamo le situazioni, e di quanto a volte ognuno di noi scelga di essere vittima di qualcuno, senza nemmeno accorgersene.
Tu dirai: e chi è che sceglie di essere vittima? Deve essere un matto! Ebbene si, in realtà in certe situazioni siamo noi a scegliere di essere vittima, del tutto in buona fede.
Seguimi e capirai di cosa parlo.
“La persona X mi rovina l’esistenza”: cominciamo con il riesumare il concetto di responsabilità di cui ti ho parlato molte volte, ossia l’abilità di risposta ai contesti che è in nostro potere agire.
Qualsiasi cosa facciamo, la scegliamo, compreso quella di farci rovinare l’esistenza.
Non sto dicendo che la persona X sia “santa”, sto dicendo che il potere di decidere quanta importanza è giusto attribuire ad una persona str***a è nostro.
Solo noi possiamo decidere se una persona è importante al punto di meritare i nostri struggimenti, i nostri pensieri, le nostre energie mentali che poco potranno a cambiare il/la st***o/a di turno.
Non sto dicendo che sia facile farsi scivolare da dosso le nefandezze degli altri. Sto però dicendo che fino a quando noi non riconosciamo il pezzo di responsabilità che abbiamo nel contribuire a rinforzare queste dinamiche malsane, mai ne usciremo fuori.
Ci sono persone che si nutrono (e qui potremo fare un trattato di psichiatria :)) degli abusi mentali sugli altri. Ci godono.
E guarda caso queste persone hanno presa proprio su una particolare categoria di persone: quelle che si fanno “braccare” in questa dinamiche e restano remissivi subendo in silenzio.
Se il/la st***o/a di turno capisse di non avere alcun potere, smetterebbe molto probabilmente di fare quello che fa, rivolgendosi a qualcun altro.
“Ho il terrore di questa persona”: la parola “terrore” è carica di emotività, ed evoca a me, e credo anche a chi sta leggendo, qualcosa di cupo e terribile.
Vivere nel terrore come se fossimo in guerra e dovessimo morire da un momento all’altro o come se fossimo di fronte alle minacce di un animale feroce o di una persona armata che ci vuole uccidere, significa creare una condizione di stress per il corpo, che a cascata per difesa produce sostanze chimiche, fra cui la noradrenalina, che “inquinano” tutti nostri tessuti.
Il nostro corpo di fatti è concepito per attivare dei meccanismi di difesa utili in caso di pericolo reale, ma sono gli stessi che si attivano anche nei casi in cui il pericolo sia solo una nostra percezione mentale, a causa di “stressor” di minore entità.
In questo caso “lo stressor” sarebbere il comportamento vessatorio del collega difficile in questione.
Il problema è che se noi non ci abituiamo a distinguere e gestire le fonti di stress in base al livello di entità, ci intossichiamo di continuo l’organismo.
Ecco perché lo stress ha effetti cosi devastanti su di noi. Perché lo attiviamo a sproposito!
La domanda da porti in questo caso è: possibile che un collega difficile abbia non solo il potere di rovinarmi l’esistenza ma di farmi vivere uno stato di terrore del tutto avulso dalla realtà?
Cioè, in che modo offese/minacce/soprusi verbali generano in te stati emotivi così sproporzionati da attivarti meccanismi chimico/fisici adatti a contesti di reale pericolo di sopravvivenza?
Quali pensieri scatenano queste emozioni? Rischi davvero la vita? Se si, mi auguro tu faccia una denuncia.
Se no, perché non imparare a sentire, accettare e gestire questa carica di emotività in modo meno dannoso per te stesso? Come? Pensando, ogni volta che ti sale il terrore, che in realtà non c’è nessuno di fronte a te che tenti di ucciderti realmente.
“Sono disperata perché mi sento una fallita”: essere disperati significa non avere più speranze.
In che cosa? Sul lavoro? In tutti gli aspetti della vita? Tutti tutti?
Cioè il fatto che un solo aspetto della vita sia negativo genera una disperazione nera che contagia tutta la vita? Al punto di sentirsi falliti?
Che relazione esiste fra un collega difficile e il nostro considerarci dei falliti?
Non potrebbe essere che noi siamo solo persone, con pregi e difetti sicuramente, che hanno poco a che fare con il/la str***a di turno?
Il fallimento non esiste. E’ solo nella nostra testa. Esistono gli sbagli. Esistono gli errori. Normalmente compiuti in una specifica circostanza e in un dato momento.
In che modo errori e sbagli, del tutto umani, possono diventare la causa di un intero fallimento? Ha senso?
E la parola “sottomessa”? Dove la mettiamo?
Cioè il collega difficile ci sottomette nel senso che ci sale fisicamente sulla testa o che ci costringe ad inginocchiarci? Oppure è un senso di sottomissione che esiste solo nella nostra testa perché noi, fra tanti modi di sentire, scegliamo di sentirci sottomessi?
Ad esempio, scegliere di essere incazzati neri di fronte ai soprusi altrui non sarebbe un modo di sentire più costruttivo e atto a definire dei confini che non vogliamo siano sorpassati da nessuno?
La domanda in questi casi è: la collera, quel sano “sbottare” di rabbia fulminea ed istantanea che serve a difendere se stessi, i propri confini e la propria dignità, perché non scatta? Dove è stata sepolta? Per quale motivo?
Per la vergogna? Perché qualcuno ci ha insegnato che arrabbiarsi non è socialmente accettato?
Faccio presente che in alcuni casi, la rabbia è l’unico modo per affermare i proprio diritti. E che l’aggressività, tanto demonizzata nella nostra civiltà e soprattutto negli uffici, deriva dal latino “ad – gredire = andare verso” ed è una componente del tutto sana nella vita di chiunque se espressa nei contesti giusti, come in questo caso.
Quello che mi colpisce delle parole di questa persona è la percezione di un senso di inferiorità che inconsciamente autorizza l’altro soggetto ad approfittarsene.
Che ci piaccia o meno, ognuno di noi è trattato così come sceglie di farsi trattare.
Lo so che qualcuno dei lettori stenta a crederci, ma è così.
Qualcuno ti denigra/offende/schernisce/ violenta psicologicamente?
Ecco se fino a oggi non lo hai fatto, prova a rispondere, e non con la sottomissione, con assertività.
Non serve necessariamente urlare, o venire alle mani. Basta anche usare un tono di voce fermo, uno sguardo fermo, e delle parole ben precise che possano significare qualcosa di simile a “non permetterti mai più di trattarmi così, e la prossima volta che hai qualcosa da dirmi gradirei tu usassi modi più rispettosi ed educati”.
Se hai delle resistenze o paure a comportarti così, è bene che tu investa de tempo a capire il perché.
Perché ti viene più facile subire che rispondere con assertività?
Dove e quando hai imparato a fare così? Cosa ti spinge a farlo ancora? Cosa accadrebbe se tu smettessi?
Il senso di sottomissione lo senti solo in uno specifico rapporto o come un atteggiamento che in generale ti appartiene nella vita con chiunque?
E se esistono rapporti in cui invece reagisci in modo sano e tale da difendere i tuoi confini e la tua dignità, cosa c’è di diverso nelle due situazioni? Cosa puoi “portare” da una situazione all’altra per ridefinire un nuovo equilibrio nel rapporto malsano?
Per esperienza personale, posso dire che anche a me è accaduto di avere a che fare con persone simili e che se quelle persone vengono messe al loro posto, normalmente, vanno a cercare altre vittime.
Cosa aspetti quindi a tirare fuori le unghie e pretendere rispetto per la tua dignità di persona?
Riassumendo, la realtà sottostante alle parole iniziali è più probabilmente la seguente: “vorrei lasciare il lavoro perché mi lascio rovinare la vita dalla la moglie del mio titolare , scelgo di provare terrore verso questa persona, scelgo di essere disperata perché scelgo di sentirmi una fallita e sottomessa nei riguardi di una persona che non ha neanche 1 centesimo delle mie competenze ….usa toni altezzosi e minacciosi e io me la faccio sotto”.
Mi auguro che la riflessione sulle singole parole che ho fatto e su quanto tali parole celano, possa essere un pungolo per trasformare questa frase in qualcosa di simile a quanto segue:
“ho deciso di smette di dare tanta importanza alla moglie del mio titolare , perché il mio essere, il mio valore, la mia competenza valgono a prescindere dai soprusi che questa donna tenta di attuare nei miei riguardi. Io non ho alcuna paura di questa donna perché è umana come me, con pregi e difetti come me, e non ho alcun motivo di temerla al punto di lasciare che le mie giornate siano inquinate da lei. Imparo ad affermare i miei diritti e la mia dignità, e la prossima volta che userà toni altezzosi e minacciosi le farò capire con un bel discorso che né lei, né nessun altro, possono permettersi di trattarmi come uno zerbino.”
Se non credi che un bel vaff*****o espresso con toni fermi ed educati possano sortire l’effetto di allontanare questo soggetto negativo, prima di tirare i remi in barca, fallo! Poi mi saprai ridire l’effetto ottenuto.
Ho motivi e precedenti sufficienti per dire che funziona.
Non sto dicendo che i colleghi difficili cambiano. Ma se cambi tu il tuo modo di rapportarti a loro, intanto il loro effetto su di te diminuirà moltissimo, in secondo luogo è altamente probabile che costoro rivolgano le loro intenzioni negative altrove.
Se poi tutti quanti prendessimo il coraggio di imporci con una sana aggressività verso questi soggetti, il mondo ne sarebbe meno pieno, perché non avrebbero più appigli a cui aggrapparsi.
Inoltre è utile osservare in questi casi se il collega difficile usa gli stessi modi solo con noi o con tutti. Perché se con altri non lo fa, è interessante osservare ed imparare da altre dinamiche relazionali.
Da ultimo, i sentimenti riportati di terrore, disperazione, fallimento, sottomissione, sono indicativi di una persona che ritorce contro se stessa, auto-demolendosi senza accorgersene, tutta l’aggressività che non riesce a manifestare fuori in modo sano. Come se fosse colpevole di qualcosa.
Una persona non è tanto tenuta a portarci rispetto perché siamo bravi e competenti, quanto perchè siamo esseri umani con pieno diritto di esistere a prescindere da cosa sappiamo fare e a prescindere dal fatto che qualcuno là fuori ce lo riconosca o meno, padri, madri e partner compresi.
Ti ho già parlato in un mio precedente articolo di un’ altra particolare categoria di colleghi difficili: i melliflui o voltafaccia e ti rimando a leggere questo articoli qualora tu abbia a che fare anche con questa tipologia di persone cliccando a questo link : melliflui Parte I .
Un sentito abbraccio di incoraggiamento a chi prende il coraggio in mano e sceglie di liberarsi una volta per tutte da queste dinamiche malsane!
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Federica Crudeli

PENSIERI NEGATIVI SUL LAVORO: LIBERATI DAL LORO VELENO – Parte III
Ciao Bentornato a Lavorare col Sorriso!
Oggi continuo a parlarti di come liberarti da altri 3 tipi di pensieri negativi velenosi, dopo averne trattati altri 6 nei miei 2 articoli precedenti articolI: la tendenza a drammatizzare le situazioni, a prevedere solo disastri, a personalizzare qualsiasi fatto (Pensieri negativi sul lavoro: liberati dal loro veleno– parte I) e la tendenza a confondere le emozioni con la ragione, a generalizzare gli eventi negativi, e la “tolleranza zero” (Pensieri negativi sul lavoro: liberati dal loro veleno– parte II).
Se non lo hai ancora letto, cosa sono i pensieri negativi velenosi? Sono quei pensieri che nascono automaticamente al di fuori del tuo controllo, a fonte di stimoli esterni, generano sentimenti ed emozioni negative, e sono del tutto inutili e disfunzionali rispetto all’obiettivo che ti prefiggi.
Come la “gramigna”, pianta normalmente associata ad un effetto invadente e fastidioso, questi pensieri occupano la tua mente sottraendoti una enorme quantità di energie psichiche, senza che tu riesca ad opporti, proprio come un veleno paralizzante.
Vediamo quali altri tipi di gramigne esistono e come potertene liberare.
7 – La gramigna della paranoia
Accade a tutti noi di “proiettare” sugli altri quelle che sono le nostre paure e i nostri più grandi timori, attribuendo a colleghi e capi pensieri negativi rispetto a quello che diciamo e/o facciamo.
Ci sentiamo arrabbiati o offesi? Tendiamo a vedere questo tipo di comportamento negli altri verso di noi.
Abbiamo il terrore di essere stati sgarbati? O poco accurati? Ecco subito a immaginare che il capo e collega, nel dirci una cosa stiano pensando “ma quanto è sgarbato/ ma che lavoro fatto male”.
Quante volte ti accade di immaginarti brutte opinioni, pensieri che gli altri possono fare verso di te? Sei così convinto di poter leggere la mente altrui? E se la leggi, quando lo fai, leggi sempre pensieri negativi nei tuoi confronti?
Oppure ogni tanto leggi anche cose buone per te?
A cosa ti serve pensare che altri pensino male di te a tutti i costi?
8 –La gramigna etichettatrice
Viviamo in un modo intriso di giudizio: qualsiasi cosa accada, tendiamo a volerla etichettare come buona/cattiva, bella/brutta, bianca/nera, perdendo di vista “i fatti”.
Il giudizio, o pre-giudizio che abbiamo soprattutto rispetto alle persone, quando si parla di lavoro, può condurre molto spesso a “deformare” i fatti in base ai preconcetti che abbiamo e a influenzare il modo con cui si ascoltano gli altri.
Quanto spesso invece ti limiti ad osservare quello che accade, senza necessariamente attribuirgli una qualche connotazione per forza totalmente o positiva o negativa? Quante volte qualifichi con aggettivi fatti, parole, persone invece che limitarti a descriverli?
9 –La gramigna della ricerca di conferma
Normalmente tendiamo tutti quanti a cercare fatti che confermino le nostre convinzioni. Questo modo di fare esclude a priori dal campo dell’esperienza tutta una serie di altri fatti, invece, che se osservati meglio smentirebbero le nostre convinzioni.
Sei convinto che il tuo collega sia scorretto? Ecco che, alla prima cosa che fa, vai a cercare le prove della sua scorrettezza. Ma magari osservando il fatto in sè, scevro dal giudizio, ti accorgi che quello stesso fatto potrebbe non essere carico dell’accezione negativa che tu gli associ.
Su cosa normalmente poni l’attenzione? E nel farlo, cosa stai evitando di prendere in considerazione? Per quale motivo lo fai? E in che modo il motivo per cui lo fai, condiziona quello che vedi?
Questi 9 atteggiamenti nell’uso del pensiero, (uniti quindi ai 6 degli articoli precedenti) diffusi fra noi esseri umani, in taluni casi, soprattutto se adottati molto frequentemente, proprio perché sono tutti pensieri negativi, non fanno altro che innescare meccanismi di difesa spesso del tutto inutili, e che contribuiscono ad aumentare il livello di stress, con ripercussioni anche sul corpo, che secerne sostanze chimiche nocive, indebolendo l’organismo.
Per rompere questi schemi di pensiero disfunzionali hai da: identificare le situazioni in cui “reagisci” così somministrandoti negatività, riflettere sul perché e quando lo fai, capire come lo fai, fermarti a ragionare ogni volta che ti trovi in queste circostanze ampliando il tuo punto di vista con le domande che ti ho suggerito sopra e ripetere ripetere ripetere fino ad educarti in modo differente e più salutare per te stesso.
Piano piano rimpiazzerai i pensieri negativi automatici e “reattivi” , con la capacità di essere “proattivo” cioè di scegliere una risposta più funzionale agli stimoli esterni, senza cadere nella negatività e nel pessimismo cosmico.
Costa impegno farlo? Si. Hai da scegliere fra un meccanismo appreso e gratuito che ti innesca stress e negatività senza fatica alcuna, ad uno più impegnativo che però è fonte di benessere, che una volta conquistato, resterà con te.
Leggere nella “testa altrui” solo cose negative, etichettare qualsiasi cosa, o cercare conferme dei nostri pensieri, drammatizzare le situazioni, prevedere solo disastri, personalizzare qualsiasi fatto, confondere i fatti con le emozioni, generalizzare gli eventi spiacevoli, e considerare insopportabili le situazioni sono tutti filtri cognitivi che quando applicati automaticamente e diffusamente, limitano l’accesso alle tue risorse personali, limitando anche il tipo di “risposte” che sarai in grado di utilizzare a tuo vantaggio nei differenti contesti, magari allontanandoti dall’obiettivo che ti eri prefissato.
Al prossimo articolo fra 2 settimane!
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Federica Crudeli
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PENSIERI NEGATIVI SUL LAVORO: LIBERATI DAL LORO VELENO – Parte I
Ciao Bentornato a Lavorare col Sorriso!
Oggi ti parlo di come liberarti da 3 tipi di pensieri negativi velenosi. Intanto, cosa sono i pensieri negativi velenosi? Sono quei pensieri che nascono automaticamente al di fuori del tuo controllo, a fronte di stimoli esterni, generano sentimenti ed emozioni negative, e sono del tutto inutili e disfunzionali rispetto all’obiettivo che ti prefiggi.
Come la “gramigna”, pianta normalmente associata ad un effetto invadente e fastidioso, questi pensieri occupano la tua mente sottraendoti una enorme quantità di energie psichiche, senza che tu riesca ad opporti, proprio come un veleno paralizzante.
Vediamo quali tipi di gramigne esistono e come potertene liberare.
1 – La gramigna “napoletana”
Senza che me ne vogliano i lettori napoletani, uso questa dicitura per intendere la tendenza che abbiamo a drammatizzare un evento parzialmente negativo trasformandolo in una tragedia con tutte le possibili e infauste conseguenze del caso, come se stessimo vivendo la famosa “tragedia napoletana” (rifacendomi alla teatralità nota dei nostri concittadini che fra l’altro amo).
Ad esempio, il tuo capo con tono rabbioso e risentito ti manifesta la sua scontentezza per un lavoro che hai fatto?
Tu in automatico in 3 nanosecondi ti stai già immaginando in mezzo agli scatoloni di scartoffie da portare via per il tuo licenziamento. In sostanza ingoi ciuffi di gramigna di pensieri negativi e ansia da solo, senza neanche rendertene conto.
Ti riconosci questa tendenza? Intanto comincia a notare quali situazioni innescano questi pensieri negativi: critiche di colleghi? Imprevisti? Litigi? Discussioni? Si assomigliano queste circostanze che attivano i pensieri negativi in automatico? Rilevi elementi comuni?
Perché lo fai? A che fine? Quali altre conseguenze potresti trarre da quell’evento parzialmente negativo, oltre che quelle peggiori? Manifesti poi anche all’esterno questi pensieri, incupendo il tuo umore o il tuo atteggiamento verso gli altri?
2 –La gramigna veggente
Un’altra auto-flagellazione di pensieri negativi, questa volta slegata da un evento esterno parzialmente negativo a scatenarli, è quella di farsi film mentali sul futuro, e sempre negativi come se in te si fossero reincarnati tutti i registi più catastrofici e lugubri del cinema.
Questa tendenza a farti dei film futuri negativi, riguarda una qualche area specifica della tua vita? O qualche azione specifica? Ti sei mai fermato a ragionare su quanti dei tanti film negativi che ti sei fatto, realmente sono stati tali e quanti no? E pensare così in negativo a cosa ti è servito? A dirti “ se mi preparo al peggio almeno poi non rimarrò male?”. Oppure, ancora, fai pensieri negativi sul futuro perché “estrapoli” da eventi negativi del passato la convinzione che sarà così anche nel domani?
Lo sai che questo atteggiamento mentale è causa delle cosiddette “profezie auto-avveranti”? Siccome la nostra mente va cercando nel mondo conferma di ciò che crede, tu stesso potresti, con queste convinzioni negative, creare i presupposti affinchè poi le cose vadano davvero male per poi poterti dire “beh, avevo ragione!”
3 –La gramigna con l’ego a mongolfiera
Questa tipologia di pensieri negativi è molta diffusa nelle aziende, ed è la tendenza a personalizzare qualsiasi fatto come se tutto l’universo cospirasse a tuo danno.
Un collega che ti sta particolarmente simpatico risponde male? Subito a pensare “oddio cosa gli avrò fatto” senza pensare che magari è semplicemente incazzato per motivi suoi.
Oppure se qualcuno fa una critica al tuo lavoro ti senti intaccato nella tua identità, perdendo di vista che hai ricevuto una critica da un collega (dei tanti) ad una attività (e non alla tua persona) 1 volta su 220 giorni lavorativi.
Per evitare di cadere in questa trappola, occorre che identifichi, di volta in volta, tutti gli elementi del mondo circostante che potrebbero essere cause altrettanto valide di quanto vedi e attribuisci a te stesso. E, se proprio proprio vuoi sentirti al centro del mondo sempre, almeno scegli di esserlo come causa/effetto di qualcosa di positivo.
Riepilogando ti ho parlato per questa volta di 3 gramigne, o atteggiamenti mentali, che causano pensieri negativi:la tendenza a esagerare e generalizzare eventi negativi, la tendenza a farsi film negativi sul futuro a prescindere da inneschi esterni, la tendenza a personalizzare gli eventi esterni come se l’unica causa possibile fossi tu.
Per rompere questi schemi di pensiero disfunzionali hai da: identificare le situazioni in cui “reagisci” così, riflettere sul perché lo fai, fermarti a ragionare ogni volta che ti trovi in queste circostanze ampliando il tuo punto di vista con le domande che ti ho suggerito sopra ed educarti a farlo tutte le volte.
Rimpiazzerai progressivamente i pensieri negativi automatici e “reattivi” , con la capacità di essere “proattivo” cioè di scegliere una riposta più funzionale agli stimoli esterni, senza cadere nella negatività e nel pessimismo cosmico.
Costa impegno farlo, prima di sostituire l’automatismo negativo con quello positivo? Si.
Hai da scegliere fra un meccanismo appreso e gratuito che ti innesca stress, negatività e ansia senza fatica alcuna, ad uno più impegnativo che però è fonte di benessere.
(A proposito di ansia, ecco un mio precedente articolo che parla di come gestirla!)
Ti parla una persona che ha sperimentato sulla sua pelle, o meglio, nella sua testa, questo approccio. Progressivamente ho messo a tacere quel coacervo di pensieri negativi che un tempo mi nascevano spontanei su una serie di inneschi esterni. Vivo molto meglio, con la testa più libera e leggera.
Sottolineo però che, qualora notassi che questi pensieri negativi siano per te diffusi a TUTTE le aree e situazioni della vita, tu abbia la convinzione che le cose stavano così in passato e staranno così per SEMPRE, e ritieni di essere TU LA CAUSA di tutti i mali del mondo con un enorme senso di impotenza, ti consiglio di rivolgerti ad uno psicoterapeuta: questi sono campanelli di allarme di un disagio che esula dalle “nevrosi” tipiche del nostro vivere e sono piuttosto sintomatici di problemi caratteriali ben più radicati e profondi.
Nei prossimi articoli, fra 2 settimane, continuerò a parlarti di altre tipologie di pensieri negativi! Segui quindi anche la Parte II e la Parte III!
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